Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 86 - Procedimento di correzioneProcedimento di correzione
1. Ove occorra correggere omissioni o errori materiali, la domanda per la correzione deve essere proposta al giudice che ha emesso il provvedimento, il quale, se vi è il consenso delle parti, dispone con decreto, in camera di consiglio, la correzione. 2. In caso di dissenso delle parti, sulla domanda di correzione pronuncia il collegio con ordinanza in camera di consiglio. 3. La correzione si effettua a margine o in calce al provvedimento originale, con indicazione del decreto o dell'ordinanza che l'ha disposta. InquadramentoIl Titolo VII riguarda il procedimento di correzione di omissioni o errori materiali contenuti nei provvedimenti del giudice. La correzione di errore materiale presuppone che l'errore sia immediatamente rilevabile in modo obiettivo, senza necessità di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice. Il procedimento per la correzione di errore materialeIl procedimento per la correzione di errore materiale non ha natura impugnatoria ed è, infatti, disciplinato nel libro II del Codice, e non nel libro III dedicato alle impugnazioni. Questa è anche la ragione per cui la domanda di correzione va proposta allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento da correggere. Il procedimento è finalizzato alla correzione anche delle omissioni e, in caso di accordo tra le parti, può essere semplificato e definito con decreto, altrimenti è definito con ordinanza collegiale in camera di consiglio. Rispetto alla normativa previgente ( art. 93 r.d. n. 642/1907 — reg proc. Cons. St.) la sostituzione del termine decisione (da correggere) con il termine provvedimento conferma che l'istituto è utilizzabile con riferimento ad ogni tipologia di provvedimento del giudice, comprese le ordinanze (Patrito, 458). Legittimate a proporre l'istanza di correzione sono tutte le parti, anche se il procedimento può essere attivato anche d’ufficio (v. par. 2.1). Per la presentazione dell'istanza non è previsto alcun termine, ma se l'istanza è depositata oltre un anno dalla pubblicazione della decisione, l'istanza va notificata alla parte personalmente ai sensi dell' art. 288 c.p.c. (Caringella-Protto, Codice, 769) All'esito del procedimento la correzione è materialmente apportata dal segretario mediante annotazione in calce o a margine dell'originale del provvedimento corretto. Rispetto a quanto in precedenza previsto dall' art. 93 del r.d. n. 642/1907, è stato eliminato il riferimento alla ipotesi di correzione per «aggiungere alcuna delle conclusioni, che, presa dalle parti, non sia stata riferita nella decisione, ma risulti dai motivi che col dispositivo vi si è provveduto». Ai sensi dell'art. 86 l'errore suscettibile di correzione è quello che si estrinseca in una inesattezza o svista accidentale rilevando una discrepanza tra la volontà del giudicante e la sua rappresentazione, chiaramente riconoscibile da chiunque, e che è rilevabile dal contesto stesso dell'atto, e la relativa disciplina è applicabile anche nell'ipotesi di contrasto tra dispositivo e motivazione della decisione tutte le volte in cui, in termini inequivocabili, rilevabili «ictu oculi», essa statuisca nel dispositivo in difformità di quanto argomentatamente esposto in motivazione ( Cons. St. III, n. 4695/2011; Cons. St. IV, n. 2935/2016; si deve trattare in ogni caso di una divergenza che dipende da un mero errore materiale, obiettivamente riconoscibile Cons.St. IV n. 5557/2016; Cons. St., n. 5427/2016, Cons. St. IV n. 2935/2016). In altri termini, l'errore deve riguardare non la sostanza del giudizio, ma la manifestazione del pensiero all'atto della formazione del provvedimento, di talché la divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale appare «fortuita», cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile ictu oculi. È questo il caso in cui, ad esempio, nel provvedimento del giudice, dopo aver sottolineato che «sembra assistito da fumus l'appello delle amministrazioni«, in ragione degli elementi indizianti rappresentati, tuttavia nel dispositivo si »respinge« l'istanza