Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 20 - Obbligo di assumere l'incarico e ricusazione [del consulente ] 1Obbligo di assumere l'incarico e ricusazione [del consulente ] 1
1. Il verificatore e il consulente, se scelto tra i dipendenti pubblici o tra gli iscritti negli albi di cui all'articolo 13 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, hanno l'obbligo di prestare il loro ufficio, tranne che il giudice riconosca l'esistenza di un giustificato motivo. 2. Il consulente, o il verificatore, può essere ricusato dalle parti per i motivi indicati nell'articolo 51 del codice di procedura civile. Della ricusazione conosce il giudice che l'ha nominato. [1] Rubrica modificata dall'articolo 1, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195. InquadramentoLa disposizione in rassegna prevede l'obbligo del verificatore e del consulente tecnico di prestare l'incarico loro affidato, a meno che il giudice ritenga sussistere un giustificato motivo di esonero degli ausiliari nominati. Peraltro, tale obbligo riguarda unicamente i dipendenti pubblici e i soggetti iscritti negli albi dei consulenti tecnici, istituiti presso ogni tribunale civile, di cui all'art. 13 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile e, non dunque, gli altri consulenti che siano stati scelti sulla sola base della loro competenza tecnica ai sensi dell'art. 19, comma 1. Si prevede altresì la facoltà per le parti di ricusare il consulente e il verificatore, con istanza sulla quale decide il giudice che abbia nominato l'ausiliario. La disposizione rappresenta una novità del Codice, atteso che in precedenza, con riferimento all'obbligo di astensione e alla facoltà di ricusazione degli ausiliari del giudice, si applicavano, con i necessari adattamenti (specialmente con riferimento alla figura del verificatore, sconosciuta nel processo civile), le norme contenute nel codice di procedura civile. La previsione, specialmente il secondo comma, evidenzia l'importanza della terzietà del verificatore e del consulente, in ragione della loro qualità di ausiliari del giudice e, come tali, coinvolti nell'esercizio della funzione giurisdizionale. Va tuttavia segnalato che solo per il consulente tecnico l'art. 67, comma 2, stabilisce espressamente il termine di decadenza entro il quale devono essere presentate le istanze di astensione e di ricusazione. La rubrica della disposizione è stata modificata dal c.d. «primo correttivo al Codice» ( art. 1, comma 1, lett. d.), d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195) e, in particolare, è stato espunto il riferimento al consulente, giacché l'articolo impone anche al verificatore l'obbligo di assumere l'incarico conferito. L'obbligo di prestare l'incaricoL'obbligo di prestare l'incarico di verificatore o di consulente costituisce l'oggetto di un munus publicum. Il comma 1 della disposizione in rassegna reca, difatti, sia per il verificatore sia per il consulente, una regola analoga a quella dettata dall' art. 63, primo comma, c.p.c. (sebbene quest'ultima riguardi il solo consulente scelto tra gli iscritti in un albo). A differenza dell' art. 63 c.p.c., tuttavia, il comma 1 della previsione in esame estende l'obbligo di prestare l'ufficio anche ai dipendenti pubblici; tanto in linea con il comma 2 dell'art. 19 che include i dipendenti pubblici tra i soggetti ai quali può essere affidato l'incarico di consulenza. L'obbligo di prestare l'incarico non vale, però, per gli «altri soggetti», nominati consulenti tecnici in ragione della loro particolare competenza tecnica, trattandosi di categoria menzionata unicamente dal succitato art. 19, comma 2, ma non anche dall'articolo in commento Con riferimento alla figura del consulente iscritto negli albi tenuti presso i tribunali civili la dottrina ha osservato che, con la richiesta di iscrizione all'albo, il consulente accetta anche il consequenziale obbligo di svolgere gli incarichi che gli siano assegnati dall'autorità giudiziaria (Conte). Va poi segnalato che, ancorché l'art. 19 preveda che la verificazione sia affidata a un «organismo pubblico», l'obbligo di prestare l'ufficio, al pari degli istituti della ricusazione e dell'astensione, deve essere riferito al «capo dell'organismo