Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 17 - Astensione

Roberto Chieppa

Astensione

 

1. Al giudice amministrativo si applicano le cause e le modalità di astensione previste dal codice di procedura civile. L'astensione non ha effetto sugli atti anteriori 1.

Inquadramento

Il Capo V del Libro I contiene la disciplina dell'astensione e della ricusazione, che ricalca quella del codice di procedura civile al quale si fa rinvio.

In particolare, il Codice del processo amministrativo non contiene una autonoma disciplina della astensione del giudice e l'art. 17 si limita a rinviare al codice di procedura civile, limitandosi ad aggiungere che l'astensione non ha effetto sugli atti anteriori compiuti dal giudice.

In realtà, nel testo predisposto dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato vi era un secondo comma, che riproduceva il contenuto dell'art. 43 del T.U. del Consiglio di Stato, in base al quale «Non possono prendere parte alle decisioni [assunte dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale] i consiglieri che avessero concorso a dar parere, nella sezione consultiva, sull'affare che forma oggetto di ricorso».

Si tratta di un principio pacifico, da sempre applicato dal Consiglio di Stato, in relazione al quale le ragioni dell'espunzione della disposizione sembrano doversi ricondurre al fatto che la specifica causa di astensione è compresa in quella di cui all' art. 51, n. 4), c.p.c..

Le ipotesi di astensione

L'art. 17 si compone di un unico comma che sostanzialmente si limita a dichiarare applicabili al giudice amministrativo «le cause e le modalità di astensione previste dal codice di procedura civile», precisando che l'astensione «non ha effetto sugli atti compiuti anteriormente».

La Corte costituzionale ha evidenziato come le norme sulla incompatibilità del giudice, sottese agli istituti dell'astensione e della ricusazione sono funzionali al principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione e ciò ne chiarisce il rilievo costituzionale (Corte cost., n. 131/1996).

In dottrina si è sottolineato che si tratta di meccanismi destinati ad operare sulla posizione del singolo giudice, inteso come persona fisica che ricopre tale ruolo, nell'esercizio della sua funzione dello ius dicere (e quindi, si riferiscono ad ipotesi di incompatibilità sul piano concreto piuttosto che su quello astratto, come, invece, altre incompatibilità, quali quelle c.d. di servizio) (Mengozzi, 320).

In estrema sintesi, per l'astensione il Codice si limita ad un sintetico rinvio al c.p.c.

Si ricorda che il citato art. 51 c.p.c. prevede alcune ipotesi di astensione obbligatoria del giudice:

1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;

2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;

3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;

4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;

5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.

Il legislatore, nel predeterminare le ipotesi di astensione obbligatoria, ha individuato una serie di casi in cui vige una presunzione iuris et de jure di parzialità (Romboli, 2). Ciò ha lo scopo di aiutare il giudice a sottrarsi a situazioni in cui la sua indipendenza di giudizio possa risultare compromessa, imponendogli — a prescindere dalla sua volontà — di lasciare il posto ad altri (Calamandrei, 652).

Trattandosi di una deroga al principio del giudice naturale, le fattispecie di astensione obbligatoria elencate dall' art. 51 c.p.c. sono di stretta interpretazione (Poli; Dittrich, 58; v. anche, in giurisprudenza, Cons. St. VI, ord. n. 125/2009).

Lo stesso art. 51 c.p.c. prevede, al  comma 2, poi che in ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi; quando l'astensione riguarda il capo dell'ufficio l'autorizzazione è chiesta al capo dell'ufficio superiore. Si tratta, in questi casi, di astensione facoltativa.

In dottrina si è ritenuto che, dal punto di vista soggettivo, le previsioni si riferiscono al giudice amministrativo, con tale intendendosi i magistrati che esercitano funzione giudicante e non anche quelli assegnati alle sezioni consultive (De Nictolis, Proc. amm., 355)

Al riguardo, si ricorda che un'ipotesi speciale dettata per i soli consiglieri di stato era contenuta nell' art. 43, comma 2, t.u. Cons. St., che vieta al magistrato che ha concorso al parere in una sezione consultiva di partecipare al collegio giudicante chiamato a decidere di una questione avente il medesimo oggetto di quella trattata in precedenza.