cautelare. In tale contesto, l'uso del termine »respinge« costituisce divergenza tra dispositivo e motivazione, dipendente da mera svista oggettivamente riconoscibile da chiunque, in relazione al quale risulta esperibile la correzione degli errori materiali, ex art. 86 ( Cons. St. III, n. 871/2016). Deve quindi ritenersi inammissibile l'istanza di correzione, quando l'asserito errore consiste nella mancata pronuncia da parte del giudice su un capo della domanda, in quanto in questo caso non si ha una mera omissione materiale ( T.A.R. Lazio (Roma) II 6 marzo 2014 n. 2593). A tale regola generale, fanno eccezione i casi in cui l'omessa pronuncia riguarda una istanza o domanda accessoria in relazione alla quale, la statuizione del giudice assume carattere vincolato, o necessario, in presenza dei relativi presupposti. Si è così ritenuto che la mancata liquidazione, nella sentenza, delle somme dovute per le spese generali, costituisce un errore materiale, posto che il rimborso cosiddetto forfetario delle spese generali costituisce una componente delle spese giudiziali la cui misura è predeterminata dalla legge e che spetta automaticamente al professionista difensore anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza (implicita nella domanda di condanna della parte soccombente al pagamento degli onorari giudiziali) (T.A.R. Sicilia (Catania) II 23 marzo 2016, n. 820). Ciò vale anche nei casi in cui, non risulta disposto, per mera omissione di carattere materiale, la distrazione degli onorari e delle spese, per come liquidate in dispositivo, in favore del difensore della parte appellata, dichiaratosi antistatario. Cons. St. III, n. 5491/2015 (che si richiama all'orientamento invalso nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione — in particolare, Cass.S.U.,n. 16037/2010- secondo il quale l'omessa pronuncia sull'istanza di distrazione possa essere, in effetti, ricondotta più ad una mancanza materiale che non ad un vizio di attività o di giudizio da parte del giudice — e, quindi, ad un errore percettivo di quest'ultimo —, data la natura essenzialmente obbligata della decisione positiva da parte del giudice). Analogamente si procede nel caso il giudice, nella stesura della sentenza, condanna al pagamento delle spese di lite in favore della parte vittoriosa anziché dell'avvocato dichiaratosi antistatario ( T.A.R. Umbria I, 12 ottobre 2015 n. 484), ovvero nel caso della mancata liquidazione, nella sentenza, degli onorari di avvocato, in quanto l'omissione riscontrata riguarda una statuizione di natura accessoria e a contenuto normativamente obbligato, che richiede al giudice una mera operazione tecnico-esecutiva, da svolgersi sulla base di presupposti e parametri oggettivi (T.A.R. Lazio (Latina) I 10 ottobre 2013 n. 743). L'istanza è proponibile anche avverso le ordinanze cautelari, nei casi in cui sussiste un evidente contrasto tra motivazione e dispositivo. Va disposta la correzione dell'ordinanza nella quale il dispositivo di reiezione della domanda cautelare, contrasta apertamente con l'ampia motivazione contenuta nella premessa della medesima ordinanza, che si conclude considerando che «l'appello cautelare merita quindi accoglimento» (Cons. St. ord., n. 4540/2016). Con il provvedimento di correzione, in caso di modifica del dispositivo, il giudice dispone la annotazione della correzione in calce del provvedimento emendato e può altresì disporre i successivi incombenti della fase processuale (ad es., la fissazione tempestiva della prosecuzione dell'appello in caso di accoglimento della domanda cautelare). È ammissibile la conversione della istanza di correzione avverso l'ordinanza cautelare in domanda di revocazione ( Cons. St., n. 661/2016). Quando invece il contrasto fra motivazione e dispositivo non costituisce «svista» o «lapsus calami» del giudice, tale contrasto non è sanabile (almeno non con il procedimento di correzione), non potendosene a tutta evidenza individuare l'effettiva voluntas con riferimento al punto specifico della materia del contendere. Applicando tale principio è stato affermato che deve pertanto essere respinta l'istanza di correzione di