Costituzione del condominioFonte: Cod. Civ. Articolo 1117
09 Novembre 2017
Inquadramento
Al fine di considerare il fenomeno della «costituzione» del condominio, è necessario svolgere alcune considerazioni sulla relativa fattispecie colta nel suo momento iniziale di venuta ad esistenza per il mondo del diritto. Si tratta di un «momento storico» che assume una particolare importanza, e ciò sostanzialmente per due ordini di motivi: a) innanzitutto, l'ordinamento considera detto momento, e ne prevede i requisiti, in maniera differente da quella che è la realtà oggettiva delle cose. In altri termini, una cosa è l'esistenza dell'edificio dal punto di vista fattuale e concreto, un'altra è la nascita del condominio per la legge. Si vedrà, infatti, che è ben possibile che l'edificio esista di fatto, senza configurare, però, un condominio; b) da tale «momento» si applicano tutte le regole previste dalla legge per la fattispecie (soprattutto, gli artt. dal n. 1117 al n. 1139 del codice civile, e le norme per l'attuazione ad essi collegate), con conseguente attualità e vigenza dei diritti e degli obblighi previsti da tali prescrizioni. Per di più, il fenomeno è del tutto automatico e, perché si verifichi, non è prevista alcuna attività e/o accertamento da parte dei soggetti interessati o, tanto meno, ad opera di organi della p.a. Come può ben immaginarsi, ne derivano una serie di conseguenze che non solo sono rilevanti giuridicamente (in primis, per i soggetti interessati), ma si mostrano anche in grado di generare fraintendimenti ed incomprensioni, con probabili esiti di conflittualità. Il fenomeno della nascita del condominio
Utilizzando una similitudine fin troppo facile, la «costituzione» del condominio può ben essere assimilata ad una vera e propria “nascita” per l'ordinamento (né più né meno come quella di un essere umano). Come le persone fisiche, infatti, il condominio viene ad esistenza semplicemente per effetto del suo manifestarsi nel mondo fattuale, senza che sia necessaria alcuna attività da parte dei soggetti interessati. La giurisprudenza ha ripetutamente analizzato il fenomeno, fissando alcuni principi che non solo hanno una portata interpretativa di natura astratta, ma sono anche in grado di fornire concreti spunti applicativi, sia in ordine all'esatta portata dei diritti e degli obblighi spettanti ai singoli condomini, sia con riferimento a quelle che sono le necessità (giuridiche, ed anche economiche) della gestione del fabbricato. In primo luogo, affinché un condominio esista per l'ordinamento è necessario che l'edificio sia stato effettivamente costruito (dal punto di vista edilizio). Si tratta di una condizione che può apparire quasi ovvia, ma che invece porta con sé alcune rilevanti precisazioni. Infatti, il concetto di costruzione è stato individuato dalla giurisprudenza secondo le puntualizzazioni per cui:
In via generale, e di primo approccio, la normativa è prevista con riferimento ad un particolare tipo di edificio: il fabbricato diviso per piani orizzontali (Cass. civ., sez. II, 19 settembre 1968, n. 2955), e composto da una pluralità di piani o di porzioni di piano. Secondo tale iniziale impostazione, la normativa condominiale non può applicarsi alla struttura architettonica formata da un unico parallelepipedo, all'interno del quale non è presente la siffatta divisione per piani e la distribuzione degli spazi in più porzioni. Il requisito di divisione per piani orizzontali porta con sé alcune conseguenze applicative. Infatti, da ciò deriva che le murature poste sul piano verticale, e disposte lungo l'edificio per tutta la sua estensione da terra a cielo, costituiscono, secondo un'ottica giuridica, il «confine laterale» del fabbricato medesimo, oltre il quale, evidentemente, si configura una diversa e distinta identità architettonica. È il caso degli stabili appoggiati lateralmente l'uno all'altro (situazione tipica delle nostre città d'arte), nei quali la muratura verificale (da cielo a terra) tra un edificio ed un altro configura la distinzione tra detti due fabbricati e comporta una separata e differente applicazione delle regole di legge (per esempio, gli atti di gestione vanno assunti separatamente tra i due immobili). Sul punto, infatti, si dice che le regole condominiali riguardano essenzialmente le case divise in piani orizzontali e trovano applicazione anche per quei fabbricati che siano verticalmente divisi da una semplice paratia di legno; ma non si applicano quando l'edificio sia diviso in due parti da un muro interno verticale, dalle fondamenta al tetto, in modo da formare due corpi di fabbrica distinti e autonomi (Cass. civ., sez. II, 13 maggio 1949, n. 1177), oppure che, allo stesso modo, la disciplina del condominio non è applicabile agli edifici divisi, in due o più parti, verticalmente (Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1979, n. 2448). A fronte del notevole sviluppo ed eterogeneità dell'attività edile effettuata negli ultimi decenni, la giurisprudenza si è trovata costretta ad analizzare anche ipotesi analoghe di edifici, per le quali era da valutare l'applicabilità, o meno, della normativa condominiale, in rapporto con le loro specifiche caratteristiche costruttive. Sul tema, si è giunti ad affermare che:
Più in generale, quindi, può dirsi che detta costante destinazione all'utilità di tutti gli abitanti può verificarsi quando due edifici, separati fra loro da un muro verticale, usufruiscano, per la loro utilizzazione e per il loro godimento, di opere comuni, quali, ad esempio, i locali di portineria, l'impianto di riscaldamento, i punti luce, la rete di distribuzione dell'acqua ecc.; ben potendo un edificio in condominio essere variamente articolato dal punto di vista architettonico (Cass. civ., sez. II, 16 maggio 1984, n. 2987). Nel concreto, si tratta di edifici strutturalmente autonomi, ciascuno appartenente ad un unico soggetto, tra i quali è dato profilare una situazione condominiale allorché usufruiscano di opere comuni, anche se strutturalmente distaccate (portineria, garage, viali di accesso, ecc.) (Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1973, n. 697). In definitiva, l'ordinamento riconosce l'esistenza di un condominio anche in ipotesi diverse rispetto a quella "normale" dell'edificio diviso per piani orizzontali, e ne regola ogni aspetto con le norme per esso previste (artt. da 1117 a 1139 c.c., e collegati). In aggiunta a tale "condizione" di carattere costruttivo, perché si abbia un condominio è prevista (e prescritta) la presenza nell'edificio di una pluralità di partecipanti, tra i quali sia distribuita la titolarità del diritto di proprietà sulle porzioni di piano esclusive. Si tratta di un requisito di carattere puramente giuridico e che, per l'interpretazione costante che ne è stata data, prescinde dagli aspetti più formali. Su tale piano, infatti, ciò che conta è la concreta attribuzione delle proprietà tra più soggetti.
A tal fine, non è rilevante tanto l'esistenza di un atto pubblico (notarile) di trasferimento della titolarità frazionata di una parte dell'edificio condominiale - questione che può riguardare, semmai, il problema dell'opponibilità della cennata qualità nei confronti dei terzi - quanto l'esistenza di un negozio effettivamente traslativo di tale diritto, anche se concluso per mezzo di una semplice scrittura privata (Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 1974, n. 299.). Nello stesso senso, ma con effetti contrari in ossequio alle regole generali, detta qualità di condomino non può essere acquisita mediante un contratto preliminare di compravendita, che, stante la sua natura (obbligatoria) di mera «promessa di vendita/acquisto» è in grado soltanto di far nascere il mero impegno, unilaterale o bilaterale, di prestarsi alla definitiva stipulazione (Pret. Molfetta, 25 settembre 1986) (quest'ultima sì capace di trasferire la proprietà). Stante ciò, e in ogni caso, l'effetto del trasferimento dei diritti immobiliari sulle porzioni di piano comprese nell'edificio, da un unico a più soggetti, può essere ottenuto con qualsiasi tipologia di strumento giuridico idoneo a tale scopo. Si dice, infatti, che la distribuzione della titolarità dei piani, può essere attuata con le stesse modalità con cui normalmente si effettua il trasferimento del diritto di proprietà (compravendita, donazione, ecc.).
Infine, in merito alla distribuzione della titolarità delle plurime porzioni di piano presenti nell'edificio, occorre specificare che è del tutto irrilevante quale sia il numero dei partecipanti (è sufficiente che siano almeno due), e quale sia la quantità delle porzioni di piano (unità immobiliari) di cui sono titolari (ovviamente, anch'esse, almeno due). Infatti, il condominio degli edifici si forma quando comincia a sussistere la proprietà separata sui singoli piani o porzioni di piano, anche se tale distribuzione di proprietà è inizialmente limitata, nel senso che non si estende a tutti detti piani/porzioni. In tale ultimo caso, l'originario unico proprietario dell'edificio, ancora titolare dei restanti piani, diviene, unitamente all'altro proprietario della prima proprietà esclusiva, condomino in ordine alla parti comuni dell'edificio medesimo, secondo la disciplina di cui agli artt. 1117 c.ci. e seguenti (Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1958, n. 3427). A ben vedere, i fenomeni che sono stati descritti (costruzione dell'edificio, e distribuzione della proprietà delle unità immobiliari in esso comprese) consistono in meri eventi ai quali l'ordinamento attribuisce una rilevanza a prescindere dal loro esplicito collegamento alla fattispecie condominiale. Infatti, da una parte, l'edificazione del fabbricato è un'operazione incontestabilmente solo materiale (svincolata da qualsiasi altro aspetto), e, dall'altra parte, anche la cessione della titolarità di una porzione di piano può essere attuata dalle parti (venditore/acquirente) senza che in essa sia presente alcun «patto» e/o «dichiarazione» riguardante l'edificio (in condominio) di cui tale porzione fa parte. In altri termini, con riferimento alla “nascita” del condominio, la costruzione dell'edificio ed i trasferimenti della proprietà sono valutati come meri fatti, e come tali fonte delle richiamate conseguenze in ordine alla fattispecie disciplinata