Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 4 - Giurisdizione dei giudici amministrativi

Gabriele Carlotti

Giurisdizione dei giudici amministrativi

 

1. La giurisdizione amministrativa è esercitata dai tribunali amministrativi regionali e dal Consiglio di Stato secondo le norme del presente codice.

Inquadramento

La disposizione apre il Capo II (Organi della giurisdizione amministrativa) del Titolo I (Principi e organi della giurisdizione amministrativa) del Libro primo del codice del processo amministrativo. Sul piano del contenuto la previsione presenta evidenti analogie con l' art. 1 c.p.c. in tema di giurisdizione dei giudici ordinari. Sebbene l'articolo in commento assolva alla funzione di introdurre le successive disposizioni del Codice dedicate agli aspetti processuali dell'attività dei tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato, nondimeno esso è provvisto di un autonomo contenuto precettivo, ancorché di carattere ricognitivo. Il breve periodo nel quale si compendia l'articolo evoca infatti i principi, anche specifici, dettati dalla Costituzione sulla giurisdizione amministrativa(artt. 100,103,125 Cost.) e sulla riserva di legge in materia processuale ( art. 111 Cost.).

La nozione di giurisdizione

Il concetto di giurisdizione non è facilmente definibile e la dottrina costituzionale e processuale ne ha elaborato infatti plurime nozioni.

In via generale la funzione giurisdizionale è uno dei fondamentali poteri dello Stato che si estrinseca nella potestà, esercitata dai giudici, indipendenti, terzi e imparziali, di attuare il diritto attraverso la decisione, con sentenze, delle liti insorte tra i cittadini (Silvestri).

In termini meno ampi, va osservato che delle strutture organizzative investite dell'esercizio della funzione giurisdizionale esistono, all'interno del nostro ordinamento, differenti articolazioni, in ragione delle scelte di ordine costituzionale e legislativo sulla distribuzione e l'organizzazione del potere giudiziario. In questa prospettiva vanno interpretate le varie previsioni sul difetto e il riparto di giurisdizione (si vedano, ad esempio, per il codice del processo amministrativo, gli artt. 7 e 11 c.p.a. ai cui commenti si rinvia). In relazione ai plessi normativi di volta in volta applicati o alla natura della situazione giuridica soggettiva fatta valere si distinguono così la giurisdizione ordinaria (civile e penale), quella amministrativa, quella contabile, quella militare e quella tributaria.

Con riferimento alla disposizione in esame del concetto di giurisdizione viene però in rilievo principalmente il profilo soggettivo, individuando l'articolo in rassegna gli organi titolari della funzione giurisdizionale amministrativa. Le norme sulla perimetrazione dell’ambito delle controversie assegnate alla giurisdizione amministrativa si rinvengono, invece, negli artt. 7,133 e 134 c.p.a. In altri termini, volendo parafrasando la lettera, la disposizione in commento afferma che tutte le controversie attribuite alla giurisdizione amministrativa sono decise, in primo grado, dai Tribunali amministrativi regionali e, in secondo o in unico grado e, comunque, in ultimo grado, dal Consiglio di Stato.

La precisazione che il Consiglio di Stato è sempre giudice «di ultimo grado», come chiarisce l'art. 6, comma 1, è opportuna, dal momento che un giudizio di secondo grado, per alcuni tipi di impugnazioni (quali la revocazione e l'opposizione di terzo), può celebrarsi anche avanti al tribunale amministrativo regionale, fermo restando che l'appello avverso tali pronunce è deciso comunque dal Consiglio di Stato (che, pertanto, in certe ipotesi può essere anche «giudice di terzo grado»).

Non inficia tale interpretazione la circostanza che, per dettato costituzionale ( art. 111 Cost.), le decisioni del Consiglio di Stato siano anche impugnabili avanti la Corte di cassazione (a sezioni unite civili), dal momento che il giudizio avanti al Supremo Collegio non dovrebbe investire il «merito» della controversia, ma solo i profili del riparto di giurisdizione.

