Ricusazione degli arbitri e non ricorribilità per cassazione: vaglio di compatibilità costituzionale e convenzionale

31 Ottobre 2017

Plurime, ancorché strettamente connesse tra loro, le questioni giuridiche, anche di legittimità costituzionale, sottoposte all'attenzione della Suprema Corte nella sentenza in commento.
Massima

Non è impugnabile l'ordinanza che si pronuncia sull'istanza di ricusazione dell'arbitro, in ragione del divieto di cui all'art. 815, comma 3, c.p.c. e della non proponibilità del ricorso straordinario per cassazione (art. 111 Cost.), trattandosi di provvedimento a contenuto ordinatorio e non decisorio. Il ricusato non è peraltro neanche legittimato attivo, perché non portatore di un interesse sostanziale afferente al procedimento in oggetto, invece volto a garantire alle parti una pronuncia resa in posizione di terzietà (Cass. civ., sez. I, n. 20615/2017).

Il caso

In seno al procedimento arbitrale il presidente del Tribunale di Milano, con ordinanza ex art. 815, comma 3, c.p.p., accoglieva l'istanza di ricusazione di un arbitro (in particolare il presidente di collegio arbitrale costituito per la risoluzione di plurime controversie inerenti esecuzioni contrattuali). Il ricusato ha proposto avverso detto provvedimento ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost.. Egli prospetta, in via subordinata, una questione di legittimità costituzionale del citato art. 815 c.p.c., se interpretato nel senso di escludere la ricorribilità per cassazione del detto provvedimento da parte del ricusato, per violazione del diritto di difesa dell'arbitro (art. 24 Cost.), quale portatore di diritti soggettivi inerenti alla tutela della propria immagine ed agli aspetti di natura patrimoniale del rapporto con le parti del giudizio arbitrale.

La questione

Sono plurime, ancorché strettamente connesse tra loro, le questioni giuridiche, anche di legittimità costituzionale, sottoposte all'attenzione del Giudice di legittimità. Trattasi dell'impugnabilità dell'ordinanza emessa ex art. 815, comma 3, c.p.c., in ipotesi, con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., dell'eventuale legittimazione attiva (sostanziale) dell'arbitro ricusato e, per l'ipotesi di diniego di quest'ultima, della compatibilità costituzionale del citato art. 815 c.p.c. con riferimento al parametro costituito dal diritto di difesa (art. 24 Cost.).

Le soluzioni giuridiche

Alla prima delle prospettate questioni giuridiche la Suprema Corte fornisce risposta negativa, per orientamento consolidato al qualeesplicitamente si conforma.

L'ordinanza pronunciata dal presidente del Tribunale sull'istanza di ricusazione di un arbitro non è impugnabile, tanto dallo stesso ricusato quanto dalle parti del procedimento arbitrale, neanche con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., atteso l'espresso disposto dell'art. 815, comma 3, c.p.c. e la sua natura di provvedimento a contenuto ordinatorio, in quanto tale non qualificabile come sentenza in senso sostanziale (ex plurimis: Cass. civ., sez. VI-I, n. 10359/2012).

La sentenza in esame in particolare ribadisce l'assimilazione delle ragioni della non ricorribilità dell'ordinanza presidenziale in oggetto a quelle inerenti la non ricorribilità dell'ordinanza relativa alla ricusazione di un giudice ordinario. Essa precisa però che trattasi di provvedimento ordinatorio e strumentale, incidente non sull'organo giudicante o sui criteri di costituzione del medesimo, né, quindi, sul diritto della parte alla nomina del proprio arbitro, bensì soltanto sulla designazione, in esito ad un procedimento incidentale di tipo sostanzialmente amministrativo, di una determinata persona componente di tale organo, in relazione alla corretta composizione di esso e all'interesse generale all'imparzialità ed alla obbiettività della relativa funzione (negli stessi termini si vedano, con particolare riferimento alla ricusazione di un arbitro: Cass. civ., sez. I, n. 4294/1998, e, più di recente, Cass. civ., sez. II, n. 8472/2002).

