Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 43 - Motivi aggiuntiMotivi aggiunti
1. I ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte. Ai motivi aggiunti si applica la disciplina prevista per il ricorso, ivi compresa quella relativa ai termini. 2. Le notifiche alle controparti costituite avvengono ai sensi dell'articolo 170 del codice di procedura civile. 3. Se la domanda nuova di cui al comma 1 è stata proposta con ricorso separato davanti allo stesso tribunale, il giudice provvede alla riunione dei ricorsi ai sensi dell'articolo 70. Note operative
Per i termini di proposizione del ricorso v. sub art. 40; per i termini del deposito, v. sub art. 45 InquadramentoI motivi aggiunti sono lo strumento con cui si possono introdurre nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte o si possono proporre domande nuove purché connesse con quelle già proposte. A seguito dell'entrata in vigore del Codice non sussiste più il limite dell'identità soggettiva delle parti del giudizio principale rispetto ai motivi aggiunti, che possono quindi comportare la necessità di notificazione a soggetti terzi. Ai motivi aggiunti si applica la disciplina dei termini prevista per il ricorso e, quindi, il termine di sessanta giorni in caso di impugnazione di nuovi atti o per la proposizione di motivi ulteriori avverso atti già impugnati. La proposizione di motivi aggiuntiL'istituto dei motivi aggiunti ha consentito al processo amministrativo di fare un ulteriore passo dal modello impugnatorio a giudizio avente ad oggetto la pretesa sostanziale dedotta dal ricorrente. L'ammissibilità dell'impugnazione con motivi aggiunti di nuovi atti, originariamente introdotta nella l. TAR ad opera della l. n. 205/2000, ha consentito di superare quelle tesi formalistiche che individuavano quale effetto del nuovo atto adottato dall'amministrazione la necessaria improcedibilità del ricorso pendente e che ponevano limiti alle c.d. ordinanze propulsive del giudice amministrativo, dirette proprio a stimolare la adozione di un nuovo atto da parte dell'amministrazione. Oggi, il riesercizio del potere della p.a., sia se avvenuto su stimolo del giudice che autonomamente in seguito all'utilizzo dei poteri di autotutela, non determina di per sé alcuna preclusione processuale alla tutela già esperita, ma anzi consente di estendere l'oggetto del giudizio a profili ulteriori, più attinenti alla pretesa sostanziale dedotta. L'art. 43, comma 1, prevede che i ricorrenti, principale e incidentale, possono addurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già spiegate, così realizzando l'esigenza di concentrazione processuale in relazione di questioni correlate e attinenti ad un giudizio già instaurato. In dottrina si distinguono i motivi aggiunti in base alla loro incidenza sulla causa petendi, sul petitum o sul tipo di azione. Nella specie, se si adducono nuove ragioni o nuovi motivi a sostegno delle domande già proposte (c.d. motivi propri) si determina un ampliamento della causa petendi: i nuovi motivi si inseriscono nel ricorso originario in maniera accessoria, condividendone le sorti. Viceversa, se si introducono domande nuove o nuove azioni in senso ampliativo o modificativo del petitum (c.d. motivi impropri) gli stessi acquisiscono valenza autonoma, alla stregua di un ricorso separato, seppur connesso con l'originario, con la naturale conseguenza che rimangono esenti dagli effetti di una eventuale inammissibilità del ricorso originario (Caringella, Manuale, 357; Traina, 588). Si tratta di uno strumento obbligatorio per la parte che vuole ampliare il thema decidendum del giudizio promosso. La giurisprudenza ha evidenziato infatti come la fissazione del thema decidendi avvenga entro il termine decadenziale per la notifica del ricorso e ciò impedisce l'esame di motivi nuovi che non siano stati introdotti attraverso le forme del ricorso per motivi aggiunti. Tale principio non ha natura disponibile, sicché le parti del processo amministrativo non possono supplire alle non corrette forme di introduzione delle doglianze nel giudizio amministrativo, accettando sul punto il contraddittorio. Ciò vale in particolare nei casi in cui il motivo introdotto successivamente al ricorso non possa essere considerato come mero sviluppo di doglianza già introdotta con il ricorso correttamente notificato, ma con questo viene introdotto nel processo un tema