Il condizionale è necessario perché in talune recenti ipotesi, aderendo a una particolare interpretazione estensiva e cd. “dinamica” del vizio di eccesso di potere giurisdizionale, la Corte di cassazione, in sede di ricorso per motivi di giurisdizione, ha sindacato le pronunce del Consiglio di Stato con riguardo al quomodo dell'esercizio della giurisdizione. In particolare, siffatta estensione del sindacato si è avuta con riguardo all'azione risarcitoria autonoma, atteso che il Supremo Collegio ha ritenuto che la c.d. “pregiudiziale amministrativa”, teorizzata in passato dal Consiglio di Stato, configurasse un diniego di tutela e, quindi, un diniego di giurisdizione ( Cass.S.U.,n. 30254/2008e Cass.S.U., n. 25395/2010). Più di recente, poi, le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 19598/2020, hanno disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per chiedere, in sintesi, se fosse compatibile con il diritto dell’Unione, la giurisprudenza della Corte costituzionale (in particolare, con la sentenza n. 6 del 2018, con cui è stata smentita l’intepretazione estensiva dell’art. 111, comma 8, Cost.), secondo la quale la Corte di cassazione non potrebbe sindacare le pronunce del Consiglio di Stato sotto il profilo dell’eventuale violazione del medesimo diritto unionale. La Corte di Giustizia, con la sentenza della Grande Sezione del 21 dicembre 2021, in causa C-497/20, «Randstad Italia», nel rispondere alla Corte di cassazione, ha osservato che, alla luce del principio dell’autonomia procedurale, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali dei rimedi giurisdizionali per assicurare ai singoli, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, il rispetto del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, ai sensi dell’art. 19 TUE. Tuttavia, occorre garantire che tali modalità non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività). Il diritto dell’Unione, infatti, in linea di principio, non osta a che gli Stati membri limitino o subordinino a condizioni i motivi che possono essere dedotti nei procedimenti per cassazione, purché tali due principi siano rispettati.

Si è osservato, in dottrina, che, con la sentenza «Randstad Italia» si è stabilito che la violazione del diritto dell’Unione europea è un errore di diritto e non un eccesso di potere giurisdizionale; che il sistema italiano di riparto della giurisdizione (ivi inclusa la non impugnabilità interna delle pronunce del Consiglio di Stato) è rispettoso dei principi di effettività e di equivalenza della tutela dei diritti di derivazione europea; che il principio di autonomia procedurale rappresenta lo snodo essenziale di un corretto rapporto fra le regole nazionali e la necessaria applicazione del diritto dell’Unione (Biavati).

Il g.a. come giurisdizione speciale e la pariordinazione con la giurisdizione amministrativa

Pur esistendo vari plessi giudiziari investiti della potestà di conoscere delle diverse controversie, nondimeno la giurisdizione ordinaria in materia civile ha sempre avuto un ruolo centrale sia per l'ampio numero delle materie assegnate alla sua cognizione sia, soprattutto, perché essa è la giurisdizione generale o «residuale», ossia debbono essere sottoposte ai giudici civili tutte le controversie che non appartengano ad altri giudici. In questo senso la giurisdizione amministrativa può essere definita «giurisdizione speciale» rispetto a quella ordinaria. La giurisdizione amministrativa può essere definita speciale anche sotto due ulteriori profili, in relazione cioè, rispettivamente, allo statuto giuridico dei magistrati amministrativi (la tutela della cui indipendenza è disciplinata dall' art. 108 Cost.  e, per i soli Consiglieri di Stato, anche dall’art. 100 Cost., secondo un regime giuridico differente, almeno in parte, da quella dei magistrati ordinari) e al peculiare rilievo costituzionale del Consiglio di Stato, stante la duplice funzione, svolta da tale organo, di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione.

Da un punto di vista storico e giuridico ha assolto un ruolo centrale il riparto tra la giurisdizione civile e quella amministrativa. Come si approfondirà nella sede propria (v. il commento all'art. 7), il principale criterio di tale riparto, per una serie di circostanze connesse all'evoluzione normativa del nostro sistema di giustizia amministrativa, si è difatti incentrato sulla distinzione tra le situazioni giuridiche soggettive fatte valere in sede di controversia. In generale, i diritti soggettivi — con la rilevante eccezione delle ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo — rientrano nell'alveo della cognizione del giudice civile, mentre le controversie vertenti su interessi legittimi appartengono alla giurisdizione dei giudici amministrativi.

La specialità del giudice amministrativo, nei termini sopra chiariti, non incide però sul rapporto di pariordinazione tra la giurisdizione amministrativa e quella civile. In tal senso si è espressa in modo eloquente, sulla base di una accurata ricostruzione dello sviluppo storico delle fonti, la Corte costituzionale nel 2004 (Corte cost. n. 204/2004). La Corte, infatti, ha chiarito che il Costituente ha riconosciuto al giudice amministrativo, attraverso l' art. 113 Cost., piena dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive in origine non contemplate dall'art. 2 della l. 20 marzo 1965, n. 2248, all. E.