Con particolare riferimento, invece, alle altre questioni di cui innanzi, la Suprema Corte, comunque, esclude la legittimazione (sostanziale) dell'arbitro ricusato ad impugnare il provvedimento in esame. Ciò in ragione della chiara formulazione letterale dell'art. 815, comma 3, ultima parte, c.p.c. che, nel contrapporre l'arbitro ricusato e le parti, conferma la circostanza per la quale il primo non è portatore di un interesse sostanziale inerente al procedimento di volontaria giurisdizione in esame. Esso è difatti volto ad assicurare la funzionalità del giudizio arbitrale e a garantire l'indipendenza e l'imparzialità degli arbitri e, quindi, con esse, l'interesse delle parti ad ottenere una pronuncia resa in posizione di terzietà, maggiormente avvertita in considerazione dell'ormai indiscusso riconoscimento della natura giurisdizionale dell'attività degli arbitri rituali. Con la conseguenza che anche l'erronea partecipazione dell'arbitro al procedimento in esame, conclusosi con ordinanza, non farebbe sorgere l'interesse dello stesso all'impugnazione, il cui difetto sarebbe comunque rilevabile d'ufficio (per la rilevabilità d'ufficio dell'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione si vedano, ex plurimis: Cass. civ., sez. IV, n. 1943/2011; Cass. civ., sez. I, n. 13685/2006).

La sentenza in commento conclude poi escludendo che l'art. 815 c.p.c., interpretato nei termini di cui innanzi, possa ledere il diritto di difesa dell'arbitro ricusato (di cui all'art. 24 Cost.). Ciò perché, diversamente da quanto sostenuto da una parte della dottrina, eventuali diritti soggettivi dell'arbitro ricusato assunti come lesi (quali quelli relativi alla tutela della propria immagine ed agli aspetti di natura patrimoniale del rapporto con le parti del giudizio) sarebbero comunque suscettibili di essere tutelati, nel rispetto del diritto al contraddittorio, azionando un autonomo giudizio di cognizione e non negli angusti limiti di un giudizio incidentale di volontaria giurisdizione, funzionale invece, come detto, a garantire la funzionalità dell'arbitrato.

Osservazioni

L'iter logico-giuridico di cui innanzi potrebbe non soddisfare completamente sotto il profilo della compatibilità con la natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale, dalla quale invece esplicitamente muove la stessa sentenza in esame, perlomeno nell'assolutezza di talune affermazioni del Giudice di legittimità, e, quindi, in termini anche di “compatibilità convenzionale” della disciplina della ricusazione dell'arbitro oltre che dei motivi di nullità del lodo.

La pronuncia in esame, difatti, esclude l'impugnabilità dell'ordinanza ex art. 815, comma 3, c.p.c., anche con le forme del ricorso straordinario per cassazione (ex art. 111 Cost.), si badi bene, da parte tanto dello stesso arbitro quanto delle parti del giudizio arbitrale. Essa argomenta dalla natura ordinatoria e non decisoria del provvedimento, ritenuto strumentale ed incidente non sull'organo giudicante o sui criteri di costituzione del medesimo, né, quindi, sul diritto della parte alla nomina del proprio arbitro, bensì soltanto sulla designazione, in esito ad un procedimento incidentale di tipo sostanzialmente amministrativo. Allo stesso tempo, però, sempre con riferimento a quello di cui all'art. 815 c.p.c., si fa riferimento ad un procedimento di natura giurisdizionale, ancorché, di volontaria giurisdizione, si assimila la non impugnabilità in esame alla non impugnabilità del provvedimento avente ad oggetto la ricusazione di un giudice ordinario e si muove dalla natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale (anche se per escludere il difetto di legittimazione attiva sostanziale del ricusato).

Occorre quindi, seppur brevemente, vagliare la compatibilità costituzionale e convenzionale di dette argomentazioni, nella loro assolutezza, perlomeno laddove non differenziano le posizioni delle parti del giudizio arbitrale da quella dell'arbitro ricusato.