verificatore» (o al suo «delegato»), come stabilisce l'art. 66, comma 1 ossia l'obbligo grava necessariamente sulla persona fisica investita in concreto dell'incarico giudiziale. Sebbene, pertanto, l'astensione e la ricusazione si riferiscano a una persona fisica, nondimeno un'incompatibilità rispetto all'incarico di verificatore nel giudizio amministrativo può configurarsi anche nei confronti di un organismo, ossia di un plesso organizzativo. Tale situazione potrebbe verificarsi nell'ipotesi in cui il giudice amministrativo affidasse una verificazione a un'articolazione organica o a un ufficio riconducibile all'amministrazione resistente (si pensi, a titolo d'esempio, al caso della nomina quale organismo verificatore di un'agenzia ministeriale collegata al Dicastero resistente). Al ricorrere di tale evenienza la verificazione dovrebbe considerarsi sicuramente invalida per violazione del principio di terzietà. Va, però, dato atto di un diverso orientamento del Consiglio di Stato, anche successivo all'entrata in vigore del Codice (Cons. St. III, n. 1757/2016; Cons. St. IV, n. 881/2007), secondo cui la verificazione è mezzo di prova che nel processo amministrativo consente al giudice di richiedere gli opportuni chiarimenti, oltre che ad una amministrazione «terza», anche alla stessa amministrazione che abbia emanato il provvedimento impugnato, senza che ciò implichi violazione del principio di terzietà, del diritto di difesa e del contraddittorio, in quanto l'onere istruttorio viene diretto all'amministrazione in quanto «Autorità pubblica» che, in tale specifica qualità, deve collaborare con il giudice al fine di accertare la verità dei fatti. Il giustificato motivoSi è sopra osservato che l'obbligo di prestare l'incarico di verificatore o di consulente costituisce un munus publicum. Tale obbligo, tuttavia, non è assoluto; difatti, come accennato, il comma 1 della disposizione prevede che tale obbligo venga meno allorquando il giudice riconosca l'esistenza di un «giustificato motivo» La regola secondo cui l'obbligo di prestare l'ufficio perde di cogenza in ragione della sussistenza di un giustificato motivo, accertato dal giudice, trova la sua ratio, al pari degli istituti della astensione e della ricusazione, nella esigenza di assicurare la massima terzietà del verificatore e del consulente tecnico rispetto al contenzioso, tenuto conto della circostanza che entrambi sono ausiliari del giudice e, quindi, partecipano all'esercizio della funzione giurisdizionale (e, in modo particolare il consulente tecnico, in quanto chiamato a esprimere anche valutazioni sui fatti della causa, sebbene sotto il profilo tecnico). In questa parte la disposizione in rassegna si discosta parzialmente da quanto disposto dal primo comma dell' art. 63 c.p.c., dal momento che la norma processualcivilistica usa la locuzione «giusto motivo di astensione», così collegando i casi di esonero dall'obbligo di prestare l'incarico al ricorrere di un motivo di astensione (si segnala, incidentalmente, che nel codice di procedura civile l'astensione del consulente è disciplinata dall' art. 192 c.p.c.). Il disallineamento tra le due previsioni è dovuto, probabilmente, alla scelta del Legislatore delegato di ampliare i confini della discrezionalità decisoria riservata al giudice amministrativo, consentendogli di valutare — al fine di rafforzare la terzietà propria degli ausiliari — un più ampio spettro di situazioni di inopportunità, ostative allo svolgimento dell'incarico, seppur non strettamente qualificabili come motivi di astensione (anche soltanto facoltativa). Ancorché la norma non lo precisi, è evidente che sia dovere dello stesso ausiliario rappresentare al giudice amministrativo l'esistenza di un motivo ostativo allo svolgimento dell'incarico (fermo restando che una segnalazione in tal senso possa provenire anche dalle parti e che pure il giudice possa acquisire d'ufficio la notizia dell'esistenza di un giustificato motivo). Al riguardo, seppur soltanto con riferimento al consulente tecnico, il comma 2 dell'art. 67 stabilisce che le istanze di astensione (e anche quelle di ricusazione) devono essere sottoposte (al giudice), a pena di decadenza, entro il termine stabilito per la comparizione dell'ausiliario