Il doppio grado di giudizio

Un altro principio evocato dalla disposizione in commento è quello del doppio grado di giudizio. Viene infatti precisato che l'esercizio della giurisdizione amministrativa spetta sia al Consiglio di Stato sia ai Tribunali amministrativi regionali. La menzione del Consiglio di Stato va intesa nel senso di includere anche il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, previsto dallo speciale statuto d'autonomia (v. il commento all'art. 6), che del primo è una sezione (staccata) avente sede in Palermo ( art. 1, comma 2, d.lgs. n. 373/2003) e competente per le impugnazioni proposte avverso le pronunce del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia Sicilia (in Palermo e con una sezione staccata a Catania); parimenti tra i Tribunali amministrativi regionali va annoverato anche il Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la regione autonoma del Trentino-Alto Adige, ancorché disciplinato dallo statuto speciale della regione autonoma e dalle relative norme di attuazione (v. il commento all' art. 5 c.p.a.).

Sulla natura del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana si è pronunciata anche l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (13 settembre 2022, n. 13) la quale ha dichiarato la competenza funzionale di detto Consiglio – competenza inderogabile perché stabilita da una disposizione attuativa dello Statuto regionale avente rango costituzionale – a decidere sul regolamento di competenza, nell'ipotesi in cui il T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo o sezione staccata di Catania, abbia declinato la competenza in favore di un altro T.a.r. Il presupposto argomentativo di tale statuizione è stato il riconoscimento delle due sezioni, rispettivamente giurisdizionale e consultiva, del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, come sezioni, sia pur staccate, del Consiglio di Stato. Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana non può essere, dunque, considerato alla stregua di un giudice amministrativo speciale, ma le sue due sezioni costituiscono a tutti gli effetti altrettante sezioni (staccate) del Consiglio di Stato.

La base costituzionale del principio del doppio grado della giurisdizione amministrativa è individuata nell' art. 125 Cost. il quale prevede, nel suo unico comma (divenuto tale a seguito dell'abrogazione del suo originario primo comma ad opera dell' art. 9, comma 2, l. cost. n. 3/2001), che in ogni regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica. L'esistenza di organi di giustizia amministrativa investiti del solo primo grado dei giudizi implica, sul piano logico, che per i processi amministrativi introdotti avanti ai tribunali amministrativi regionali debba essere garantita la possibilità di celebrare un secondo grado. Quest'ultima precisazione è importante giacché esistono anche rare ipotesi di giudizi amministrativi che si svolgono in un unico grado, ma si tratta sempre di processi incardinati direttamente presso il Consiglio di Stato (come, ad esempio, i giudizi per l'ottemperanza delle sentenze del Consiglio di Stato con le quali siano state riformate le pronunce appellate). L' art. 125 Cost., infatti, non esclude tale possibilità (Nicotra).

Circa la copertura del principio del doppio grado di giudizio amministrativo la Corte costituzionale ha assunto, nel tempo, posizioni non sempre lineari. Invero, nella sentenza della Corte cost. n. 62/1981, la Corte ha riconosciuto la sussistenza del principio del doppio grado nel giudizio amministrativo, pur negando al medesimo principio una generale copertura costituzionale, e lo ha giustificato in ragione dell'assenza, nel sistema della giustizia amministrativa, della possibilità di proporre il ricorso in cassazione per violazione di legge. In coerenza con tale pronuncia, nella successiva sentenza della Corte cost. n. 8/1982 (con la quale fu dichiarato costituzionalmente illegittimo — per contrasto con l' art. 125 Cost. — l' art. 5, ultimo comma, della l. 3 gennaio 1978, n. 1, là dove la disposizione escludeva l'appellabilità al Consiglio di Stato delle ordinanze sospensive dei tribunali amministrativi regionali), la Corte costituzionale affermò con nettezza che il principio del doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale rispetto alla giurisdizione ordinaria e a quelle speciali, mentre trova copertura per la sola giurisdizione amministrativa ai sensi dell'art. 125 (allora, secondo comma) Cost., in considerazione della rilevanza pubblica degli interessi coinvolti nelle relative controversie e della previsione di organi di giustizia amministrativa di primo grado, le cui decisioni sono impugnabili avanti al Consiglio di Stato. Successivamente, tuttavia, la Corte costituzionale ha sì continuato a negare l'esistenza di una copertura costituzionale generalizzata del doppio grado di giudizio (v. anche Corte cost. n. 41/1965; Corte cost. n. 22/1973; Corte cost. n. 117/1973; Corte cost. n. 186/1980; Corte cost. n. 78/1984 e Corte cost. n. 80/1988), ma ha offerto un'interpretazione più ristretta del medesimo principio anche con riferimento alla giurisdizione amministrativa, avendo affermato nell'ordinanza n. 395/1988 (con la quale fu dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell' art. 37 della l. n. 1034/1971, nella parte in cui prevedeva che alcuni ricorsi al giudice amministrativo per ottenere l'ottemperanza dell'amministrazione ad un giudicato civile o amministrativo fossero proposti al Consiglio di Stato in unico grado) che la garanzia costituzionale del doppio grado di giudizio nella giurisdizione amministrativa non ha valore pieno e assoluto e implica soltanto l'impossibilità di attribuire ai tribunali amministrativi regionali una giurisdizione di unico grado o, in altri termini, che le decisioni dei medesimi tribunali sono sempre appellabili, posto che la Costituzione non indica il Consiglio di Stato come giudice del solo secondo grado.