dall' art. 1117 c.c. e seguenti. Una siffatta impostazione ha portato la giurisprudenza ad affermare che, sempre ai fini dell'esistenza giuridica del condominio, è del tutto irrilevante che sussista un formale «atto di costituzione» stipulato dai soggetti interessati (cioè, dai condomini), vale a dire il compimento di un'attività (per esempio, l'adempimento di una qualche formalità) mediante cui venga certificato (accertato ufficialmente con valenza nei confronti di tutti i consociati) la “nascita” del condominio, e, quindi, la venuta ad esistenza, per la legge, di un autonomo centro di imputazione di diritti e di doveri. Nello stesso senso, si afferma, pacificamente, che la costituzione del condominio è automatica, e si verifica senza che sia necessario alcun comportamento o dichiarazione ad opera dei partecipanti; ma è sufficiente il semplice “fatto” del sussistere delle due cennate condizioni della costruzione di un edificio diviso per piani orizzontali, e della distribuzione della proprietà su tali piani (o sulle porzioni di essi) in proprietà separata tra più di un soggetto. Secondo tale impostazione, è stato quindi puntualizzato che:
Conseguenze operative
In conseguenza del fatto che, come visto, il condominio “nasce" automaticamente al verificarsi delle due citate condizioni (costruzione edificio e distribuzione della proprietà), e senza quindi che sia necessario alcun atto di formale «costituzione», si ritiene che la «costituzione» del condominio è un “fatto” non dipendente da altre variabili. Nemmeno l'approvazione del regolamento condominiale, o, ancor più incisivamente delle tabelle millesimali, può condizionare la "nascita" del condominio che sarà vigente ed operante (e lo potrà ben essere) anche se l'edificio risulta privo di detti strumenti gestionali. Le ragioni di ciò risiedono, oltre che nel generale sistema della legge, anche nell'esatta considerazione della fattispecie, secondo cui, da una parte, è ben possibile reperire norme regolamentari nella stessa disciplina codicistica (si pensi, per esempio, all' art. 1102 c. c. relativo al godimento del patrimonio condominiale) e, quindi, l'edificio può essere perfettamente gestito, e, dall'altra parte, i valori millesimali esistono, anch'essi, di fatto, ab origine, a prescindere dall'avvenuta loro rappresentazione nel documento tabellare. Del pari, l'assemblea condominiale che, già da subito, è investita dell'onere della gestione del fabbricato ben può deliberare anche in mancanza di detti documenti. Sulla questione, per l'appunto, si afferma che è indifferente che siano stati approvati preventivamente il regolamento condominiale (Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2012, n. 1224; Cass. civ., sez. II, 4 giugno 2008, n. 14813; Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1982, n. 510) o le tabelle millesimali (Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2012, n. 1224; Cass. civ., sez. II; 9 agosto 2011, n. 17115; Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 2005, n. 3264; Cass. civ., sez. II, 23 giugno 1998, n. 6202; Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 1990, n. 431; Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 1983, n. 5794; Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1978, n. 1946; Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1982, n. 510; Cass. civ., sez. II, 3 gennaio 1977, n. 1).
Il principio è valido anche secondo un'ottica diversa: infatti, la validità delle deliberazioni dell'assemblea condominiale non è condizionata dalla preventiva costituzione legale del condominio, né, dall'approvazione del regolamento condominiale e delle tabelle millesimali. Si dice che né una formale costituzione, né l'approvazione del regolamento o delle tabelle, si inseriscono, con carattere di preliminarità, nel novero delle attribuzioni demandate al potere deliberante dell'assemblea (Cass. civ., sez. II, 6 giugno 1974, n. 1664). Da quanto sopra, deriva inevitabilmente che, un attimo dopo l'avvenuta costituzione, sono applicabili tutte le regole previste dalla normativa codicistica per il condominio.
I condomini, quindi, a prescindere dalla loro consapevolezza saranno comunque tenuti a gestire il fabbricato nel rispetto delle procedure di gestione previste dalla legge, in primis procedendo a rituale e completa convocazione dell'assemblea condominiale, nella quale assumere, sempre nel rispetto della prevista procedura, ogni decisione necessaria alla conservazione del fabbricato, e alla prestazione dei servizi in esso forniti. Tanto per fare un esempio, dal momento della costituzione, sussiste la legittimazione processuale attiva del condominio, e per esso del suo amministratore, nelle controversie che abbiano ad oggetto il fabbricato (Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 2004, n. 3257).
De Tilla, Costituzione del condominio e formazione delle tabelle millesimali, in Arch. loc. cond., 2013, 2, 194. Bottoni, In tema di condominio, presunzione di comproprietà e vincoli di destinazione, in Nuova giur. comm., 2006, 4, 1, 341. Celeste, Problematiche complesse per un condominio complesso, in Rass. loc. cond., 2004, 2, 225. |