d'indagine completamente nuovo, perché basato su presupposti totalmente difformi da quelli prospettati nell'atto introduttivo del giudizio ( Cons. St., V, n. 4682/2015). Il necessario rispetto delle forme previste per il ricorso introduttivo determina che non sia ammissibile l'introduzione di nuovi motivi con semplice memoria non notificata alla controparte (T.A.R. Milano, IV, 18 settembre 2020, n. 167; T.A.R. Marche, 7 novembre 2014, n. 124; T.A.R. Molise, 6 giugno 2016, n. 221). In giurisprudenza si è ritenuto che il presupposto necessario e il limite di operatività dell'istituto dei motivi aggiunti (anche in base alla precedente disciplina di cui all' art. 21, l. Tar) è l'esistenza di un rapporto di connessione tra i diversi provvedimenti, intendendosi per tale non la connessione agli atti già impugnati ma, più in generale, all'oggetto del giudizio instaurato. Più nello specifico, i profili di connessione oggettiva alla base dei motivi aggiunti sono stati intesi nel senso di qualificare l'atto sopravvenuto come episodio della medesima lesione nei confronti dell'interesse del ricorrente (richiedendo dunque un rapporto di connessione tra i diversi provvedimenti con riguardo all'oggetto del giudizio, che manca quando, ad esempio, i diversi atti regolino in tempi diversi la stessa fattispecie) ( Cons. St., IV n. 2289/2012; Cons. St. V, n. 1307/2007; T.A.R. Piemonte (Torino) II, n. 581/2013). Escludendo l'ammissibilità dei motivi aggiunti proposti da soggetti diversi dal ricorrente, la giurisprudenza ha evidenziato come l'unicità del rapporto sostanziale affetto dai provvedimenti costituisca una indefettibile condizione di ammissibilità dell'istituto, che non può essere rivolto avverso atti che, seppur connessi con quello oggetto di gravame, incidano su soggetti diversi (T.A.R. Campania (Napoli) II, 11 settembre 2013, n. 4225). A maggior ragione si è dichiarata l'inammissibilità dei motivi aggiunti, qualora con questi si impugni no successivi provvedimenti emessi dalla medesima autorità che, tuttavia, non presentino alcun collegamento con quelli oggetto del ricorso originario (a parte la coincidenza temporale) (T.A.R. Marche I, 31 luglio 2017, n. 633). Con riguardo alla nozione di connessione, si è evidenziato come il concetto di connessione non rinviene una definizione specifica nell'art. 43 ed è suscettibile di estendersi ad una vasta gamma di collegamenti eterogenei e diversi (Caringella-Protto, Manuale, 616). Anche sulla base della elaborazione giurisprudenziale si sono distinte talune ipotesi che, nella prassi, appaiono le più frequenti. Si tratta dei casi di connessione infraprocedimentale (atti del medesimo procedimento adottati in tempi diversi), di reiterazione procedimentale (atti di un procedimento di secondo grado con cui l'amministrazione sostituisce il provvedimento impugnato), ovvero ancora di connessione sostanziale, dove assumono rilievo l'interesse sostanziale della parte che può configurarsi unitario e omogeneo, pur se leso da atti amministrativi afferenti a distinti procedimenti (così modellando tale ipotesi con i casi in cui, se promossi separatamente, i ricorsi sarebbero comunque soggetti a riunione; v. art. 43, c. 3) (De Nictolis, Proc. Amm., 681). Nello stesso chi sottolinea come la connessione debba essere valutata «senza formalismi», sussistendo ogniqualvolta le vicende riguardino il medesimo bene della vita o gli atti attengano alla cura del medesimo interesse pubblico (Traina, 590). L'impugnazione attraverso la proposizione di motivi aggiunti dei provvedimenti successivi, adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti e connessi all'oggetto del ricorso stesso rappresenta una mera facoltà rimessa al ricorrente, potendo i medesimi ben essere gravati mediante un autonomo ricorso (unica eccezione a tale principio si rinvenne nell'art. 120, c. 7, che richiede che «i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti»). Con riferimento al rapporto tra gli atti di ammissione o esclusione, impugnati sulla base del previgente rito ex comma 2-bis dell’art. 120, e e il successivo atto di aggiudicazione, si è ritenuto che il comma 7 dell' art. 120 c.p.a. debba essere interpretato nel senso di riconoscere alla parte ricorrente la facoltà (e non l'obbligo) di proporre autonoma impugnativa avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara, ove questo sia sopraggiunto all'introduzione