A proposito del doppio grado di giurisdizione va segnalato che la disposizione in commento, si presta a una particolare lettura con riferimento al rimedio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e all'omologo ricorso al Presidente della Regione Siciliana. In conseguenza della progressiva tendenza, legislativa e giurisprudenziale, ad assimilare il ricorso straordinario a un istanza di carattere giurisdizionale, può invero ritenersi che l'esercizio della giurisdizione amministrativa spetti, in unico grado, al Consiglio di Stato e al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana anche nelle forme previste per il ricorso straordinario, seppure non secondo le norme del codice del processo amministrativo. In questa prospettiva deve essere valorizzato, sul versante della giurisdizione, il parallelismo tra il giudizio e il procedimento per ricorso straordinario, stabilito dall' art. 7, comma 8, c.p.a., secondo cui il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa.

In merito al percorso di c.d. «giurisdizionalizzazione» del ricorso straordinario, dopo la riforma legislativa operata con la l. n. 69/2009 (il cui art. 59, per un verso, ha previsto sia la possibilità per il Consiglio di Stato in sede consultiva, nel procedimento per ricorso straordinario, di sollevare questione di legittimità costituzionale, e, per altro, verso ha eliminato il potere del Governo di decidere il ricorso in difformità dal parere reso dal Consiglio di Stato), vanno ricordate la sentenza della Corte costituzionale n. 73 del 2014 (in base alla quale il ricorso straordinario ha perso la precedente connotazione puramente amministrativa e ha assunto la qualità di rimedio giustiziale amministrativo), le sentenze dell'Adunanza plenaria del Cons. St. n. 9/2013 e Cons. St. 10/2013 (secondo cui il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, in virtù del nuovo assetto normativo, ha natura sostanzialmente giurisdizionale), la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 19786 del 5 ottobre 2015 (con la quale è stata ammessa la possibilità di proporre ricorso per cassazione, per motivi di giurisdizione, contro i decreti del Presidente della Repubblica recanti la decisione di ricorsi straordinari) e, ancora prima, della Corte giust. CE V, 16 ottobre 1997, nelle cause riunite da C-69/96 a C-79/96, secondo cui il Consiglio di Stato in sede consultiva, nell'ambito del procedimento per ricorso straordinario, è organo legittimato a sollevare questioni pregiudiziali in merito alla validità o all'interpretazione del diritto sovranazionale. 

La Corte di cassazione (Cass. S.U., n. 2065/2011), peraltro, aveva già stabilito che la competenza in materia di ricorso per ottenere l'ottemperanza a un ricorso straordinario spetta al Consiglio di Stato, a norma del combinato disposto degli artt. 112, comma 2, lett. b), e 113, comma 1, c.p.a., e aveva anche riconosciuto la sindacabilità dei decreti resi sui ricorsi straordinari per motivi inerenti alla giurisdizione (Cass. S.U., n. 23464/2012).

Va osservato, tuttavia, che la dottrina (Urbano) dubita di tale effettiva giurisdizionalizzazione e ritiene che occorrerebbe a tal fine un intervento chiarificatore del Legislatore volto a inquadrare sistematicamente l'istituto nell'alveo del processo amministrativo.