Cass. civ., Sez.Un., n. 24153/2013, in particolare, ritiene che l'attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla l. 5 gennaio 1994, n. 5 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, abbia natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario. Sicché, lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione.

Successivamente al “revirement” del 2013, anche argomentando dalla natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario propria degli arbitri rituali, sono difatti emesse dalla Suprema Corte numerose decisioni in ordine all'interpretazione del patto compromissorio ed alla conseguente distinzione tra arbitri rituali (ed arbitrato rituale) ed arbitri irrituali (ed arbitrato irrituale) ed in merito ai rapporti tra arbitri ed Autorità giudiziaria, con particolare riferimento all'eccezione di compromesso (ritenuta avente natura processuale ed inerente questione di competenza non rilevabile d'ufficio, in quanto di natura non funzionale e non attinente a diritti indisponibili). Altre pronunce argomentano detta natura giurisdizionale per considerazioni in merito all'impugnazione del lodo ed alle norme applicabili al relativo giudizio. Il riferimento è, ex plurimis, a: Cass. civ., sez. II, n. 10809/2015, in tema di rispetto del principio del contraddittorio; Cass. civ., sez. I, n. 13898/2014, in ordine alla fase innanzi al giudice ordinario in sede di impugnazione, ed a Cass. civ., sez. I, n. 20558/2015, con particolare riferimento ai limiti di deducibilità, con l'impugnazione del lodo per nullità, della situazione di incompatibilità degli arbitri.

Quanto innanzi evidenziato circa la natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale, dalla quale la sentenza in commento dichiaratamente muove, deve poi correlarsi alle motivazioni che la Suprema Corte adduce a fondamento della non impugnabilità ex art. 111 Cost. dell'ordinanza avente ad oggetto la ricusazione del giudice ordinario, ritenendola, differentemente dalla sentenza in esame, avente natura decisoria ancorché non definitiva.

Le Sezioni Unite difatti chiariscono che l'ordinanza di rigetto dell'istanza di ricusazione, del giudice ordinario, non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione. Essa infatti, pur avendo natura decisoria, atteso che decide su un'istanza diretta a far valere concretamente l'imparzialità del giudice, la quale costituisce non soltanto un interesse generale dell'amministrazione della giustizia, ma anche, se non soprattutto, un diritto soggettivo della parte (e ciò alla luce sia dell'art. 6 della CEDU sia del nuovo testo dell'art. 111 Cost.), manca tuttavia del necessario carattere della definitività. La non impugnabilità ex se dell'ordinanza non esclude difatti che il suo contenuto sia suscettibile di essere riesaminato nel corso dello stesso processo (innanzi al giudice ordinario) attraverso il controllo sulla pronuncia resa dal (o col concorso del) iudex suspectus, l'eventuale vizio causato dalla incompatibilità del giudice invano ricusato convertendosi in motivo di nullità dell'attività spiegata dal giudice stesso, e quindi di gravame della sentenza da lui emessa. A sostegno dell'ammissibilità del ricorso straordinario (che al più consentirebbe, peraltro, esclusivamente un controllo formale di legalità della detta ordinanza), non può farsi altresì questione circa la presunta inidoneità del diverso mezzo di riesame posticipato a tutelare il diritto ad un giudice imparziale, sul rilievo che tale diritto verrebbe a realizzarsi soltanto nel secondo grado di giudizio e non ricorrendo - ove il giudice di appello ravvisi la causa di ricusazione esclusa nel giudizio di primo grado - alcuno dei casi tassativi di rimessione della causa al primo giudice di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c.. Ciò sia perché la ritenuta inidoneità del mezzo giuridico previsto per il riesame del provvedimento decisorio non equivale ad una assenza di rimedi tale da rendere quel provvedimento anche definitivo (agli effetti di consentirne l'impugnazione con il ricorso straordinario per cassazione), sia perché l'ipotizzata non adeguatezza del rimedio sarebbe in concreto rilevante, e quindi apprezzabile, solo nel momento in cui, essendosi in presenza di una sentenza nulla perché emessa da una giudice trovantesi in una delle situazioni previste dall'art. 51 c.p.c., si ponga il problema della perdita di un grado di giurisdizione di merito (Cass. civ.,Sez.Un., n. 17636/2003; in senso conforme si veda, di recente, Cass. civ., sez. VI-III, n. 1932/2015).

