La mancata contestazione del reato presupposto non osta al riconoscimento dei gravi indizi di colpevolezza dell'autoriciclaggio

07 Novembre 2017

La questione sottoposta al vaglio del Supremo Consesso attiene alla possibilità di poter configurare il reato di autoriciclaggio, anche in assenza di una contestazione formale del reato presupposto.
Massima

La mancata contestazione in capo ad un soggetto del reato presupposto (nella specie, il delitto di bancarotta), non può escludere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di autoriciclaggio, posto che, nel caso in esame, si sostiene la sussistenza di un'ipotesi di concorso dell'extraneus nel reato proprio.

Il caso

Il tribunale del riesame di Messina annullava l'ordinanza emessa dal Gup di Barcellona Pozzo di Gotto, con la quale era stata applicata la misura degli arresti domiciliari al prevenuto, nei confronti del quale erano in corso indagini per il reato di autoriciclaggio.

L'accusa, in particolare, era quella di avere concorso, con il dominus di un gruppo societario, con condotte diverse, a impiegare o comunque trasferire e sostituire tramite alcune società, in attività economiche, finanziare e speculative, nell'ambito del turismo alberghiero, denaro e altre utilità provenienti dalla commissione di distrazioni a danno di una società terza.

Più nello specifico, secondo l'assunto accusatorio, il contributo che avrebbe apportato l'indagato, in qualità di consulente del gruppo cui faceva capo la società alla quale erano state distratte le somme, era quello di aver tenuto le scritture contabili in modo irregolare e di non aver segnalato, all'Ufficio italiano cambi (oggi Unità di informazione finanziaria), pur essendone obbligato ai sensi dell'art. 41, d.lgs. 231 del 2007, le operazioni sospette.

Il tribunale della libertà, disattendendo le considerazioni svolte dal Gup, non riteneva invece che gli elementi raccolti fossero sufficienti a provare la consapevolezza, in capo all'indagato, dell'origine illecita delle somme investite nell'operazione commerciale oggetto di contestazione.

Il pocuratore della Repubblica ricorreva per cassazione deducendo un vizio di motivazione, in quanto i giudici del Riesame avevano omesso di considerare che l'indagato non rivestiva la classica qualifica di “testa di legno”, ma al contrario quest'ultimo era dotato di particolari competenze in materia tributaria e contabile ed inoltre aveva anche un – seppur minimo – potere gestorio, detenendo i codici di accesso ai conti della società.

Inoltre, rilevava il Procuratore Generale, il prevenuto si occupava della redazione dei bilanci e della tenuta delle scritture contabili dalle quali emergeva, in modo fin troppo evidente, il transito del denaro “sporco”, ed in particolare il doppio passaggio della medesima somma di denaro, successivamente parcellizzata.

Tutte operazioni che il prevenuto, gravato dall'obbligo di cui all'art. 41, d.lgs. 231 del 2007, avrebbe dovuto segnalare senza indugio, in quanto senz'altro sospette, essendo verosimilmente finalizzate ad impedire l'identificazione della provenienza illecita del denaro.

Alla luce di queste considerazioni, dunque, la conclusione del tribunale, che non riteneva provata la consapevolezza della provenienza delittuosa delle somme in capo al prevenuto, era del tutto irragionevole e destituita di fondamento, non tenendo conto degli elementi probatori descritti.

Da ultimo, il ricorrente rilevava come la mancata contestazione del reato presupposto, nella specie la bancarotta, non valesse in alcun modo ad escludere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di autoriciclaggio.

Nel caso di specie, infatti, si configurava, secondo la procura, un'ipotesi di concorso dell'extraneus nel reato proprio fallimentare commesso dall'amministratore.

La questione

La questione sottoposta al vaglio del Supremo Consesso attiene alla possibilità di poter configurare il reato di autoriciclaggio, anche in assenza di una contestazione formale del reato presupposto.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità, in accoglimento del ricorso del procuratore generale, annullavano l'ordinanza impugnata e trasmettevano gli atti al tribunale del riesame per una nuova valutazione nel merito.

Preliminarmente, la Corte Suprema svolgeva alcune interessanti considerazioni in ordine ai limiti di sindacabilità, con riferimento ai provvedimenti adottati dal tribunale del riesame, in materia di libertà personale.

A tale proposito, i giudici richiamavano l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è attribuito alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, né alcun potere di valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari o di adeguatezza delle misure adottate, dovendosi ritenere, tali considerazioni, di esclusiva competenza del giudice cautelare.

Così precisato il limite di sindacabilità, la Corte compiva una valutazione di congruenza e logicità della decisione impugnata, con riferimento al valore attribuito agli indizi di colpevolezza, rilevando un vizio della motivazione.

A giudizio della Suprema Corte, il tribunale del riesame non aveva debitamente considerato che l'indagato aveva un ruolo decisivo all'interno della società, segnatamente quello di professionista incaricato della tenuta della contabilità.

Tale precipuo ruolo, in uno con le competenze tecniche dallo stesso possedute, avrebbero dovuto indurre l'indagato ad avvedersi delle operazioni sospette, consistite, in particolare, nel doppio transito della somma di provenienza illecita e della successiva parcellizzazione nonché ad adempiere all'obbligo di segnalare tale operazioni, come prescritto dall'art. 41, d.lgs. 231 del 2007.

Il mancato adempimento di detto obbligo, ad avviso degli ermellini, trovava giustificazione solo nell'intento di favorire il concorrente, nella condotta di occultamento della provenienza illecita delle somme provento della distrazione fraudolenta.