  Nega però l'avvenuta giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana il Consiglio di giustizia amministrativa che, in sede consultiva, ha affermato che tale ricorso – per plurime ragioni e, soprattutto, per la base normativa di rango costituzionale (art. 23 Stat. Reg. Sic.) e per la permanenza dell'istituto, previsto dall'art. 9 comma 5, del d.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373, della cd. «decisione in dissenso» dal parere reso dal Consiglio di giustizia amministrativa, riservata alla Giunta regionale isolana – rimane un rimedio amministrativo giustiziale a carattere impugnatorio e a struttura contenziosa» (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. riun., parere n. 61 del 25 febbraio 2020 e anche parere sez. riun. del 7 aprile 2022, n. 171). Va, tuttavia, osservato che l'istituto della «decisione in dissenso» è stato espunto dall'ordinamento, in forza della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 7 aprile 2023, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del predetto art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 373/2003. Al riguardo, la Corte ha ritenuto che la contrazione del corredo di rimedi e garanzie riconosciuto al ricorrente in sede di ricorso al Presidente della Regione Siciliana, rispetto a colui che si avvale dell'omologo rimedio nazionale, rappresentata dalla «decisione in dissenso», è in contrasto con l'art. 3 Cost. e, senza idonea giustificazione, si riflette negativamente sulla tutela dei diritti e degli interessi legittimi di cui all'art. 24 Cost. Non sussistono, infatti, differenze tra i due istituti idonee a giustificare una tale disparità di trattamento. Né tale disparità appare in alcun modo riconducibile ai profili di autonomia speciale di cui gode la Regione Siciliana. Si tratta di strumenti che hanno la medesima genesi – in quanto storicamente proprie delle monarchie assolute, quale forma di grazia nei confronti di decisioni amministrative non suscettibili di altri rimedi – nonché, soprattutto, a legislazione vigente, la medesima struttura e, tendenzialmente, analoga disciplina. Nell'attuale contesto le uniche differenze rinvenibili nel ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana, oltre alla diversa natura del parere dell'organo consultivo, qui censurata, sono rappresentate dall'accentramento dell'intera procedura presso la Presidenza della Regione, essendo l'istruttoria demandata all'Ufficio legislativo e legale della stessa Presidenza, nonché la diversa posizione e responsabilità istituzionale del Presidente della Regione (nella duplice veste di suprema autorità regionale e di vertice del Governo regionale) rispetto al Presidente della Repubblica. Tali differenze, però, non giustificano una disparità di rimedi e garanzie posti a disposizione del ricorrente, a seconda che agisca dinanzi al Presidente della Repubblica o al Presidente della Regione Siciliana. E anzi, come sottolineato anche dal Consiglio di Stato nel parere n. 203 del 2021, la differenza principale tra i due istituti, legata alla natura dell'organo che adotta il provvedimento finale e alla diversa posizione e responsabilità istituzionale del medesimo rispetto al Presidente della Repubblica, rende semmai ancora più rilevante l'esigenza di fornire un adeguato corredo di garanzie in capo al soggetto che si avvale del ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana. Nonostante quanto appena riferito, deve però evidenziarsi che la Corte costituzionale non ha riconosciuto la natura giurisdizionale del ricorso straordinario, avendo essa statuito che a siffatto procedimento – pur non comportando una giurisdizionalizzazione dell'istituto – deve essere riconosciuta una natura “giustiziale” che differisce da quella giurisdizionale.

La riserva di legge in materia processuale

La disposizione, là dove stabilisce che la giurisdizione amministrativa è esercitata secondo le nome del Codice, assume un duplice valore. Per un verso, essa costituisce una sorta di autolimitazione, imposta dallo stesso Legislatore (e, peraltro, non sempre rispettata dai vari interventi normativi succedutisi dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 104/2010), a non introdurre norme processuali amministrative c.d. extra vagantes, ossia inserite in provvedimenti legislativi diversi dal Codice stesso (autolimite, a dire il vero, non sempre rispettato dal Legislatore); ciò al fine di concentrare in un unico testo tutta la disciplina processuale, onde meglio renderla conoscibile e sistematizzabile. Per altro verso, l'articolo in rassegna ribadisce, sia pur implicitamente, la vigenza nell'ambito dei giudizi amministrativi, del principio della riserva di legge in materia processuale, prevista dal primo comma dell' art. 111 Cost., secondo cui la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge (il «giusto processo» è del resto evocato dall' art. 2 c.p.a.). Anche l'intera disciplina del processo amministrativo deve, dunque, essere fissata da fonti di rango primario, fatta salva la disciplina di carattere meramente esecutivo (come, ad esempio, il decreto del Presidente del Consiglio di Stato al quale rinvia l’art. 13-ter, comma 1, disp. att. c.p.a.).  Presentandosi infatti detta riserva di legge come assoluta, deve conseguente ritenersi che, a livello secondario, il Codice possa essere integrato unicamente da regolamenti di esecuzione propriamente intesi.