per assumere l'incarico. Analoga disposizione non si rinviene nell'art. 66 sulla verificazione. Tale assenza è dovuta verosimilmente alla circostanza che il citato art. 66 non prevede la comparizione del verificatore avanti al magistrato delegato per prestare il giuramento e, quindi, nemmeno il termine per la presentazione della istanza di astensione (v. infra). Va rilevato, tuttavia, che la giurisprudenza, sebbene con riferimento alla presentazione dell'istanza di ricusazione del verificatore (T.A.R.Campania (Napoli) II, n. 1502/2013), ha statuito che detta istanza (ma il principio potrebbe estendersi anche alla richiesta di astensione proveniente dal verificatore) debba proporsi, onde scongiurare espedienti dilatori che mal si conciliano con le esigenze di addivenire ad una definizione del giudizio in tempi ragionevoli, negli stessi termini stabiliti, per il caso del consulente tecnico d'ufficio, dall'art. 67, le cui previsioni sarebbero applicabili in via analogica; la medesima giurisprudenza ha inoltre precisato che l'istanza di ricusazione debba essere comunque presentata non oltre il primo atto del verificatore e prima dell'inizio delle operazioni. Ove pure non intenda aderirsi a tale orientamento pretorio, nondimeno l'assenza di un termine espresso non significa che il verificatore possa ritardare la presentazione dell'istanza di astensione; anzi, il principio di leale collaborazione (con le parti e) con l'autorità giudiziaria, di cui all'art. 2, comma 2, conduce a ritenere che il verificatore debba comunicare immediatamente al giudice, ossia non appena avuto conoscenza dell'avvenuta nomina, i giustificati motivi che eventualmente ostino allo svolgimento dell'incarico. Nondimeno l'assenza, nel corpo dell'art. 66 di una norma espressa analoga al comma 2 dell'art. 67. dà luogo a significative, differenti conseguenze applicative. Difatti il termine di cui all'art. 67, comma 2, è fissato, come sopra ricordato, a pena di decadenza. Ciò significa che il consulente, una volta scaduto il termine in parola, non potrà più astenersi o, quanto meno, risponderà dell’eventuale astensione tardiva; soprattutto, lo spirare del termine precluderà definitivamente alle parti di richiedere successivamente la ricusazione (che, ove proposta, sarà ritenuta inammissibile) e, conseguentemente, anche di dedurre, nell'evenienza della successiva impugnazione del provvedimento emesso sulla base della consulenza tecnica, la nullità di quest'ultima a causa della mancata astensione (obbligatoria) del consulente. Diversa è, invece, la posizione del verificatore. Nulla disponendo al riguardo l'art. 66 e non potendosi ritenere applicabile in via analogica anche la sanzione endoprocessuale di decadenza — per di più connessa allo spirare di un termine la cui decorrenza è correlata alla comparizione personale del consulente tecnico avanti al magistrato delegato per rendere il giuramento (adempimento non previsto per il verificatore) — deve reputarsi che il verificatore possa essere ricusato dalle parti in ogni momento antecedente al deposito della relazione conclusiva (fatta salva l'eventuale adesione del giudice al diverso orientamento del quale si è dato sopra conto). Conseguentemente, la mancata astensione (obbligatoria) del verificatore potrà essere dedotta anche come motivo di impugnazione del provvedimento pronunciato sulla base della verificazione compiuta. A proposito del verificatore, bisogna poi considerare che l'art. 19 stabilisce che la verificazione sia affidata a un organismo pubblico e, però, l'art. 66 chiarisce che il capo dell'organismo verificatore può svolgere direttamente l'incarico oppure può nominare un delegato, con l'autorizzazione del giudice. Orbene, se indubbiamente anche il delegato è tenuto a comunicare tempestivamente gli eventuali motivi che ne giustifichino l'astensione, raramente di tale questione viene investito il giudice amministrativo, giacché il capo dell'organismo pubblico, prima di formulare una richiesta di autorizzazione alla delega, si trova nelle condizioni di poter selezionare preventivamente un delegato che non versi in condizioni di incompatibilità rispetto all'incarico. Il comma 1, come sopra segnalato, non riguarda il consulente tecnico che non sia