errore materiale oggettivo in caso di contrasto tra motivazione, nella quale si dispone la compensazione delle spese di giudizio, e dispositivo, nel quale, invece, le spese vengono poste a carico della parte soccombente, provvedendosi anche alla specifica quantificazione delle medesime ( Cons. St. IV, n. 4198/2015). Ciò implica anche l'inapplicabilità della procedura in esame al caso in cui la parte motiva non consente di comprendere il percorso motivazionale e le ragioni della decisione. Deve ritenersi nulla – e non assoggettabile alla procedura di correzione di errore materiale – la sentenza che, per errore di redazione, contenga una parte motiva che risulta esattamente identica, parola per parola, alla parte espositiva in fatto la quale contiene solamente un sommario sunto riferito allo svolgimento del giudizio di primo grado e non lascia trasparire quale iter decisorio abbia effettivamente condotto al rigetto del ricorso ( Cons. St. V, n. 5069/2011). Procedimento di correzione. La disciplina processuale dell'istituto in esame non prevede un nuovo giudizio, ma una fase incidentale che si apre nel giudizio instaurato tesa a individuare l'errore e emendare la pronuncia resa. Il procedimento semplificato può essere attivato su istanza di parte o anche d'ufficio e si fonda e sul necessario contraddittorio con le parti interessate e si svolge secondo le forme della camera di consiglio. La possibilità di attivare il procedimento di correzione anche di ufficio è stata riconosciuta da Cons. St., Ad. Plen., n. 1/2023, che ha evidenziato che si tratta di un procedimento privo di connotati giurisdizionali e di natura sostanzialmente amministrativa e ciò giustificata la possibile assenza di una domanda di parte (Cons. St. Ad. Plen., decr. n. 13/2024 ha ritenuto che la disciplina del procedimento officioso di correzione degli errori materiali di cui all'art. 391-bis c.p.c. è applicabile anche nei giudizi innanzi al Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 39 comma I c.p.a.). Nel processo amministrativo, ai sensi dell'art. 86 è inammissibile l'istanza di rettifica di errore materiale contenuto in sentenza, che non sia stata notificata alla controparte nel domicilio eletto prima del suo deposito, salva la facoltà di riproporla ( Cons. St. III, n. 4916/2013). È illegittima l'ordinanza di correzione di errore materiale adottata ad esito di un procedimento promosso d'ufficio e senza avviso alcuno agli interessati ( Cons. St. V, n. 5069/2011). Si evidenzia che, l'ammissibilità della domanda è in ogni caso subordinata ad un effettivo interesse per il ricorrente, come derivante da una oggettiva situazione di incertezza circa il contenuto della pronuncia (Apicella, 647). Con riferimento alla possibilità di emendare d'ufficio il dispositivo pubblicato anteriormente alla pubblicazione della sentenza, si ritiene ammissibile la statuizione del giudice che, avvedutosi della difformità tra il dispositivo pubblicato e la decisione assunta in Camera di Consiglio, proceda all'eliminazione dell'errore, disponendo la correzione del dispositivo ( Cons. St. V, n. 2197/2002). In dottrina si propende per l'ammissibilità del procedimento di correzione d'ufficio, anche in considerazione delle evidenti ragioni di economia processuale (De Nictolis, Proc. amm.vo, 1500). In sede di correzione di errore materiale non si può condannare una delle parti alla rifusione delle spese di giudizio, non essendo configurabile alcuna posizione di soccombenza. Di diverso avviso chi attribuisce natura decisoria (e non meramente provvedi mentale) alla pronuncia sulla istanza di correzione, in quanto risolve una questione, benché di tipo tecnico, con conseguente individuabilità, in caso di dissenso delle parti, di una soccombenza (Saitta, Sistema, 223). Il rapporto tra correzione di errore materiale e impugnazioniÈ già stato evidenziato come la correzione di errore materiale differisca e non rientri tra le impugnazioni. Tale impostazione è propria anche nel codice di procedura civile, che anche separa nettamente nel libro II il procedimento di correzione (titolo I) dalle impugnazioni (titolo III) ed il loro oggetto (descritto, rispettivamente, negli artt. 287 e 161, primo comma, c.p.c..). L' art. 287 c.p.c. prevedeva che «le sentenze contro le quali non sia stato proposto appello... possono essere corrette, su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate...». Tale locuzione ha fatto sì che essa sia stata subito, e quasi unanimemente, intesa come confermativa dell'orientamento dominante nella vigenza del codice del 1865: nel senso, cioè, che il procedimento di correzione è «assorbito» in quello di appello che lo renderebbe inutile (e inammissibile), essendo l'appello un rimedio con devoluzione illimitata, destinato a concludersi con una pronuncia sostitutiva di quella bisognosa di correzione. Le medesime norme sono state ritenute idonee a disciplinare la correzione sia delle sentenze d'appello sia (anteriormente alla legge 26 novembre 1990, n. 353, art. 67) quelle di cassazione: nel primo caso perché la proposizione di un mezzo d'impugnazione limitato, e per ciò stesso inidoneo come il ricorso per cassazione — cfr., per l'analoga situazione della «sentenza arbitrale», l' art. 826 c.p.c. nel testo ante legge 5 gennaio 1994, n. 25 (Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell'arbitrato internazionale) —, non impediva al giudice d'appello di emendare la propria sentenza; nel secondo caso perché la correzione da parte della Corte di cassazione dell'errore inficiante la propria sentenza non vulnerava, attesa l'ontologica diversità della correzione dall'impugnazione, il principio della inimpugnabilità delle sentenze della Suprema Corte. Dal quadro normativo appena delineato emergeva come la regola per cui il procedimento di correzione è insensibile alla proposizione dell'impugnazione ed è di competenza del giudice che ha emesso il provvedimento affetto da errore (lato sensu) ostativo subisce l'unica eccezione della sentenza di primo grado già investita dall'appello (sentenza di primo grado alla quale è, ovviamente, equiparabile il decreto ingiuntivo). Come si è ricordato, tale eccezione è stata da sempre giustificata con la particolare natura — di mezzo di impugnazione illimitato e con effetto sostitutivo — dell'appello, la quale consente di «assorbire» in tale procedimento quello speciale di correzione e di trasferire al giudice dell'appello il relativo potere: donde la conclusione che, «rientrando la correzione nei compiti di revisione conferiti al giudice del gravame», questi può disporla solo con la sentenza che, decidendo sull'appello, si sostituisce a quella gravata. L' art. 287 c.p.c., in materia di correzione delle sentenze e delle ordinanze, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente alle parole «contro le quali non sia stato proposto appello» e, di conseguenza, possono essere corrette anche le sentenze contro le quali sia stato proposto appello ( Corte cost., n. 335/2004). Ha osservato la Corte che le esigenze di economia processuale — la superfluità, cioè, dell'esperimento del procedimento speciale in pendenza di un giudizio (d'appello) idoneo ad emendare la sentenza dall'errore che la inficiava, trattandosi di «una correzione in pura perdita, quasi un ornamento apposto a una casa destinata a crollare» — potevano costituire una sufficiente giustificazione della scelta legislativa, e degli inconvenienti che essa comportava, quando la sentenza di primo grado, sia pure con eccezioni sempre più frequenti, era ancora normalmente priva di efficacia esecutiva in ragione della sua appellabilità ( art. 337, primo comma, c.p.c., antel. n. 353/1990, art. 49). La sostituzione della norma da ultimo citata con quella secondo cui «l'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione», unita all'espressa previsione della immediata esecutività della sentenza di primo grado ( art. 282 c.p.c., come sostituito dall' art. 33 della l. n. 353/1990), ha modificato profondamente il quadro normativo nel quale continua a collocarsi l'art. 287 e la scelta legislativa con esso operata: la sentenza appellata, affetta da errore correggibile, era sottoposta olim al regime ordinario della sentenza di primo grado (quello c.d. della sentenza soggetta a gravame), laddove, dopo