Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 22 - Patrocinio

Roberto Chieppa

Patrocinio

 

1. Salvo quanto previsto dall'articolo 23, nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali è obbligatorio il patrocinio di avvocato.

2. Per i giudizi davanti al Consiglio di Stato è obbligatorio il ministero di avvocato ammesso al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori.

3. La parte o la persona che la rappresenta, quando ha la qualità necessaria per esercitare l'ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, può stare in giudizio senza il ministero di altro difensore.

Inquadramento

Nel Titolo II del libro I sono state disciplinate le parti e i difensori.

È significativo che un titolo del Libro I sia stato dedicato alle parti e ai difensori, a conferma che il processo amministrativo è oggi un processo di parti, non più dominato dai poteri officiosi del giudice e non più incentrato su un modello di giurisdizione di tipo obiettivo, finalizzato in primo luogo alla tutela della legalità dell'azione amministrativa, e solo indirettamente a quella delle singole posizioni giuridiche.

La tutela delle singole posizioni giuridiche è, invece, al centro del processo amministrativo, che è appunto un processo di parti.

Il Titolo, quindi, pur essendo dedicato alle parti, si occupa essenzialmente dei difensori, della procura alle liti e dell'elezione di domicilio.

L'art. 22 codifica la regola, già in precedenza vigente, del necessario patrocinio dell'avvocato.

Il patrocinio dell'avvocato: le parti

La norma apre il titolo II dedicato alle «parti e difensori», che si propone di caratterizzare il processo amministrativo – al pari di quello civile – come «processo di parti».

Al riguardo si segnala che, rispetto all'originario testo approvato dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato, non è più presente una disposizione sulle parti, che aveva il solo scopo di individuare e nominare le parti del processo amministrativo, ossia: il ricorrente principale, il ricorrente incidentale, la pubblica amministrazione o altro soggetto resistente, il controinteressato e l'interventore («1. Sono parti innanzi al giudice amministrativo il ricorrente principale, il ricorrente incidentale, la pubblica amministrazione o altro soggetto resistente, il controinteressato e l'interventore») (Chieppa, Il processo).

Cionondimeno, l'intera impostazione del Codice del processo amministrativo si fonda su tale processo come processo di parti. Tale conclusione resta valida anche se le modifiche introdotte dal Governo hanno espunto norme, che la Commissione istituita presso il Consiglio di Stato aveva introdotto per rendere esplicita tale caratteristica.

Segue. L'obbligo di difesa tecnica

Nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali, è obbligatorio il patrocinio di un avvocato.

L'assistenza tecnica obbligatoria costituisce il riflesso dell'inviolabilità del diritto di difesa predicato dall' art. 24, comma 2, Cost. e rappresenta una regola generale cui la legge può derogare ma salvo il limite dell'effettività della garanzia della difesa su un piano di uguaglianza. Di conseguenza sono da considerare eccezioni alla regola sul patrocinio obbligatorio, i casi di difesa personale della parte previsti dall'art. 23 (in materia di accesso, in materia elettorale e nei giudizi relativi al diritto dei cittadini dell'Unione Europea di circolare nel territorio degli Stati membri), che proprio in quanto tali non ammettono interpretazione estensiva o analogica (Cons. St. V, n. 4146/2015).

Nel processo amministrativo, ai sensi degli artt. 22 e 23, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso proposto in proprio da soggetto privo della qualifica professionale di Avvocato iscritto all'Albo professionale. Il mero possesso della laurea magistrale in giurisprudenza non consente di stare in giudizio senza l'assistenza di un difensore abilitato, ad eccezione dei soli casi previsti dall'art. 23, mentre a diverse conclusioni non inducono neppure gli artt. 1 e 2, d.P.R. 7 agosto 2012 n. 137, i quali fanno salva la perdurante necessità di iscrizione agli albi professionali (T.A.R. Piemonte I, 21 marzo 2014 n. 502). Analogamente deve escludersi la possibilità di patrocinio da parte del praticante abilitato, posto che il requisito richiesto dalla norma è quello di essere iscritto all'albo (T.A.R.Campania, n. 634/2009).

