Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 11 - Decisione sulle questioni di giurisdizioneDecisione sulle questioni di giurisdizione
1. Il giudice amministrativo, quando declina la propria giurisdizione, indica, se esistente, il giudice nazionale che ne è fornito. 2. Quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato. 3. Quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest'ultimo, alla prima udienza, può sollevare anche d'ufficio il conflitto di giurisdizione. 4. Se in una controversia introdotta davanti ad altro giudice le sezioni unite della Corte di cassazione, investite della questione di giurisdizione, attribuiscono quest'ultima al giudice amministrativo, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda, se il giudizio è riproposto dalla parte che vi ha interesse nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle sezioni unite. 5. Nei giudizi riproposti, il giudice, con riguardo alle preclusioni e decadenze intervenute, può concedere la rimessione in termini per errore scusabile ove ne ricorrano i presupposti. 6. Nel giudizio riproposto davanti al giudice amministrativo, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova. 7. Le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. Le parti possono riproporre le domande cautelari al giudice munito di giurisdizione. Note operative
InquadramentoL'art. 11 codifica il principio della translatio iudicii imposto dalla nota sentenza della Corte costituzionale n. 77/2007 che ha evidenziato come il riparto di giurisdizione è stato creato per garantire una tutela maggiore a favore del cittadino e non deve, quindi, mai andare a danno dello stesso. In quest'ottica è stato, quindi, introdotto il principio della translatio iudicii, secondo cui quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato. Tale principio, quindi, avvicina le giurisdizioni, impedendo che l'errore della parte nell'individuazione del giudice avente giurisdizione possa pregiudicare la sua posizione processuale. Prima, infatti, dell'introduzione di tale principio, auspicato, peraltro, dalla dottrina (Cipriani), si suggeriva di ricorrere all'errore scusabile per evitare che il ricorrente potesse incorrere in decadenza in caso di errore nella scelta della giurisdizione. La sentenza della Corte cost. n. 77/2007La Corte costituzionale con la sentenza n. 77/2007 ha affermato che «Il principio della incomunicabilità dei giudici appartenenti ad ordini diversi — comprensibile in altri momenti storici... — è certamente incompatibile, nel momento attuale, con fondamentali valori costituzionali. Se è vero, infatti, che la Carta costituzionale ha recepito, quanto alla pluralità dei giudici, la situazione all'epoca esistente, è anche vero che la medesima Carta ha, fin dalle origini, assegnato con l' art. 24 Cost. (ribadendolo con l' art. 111 Cost.) all'intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi. Questa essendo la essenziale ragion d'essere dei giudici, ordinari e speciali, la loro pluralità non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale: ciò che indubbiamente avviene quando la disciplina dei loro rapporti — per giunta innervantesi su un riparto delle loro competenze complesso ed articolato — è tale per cui l'erronea individuazione del giudice munito di giurisdizione (o l'errore del giudice in tema di giurisdizione) può risolversi in un pregiudizio irreparabile della possibilità stessa di un esame nel merito della domanda di tutela giurisdizionale. Una disciplina siffatta, in quanto potenzialmente lesiva del diritto alla tutela giurisdizionale e comunque tale da incidere sulla sua effettività, è incompatibile con un principio fondamentale dell'ordinamento, il quale riconosce bensì la esistenza di una pluralità di giudici, ma la riconosce affinché venga assicurata, sulla base di distinte competenze, una più adeguata risposta alla domanda di giustizia, e non già affinché sia compromessa la possibilità stessa che a tale domanda venga data risposta». Secondo la Corte, le disposizioni processuali non sono fine a se stesse, ma sono funzionali alla miglior qualità della decisione di merito. In seguito alla sentenza della Corte costituzionale citata, i plessi giurisdizionali si sono sensibilmente avvicinati. Con l'art. 11 il legislatore ha cristallizzato l'orientamento della Corte costituzionale, prevedendo, però, che la salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda non comporta la piena utiizzabilità delle prove raccolte innanzi al giudice privo di giurisdizione. Opportunamente, infatti, l' art. 11, comma 6 c.p.a. prevede che le prove raccolte possono essere valutate come argomenti di prova. Il giudice, quindi, davanti al quale viene riassunto il giudizio non può emettere una sentenza su elementi acquisiti in altro giudizio, costituendo l'argomento di prova solo un elemento del convincimento del giudice che va suffragato da ulteriori elementi. La comunicabilità tra giurisdizioni, quindi, non può dirsi completa e assoluta. Sul punto T.A.R. Campania (Napoli) III, 2 settembre 2016, n. 4147 secondo cui la piena e completa attuazione del principio della translatio iudicii non impedisce al giudice amministrativo di prendere a riferimento gli elementi probatori ed istruttori acquisiti davanti al giudice sfornito di giurisdizione. Si ritiene, invece, che