Secondo parte della dottrina la riserva di legge in materia processuale assolve anche alla funzione di limitare la discrezionalità del giudice sul rito e, più in generale, sul governo del processo. Non potrebbe infatti considerarsi conforme al dettato costituzionale — e, quindi, nemmeno agli artt. 2 e 4 c.p.a. che quel dettato attuano — un processo in cui il giudice disponesse di un'ampia discrezionalità nel conformarne i tempi e le modalità di svolgimento (Proto Pisani).

L'indipendenza dei giudici amministrativi. Il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa

Sebbene le garanzie d'indipendenza dei giudici amministrativi poggino sul secondo comma dell' art. 108 Cost. (e non sull' art. 104 Cost. e pure sul terzo comma dell’art. 100 Cost. per i soli Consiglieri di Stato e della Corte dei conti, riferito alla sola magistratura ordinaria), nondimeno lo statuto giuridico dei magistrati amministrativi assicura un nucleo fondamentale di tali garanzie (Onida), sia esterne (relative cioè all'indipendenza dagli altri poteri e, soprattutto, da quello esecutivo) sia interne, non inferiore a quello proprio dei magistrati ordinari.

In ogni caso l' art. 108 Cost. presidia tale indipendenza stabilendo una riserva di legge per ogni intervento normativo in tema di reclutamento, progressione, assegnazione e tramutazione delle funzioni dei magistrati amministrativi e, più in generale, in merito all'ordinamento delle loro carriere.

La Corte costituzionale ha poi, da tempo, escluso che l'indipendenza del Consiglio di Stato sia lesa dall'istituto della nomina governativa di una quota (pari a un quarto) dei consiglieri ( Corte cost. n. 177/1973; v. il commento all'art. 6 al quale si rinvia) e ha altresì escluso che, per i consiglieri di Stato, l'inamovibilità sia solo apparente.

Si è però osservato (Lamorgese) che il codice del processo amministrativo non avrebbe fatto espressamente menzione dell'indipendenza dei giudici amministrativi e, in particolare, del Consiglio di Stato, in ragione del convincimento dei conditores iuris che l'indipendenza si risolva nell'imparzialità soggettiva del singolo magistrato e che quest'ultima sia assicurata dagli istituti della astensione e della ricusazione.

La questione dell'indipendenza dei giudici amministrativi (non di quelli italiani) è stata sottoposta anche al vaglio della Corte europea dei diritti dell'Uomo sotto lo specifico profilo della possibile sovrapposizione delle funzioni consultive, esercitate a favore del potere esecutivo, a quelle giurisdizionali. La Corte, tuttavia, in coerenza con il suo consueto approccio casistico e nel rispetto delle tradizioni giuridiche degli Stati aderenti alla Convenzione, non ha mai ravvisato alcun contrasto tra il disposto dell'art. 6 della Convenzione (con riferimento alla possibile lesione dell'imparzialità del giudice) e lo svolgimento di due differenti attività (nello specifico, di quella consultiva e di quella giurisdizionale) da parte di un medesimo organo. Piuttosto, in un caso relativo al Consiglio di Stato del Lussemburgo (CorteEdu, 28 settembre 1995, Procola c. Lussemburgo), la Corte ha censurato la circostanza della pressoché totale identità soggettiva tra i magistrati che, con riguardo a uno stesso affare, si erano pronunciati sia in sede consultiva sia in sede giurisdizionale. In una differente fattispecie, concernente il Consiglio di Stato olandese, la Corte ha invece escluso qualunque incompatibilità, stante la diversità di oggetto tra la controversia trattata in sede giurisdizionale e quella esaminata in sede consultiva (CorteEdu, 6 maggio 2003, Klein c. Paesi Bassi).