dipendente pubblico né iscritto agli albi istituiti presso i tribunali civili, ma che venga scelto dal giudice soltanto in considerazione della particolare competenza tecnica posseduta. Questi, non avendo alcun obbligo di accettare l'incarico, a maggior ragione nemmeno è tenuto a comunicare tempestivamente al giudice i motivi dell'eventuale rifiuto e, quindi, non trovano applicazione le norme contenute nel comma 2 della disposizione in rassegna. Resta fermo, tuttavia, che l'esperto, nominato consulente tecnico, che abbia svolto l'incarico pur versando in condizione di incompatibilità, corre il rischio di incorrere in gravi responsabilità, anche penali (in disparte la probabile conseguenza di ordine endoprocessuale di rinnovare una consulenza tecnica effettuata da un consulente «suspectus»). Una ipotesi di «giustificato motivo» è tipizzata dall'art. 19, là dove al secondo periodo del comma 2 si prevede che non possono essere nominati verificatori o consulenti coloro che prestano attività in favore delle parti del giudizio. I casi di astensioneSi è osservato che la nozione di «giustificato motivo» include le ipotesi di astensione del consulente e del verificatore (pur non esaurendosi in queste). La circostanza che il comma 2, sulla ricusazione dell'ausiliario, richiami l' art. 51 c.p.c. consente di affermare che anche per il consulente e il verificatore si diano ipotesi di astensione obbligatoria e che si tratti delle stesse elencate dal suddetto art. 51 c.p.c.; sicché l'ausiliario deve astenersi: 1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; 2) se egli stesso o la moglie siano parenti fino al quarto grado o legati da vincoli di affiliazione, o siano conviventi o commensali abituali di una delle parti o di alcuno dei difensori; 3) se egli stesso o la moglie abbiano causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori; 4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico; 5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa. Costituisce motivo di astensione obbligatoria anche il prestare attività in favore delle parti del giudizio, ipotesi quest'ultima, di incerta significato prescrittivo, ma tipizzata, come ricordato, dall'art. 19, comma 2. La giurisprudenza del Consiglio di Stato (v., ex multis, Cons. St. VI, n. 4015/2013) afferma costantemente che le cause d'incompatibilità sancite dall' art. 51 c.p.c. rivestono carattere tassativo e, come tali, sfuggono ad ogni tentativo di estensione analogica, stante l'esigenza di assicurare la certezza dell'azione amministrativa. Di recente (Cons. St IV, n. 1040/2022) l’Alto Consesso ha precisato che all’ausiliario del giudice amministrativo si applicano le medesime cause e procedure di astensione e ricusazione previste dalla legge per l’attività del giudice; conseguentemente anche nel processo amministrativo, la violazione del dovere di astensione obbligatoria deve essere fatto valere dalla parte interessata esclusivamente con lo speciale procedimento della ricusazione non costituendo ex se causa di nullità della sentenza o dell’accertamento tecnico; se il motivo di ricusazione consiste nel dolo dell’ausiliario, ovvero nella assunzione della qualità di parte, allora si prescinde dalla presentazione dell’istanza di ricusazione e si deve esaminare il motivo di gravame incentrato sulla nullità dell’accertamento (consulenza tecnica o verificazione); tale nullità è tuttavia irrilevante, ai fini processuali (non anche ai fini penali o disciplinari) se il ricorso di primo grado risulti inammissibile o infondato per altro motivo. Muovendo dalla considerazione della tassatività delle ipotesi di astensione obbligatoria, il T.A.R. Lombardia (Brescia) n. 1021/2017 ha affermato che non può ritenersi sussistente, in capo al verificatore nominato dal giudice amministrativo, l'obbligo giuridico di astenersi dall'accettare l'incarico professionale per il solo fatto che, tra il predetto verificatore e il consulente tecnico di una delle parti in causa, vi siano frequenti contatti per motivi professionali (nel caso di specie si trattava di attività di collaborazione nell'attività di didattica universitaria, quali coautori di testi scientifici, e del comune impegno in un gruppo di ricerca, l'uno in qualità di professore