non sia necessaria una nuova procura per la domanda da proporre innanzi al giudice dotato di giurisdizione innanzi al quale deve riassumere il giudizio. In questo senso è la giurisprudenza, secondo cui, ai sensi dell' art. 11 comma 2, c.p.a., in caso di tempestiva riassunzione del giudizio a seguito di declinatoria della giurisdizione, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda proposta dinanzi al giudice a quo (c.d. translatio iudicii), deve ritenersi non necessaria l'allegazione di una nuova procura ad litem, essendo sufficiente il richiamo di quella originariamente conferita per l'instaurazione del giudizio dinanzi al primo giudice adìto, analogamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza per il caso di riassunzione successiva a declinatoria di competenza (cfr., Cons. St. IV, n. 28/2016). La legittimazione a riproporre il «processo»Il primo comma della norma in commento al fine di far salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda originariamente proposta, pone come condizione che il processo sia «riproposto» innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza. La norma, quindi, utilizza il termine «riproposto» e non «riassunto», perché in questo caso autore della riproposizione della domanda (id est, del processo) non è la parte più diligente, come avviene, in genere, per le riassunzioni, ma solo colui che ha originariamente proposto la domanda innanzi al giudice sfornito di giurisdizione. Ciò deriva dal fatto che la scelta di avviare il processo amministrativo è una scelta caratterizzata dall'infungibilità. Ne deriva che le altre parti del giudizio non possono riproporre lo stesso innanzi al giudice fornito di giurisdizione. Una eccezione potrebbe delinearsi in relazione all'interventore in primo grado dotato di posizione autonoma perché sostanzialmente assimilabile al ricorrente. Il conflitto di giurisdizioneIl meccanismo appena illustrato non può imporsi al giudice che deve sempre in via preliminare verificare se ha giurisdizione e, quindi, autolegittimarsi. Qualora non condividesse la sentenza con cui il giudice ha declinato la giurisdizione deve sollevare il conflitto di giurisdizione, rimettendo la questione alle sezioni unite della Corte di Cassazione. Quanto decide la Suprema Corte non può più essere messo in discussione e gli effetti processuali e sostanziali della domanda sono fatti salvi, ferme restando, comunque, le preclusioni maturate, se il giudizio è riproposto dalla parte che vi ha interesse nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle Sezioni Unite. Cass. S.U. n. 1611/2020 , pronunciando su regolamento di giurisdizione proposto d'ufficio dal Consiglio di Stato, sezione IV, con ordinanza n. 2189 del 2019, hanno dichiarato il conflitto inammissibile e la conseguente giurisdizione del g.a., in quanto lo stesso è stato proposto oltre la prima udienza fissata per la trattazione del merito nel giudizio riassunto o riproposto dinanzi al giudice individuato come fornito di giurisdizione da una precedente sentenza di altro giudice appartenente a un plesso giurisdizionale diverso. La rilevanza dell'errore scusabileIl comma 5 dell'art. 11 consente, comunque, nei giudizi riproposti, al giudice, con riguardo alle preclusioni e decadenze intervenute, di concedere la remissione in termini per errore scusabile. In tal modo la domanda proposta innanzi al giudice sfornito di giurisdizione coincide con quella che viene riproposta innanzi al giudice amministrativo. Tale risultato ha indotto la giurisprudenza a farne comunque un uso limitato. Il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, previsto dall'art. 37, riveste carattere eccezionale nella misura in cui si risolve in una deroga al principio fondamentale dei perentorietà dei termini processuali, ed è soggetto a regole di stretta interpretazione: i termini in generale, e quelli dei riti speciali abbreviati in particolare, sono stabiliti dal legislatore per ragioni di interesse generale e hanno applicazione oggettiva; in definitiva, i presupposti per la concessione dell'errore scusabile sono individuabili esclusivamente nella oscurità del quadro normativo, nelle oscillazioni della giurisprudenza, in comportamenti ambigui dell'amministrazione, nell'ordine del giudice di compiere un determinato adempimento processuale in violazione dei termini effettivamente previsti dalla legge, nel caso fortuito e nella forza maggiore (Cons. St. IV, n. 1965/2017). Con l'introduzione del Processo Amministrativo Telematico si è fatto, tuttavia, frequente uso dell'istituto. Per un esempio si veda la recente pronuncia del T.A.R. Calabria (Catanzaro) I, n. 50/2017, secondo cui sussistono le condizioni che consentono la rimessione in termini per errore scusabile, ai sensi dell'art. 37, in considerazione delle comprensibili e oggettive incertezze riscontrabili soprattutto in casi in cui, come quello di specie, la notificazione del ricorso è stata effettuata quando ancora non erano vigenti le norme in materia di processo amministrativo telematico e il deposito ha avuto luogo successivamente all'entrata in vigore delle norme richiamate. Tale difformità non si traduce in una nullità, avendo l'atto raggiunto il suo scopo. BibliografiaCipriani, Riparto di giurisdizione e translatio iudicii, in Riv. Trim. dir. proc. civ. 2005, 729. |