la l. n. 353/1990, ad essa continua ad essere riservato il medesimo trattamento che, però, è divenuto eccezionale e deteriore rispetto a quello di cui gode, oggi, la sentenza di primo grado. Non soltanto, dunque, le ragioni di economia processuale, sulle quali si fondava la scelta legislativa di cui all' art. 287 c.p.c., risultano profondamente «indebolite» da ciò, che esse diventano causa di assoggettamento della sentenza di primo grado ad un regime eccezionale (laddove, in precedenza, esse provocavano l'assoggettamento al regime ordinario anche delle sentenze che, eccezionalmente, erano munite di efficacia esecutiva), ma l'intrinseca «debolezza» di quelle ragioni è testimoniata dalla loro non costante applicazione: il sopravvenire dell'appello in pendenza del procedimento di correzione non determina l'improcedibilità di quest'ultimo, così come qualsiasi altro mezzo di impugnazione — anche se non limitato — non comporta né l'inammissibilità né l'improcedibilità del procedimento di correzione. Le esigenze di economia processuale recepite dal legislatore con l' art. 287 c.p.c., in sintesi, sono tali da tollerare la pendenza contestuale del procedimento di correzione e dei procedimenti di impugnazione, e perfino del procedimento di appello quando questo sia posteriore a quello di correzione; in conclusione, esse sono poste a fondamento di un'eccezionale disciplina dei rapporti tra procedimento di correzione e procedimenti di impugnazione. In ogni caso, le medesime ragioni di economia processuale non precludono al giudice di secondo grado di accogliere direttamente la domanda di correzione fatta dall'appellante ( Cons. St. V n. 4019/2014). Invero, in giurisprudenza è consolidato l'indirizzo secondo cui, in pendenza del termine per l'appello, l'errore materiale che infici la sentenza non ancora passata in giudicato può essere denunciato con apposito motivo di impugnazione anziché far luogo all'apposita procedura di correzione ( Cons. St. IV n. 26/2016). La proposizione dell'istanza di correzione non implica conoscenza legale della sentenza che si chiede di correggere con la conseguenza che è ininfluente ai fini del decorso del termine breve per l'impugnazione. La notifica dell'istanza di correzione di errore materiale della sentenza è inidonea a far decorrere il termine breve ex art. 325 c.p.c., stante la natura amministrativa e non impugnatoria del procedimento di correzione, sicché non può trovare applicazione il principio per il quale, ai fini della decorrenza del detto termine, la notifica dell'impugnazione equivale, sul piano della «conoscenza legale» da parte dell'impugnante, alla notificazione della sentenza impugnata Cass.S.U., n. 5053/2017; Cass. II, n. 17122/2011). La natura sostanzialmente amministrativa del provvedimento di correzione esclude che avvero il medesimo possa essere proposto appello ( Cons. St. V, n. 1365/2010) L' art. 288 c.p.c., nel disporre che le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l'ordinanza di correzione, appresta uno specifico mezzo, che esclude l'impugnabilità per altra via del provvedimento. Sarà quindi soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione la sentenza errata o corretta, senza che però vi sia una rimessione in termini per far valere errori di giudizio ( Cass.S.U., n. 971/2010; Cass. I, n. 2819/2016). BibliografiaApicella, Articolo 86, in Quaranta, Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo. Commentario al D.lgs. 104/2010, Milano, 2011, 639 ss.; Boccagna, Errore materiale e correzione dei provvedimenti del giudice, Napoli, 2017; Caianiello, Correzione e integrazione dei provvedimenti del giudice. III) diritto processuale amministrativo, in Enc. giur., X, Roma, 1988; Menchini-Renzi, Correzione di errore materiale dei provvedimenti del giudice, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 843 ss; Patrito, Lo svolgimento del giudizio e le decisioni emesse in camera di consiglio, in Caranta (a cura di), Il nuovo processo amministrativo, Bologna, 2011; Poli, La correzione di errore materiale e la ricostruzione degli atti, in Caringella, Manuale di giustizia amministrativa, Roma, 2008, II, 529. |