Infine, e qui il cuore della sentenza in commento, la Corte di cassazione precisava che la mancata contestazione in capo all'indagato del reato presupposto, nel caso di specie la bancarotta, non poteva in alcun modo ostare al riconoscimento dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di auto riciclaggio.

Ciò in quanto, nel caso posto all'esame dei giudici, negli atti si ipotizzava la sussistenza di un concorso dell'extraneus nel reato proprio dell'amministratore fallito.

Osservazioni

Come noto, la scelta del legislatore del 2014 è stata quella di introdurre una fattispecie che punisse quelle condotte espressive di un disvalore aggiuntivo rispetto al delitto presupposto.

Sulla scia della politica criminale che si proponeva la repressione dell'evasione fiscale, è stato quindi introdotto l'art. 648 ter.1 c.p. che, per quanto qui rileva, punisce chiunque avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce o trasferisce in attività economiche o finanziarie, o comunque imprenditoriali, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza illecita.

Se già l'introduzione del delitto di autoriciclaggio ha rappresentato un'inversione di corrente rispetto al passato ed alla tradizionale non punibilità dell'autore o del concorrente nel delitto presupposto, la sentenza in commento estende oltremodo le maglie applicative del già “discusso” reato di cui all'art. 648 ter.1 c.p.

Riconoscendo, infatti, la configurabilità in capo all'indagato dei gravi indizi di colpevolezza del delitto di autoriciclaggio, anche in assenza di una contestazione formale quale concorrente nel reato presupposto, la Corte ha esteso di fatto l'ambito applicativo della norma de qua, non richiedendo la necessaria e formale contestazione del reato presupposto.

A tale ultimo riguardo, l'indirizzo seguito dalla Corte nella sentenza in commento, altro non è che l'applicazione dei principi di dirittogià enunciati dal Supremo Consesso in tema di riciclaggio. Rispetto a tale ultima fattispecie, cui la nuova norma in argomento si ispira, era già stato in precedenza più volte affermato che, ai fini dell'integrazione del delitto, non si richiede l'esatta individuazione e/o l'accertamento giudiziale del reato presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, astrattamente configurabile.

È evidente che le conseguenze applicative della sentenza di cui al presente commento non sono certo di poco momento. Non può sfuggire ad alcuno, infatti, come l'ambito di applicabilità della norma in esame rischi, per effetto di una simile interpretazione, di espandersi eccessivamente.

Degno di nota, nella sentenza qui commentata, è anche un altro tema di grande attualità rappresentato dall'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette da parte del professionista.

Non è trascorso molto tempo dai primi commenti in ordine al neo introdotto d.lgs. 90 del 2017, recante modifiche, tra l'altro, al d.lgs. 231 del 2007, con i quali si evidenziava che, tra gli aspetti innovativi maggiormente rilevanti, rientrava il rafforzamento dell'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette nonché l'ampliamento dei soggetti gravati da tale onere.

Ebbene, la sentenza in commento offre un interessante esempio di responsabilità penale del professionista che non si è attenuto agli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette.

È già stato osservato da alcuni Autori come il professionista incaricato di tenere la contabilità è una figura seriamente esposta all'eventuale responsabilità per le omissioni di adeguata verifica nonché di segnalazione delle operazioni sospette; già nei primi commenti alla novella legislativa era stata sollevata la problematica dell'eventuale configurazione del reato di autoriciclaggio in capo al tenutario delle scritture contabili che avesse dolosamente sottaciuto le operazioni anomale.

Il rischio paventato dalla dottrina più accorta in occasione dell'introduzione delle richiamate disposizioni legislative, con la pronuncia in esame è diventato dunque concreto e reale.

Guida all'approfondimento

BALDO L.,"Autoriciclaggio, il testo attuale mira a fare presto, non a fare bene", 11 novembre 2014, in loraquotidiano.it;

BOSI M., In tema di autoriciclaggio per interposta persona (ex art. 48 c.p.), in Diritto Penale Contemporaneo, 13 aprile 2013;

BRICHETTI R., La nuova fattispecie entra a far parte del codice penale, in Quotidiano del Sole 24 Ore, 12 gennaio 2015;

BRICHETTI R., Reato di autoriciclaggio, per il passato la certezza dell'impunità, in Quotidiano del diritto, 12 gennaio 2015;

BRIZZI F., CAPECCHI G., RINAUDO A., VANNI F., Autoriciclaggio e fenomeni di reimmissione dei beni illeciti nell'economia, in Altalex, 18 febbraio 2015;

BRUNELLI D., Autoriciclaggio e divieto di retroattività: brevi note a margine del dibattito sulla nuova incriminazione, in Diritto Penale Contemporaneo, 10 gennaio 2015;

BURATTI B., CAMPANA G., Contrasto al riciclaggio e misure anti evasione, Rimini, 2012;

GIANZI L., Riciclaggio, autoriciclaggio e reati tributari, in Diritto penale tributario, 8 maggio 2013;

MAINERI N., PACINI M., Reato di autoriciclaggio, introduzione in Italia, in Diritto e Giustizia, 18 dicembre 2014;

MUCCIARELLI F., Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Dir. Pen. Contemporaneo, 24 dicembre 2014;

SGUBBI F., Il nuovo delitto di “autoriciclaggio”: una fonte inesauribile di “effetti perversi” dell'azione legislativa, in Diritto Penale Contemporaneo, 10 dicembre 2014.

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