Sicuramente concorre a garantire l'indipendenza dei giudici amministrativi l'esistenza di un organo di autogoverno, denominato Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, le cui attribuzioni in materia di carriera dei magistrati amministrativi sono previste dall' art. 13 della l. n. 186/1982 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali). La disciplina del Consiglio di presidenza è chiaramente ispirata a quella del Consiglio superiore della magistratura, pur essendo quest'ultimo un organo di rilievo costituzionale e il primo, secondo la Corte di cassazione, soltanto un organo amministrativo ( Cass.S.U., n. 17823/2007, ord.). Va osservato che il Consiglio di Stato ha, invece, ritenuto che il Consiglio di presidenza sia un organo di rilevanza costituzionale, sebbene le sue delibere abbiano natura di atti amministrativi e, quindi, come tali sindacabili dal giudice amministrativo (Cons. St. VII, n. 2142/2022). Ai sensi dell' art. 7 della sunnominata l. n. 186/1982 il Consiglio di presidenza è composto:

a) dal presidente del Consiglio di Stato (membro di diritto), che lo presiede;

b) da quattro magistrati eletti, in servizio presso il Consiglio di Stato;

c) da sei magistrati eletti, in servizio presso i tribunali amministrativi regionali;

d) da quattro cittadini eletti, due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, tra i professori ordinari di università in materie giuridiche o gli avvocati con venti anni di esercizio professionale;

e) da due magistrati eletti, in servizio presso il Consiglio di Stato con funzioni di supplenti dei componenti di cui alla lettera b);

f) da due magistrati eletti, in servizio presso i tribunali amministrativi regionali, con funzioni di supplenti dei componenti di cui alla lettera c).

L'ultimo periodo del comma 7 dell' art. 7 del d.l. n. 168/2016, come modificato dalla legge di conversione n. 197/2016, ha poi previsto che, limitatamente alle sedute del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa nelle quali possono essere adottate misure finalizzate ad assicurare la migliore funzionalità del processo amministrativo telematico partecipino, quali membri di diritto con diritto di voto, anche il presidente aggiunto del Consiglio di Stato e il presidente di tribunale amministrativo regionale con la maggiore anzianità di ruolo.

La presenza e l'attività del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa assicurano il rispetto, in relazione all'ordinamento della giurisdizione amministrativa, dell'art. 46 della Raccomandazione CM/Rec (2010) 12 del Consiglio d'Europa agli Stati membri sui giudici: indipendenza, efficacia e responsabilità (adottata dal Comitato dei Ministri il 17 novembre 2010 in occasione della 1098^ riunione dei Delegati dei Ministri), secondo la quale l'autorità competente per la selezione e la carriera dei giudici deve essere indipendente dai poteri esecutivo e legislativo.

La produttività dei magistrati amministrativi

La produttività dei magistrati amministrativi è particolarmente elevata. Si registra, infatti, da oltre 15 anni una graduale e continua riduzione dell'arretrato, passato dagli oltre 900.000 fascicoli pendenti, nei due gradi, nel 2000 ai 145.962 fascicoli pendenti al 31 dicembre 2021 e ciò tenendo conto della circostanza che, in questi anni, il numero complessivo dei magistrati (al lordo delle consistenti carenze di organico), in primo e in secondo grado, non ha mai superato le 650 unità.

Con particolare riferimento agli anni dal 2011 al 2016, il lavoro di riduzione dell'arretrato della giustizia amministrativa è stato costante: i ricorsi pendenti presso i Tribunali amministrativi regionali il Consiglio di Stato sono passati da 536.726 (al 31 dicembre 2010) ai menzionati 238.729 (al 31 dicembre 2016): un arretrato più che dimezzato in 6 anni.

Anche la produttività annua è aumentata: nel 2010, anno di entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, i ricorsi definiti tra Tar e Consiglio di Stato (esclusi i numerosi decreti di perenzione: 136.649) erano 56.399; nel 2016 sono stati 59.886 (escluse le perenzioni: 33.708) un incremento del 6,18% in 6 anni (Pajno). Come accennato, la pendenza dell’arretrato si è ulteriormente ridotta fino a giungere ai sopra ricordati circa 146.000 fascicoli, nei due gradi, alla fine del 2021.

Si sono abbreviati, nel corso degli anni, anche i tempi per le definizioni dei giudizi, ossia quelli intercorrenti tra il deposito del ricorso e la prima decisione collegiale, passati dai 700 giorni del 2010 ai 200 giorni del 2016. Estremamente rapidi sono anche i tempi del processo cautelare. Nel 2016, le 6169 istanze cautelari presentate dinanzi al Consiglio di Stato sono state decise in circa 63 giorni, dai Tribunali amministrativi regionali le 28.971 istanze cautelari in circa 40 giorni.