del non ancora definito giudizio ex art. 120, comma 6-bis, c.p.a., senza in assoluto escludere né la possibilità di un'impugnativa congiunta, né la proposizione successiva di motivi aggiunti. In tale ultimo caso, ponendosi un problema di coesistenza tra il rito superspeciale (per gli atti di cui al comma 2-bis) e quello ordinario degli appalti, si deve riconoscere prevalenza al rito che si presti a fornire maggiori garanzie per tutte le parti coinvolte nell'unica vicenda processuale, in ragione della necessità di individuare tra più discipline confliggenti quella che fissi regole e termini processuali in grado di offrire una maggiore salvaguardia del diritto di difesa (T.A.R. Campania (Napoli), 19 gennaio 2017, n. 434). L'istituto dei motivi aggiunti deve anche essere inquadrato alla luce della possibilità che l'amministrazione integri successivamente la motivazione del provvedimento (c.d. motivazione postuma) — possibilità non esclusa in senso assoluto dall' art. 21-octies l. n. 241/1990. Se da un lato è inammissibile l'integrazione postuma della motivazione di un atto amministrativo mediante gli atti difensivi predisposti dall'amministrazione (e il fondamento dell'illegittimità della motivazione postuma è ravvisabile proprio nella tutela del buon andamento amministrativo e nell'esigenza di delimitazione del controllo giudiziario; cfr. Cons. St. III, 10 luglio 2015, n. 3488; Cons. St. III, 30 aprile 2014, n. 2247), deve, tuttavia, ritenersi che sia diverso il caso in cui l'integrazione postuma della motivazione provenga dalla stessa Amministrazione attraverso l'adozione di un nuovo provvedimento, suscettibile di autonoma impugnazione. La motivazione del provvedimento può, quindi, essere integrata nello stretto limite sopra evidenziato, dando comunque la possibilità alla difesa del ricorrente di contestare il nuovo esercizio del potere mediante la rituale impugnazione, con il ricorso per motivi aggiunti, dei provvedimenti sopravvenuti. Ciò vale, ad esempio, qualora l'amministrazione abbia dato avvio ad un procedimento di secondo grado in funzione di riesame, rivalutando gli interessi in conflitto, e adottando una nuova pronuncia sulla istanza della parte. Il nuovo esito — ancora negativo — rappresenta atto autonomo dal primo, che può essere oggetto di ricorso per motivi aggiunti nel primo grado del giudizio (Cons.St. IV, n. 1001/2017; Cons. St. III, n. 790/2016; T.A.R. Lazio (Roma)II, n. 6405/2012). Il privato può oggi impugnare, mediante la proposizione di motivi aggiunti, tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti e connessi all'oggetto del ricorso stesso. Ciò riguarda anche un eventuale atto di convalida, per vizi autonomi, sia l’atto come convalidato (per vizi di legittimità che persistano). Tale soluzione è coerente con i principi di effettività e concentrazione della tutela (art. 7, comma 7), realizzati facendo confluire all'interno dello stesso rapporto processuale tutti gli aspetti della controversia (Cons. St. VI, n. 3385/2021). Come detto, i motivi aggiunti non sono limitati a ulteriori censure avverso atti già impugnati, ma possono concernere anche domande nuove, diverse dall'azione di annullamento, purché connesse a quelle già proposte (come ad es. la domanda risarcitoria, ex art. 30, comma 5, alla già proposta domanda di annullamento). I motivi aggiunti sono proponibili, oltre che per dedurre nuovi vizi del provvedimento originario derivante dalla sopravvenuta conoscenza di atti, anche per impugnare nuovi provvedimenti amministrativi successivamente conosciuti, purché collegati al provvedimento impugnato originariamente. Al riguardo la giurisprudenza ha distinto tra «motivi aggiunti», relativi a doglianze nuove dedotte a seguito dell'acquisizione di conoscenze nuove (ai quali si applica l'istituto dei motivi aggiunti) e «motivi nuovi», che sono relativi a doglianze dedotte sulla base delle conoscenze originarie e, come tali, deducibili entro il termine originario di decadenza (Cons. St. V, n. 1630/2012). Nel processo amministrativo, con lo strumento dei motivi aggiunti la parte è ammessa ad ampliare l'oggetto del giudizio tramite la proposizione di nuove censure, in relazione non solo a vizi del provvedimento impugnato che emergono per la prima volta da documentazione di cui il ricorrente non era a conoscenza nel momento della notificazione dell'atto introduttivo, ma anche ad atti