Sicchè, proseguono le S.U., è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 2, c.p.c., nella parte in cui non prevede l'impugnabilità, con il rimedio del ricorso straordinario per cassazione, dell'ordinanza che decide sulla ricusazione del giudice. Il principio di imparzialità è difatti sufficientemente garantito dalla possibilità per la parte, che abbia visto rigettata la propria istanza di ricusazione, di chiedere al giudice di appello un riesame di tale pronuncia impugnando la sentenza conclusiva resa dal giudice invano ricusato. In senso contrario non varrebbe poi il confronto con il c.p.p. (che consente il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che ha deciso sulla ricusazione), atteso che il principio costituzionale di eguaglianza non comporta il divieto di regolamentazioni diverse dei diversi tipi di processo in ordine al procedimento sulla ricusazione, tanto più che nell'ambito del processo penale sono in gioco beni costituzionalmente più "sensibili". Del resto, la proponibilità immediata del ricorso per cassazione avverso la detta ordinanza, con il conseguente protrarsi dell'effetto sospensivo del giudizio di merito disposto dall'ultimo comma dell'art. 52 c.p.c. (senza le corrispondenti limitazioni previste nel processo penale), avrebbe il risultato pratico di rendere più lento il processo e quindi potrebbe stimolare un uso distorto dell'istituto, a danno del diritto, di rilevanza costituzionale, ad una ragionevole durata del processo (sullo specifico punto si veda anche la conforme Corte cost., n. 78/2002; negli stessi termini delle citate Sezioni Unite, con particolare riferimento alla compatibilità costituzionale dell'art. 53, comma 2, c.p.c. ed alle relative ragioni, si veda Cass. civ., sez. VI-I, n. 2562/2016).

Il medesimo principio, sorretto dalle stesse argomentazioni, opera poi con riferimento all'ordinanza recante la condanna della parte che ha proposto la ricusazione del giudice ordinario, dichiarata inammissibile o rigettata, al pagamento della pena pecuniaria di cui all'art. 54, comma 3, c.p.c.. Essa non costituisce un provvedimento definitivo, stante la possibilità di dedurre censure nel corso del giudizio di merito, in via consequenziale rispetto alla richiesta di riesame della statuizione di inammissibilità o di rigetto dell'istanza di ricusazione o anche in via autonoma rispetto a quest'ultima. Ne consegue che anche il capo dell'ordinanza sulla ricusazione contenente la detta statuizione di condanna non è suscettibile di impugnazione con il ricorso straordinario per Cassazione (Cass. civ., Sez.Un., n. 17636/2003).

Le osservazioni di cui sopra potrebbero quindi essere foriere di giustificate perplessità, in termini di “compatibilità costituzionale” e “convenzionale” circa la statuizione in commento, nel suo generico riferimento all'assoluta non ricorribilità per cassazione dell'ordinanza in esame anche ad opera delle parti del giudizio arbitrale (e non del solo ricusato), qualora le si riconoscesse natura decisoria, al pari di quella in materia di ricusazione del giudice ordinario ed in ragione dell'evidenziata natura giurisdizionale della funzione dell'arbitro rituale.