Nella specifica materia degli appalti pubblici, dal Consiglio di Stato le 982 istanze cautelari sono state decise in una media di 57 giorni, mentre dai Tribunali amministrativi regionali le 3030 istanze cautelari in circa 28 giorni.

Le ragioni di tale accresciuta produttività del sistema giurisdizionale amministrativo vanno ricercate, per un verso, nelle provvide riforme processuali risalenti agli inizi del 2000 (si allude, in particolare, alla riforma operata con la l. n. 205/2000), con le quali furono introdotti riti abbreviati per certune materie di rilievo economico e sociale e fu pure ridotto il tempo intercorrente tra l'esame dell'istanza cautelare e la decisione della causa nel merito; per altro verso, hanno giocato a favore del recupero di efficienza della macchina giurisdizionale amministrativa, talune soluzioni organizzative, tra le quali il varo di programmi di lavoro magistratuale mirati allo smaltimento dell'arretrato, ma, soprattutto, la progressiva implementazione delle tecnologie informatiche, culminata con l'avvio, a decorrere dal 1° gennaio 2017, del processo amministrativo telematico (PAT), con cui tutto il giudizio, dal ricorso di primo grado fino alla sentenza di appello, si svolge ormai in via telematica (fatta eccezione delle camere di consiglio e delle udienze pubbliche) e sulla base di atti digitalizzati (con la sostanziale scomparsa del supporto cartaceo). È ragionevole prevedere, inoltre, che detta produttività, già molto elevata, possa ulteriormente incrementarsi per effetto delle misure introdotte nel corso del 2021, al fine di realizzare gli ambiziosi obiettivi che il PNRR ha assegnato alla Giustizia amministrativa.

L'organizzazione dei servizi della Giustizia amministrativa

La Magistratura amministrativa è collegata funzionalmente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; quest'ultima assolve a compiti analoghi a quelli spettanti al Ministero della giustizia nei confronti dei magistrati ordinari. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, tra l'altro, è titolare, insieme al presidente del Consiglio di stato, del potere di avviare l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati amministrativi. La Giustizia amministrativa gode, nondimeno, di un'ampia autonomia organizzativa e la gestione dei suoi servizi essenziali è affidata a una struttura burocratica, denominata «Segretariato generale della giustizia amministrativa», previsto dall' art. 4, l. n. 186/1982. Secondo tale disposizione, l'ufficio del Segretariato generale è composto dal segretario generale (un consigliere di Stato), equiparato a un capo di dipartimento, nonché, con competenza per i rispettivi istituti, dal segretario delegato per il Consiglio di Stato (un consigliere di Stato) e dal segretario delegato per i tribunali amministrativi regionali (un consigliere dei tribunali amministrativi regionali). Il segretario generale e i segretari delegati assistono il presidente del Consiglio di Stato nell'esercizio delle sue funzioni e svolgono, ciascuno per le proprie competenze, gli altri compiti previsti dalle norme vigenti per il segretario generale del Consiglio di Stato. Il d.P.C.S. (decreto del presidente del Consiglio di Stato) del 15 febbraio 2005, reca il regolamento di organizzazione degli uffici amministrativi della giustizia amministrativa, pubblicato nella G.U.R.I. del 12 aprile 2005, n. 84 e, negli anni successivi, più volte modificato.

Bibliografia

Nicotra, Doppio grado di giudizio, principio di certezza e diritto di difesa, in Riv. dir. e proc. civ. 2000, 134 ss.; Onida, Giurisdizione speciale, in Noviss. Dig. It., III, Torino, 1982, 1071; Lamorgese, La giurisdizione contesa: Cittadini e pubblica amministrazione, Torino, 2014, 55-56; Pajno, Inaugurazione dell'anno giudiziario 2017 - Relazione del Presidente, in giustizia-amministrativa.it; Proto Pisani, Il nuovo art. 111 della Costituzione e il giusto processo civile, in Civinini, Verardi (a cura di), Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, Milano, 2001; Silvestri, Poteri dello Stato (divisione dei), in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985; Urbano, Riflessioni sull'impugnazione per Cassazione della decisione resa su ricorso straordinario al Capo dello Stato, in Dir. proc. amm. 2017, 90; Biavati, Brevi osservazioni sul caso Randstad Italia, in www.questionegiustizia.it, 2022.

 

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