Nei giudizi davanti al Consiglio di Stato, ai sensi del comma 2 dell'art. 22, l'avvocato deve essere ammesso al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori e, di conseguenza, è inammissibile il ricorso in appello sottoscritto da avvocati non ammessi al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori (Cons. St. V, n. 999/2011; Cons. St. V, n. 6015/2014). In particolare, il ricorso in appello non sottoscritto da un legale abilitato deve ritenersi inammissibile per mancata valida instaurazione del rapporto processuale, essendo nullo l'atto difensivo prodotto da un soggetto sfornito dello ius postulandi dinanzi al giudice adito (Cons. St. VI, n. 2623/2014; T.A.R. Campania (Napoli) III, n. 1067/2013).

Si considera tuttavia ammissibile l'atto di appello, nel caso in cui lo stesso sia prodotto nel giudizio da soggetto sfornito dellojus postulandiinnanzi al Consiglio di Stato, qualora esso contenga, nell'epigrafe ed in calce, l'indicazione nominativa di altro legale abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, e l'atto risulti sottoscritto anche da esso legale e non soltanto dall'avvocato privo dello jus postulandi, con la conseguenza che la paternità dello stesso non può ascriversi esclusivamente a quest'ultimo difensore. (Cons. St. V, n. 504/2011). Secondo un indirizzo, la sottoscrizione finale dell'atto da parte del difensore abilitato al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori è idonea anche a certificare l'autenticità della firma della medesima e rende l'atto ammissibile (Cons. St. IV, n. 5778/2011).

Il riferimento al patrocinio include sia l'assistenza (mera difesa tecnica, espletabile in virtù di mandato) sia la rappresentanza, che consistono in due attività tra loro distinte. In particolare, si richiede oggi la procura che implica il potere di rappresentanza esterna per espletare il mandato (Mengozzi, 340; Picozza, Il proc. amm., 123). Più precisamente si osserva che l'attribuzione dei poteri è compiuta direttamente dalla legge, che riserva al difensore l'esercizio di determinati poteri – che la parte, personalmente, non potrebbe esercitare (Mandrioli, 361)

L'obbligatorietà della difesa tecnica trova riscontro nell'ipotesi di nullità comminata dall'art. 44, comma 1, lett.a), per cui è nullo il ricorso se privo della sottoscrizione del difensore munito di procura (v. commento sub art. 44 come la giurisprudenza ha declinato tale ipotesi di nullità).

Il comma 3, dell'art. 22, si limita a riprodurre l' art. 86 c.p.c., nel prevedere che la parte o la persona che la rappresenta, quando ha la qualità necessaria per esercitare l'ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, può stare in giudizio senza il ministero di altro difensore.

Gli avvocati dipendenti di enti pubblici ed iscritti nell'albo speciale annesso all'albo professionale godono di uno status particolare, in quanto, pur essendo a tutti gli effetti dipendenti pubblici e godendo di tutte le garanzie e le prerogative (economiche e giuridiche) connesse al pubblico impiego, sono legittimati all'esercizio della attività professionale per le cause e gli affari propri dell'Ente nel quale sono incardinati (e quindi, oltre alla retribuzione parametrata al livello di inquadramento contrattuale si aggiungono i compensi professionali per l'attività di natura contenziosa o consultiva svolta per conto dell'Ente) (T.A.R. Napoli, (Campania) V, n. 5025/2015, che dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle parti ricorrenti, in quanto la determinazione legislativa di un limite massimo alla liquidazione dei compensi professionali appare un equo contemperamento tra il diritto degli avvocati dipendenti ad un'equa retribuzione, proporzionata alla quantità e qualità dell'attività svolta ( art. 36 Cost.) e la necessità di salvaguardare la tenuta dei conti pubblici, tenendo conto che, in caso di sentenza favorevole con compensazione delle spese di lite, la liquidazione dei compensi professionali spettanti avviene a totale carico del bilancio dell'Ente di appartenenza).