La mancata riproduzione esplicita di tale principio, pur presente — come già detto — nello schema di codice del processo amministrativo elaborato dal Consiglio di Stato, è da ricondurre alla analoga previsione, più ampia, di cui al n. 4 dell' art. 51 c.p.c.. Trattandosi di un principio pacifico, da sempre applicato dal Consiglio di Stato, si deve quindi ritenere che l'obbligo di astensione sussista e debba essere circoscritto al caso di medesimo affare che forma oggetto di contenzioso (non bastando che si tratti di una identica questione di diritto) (Chieppa, Il processo, 145).

Relativamente al processo amministrativo, è stata ritenuta inconfigurabile una situazione di incompatibilità nei confronti del giudice della fase cautelare chiamato a partecipare anche alla decisione di merito della controversia. Tale conclusione trova il suo immediato precedente nella declaratoria di infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell' art. 51 c.p.c. nella parte in cui non prevede l'obbligo di astensione nella causa di merito per il giudice civile che abbia concesso una misura cautelare ante causam, in riferimento all' art. 24 Cost. Tanto è vero questo che, in via analogica, si ritiene che non si verifichi incompatibilità nel caso in cui il magistrato, pronunciatosi in sede di sospensiva quale componente di un collegio del Consiglio di Stato, sia successivamente transitato al T.A.R. e debba decidere la medesima causa nel merito. Nel nostro sistema, il giudice che conosce un diritto e/o un interesse giuridicamente protetto nella fase cautelare è incompatibile a decidere nel merito solo se il processo è penale, mentre resta compatibile a decidere nel merito se il processo è civile o amministrativo; l'indirizzo di fondo che ispira il giudice delle leggi sembra nel senso di escludere l'estensione, ai processi diversi da quello penale, di taluni principi sull'incompatibilità del giudice già elaborati con riferimento al dibattimento penale. (Cons. St. V, n. 1660/2008; Cons. St.Ad. plen., n. 4/2014).

L' art. 51, primo comma, n. 3), c.p.c. non si applica al caso in cui il magistrato abbia partecipato alla decisione su istanze cautelari proposte incidentalmente in ricorsi per revocazione e opposizione di terzo, dal momento che: a) è lo stesso ordinamento processuale a prevedere che i predetti mezzi di impugnazione si propongano avanti lo stesso giudice che abbia pronunciato la sentenza impugnata; b) la pronuncia in sede cautelare lascia irrisolto l'esito finale del giudizio, assolvendo principalmente allo scopo di conservare integra la res iudicanda e di scongiurare il prodursi di un pregiudizio grave e irreparabile in danno della parte istante, di tal che non può reputarsi che ricorra un caso di cognizione piena alla quale il predetto art. 51, primo comma, n. 3) («conosciuto») ricollega l'obbligo di astensione (Cons. giust. amm. Sicilia, 21 marzo 2011, n. 228.)

L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che

— l' art. 51, n. 4, c.p.c. — che fa obbligo al giudice di astenersi quando abbia già conosciuto della causa in altro grado del processo, trova applicazione nel giudizio amministrativo di rinvio, posto che l'alterità del giudice è necessaria applicazione del principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione, avente pieno valore costituzionale in relazione a qualunque tipo di processo;

— l' art. 51, n. 4, c.p.c. non trova applicazione in sede di giudizio di opposizione di terzo, posto che, in tale ipotesi, la possibilità per il giudice che ha pronunciato la sentenza poi impugnata con l'opposizione di terzo di partecipare alla decisione sull'opposizione medesima, non essendo configurabile la situazione di cui all' art. 51, n. 4, c.p.c., è consentita dalla norma dell'art. 405 dello stesso codice, secondo cui competente a conoscere dell'opposizione è lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza opposta. Cons. St.Ad. plen., n. 2/2009.

Con la stessa sentenza l'Adunanza Plenaria aveva pure affermato che l' art. 51, n. 4, c.p.c. trova applicazione in sede di revocazione anche quando il ricorso è fondato non su errore di apprezzamento ma su errore dei sensi, ben potendo la cosiddetta forza della prevenzione svolgere un ruolo decisivo nella fase rescindente; tale orientamento che fondava un obbligo del giudice persona fisica di astenersi nei giudizi di revocazione di sentenze decise dallo stesso giudice (sempre persona fisica come componente del collegio) è stato superato da Cons. St.Ad. plen., 24 gennaio 2014 n. 5, che ha invece affermato che non sussiste tale obbligo di astensione. In particolare, con detta sentenza si è affermato che, ad eccezione dell'ipotesi del dolo del giudice o, comunque, dell'ipotesi in cui il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, i magistrati che hanno pronunciato la sentenza impugnata per revocazione possono legittimamente far parte del collegio investito della cognizione del giudizio revocatorio.