ordinario e l'altro di ricercatore). Del resto, il Consiglio di Stato, in più occasioni (Cons. St. VI, n. 3373/2016; Cons. St. III, n. 1628/2016), ha escluso che la semplice sussistenza di rapporti accademici o di ufficio tra commissario e candidato sia idonea ad integrare gli estremi delle cause d'incompatibilità normativamente cristallizzate, salva la spontanea astensione di cui al capoverso dell' art. 51 c.p.c. Perché ricorra un vero e proprio obbligo di astensione, occorre dunque dimostrare la sussistenza concreta di un rapporto di lavoro o professionale stabile con la presenza di interessi economici ovvero di un rapporto personale di tale intensità da fare sorgere il sospetto che il giudizio non sia stato improntato al rispetto del principio di imparzialità. Rientrano nell'alveo semantico della nozione di «giustificato motivo» anche le ipotesi, non tipizzabili, di astensione facoltativa (v. infra) che, con clausola generale, nell'ultimo comma del sunnominato art. 51 c.p.c. sono definite come «ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza». I casi di ricusazionePer quanto riguarda i motivi di ricusazione il comma 2 della disposizione in commento rinvia all' art. 51 c.p.c., in tema di astensione del giudice, disposizione che dunque troverà diretta applicazione. La circostanza che il comma 2 richiami l' art. 51 c.p.c. e non l' art. 52 c.p.c. (sulla ricusazione del giudice), implica alcune ricadute applicative. L' art. 52, primo comma, c.p.c. consente, infatti, alle parti di ricusare il giudice soltanto al ricorrere di un caso di astensione obbligatoria, tra quelli elencati nel comma 1 dell' art. 51 c.p.c. Diversamente, il rinvio integrale, operato dal comma 2 della disposizione in commento, all' art. 51 c.p.c., lascia intendere, almeno sul piano dell'interpretazione letterale della norma, che le parti possano ricusare il consulente o il verificatore anche nelle ipotesi di astensione facoltativa, ossia quando sussistano unicamente «gravi ragioni di convenienza», nonostante la maggiore discrezionalità del giudice, in questa evenienza, nel decidere sull'istanza di ricusazione. Va detto che, sul punto, le Sezioni Unite hanno offerto una interpretazione che si discosta dalla lettera del dato positivo (infatti anche il secondo comma dell' art. 63 c.p.c. reca, per il consulente tecnico, una disposizione identica al comma 2 della previsione in commento). Invero, il Supremo Collegio ha statuito che la ricusazione del consulente, come quella del giudice, è ammissibile solo nei casi in cui sarebbe obbligatoria l'astensione; benché l' art. 63, secondo comma, c.p.c., richiami l'intero art. 51 c.p.c., nondimeno il rinvio deve ritenersi circoscritto ai motivi di ricusazione, e non a tutti i motivi di astensione indicati nella norma richiamata. I motivi di ricusazione sono, dunque, solo quelli elencati nell' art. 51 c.p.c., primo comma, come si desume dall' art. 52 c.p.c., che li prevede quali motivi di ricusazione del giudice (Cass.S.U., n. 7770/2009). Anche con riferimento alla ricusazione gli artt. 66 e 67 c.p.a. dettano discipline differenziate. Nel caso della consulenza tecnica, infatti, come per le ipotesi dell'astensione, il comma 2 dell' art. 67 c.p.a. stabilisce che le eventuali istanze di ricusazione debbano essere proposte, a pena di decadenza, entro il termine fissato per la comparizione del consulente dinanzi al magistrato delegato per prestare il giuramento. Nulla prevede, invece, al riguardo l' art. 66 c.p.a. a proposito del verificatore; analogamente a quanto sopra osservato a proposito dell'istanza di astensione del verificatore, deve quindi concludersi nel senso che le parti debbano presentare l'istanza di ricusazione del verificatore, non appena avuta conoscenza della nomina del verificatore (qualora l'istanza riguardi il capo dell'organismo verificatore) o dell'indicazione del delegato e comunque prima dell'inizio delle operazioni da parte dell'ausiliario. In senso contrario, però, si è pronunciato, sia pure in via del tutto incidentale, il Consiglio di Stato (Cons. St. II, n. 1634/2021), secondo cui l’istanza di ricusazione del verificatore deve essere formalizzata nei modi e termini, di cui all'art. 18 c.p.a. Con motivazione più argomentata, in altra