Salvo a voler ritenere, invero all'esito di una interpretazione a “maglie larghe”, il successivo lodo impugnabile dalle parti del procedimento arbitrale per nullità ex art. 829, comma 1, nn. 2 o 3, c.p.c., difatti, la statuizione in merito all'istanza di ricusazione non sarebbe suscettibile di ulteriore sindacato e, pertanto, oltre ad avere natura decisoria sarebbe anche “definitiva”, con conseguente impugnabilità ex art. 111 Cost. innanzi alla Suprema Corte, perlomeno ad opera delle parti del giudizio arbitrale (e non dello stesso arbitro), onde escludere illegittimità costituzionale “diretta” e “derivata” dalla violazione delle norme CEDU.

A ciò aggiungasi che difficilmente potrebbe argomentarsi diversamente dalla forma semplificata del procedimento innanzi al presidente del Tribunale, in quanto, come detto anche della stessa sentenza in commento, avente natura giurisdizionale (ancorché volontaria).

Le perplessità di cui innanzi sembrerebbero forse ulteriormente suffragate dalla stessa Suprema Corte che, pronunciandosi in fattispecie non coincidente con quella in esame, conferma la necessaria ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione di provvedimento decisorio e definitivo.

Cass. civ., sez. I, n. 23638/2011, difatti precisa che l'ordinanza con cui il presidente del Tribunale, decidendo sull'istanza di ricusazione di un arbitro (nella specie, con dichiarazione di cessazione della materia del contendere), provveda sulle spese processuali, è impugnabile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di statuizione incidente sul corrispondente diritto patrimoniale con efficacia di giudicato, non essendo previsto altro mezzo di impugnazione.

La questione in esame verosimilmente è trattata della sentenza in commento in termini non tali da fugare i dubbi di cui innanzi perché sentenza inerente fattispecie caratterizzata non da impugnazione proposta da taluna delle parti del giudizio arbitrale bensì dell'arbitro ricusato, per il quale potrebbero ritenersi non pregnanti le considerazioni di cui innanzi ed invece condivisibili quelle inerenti il suo difetto di legittimazione sostanziale attiva.

In conclusione, sembra però il caso di evidenziare che la risoluzione della principale tra le diverse questioni nella specie poste al vaglio del Giudice di legittimità potrebbe comunque non essere scontata anche muovendo dalle ragioni di compatibilità costituzionale e convenzionale dell'arbitrato rituale e dalla sua “natura giurisdizionale”, in considerazione della sempre maggiore stabilità che si tende a riconoscere al lodo rituale, in sede tanto legislativa quanto interpretativa, e della circostanza per la quale il processo di giurisdizionalizzazione dell'arbitrato rituale non esclude persistenti differenze rispetto al giudizio innanzi al giudice ordinario.

A tal riguardo è appena il caso di evidenziare che le Sezioni Unite, con statuizioni recenti, escludono rilevanza al “revirement” in ordine alla natura dell'arbitrato rituale ai fini della risoluzione della questione di diritto circa l'applicabilità del regime impugnatorio di cui al nuovo art. 829, comma 3, c.p.c. agli arbitrati azionati successivamente alla riforma del 2006 ma fondati su convenzioni arbitrali antecedenti a tale data (Cass. civ., Sez. Un., nn. 9284, 9285 e 9342).

Per converso, Cass. civ., Sez.Un., n. 25045/2016, in contrasto con i propri precedenti in merito, ammette invece la proponibilità del ricorso straordinario per cassazione avente ad oggetto l'ordinanza emessa in sede di reclamo avverso l'ordinanza emessa dal presidente del Tribunale ex art. 814 c.p.c.,in materia di spese ed onorari degli arbitri, anche in ragione della natura giurisdizionale del lodo rituale e, quindi, del relativo procedimento arbitrale oltre che della decisorietà e definitività del provvedimento in esame.

Guida all'approfondimento
  • F. Antezza, Le S.U. riscrivono la disciplina transitoria dell'impugnazione del lodo per errori di diritto, dopo dieci anni dalla riforma, in Giustiziacivile.com, 23 gennaio 2017;
  • F. Antezza, Spese ed onorari degli arbitri ed il ricorso straordinario per cassazione, in ilProcessoCivile.it, 2 marzo 2017.

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