Spetta all'Avvocatura dello Stato la rappresentanza e l'assistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato, vertendosi in ipotesi di patrocinio c.d. obbligatorio (con la conseguenza applicabilità del foro erariale e dell'obbligo di notificare gli atti processuali presso la sede dell'avvocatura competente (cfr. artt. 6 e 11, r.d. n. 1611/1933, nonché il commento sub art. 44 in relazione ai vizi della notificazione). Accanto a tale ipotesi vi è quella del c.d. patrocinio autorizzato, in base al quale l'Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorità giudiziarie, i Collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, delle amministrazioni diverse da quelle di cui all'art. 1 citato (in particolare, amministrazioni pubbliche non statali ed enti pubblici o comunque sovvenzionati) se autorizzata per disposizione di legge o regolamento ( art. 43 r.d. n. 1611/1933). Sussiste in ogni caso la possibilità di una deroga al principio del patrocinio esclusivo: l' art. 5 del r.d. n. 1611/1933 consente l'affidamento a singoli professionisti, con d.P.C. e sentito l'Avvocato Generale.

In caso di patrocinio autorizzato, qualora sia intervenuta l'autorizzazione, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello stesso comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni; salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza. Al riguardo, è stato precisato che, ai sensi dell'art. 43 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, la facoltà per le Università statali di derogare, “in casi speciali” al “patrocinio autorizzato” spettante ex lege all'Avvocatura dello Stato, per avvalersi dell'opera di liberi professionisti, è subordinata all'adozione di una specifica e motivata deliberazione dell'ente (i.e. del Rettore) da sottoporre agli organi di vigilanza per un controllo di legittimità (i. e. Consiglio di amministrazione). Come regola generale, la mancanza di tale controllo determina la nullità del mandato alle liti, non rilevando che esso sia stato conferito con le modalità prescritte dal Regolamento o dallo Statuto dell'Università, le quali sono fonti di rango secondario insuscettibili di derogare alla legislazione primaria. Però nei casi in cui ricorra una vera e propria urgenza, ai sensi dell'art. 12 del r.d. n. 1592 del 1933, il Rettore, nella qualità di Presidente del Consiglio d'amministrazione, può provvedere direttamente al conferimento dell'incarico all'avvocato del libero foro, purché curi di far approvare sollecitamente la relativa delibera dal Consiglio di amministrazione, così sanando la originaria irregolarità. Inoltre, in base al citato art. 43, è valido il mandato conferito ad avvocati del libero foro con il solo provvedimento del Rettore non seguito dal vaglio del Consiglio di amministrazione nel caso in cui si verifichi in concreto un conflitto di interessi sostanziali tra più enti pubblici che sono parti nel medesimo giudizio. Infatti, la presenza di un simile conflitto di interessi – che deve essere reale, non meramente ipotetico e documentato – rende non ipotizzabile il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato in favore dell'Università, sicché non vi è alcuna ragione di richiedere la suindicata preventiva autorizzazione (Cass. S.U., n. 24876/2017).

Infine, l'ultimo comma della norma in commento consente la difesa personale alla parte che esercita la professione legale. Si riprende sostanzialmente l' art. 86 c.p.c., riconoscendo la possibilità della c.d. difesa in proprio, caso in cui non è necessario l'ausilio di un altro difensore tecnico. A differenza delle ipotesi in cui la parte sta in giudizio personalmente, la difesa in proprio comporta il diritto a vedersi liquidati i propri onorari, anche se la difesa è compiuta nel proprio interesse.

La circostanza che l'avvocato si sia avvalso della facoltà di difesa personale non incide sulla natura professionale dell'attività svolta in proprio favore e, pertanto, non esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali, i diritti e gli onorari previsti per la sua prestazione (Cass. II, n. 189/2017).

Segue. Revoca del mandato e morte del procuratore

La necessità di garantire la continuità dell'esercizio del diritto di difesa ha portato all'affermazione del principio secondo cui la revoca o la rinuncia del mandato non hanno effetto nei confronti delle altre parti finché non è avvenuta la sostituzione del difensore.

La dichiarazione di rinuncia al mandato non è causa di interruzione del processo mentre la revoca e la rinuncia alla procura non hanno effetto nei confronti dell'altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore (T.A.R. Lazio (Roma) III, 22 dicembre 2016. n. 12785). Pertanto, l'esame della controversia può continuare anche nei suoi confronti, non incidendo la rinunzia sulla prosecuzione del giudizio atteso che, in ossequio al principio della c.d. perpetuatio dell'ufficio defensionale consacrato negli artt. 85 e 301 c.p.c., fino alla sua sostituzione, il difensore rinunciante (o revocato) conserva lo ius postulandi con riguardo al processo in corso, (T.A.R. Sicilia (Catania) III, 12 giugno 2015, n. 1657)

Diverso il caso di morte (ma anche sospensione o radiazione dall'albo) del procuratore, annoverato ai sensi dell' art. 301 c.p.c. tra le cause di interruzione del processo (giusto il rinvio di cui all'art. 79 cui si rinvia). In particolare, l'evento interruttivo si verifica con la morte e il successivo provvedimento del giudice assume valore dichiarativo.