diversi da quello originariamente gravato, se adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, e ad esso connessi ( T.A.R. Lazio (Roma) II, n. 11245/2006). Applicandosi i medesimi principi del ricorso principale, anche il ricorso per motivi aggiunti deve contenere autonomi motivi di gravame, indicando gli specifici vizi che affliggono i nuovi atti impugnati. Infatti, in base al principio di autosufficienza del processo amministrativo, secondo cui l'atto introduttivo, nonché gli eventuali motivi aggiunti, devono contenere l'esposizione dei motivi su cui il gravame si fonda, sono inammissibili i motivi di impugnazione dedotti per relationem, e cioè mediante il semplice richiamo alle censure dedotte in altro e diverso atto del giudizio (T.A.R. Sicilia (Catania) I, 21 febbraio 2019, n. 305 ; T.A.R. Sicilia (Catania) I, 2 marzo 2017, n. 413; T.A.R. Sardegna II, 14 luglio 2007, n. 1637). Motivi aggiunti e contributo unificato Con riferimento ai motivi aggiunti c.d. “impropri”, si è posta la questione circa l'applicabilità di autonomi contributi unificati per ciascuna nuova domanda che dovesse innestarsi nel procedimento originario per effetto di motivi aggiunti. Invero, se ai sensi dell'art. 13, comma 6-bis, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia»), non è dovuto il contributo unificato nel caso di atti che non introducono domande nuove, nella giurisprudenza europea si è affermato il criterio del c.d. “ampliamento considerevole dell'oggetto della controversia”, quale requisito per affermare la legittimità della richiesta di un nuovo contributo unificato (nel caso, in materia di procedure di affidamento). La Corte di Giustizia, con sentenza del 6 ottobre 2015 (C-61/14), ha dichiarato compatibile un'applicazione multipla di tributi giudiziari nell'ambito del medesimo giudizio possa trovare giustificazione solo se l'oggetto del ricorso principale e quello dei motivi aggiunti siano «effettivamente distinti» e qualora questi ultimi diano luogo a «un ampliamento considerevole dell'oggetto della controversia già pendente» In assenza, l'obbligo di pagamento aggiuntivo di tributi giudiziari in ragione della presentazione di tali motivi si pone in contrasto con l'accessibilità dei mezzi di ricorso garantita dalla direttiva n. 89/665 e con il principio di effettività. Nel precisare che le controversie riguardanti l'obbligo di pagamento (nonché il quantum) del contributo unificato rientrano nella giurisdizione della Commissione Tributaria, posta la natura tributaria del contributo in questione, si rappresenta che è stato ritenuto illegittima la richiesta del contributo in caso di impugnazione per motivi aggiunti del provvedimento di diniego dell'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione definitiva (a fronte del ricorso principale introdotto avverso il medesimo atto di aggiudicazione; Comm. trib. prov. Firenze, n. 1126/2017), ovvero nel caso di motivi aggiunti avverso la delibera di aggiudicazione definitiva (a fronte del ricorso principale avverso la delibera di indizione della gara; Comm. trib. prov. L'Aquila, n. 602/2015). Se tale indirizzo pare seguire l'impostazione c.d. sostanziale che emerge dalla citata pronuncia dei giudici europei, occorre nondimeno tenere in considerazione che la circolare del Circolare del Segretario generale della Giustizia amministrativa del 18 ottobre 2011 (aggiornata al 3 luglio 2014 e confermata con atto del 23 ottobre 2015) appare invece più incerta sul punto, ancorandosi ad una prospettiva più formalista, legata alla diversità degli atti dei quali si chiede l'annullamento (in particolare, si riporta che “se la pluralità di domande è il frutto di un ampliamento successivo, operato con i motivi aggiunti, al deposito di tali atti andrà versato un ulteriore contributo unificato. Pertanto, il contributo non è dovuto qualora con i motivi aggiunti venga impugnato l'originario provvedimento per vizi diversi da quelli fatti valere con il ricorso originario”). Qualora , con i motivi aggiunti, vi sia stato un considerevole ampliamento dell'oggetto della domanda iniziale, introdotta con il ricorso introduttivo, ai sensi dell' art. 13, comma 6-bis.1, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, è legittima la richiesta di pagamento del contributo unificato in relazione all’atto di proposizione dei motivi aggiunti (Comm. trib. reg., Perugia I , 7 settembre 