Con riferimento alla situazione di incompatibilità, potenzialmente derivante dall'esistenza di una causa risarcitoria, intentata in sede civile da una delle parti avverso il giudice che ha reso una pronuncia interlocutoria, la giurisprudenza ha negato che la stessa possa assumere rilevanza quale motivo di astensione dello stesso. Si è infatti rilevato che, diversamente, l'azione di responsabilità civile, intrapresa da una parte in corso di causa, costituirebbe sempre e comunque il mezzo per impedire al giudice naturale di pronunciare definitivamente sulla controversia a lui assegnata (Cons. St. IV, n. 3985/2015). Ciò vale anche per il giudice che abbia disposto, nel corso della causa, un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ovvero sollevato questione di legittimità costituzionale, verificandosi altrimenti una non prevista ed eccentrica forma di automatica sostituzione per incompatibilità del giudice naturale; simile opzione ermeneutica sarebbe poi del tutto illogica in quanto sottrarrebbe proprio al giudice, che ha manifestato il dubbio «comunitario» e/o «costituzionale», il compito di decidere la causa una volta risolta la questione demandata al giudizio della Corte ad quem ( TarLazio (Roma) II, n. 1884/2013; in termini, Cass. S.U.n. 16627/2014 che ha escluso che integri l'ipotesi di causa pendente, di cui all' art. 51, n. 3, c.p.c. l'aver instaurato un giudizio di responsabilità nei confronti del giudice ai sensi della l. n. 117/1998).

Si è anche escluso che una situazione di parzialità del giudice possa sorgere da rapporti di collaborazione scientifica esistenti con una delle parti della controversia, o dalla comunanza derivante dall'essere entrambi magistrati amministrativi ( Cons.St. IV, n. 3346/2009; in senso conforme, Cons. St. IV, n. 1957/2012). Non rientrano quindi nelle ipotesi di cui all' art. 51 c.p.c., che l'art. 18 richiama, i meri rapporti derivanti dall'appartenenza al medesimo ordinamento giudiziario; infatti, la condivisione del medesimo ambiente di lavoro, peraltro utilizzando ambienti contigui, non è in grado di per sé di far ritenere sussistente una ipotesi di abituale commensalità, a meno che ciò non abbia dato luogo ad una reciproca compenetrazione delle rispettive attività professionali dal punto di vista tecnico — organizzativo, in misura tale da potersi assimilare alla confidenza e alla reciproca fiducia che connotano i rapporti tra conviventi o tra commensali abituali ( TarLazio, III, n. 10473/2013).

La valutazione di avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di un magistrato non è di per sé manifestazione di grave inimicizia — tale da rilevare quale ipotesi di astensione obbligatoria ai sensi dell' art. 51, n. 3, c.p.c. — in quanto costituisce esercizio da parte del Presidente del Consiglio di Stato di una prerogativa attribuita dalla legge e rimessa comunque alle successive deliberazioni del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, nell'ambito di un'attività procedimentalizzata posta a tutela, proprio, dell'incolpato ( T.a.r.Lazio, III, 4 dicembre 2013 n. 10473).

Non è contestabile dai privati ricorrenti la decisione del giudice di astenersi, presa ai sensi dell' art. 51 c.p.c. (applicabile al processo amministrativo dapprima per effetto del combinato disposto dell' art. 19 l. n. 1034/1971 e dell' art. 47 r.d. n. 642/1907 e ora in virtù di quanto previsto dall' art. 17 d.lgs. n. 104/2010); tale decisione, difatti, e fermi comunque i casi di astensione obbligatoria di cui ai numeri da 1 a 5 del citato art. 51 c.p.c., «si staglia discrezionale, personale e insindacabile» e, pertanto, non può neppure essere contestato l'assenso, ovvero il diniego di assenso all'astensione, emessi dal capo dell'ufficio ( T.a.r.Friuli Venezia Giulia I, 4 ottobre 2010, n. 697).