decisione (Cons. St. III, n. 5238/2021) il Giudice di appello ha, invece, stabilito che l'istanza di ricusazione del verificatore deve ritenersi sottoposta a precisi limiti temporali da individuare, in via analogica, in quelli indicati dall'art. 67 per l’istanza di ricusazione del consulente tecnico d'ufficio, con la precisazione, tuttavia, che, non essendo previsto il giuriamento del verificatore, il termine ultimo entro il quale l'istanza va presentata è quello del primo atto del verificatore e, comunque, prima dell'inizio delle operazioni di verificazione. Le istanze di ricusazione potranno poi essere presentate dalle parti fino al momento del deposito della relazione di verificazione. Ciò, ovviamente, a condizione che le parti siano venute a conoscenza, solo in epoca successiva, del motivo di ricusazione; altrimenti, il comportamento delle parti le quali, pur consapevoli dell'esistenza di un motivo di ricusazione, attendano di far valere il relativo motivo solo al termine dell'incombente istruttorio, potrebbe configurarsi quale condotta in contrasto con il principio di lealtà processuale e, quindi, ipoteticamente sanzionabile in sede di regolamentazione delle spese processuali a norma dell' art. 26, comma 1, c.p.a., nella parte in cui il predetto art. 26 c.p.c. rinvia all' art. 92 c.p.c., il cui primo comma richiama l' art. 88 c.p.c. (sul dovere di lealtà e di probità delle parti e dei difensori). La decisione del giudice e il regime della sua impugnabilitàPrevede l'ultimo periodo del comma 2 della disposizione in commento che della ricusazione dell'ausiliario conosce il giudice che l'ha nominato. Tale previsione va letta in combinato disposto con gli artt. 36, 65, comma 2, ultimo periodo, e 67, comma 1, c.p.a. La prima disposizione stabilisce che, salvo che il codice non preveda diversamente, il giudice provvede con ordinanza in tutti i casi in cui non definisca nemmeno in parte il giudizio; la seconda prescrive che la decisione sulla consulenza tecnica e sulla verificazione sia sempre adottata dal collegio e la terza indica l'ordinanza quale provvedimento di nomina del consulente tecnico. Dalle norme testé richiamate si desume quindi che anche sulla astensione e sulla ricusazione il collegio debba pronunciarsi con ordinanza. Con riferimento alla natura del provvedimento con il quale il giudice si pronuncia sulla ricusazione del verificatore e del consulente va segnalato che l'originaria previsione del comma 2 dell'art. 67 stabiliva che la decisione sulle cause di astensione e ricusazione del consulente tecnico fosse assunta, con decreto non impugnabile, dal presidente del collegio o dal magistrato da lui delegato. Tale previsione è stata tuttavia espunta dall' art. 1, comma 1, lett. p), del d.lgs. n. 195/2011 (c.d. «primo correttivo» al Codice): da tale modifica legislativa la dottrina (Scoca) trasse la condivisibile conclusione che la relativa decisione, essendo stata ricondotta alla competenza collegiale, dovesse essere resa con ordinanza, in applicazione dell'art. 33. Con l'ordinanza il giudice può accogliere o respingere le istanze di astensione o di ricusazione. Nel primo caso il verificatore e il consulente non potranno compiere alcun atto del procedimento e il collegio dovrà provvedere alla loro sostituzione. Non necessariamente, però, dovrà anche esser rinnovato il mezzo istruttorio, trattandosi di scelta rimessa al libero apprezzamento del giudice; devono, infatti, ritenersi applicabili anche agli ausiliari del giudice le regole, dettate rispettivamente, dagli artt. 17, comma 1, ultimo periodo, e 18, comma 8, primo periodo, secondo cui l'astensione e la ricusazione non hanno effetto sugli atti anteriori. Quando le istanze di astensione o di ricusazione siano respinte, il verificatore e il consulente tecnico dovranno procedere all'espletamento dell'incarico loro conferito. Con riferimento al regime dell'impugnabilità, si osserva che l'ordinanza con la quale il collegio di un tribunale amministrativo regionale abbia accolto o respinto le istanze di astensione o di ricusazione del consulente non possa essere impugnata in via autonoma — ostandovi l'art. 91, comma 1 (che menziona espressamente solo le «sentenze») e il connesso principio della tassatività dei