Segue. Doveri e valori della professione forense

Rispetto all'originario testo approvato dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato, un'ulteriore modifica ha eliminato la norma sul dovere di lealtà e probità, che prevedeva che le parti e i difensori devono comportarsi in giudizio secondo lealtà e probità e collaborare con il giudice per la realizzazione dei fini di giustizia; che le violazioni dei doveri di lealtà e probità sono segnalate dal giudice agli organi disciplinari competenti e che l'amministrazione deve produrre gli atti del procedimento amministrativo ed esporre i fatti rilevanti a sua conoscenza (“Dovere di lealtà e probità”: «1. Le parti e i difensori devono comportarsi in giudizio secondo lealtà e probità e collaborare con il giudice per la realizzazione dei fini di giustizia. 2. Le violazioni dei doveri di lealtà e probità sono segnalate dal giudice agli organi disciplinari competenti. 3. L'amministrazione deve produrre gli atti del procedimento amministrativo ed esporre i fatti rilevanti a sua conoscenza»).

Per quanto sarebbe stato sicuramente meglio codificare tali principi, la loro espunzione dal Codice non può certo significare che è venuto meno l'obbligo sulle parti di attenersi alle regole di lealtà e di probità, previste dall' art. 88 c.p.c.

L'autonomia e l'indipendenza nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali costituiscono, per la legge, un requisito della professione: e l' articolo 3 della richiamata l. n. 244/2007 così puntualizza: «l'esercizio dell'attività di avvocato deve essere fondato sull'autonomia e sulla indipendenza dell'azione professionale e del giudizio intellettuale», laddove «la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale della difesa». Quindi, solo in limitati ed eccezionali ipotesi la legge permette agli esercenti la professione forense di porre in essere, a vantaggio di terzi soggetti, rapporti di lavoro di tipo subordinato, ovvero di stipulare contratti di prestazione di opera continuativa e coordinata che hanno ad oggetto la consulenza e l'assistenza legale stragiudiziale, nell'esclusivo interesse del datore di lavoro o del soggetto in favore del quale l'opera viene prestata (Cons. St. V, n. 2731/2017).

Così l'istanza di prelievo ex art. 71-bis, nel cui corpo gli appellanti definiscono l'istruttoria «completa», implica la rinuncia alla coltivazione della richiesta istruttoria formulata in atto di appello, in considerazione ed applicazione del dovere di chiarezza di cui all'art. 3, a sua volta precipitato applicativo del più generale dovere di lealtà e probità enucleato dall' art. 88 c.p.c., che impone alle parti di sopportare le conseguenze, dirette ed indirette, delle proprie scelte processuali (Cons. St. IV, n. 364/2017).

Sotto altro aspetto, si è ritenuto contrario ai doveri di lealtà e probità processuale ex art. 88 c.p.c.l'eventuale inadempimento ad un ordine istruttorio impartito dal Tribunale in base al principio della vicinanza della prova, potendo anche condannare la parte processuale al rimborso delle spese, anche non ripetibili, cagionate alle altre parti per l'inadempimento all'ordine istruttorio, trasmettendo contestualmente gli atti alla competente Procura della Corte dei Conti per l'azione di ristoro del danno erariale nei confronti dei funzionari dell'Amministrazione in concreto responsabili della mancata ottemperanza all'incombente disposto dal Tribunale (T.A.R. Sicilia, (Catania) II, n. 2545/2016).

La condanna per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell' art. 96 c.p.c. si configura quale sanzione dell'inosservanza del dovere di lealtà e probità al quale ciascuna parte è tenuta. Simile responsabilità, tuttavia, non può derivare dal solo fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, poiché occorre che l'altra parte deduca e dimostri nell'indicato comportamento dell'avversario la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell'ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell'infondatezza delle suddette tesi (Cons. St. III, n. 5520/2015, v., anche Cass. I, n. 6675/2015).