2021, n. 274). Segue. Decorrenza del termine per la proposizione dei motivi aggiuntiIl termine per la proposizione dei motivi aggiunti è quello previsto per il ricorso e, quindi, è quello previsto per l'esercizio delle singole azioni introdotte con il ricorso (v. commento sub art. 40). Il deposito in giudizio di documenti, mai prima comunicati o comunque conosciuti, costituisce il momento iniziale idoneo a determinare l'avvio del termine decadenziale per la proposizione di motivi aggiunti, di cui all'art. 43 comma 1 ( Cons. St. IV, n. 2754/2016; Cons. St. VI, n. 6473/2010; Cons. St. IV, n. 5394/2006) così come l'emersione aliunde di fatti o di circostanze nuove e significative, in precedenza non conosciuti, né conoscibili ( Cons. St. IV, n. 3674/2013; T.A.R. Piemonte I, n. 25/2014). Ai fini della deduzione di ulteriori vizi di legittimità dell'atto impugnato mediante motivi aggiunti, è necessaria l'ignoranza dei vizi stessi al momento della proposizione del ricorso introduttivo, la quale non deve essere imputabile al ricorrente, quanto piuttosto a comportamenti delle controparti. Alla stregua di tali criteri deve considerarsi irricevibile l'atto di motivi aggiunti allorquando la tardiva conoscenza di nuovi elementi oggettivi riveli natura colposa, ossia risulti imputabile a negligenza del ricorrente, per non avere questi tempestivamente posto in essere tutte le iniziative idonee a fargli acquisire cognizione dei documenti amministrativi o delle circostanze di fatto di suo specifico interesse. Pertanto, nel caso di prospettazione di «nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte» (motivi aggiunti c.d. propri), non possono essere dedotte con motivi aggiunti ragioni di censura del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo che si dimostrino conoscibili, ovvero conosciute, al momento di adozione dell'atto dello stesso ( Cons. St. VI, n. 466/2015; T.A.R. Lazio (Roma) III, n. 3413/2016). Tale è il caso di vizi che emergono nel corso della lite (a seguito di acquisizione documentale) (Cons. St. V, n. 416/1982). Con riguardo a tale profilo, in giurisprudenza si è affermato che grava sulla parte ricorrente la prova di resistenza circa la dimostrazione di aver operato con adeguata diligenza nella tempestiva ricerca della documentazione necessaria alla sollecita articolazione dei motivi di censura (T.A.R. Piemonte I, n. 428/2017; T.A.R. Campania (Napoli) IV, n. 1658/2016). Per i riflessi sul termine per impugnare (e proporre motivi aggiunti) del deposito della documentazione in giudizio, v. commento sub art. 41 (par. “Deposito di documenti nel corso del giudizio ed effetto sui termini per ricorrere”). I motivi aggiunti possono riguardare provvedimenti non solo successivi alla lite, ma anche precedenti, come nel caso di atti presupposti (connessi in senso soggettivo ed oggettivo) venuti a conoscenza solo dopo l'instaurazione del giudizio, benché adottati prima del medesimo ( Cons. Stato,Ad. plen., n. 4/2003). A differenza del caso del ricorso incidentale, in relazione al quale il Codice ha introdotto uno sbarramento temporale alla sua proposizione (sessanta giorni dalla notificazione del ricorso principale, v. art. 42), il termine per i motivi aggiunti deriva da quello previsto per le singole azioni e può, quindi, comportare che gli stessi siano proposti anche diverso tempo dopo il deposito di un ricorso ancora non deciso. Ai sensi dell'art. 43, se con i motivi aggiunti possono introdursi nuove ragioni a sostegno di domande già proposte, esse vanno comunque formulate nei perentori termini di decadenza dalla conoscenza del provvedimento previsti per la proposizione del ricorso principale. Il giudice amministrativo ha evidenziato come la parte sia infatti tenuta a rispettare il termine perentorio d'impugnativa ed ha l'onere di dedurre, nei confronti degli atti conosciuti al momento della proposizione del ricorso, tutti i motivi di doglianza, giacché in seguito non potrà dedurre i motivi che avrebbe potuto proporre in precedenza. ( Cons. St. V, n. 3834/2013; T.A.R. Campania (Napoli) IV, n. 46/2000). Segue. La notificazione dei motivi aggiunti.La notificazione dei motivi aggiunti alle controparti costituite avviene con le stesse modalità del ricorso originario (v. art. 43, comma 1), con la precisazione che in caso ci siano parti costituite, alla notifica si procede ai sensi dell' art. 170 c.p.c., ossia dovrà