mezzi di impugnazione —, ma unicamente con la sentenza che definisca, anche in parte, il giudizio (cd. «impugnazione conglobata»). Non risulta, invece, impugnabile la medesima ordinanza se pronunciata dal giudice di appello (Consiglio di Stato o Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana), della quale potrà essere unicamente sollecitato il riesame. Le conseguenze della mancata astensione e dell'omessa presentazione dell'istanza di ricusazioneCon riferimento alle conseguenze derivanti dalla mancata astensione o dell'omessa (o tardiva) presentazione dell'istanza di ricusazione, occorre distinguere la posizione del consulente da quella del verificatore, nonché gli effetti sulla validità del mezzo istruttorio dagli effetti che si producono per l'ausiliario. Per quanto riguarda il consulente tecnico, che sia dipendente pubblico o persona iscritta negli albi dei consulenti tenuti presso i tribunali ordinari, si è sopra ricordato che l'art. 67, comma 2, fissa un termine per la relativa presentazione. Tale termine deve ritenersi perentorio, dal momento che esso è presidiato da una sanzione di decadenza. La perentorietà del termine consente dunque di equiparare, quanto agli effetti pratici, l'omessa presentazione dell'istanza alla presentazione tardiva. Nessun termine è invece previsto dalla legge per la presentazione delle eventuali istanze di astensione da parte del verificatore e nemmeno è previsto un termine per la presentazione delle istanze di ricusazione. Pur essendosi dato sopra atto dell'esistenza di un diverso indirizzo giurisprudenziale, si ritiene, tuttavia, che non possa essere estesa in via analogica al caso del verificatore la disposizione del comma 2 dell'art. 67, dal momento che tale previsione reca una sanzione endoprocessuale di decadenza e, dunque, un limite, di carattere eccezionale, all'esercizio del diritto di difesa. Nondimeno, come si è sopra osservato, il verificatore è comunque tenuto a informare tempestivamente il giudice che lo abbia nominato della sussistenza di una causa d'incompatibilità, giacché, a prescindere dalle possibili conseguenze di carattere civile, disciplinare e penale, l'eventuale reticenza inciderebbe sull'attendibilità soggettiva dei risultati della verificazione. Allorquando risulti sussistente una causa di astensione (obbligatoria o facoltativa) non dichiarata dal consulente tecnico o dal verificatore e pure se sia stata omessa o presentata tardivamente un'istanza di ricusazione (nel caso del consulente tecnico), il mezzo istruttorio esperito (consulenza tecnica o verificazione) deve ritenersi comunque ritualmente acquisito agli atti e valido (altra questione è la valutazione di esso, ai fini probatori, da parte del giudice sotto il profilo dell'attendibilità soggettiva dell'ausiliario). Tale approdo esegetico, per la consulenza tecnica, trova un preciso appiglio normativo nell'art. 67, comma 2, quale conseguenza della preclusione scaturente dalla scadenza del termine ivi fissato. Analoga conclusione vale, tuttavia, anche per il caso della verificazione, dal momento che, per principio generale, le cause soggettive di incompatibilità dell'ausiliario, in assenza di un aspecifica disposizione legislativa, non si traducono automaticamente in un vizio di validità del mezzo istruttorio, spettando al giudice il vaglio della attendibilità soggettiva dell'opera compiuta dall'esperto. La giurisprudenza civile (Cass. sez. lav., n. 12004/2005) ha del resto affermato, al riguardo, che la mancata proposizione dell'istanza di ricusazione del consulente tecnico (ma il medesimo principio deve ritenersi valevole anche per il verificatore) nel termine stabilito dalla legge processuale preclude in via definitiva la possibilità di far valere successivamente la situazione di incompatibilità, con la conseguenza che la consulenza rimane ritualmente acquisita al giudizio. La sostituzione o la revoca del consulente tecnico e del verificatoreAllorquando la consulenza tecnica o la verificazione svolte non siano valide a causa di qualche vizio del procedimento (ad esempio, nel caso della consulenza tecnica, per violazione del contraddittorio) oppure esse non si presentino adeguate o sufficientemente esaustive rispetto alle indagini delegate, il