Circa la deducibilità della violazione del dovere di astensione come vizio da far valere in sede di impugnazione, si è riconosciuto come ipotesi sia estranea alla «logica» dell'impugnazione e che, a fronte di tale eventualità, l'ordinamento appresta rimedi diversi, quali in via preventiva la ricusazione ( art. 18 c.p.a.; art. 52 c.p.c.), ed in via successiva, la revocazione della sentenza emessa, una volta accertato con sentenza passata in giudicato il dolo del giudice ( art. 395, n. 6 c.p.c.). Fatto salvo il caso dell'interesse proprio del giudice nella causa, quindi, non è possibile dedurre come motivo di impugnazione la mancata astensione del giudice, laddove non sia stata proposta istanza di ricusazione (Cons. St. IV, n. 4636/2016; in senso conforme, vedi Cons. giust. amm. Sicilia 12 marzo 2013 n. 337, secondo cui in difetto di tempestiva ricusazione, la violazione dell'obbligo di astensione da parte del giudice non è deducibile in appello come motivo di nullità della sentenza. Analogamente, l'immotivata astensione è stata ritenuta costituire un fatto avente rilevanza interna all'organo giudicante (ossia tra il giudice e il presidente della sezione/del tribunale), non idonea a costituire un vizio di formazione del collegio giudicante, deducibile dalla parte (Cons. St. V, n. 180/2005).

Ciò non toglie che la violazione di tale dovere, a prescindere dalla sua impugnabilità o meno, rilevi come illecito disciplinare, ai sensi dell' art. 2, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 109/2006 (la norma include, tra le fattispecie rilevanti, «la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge»).

Al riguardo si è ritenuta legittima la sanzione disciplinare della censura comminata per la violazione all' articolo 2, comma 1, lettera c), d.lgs. n. 109/2006, per violazione dei doveri di correttezza, trasparenza, terzietà e diligenza, avendo omesso di astenersi dal trattare un procedimento «malgrado sussistessero gravi motivi di convenienza», in considerazione del coinvolgimento di interessi familiari del suo congiunto, così compromettendo la qualità e la correttezza dell'esercizio del potere giurisdizionale. ( TarLazio, n. 1865/2016).

Procedimento ed effetti dell'astensione

Il rinvio alle norme del c.p.c. riguarda, per il suo carattere incondizionato, anche l' art. 78 disp. att. c.p.c., il quale disciplina le modalità con cui il giudice, che riconosce l'esistenza di un motivo di astensione, provvede a comunicare la circostanza al presidente del tribunale.

Nella specie si richiede una «espressa dichiarazione» o «istanza scritta» da inoltrare «appena ricevuto il decreto di nomina».

Anche nei casi in cui la conoscenza del motivo di astensione si verifica successivamente all'inizio dell'istruzione della causa, il giudice «ne dà subito notizia al capo dell'ufficio».

L'astensione opera direttamente nei casi di astensione obbligatoria. Se si tratta di un caso di astensione facoltativa, deve presentare la relativa istanza, chiedendo l'autorizzazione al capo dell'ufficio.

Ravvisati i presupposti per l'astensione, il Presidente titolare della Sezione del Consiglio di Stato chiamato a decidere sull'istanza di misure cautelari monocratiche da parte del ricorrente può delegare con decreto presidenziale il Presidente del Consiglio di Stato a esaminare l'istanza nonché a fissare la data della camera di consiglio per l'esame della domanda in sede collegiale (Cons. St. n. 2332/2017).

Ai sensi dell'ultimo periodo dell'art. 18, l'astensione del giudice non ha effetto sugli atti anteriori. Tale disposizioni è stata inserita nel testo dell' articolo dall'art. 1 del d.lgs. n. 195/2011 (c.d. correttivo al codice).

Una volta che il giudice si sia astenuto, non può, poi, tornare a far parte del collegio giudicante avendo perduto la capacità di giudicare la controversia. Qualora ciò si verifichi – poiché l'ulteriore partecipazione del giudice alla decisione non può più essere rimossa con lo strumento della ricusazione – si configura un vizio di costituzione del collegio ai sensi e per gli effetti dell' art. 158 c.p.c., con la conseguenza della nullità (Cons. St.,Ad. plen., n. 20/1980).

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