Segue. Il gratuito patrocinio

Anche nel processo amministrativo è ammesso il gratuito patrocinio.

L'istituto si pone in diretta attuazione dell' art. 24 Cost., in base al quale «sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione» e trova la sua compiuta disciplina nel d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia»). In particolare, gli artt. 74-89 recano le disposizioni generali sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario.

In caso di ammissione del ricorrente al beneficio del gratuito patrocinio, l'incarico viene sostanzialmente «conferito» in sede di Commissione gratuito patrocinio e ogni rapporto economico scaturente da quell'incarico deve avere il soggetto pubblico quale referente/controllore (autorità giudiziaria ove si è svolto il giudizio) con conseguente necessità, per l'avvocato autorizzato a svolgere la difesa, di rivolgersi al Presidente del Tar per la liquidazione del corrispettivo per gli onorari, ai sensi di quanto disposto dall' art. 131 comma 4, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (in base al quale «sono spese anticipate dall'erario: a) gli onorari e le spese dovute al difensore;...») (T.A.R. Sardegna (Cagliari) I,  n. 436/2013).

L' art. 119 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 non implica l'ammissione tout court delle  Onlus  al gratuito patrocinio, ma va letta ed interpretata unitariamente con le restanti disposizioni in materia e, quindi, nel senso che il trattamento di cui può godere il cittadino, persona fisica, è esteso anche ad enti ed associazioni che non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica purché, però, rientrino nei parametri reddituali di cui all' art. 76 del medesimo d.P.R. n. 115 del 2002, applicabili a tutte le ipotesi di patrocinio. (T.A.R. Sicilia (Palermo) III, n. 1757/2016).

Al riguardo, la Corte costituzionale ha ritenuto infondati i dubbi di costituzionalità sollevati in relazione all'art. 119, ultima parte, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui esclude dal patrocinio a spese dello Stato gli enti o le associazioni che, pur non perseguendo fini di lucro, esercitano un'attività economica (Corte cost. n. 35/2019).

La Consulta ha precisato che non può reputarsi manifestamente irragionevole la scelta legislativa in base alla quale, in controversie civili, amministrative, contabili o tributarie, è esclusa l'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato di enti o associazioni, i quali, se pure non perseguono fini di lucro, esercitano una attività economica che – proprio perché tale, e a prescindere dalla destinazione degli eventuali utili e dalla consistenza di cespiti patrimoniali – consente accantonamenti in vista, fra l'altro, proprio di eventuali contenziosi giudiziali. Una situazione, questa, assai diversa da quella che caratterizza il regime che disciplina il beneficio in favore delle persone fisiche, per le quali l'attività economica si traduce in un reddito che, sotto soglie che spetta al legislatore determinare, giustifica l'intervento dello Stato a tutela e garanzia dell'effettivo esercizio del diritto di azione e di difesa.

Avverso il decreto di diniego di ammissione al gratuito patrocinio adottato dalla apposita commissione è possibile proporre reclamo, ai sensi dell' art. 126, ultimo comma, d.P.R. n. 115 del 2002, al Tar competente per la decisione sulla domanda giudiziale che il richiedente intenderebbe proporre. (T.A.R. Lombardia (Milano) I,  n. 2743/2013).

In caso di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, adottata con la sentenza che definisce la causa, l'impugnazione della revoca deve avvenire con lo strumento dell'appello, senza che sia configurabile una separata opposizione ex art. 170, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cons. giust. amm. Sicilia, n. 177/2018).

Ai sensi dell' art. 133, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nell'ambito del procedimento per gratuito patrocinio le spese anticipate dall'Erario nei confronti della parte ammessa al gratuito patrocinio possono essere dallo stesso recuperate in ipotesi di condanna del soccombente al pagamento delle spese nei confronti della parte ammessa al gratuito patrocinio. Tale disposizione normativa — applicabile anche al processo amministrativo — preclude la liquidazione delle spese processuali in capo alla parte vittoriosa ammessa al gratuito patrocinio, disponendo che tali spese debbano liquidarsi in favore dello Stato quale soggetto titolare ex lege del diritto di rivalsa (T.A.R. Lazio (Roma) II,  n. 1226/2013).

Bibliografia

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