giudice amministrativo può disporre di rinnovare il mezzo istruttorio od ordinare un supplemento di consulenza tecnica o di verificazione oppure sostituire o revocare il consulente tecnico o il verificatore (ad esempio, quando ricorra il caso, testé esaminato, di un verificatore che abbia taciuto la sussistenza di una causa di incompatibilità). La sostituzione o la revoca degli ausiliari, ancorché non espressamente prevista dal Codice, deve reputarsi sicuramente consentita, in quanto rientrante nei poteri discrezionali riservati al collegio in materia. I provvedimenti di sostituzione o di revoca dell'ausiliario possono essere sollecitati anche dalle parti e possono intervenire anche ad incarico ancora in corso; essi, in genere, sono collegati a una valutazione di imperizia, negligenza o, più in generale, di inadempimento del consulente o del verificatore (un caso frequente è quello del consulente che non osservi, senza un giustificato motivo, i termini stabiliti dal giudice per lo svolgimento e la conclusione delle indagini delegate) o di impossibilità oggettiva, per costoro, di proseguire l'incarico. In ogni caso, al pari della scelta se disporre, o no, una consulenza tecnica o una verificazione, la sostituzione o la revoca degli ausiliari sono provvedimenti che, seppure suscettibili di essere sollecitati dalle parti, sono riservati alla discrezionalità del giudicante e assumono la forma dell'ordinanza collegiale. Deve poi ritenersi che, nell'ipotesi di sostituzione o di revoca dell'incarico conferito a un ausiliario, trovi applicazione l' art. 196 c.p.c., secondo cui il giudice – oltre ad avere la facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini già effettuate – può disporre la sostituzione dell'ausiliario solo al ricorrente di «gravi motivi». P Nella prassi gli ausiliari che non abbiano svolto diligentemente l'incarico loro affidato sono sovente sanzionati «indirettamente» con la riduzione del compenso loro spettante. Gli ausiliari del consulente tecnico o del verificatoreLa disposizione in commento non prevede che il consulente tecnico e il verificatore possano avvalersi delle prestazioni di altri ausiliari, ma tale eventualità è contemplata dall' art. 56, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 115/2002 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), secondo cui, se gli ausiliari del magistrato siano stati autorizzati ad avvalersi di altri prestatori d'opera per attività strumentale rispetto ai quesiti posti con l'incarico, la relativa spesa è determinata sulla base delle tabelle di cui all'art. 50 del medesimo decreto e, quando le prestazioni di carattere intellettuale o tecnico affidate agli ausiliari, abbiano una propria autonomia rispetto all'incarico affidato, allora il magistrato deve conferire a detti prestatori un incarico autonomo. Le previsioni, testé richiamate, si applicano anche al giudizio amministrativo. Da ciò discende che anche il consulente tecnico (e, in casi più rari, pure il verificatore) possa trovarsi nella necessità di affidare alcune attività ad altri prestatori d'opera (ad esempio, nell'ambito di una consulenza tecnica di carattere medico, potrebbe affiorare la necessità di effettuare alcuni accertamenti di carattere laboratoristico). Tale evenienza è ammessa a due condizioni e, segnatamente, a) l'ausiliario dovrà richiedere a tal fine un'autorizzazione preventiva al collegio (che provvederà con ordinanza) e b) l'incarico affidato a detti prestatori dovrà avere ad oggetto soltanto attività materiale o strumentale e non anche attività valutativa. In altri termini il consulente tecnico e il verificatore non potranno delegare a tali prestatori le attività prettamente valutative loro affidate; sicché, quando ciò accadesse, il giudice dovrebbe assegnare un incarico autonomo, diversamente il mezzo istruttorio eventualmente svolto risulterebbe invalido. Anche per i prestatori in questione varranno nondimeno le regole, sopra commentate, sull'astensione e la ricusazione degli ausiliari del giudice. In tal senso si è infatti pronunciata la Corte di cassazione (Cass. II, n. 9968/2016). BibliografiaConte, Le prove nel processo civile, Milano, 2002, 295; Scoca, Il primo correttivo al Codice, in Corr. giur. 2012, 301. |