eseguirsi al procuratore costituito e al domicilio eletto. Secondo le forme previste dall' art. 170, c.p.c., i motivi aggiunti saranno validamente proposti mediante la loro notifica presso il domicilio eletto per il giudizio, con la conseguenza che la notifica è valida se effettuata in tale luogo alla parte costituitasi in giudizio. Più nello specifico, se le parti sono costituite in giudizio, la notifica del ricorso per motivi aggiunti deve avvenire nel rispetto di quanto previsto dall' art. 170 c.p.c., ossia nei confronti del procuratore indicato all'interno dell'atto di costituzione in giudizio. In mancanza, ove il ricorrente abbia nondimeno notificato l'atto presso il domicilio della parte, il giudice dovrà rilevare il difetto d'integrità del contraddittorio, non potendo procedere alla sua integrazione del contraddittorio ex art. 49 c.p.a. (tale norma, infatti, presuppone una notifica parzialmente omessa e non applicabile in caso di una notificazione irrituale nei confronti dell'unico originario contraddittore) (T.A.R. Sicilia (Catania) III n. 307/2013; Cons. St. V, n. 3481/2016, per un caso relativo al ricorso incidentale, per cui vale la medesima regola; v. il commento sub art. 42, comma 2). Ai sensi dell'art. 170: «Dopo la costituzione in giudizio [c.p.c. 165, 166] tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito, salvo che la legge disponga altrimenti [c.p.c. 237, 286, 292, 306, 330]. È sufficiente la consegna di una sola copia dell'atto anche se il procuratore è costituito per più parti. Le notificazioni e le comunicazioni alla parte che si è costituita personalmente si fanno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto [c.p.c. 30, 82]. Le comparse [c.p.c. 190] e le memorie consentite dal giudice si comunicano mediante deposito in cancelleria oppure mediante notificazione o mediante scambio documentato con l'apposizione sull'originale, in calce o in margine, del visto della parte o del procuratore. Il giudice può autorizzare per singoli atti, in qualunque stato e grado del giudizio, che lo scambio o la comunicazione di cui al presente comma possano avvenire anche a mezzo telefax o posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi. La parte che vi procede in relazione ad un atto di impugnazione deve darne comunicazione alla cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di telefax o l'indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni»). Infatti, configurandosi come mezzo di ampliamento del giudizio in corso (ossia come atto del giudizio stesso), qualora risulti già instaurato il contraddittorio nei confronti dell'Amministrazione (che dunque si è costituita in giudizio a mezzo di difensore), i motivi aggiunti devono essere notificati presso il difensore stesso nel domicilio eletto ( Cons. St. V, n. 831/2007). Sono pertanto inammissibili i motivi aggiunti notificati alle Amministrazioni intimate presso la loro sede anziché presso il domicilio eletto dal procuratore costituito, salvo che gli stessi motivi aggiunti siano rivolti contro provvedimenti diversi da quelli impugnati con il ricorso principale. In tal caso possono non essere ritenuti inammissibili, quand'anche notificati al domicilio reale e non al domicilio eletto, a condizione che possiedano tutti i requisiti formali e sostanziali di un autonomo ricorso e siano stati quindi proposti sulla base di un nuovo mandato al difensore e presentino una compiuta esposizione delle censure, non bastando una reiterazione delle stesse mediante un generico richiamo al ricorso introduttivo. Risulterebbe infatti illogico dichiarare inammissibile un ricorso che, se proposto in via autonoma, poteva essere riunito e deciso con un'unica sentenza, con un esito, dunque, sostanzialmente analogo a quello che si realizza, in termini di concentrazione processuale, con la proposizione di motivi aggiunti. Ne consegue che il ricorso per motivi aggiunti potrebbe andare indenne dalla sanzione dell'inammissibilità per omessa notifica al procuratore costituito, solo ove presenti i requisiti per essere considerato quale autonomo gravame (art. 40), spettando sempre al giudice la qualificazione dell'azione ai sensi dell'art. 32. ( T.A.R. Piemonte I, n. 661/2015; T.A.R. Sicilia (Palermo) I, n. 1244/2014). Segue. Destinatari dei motivi aggiuntiRispetto alla disciplina previgente, l'art. 43 ha eliminato il riferimento alle «stesse parti», che aveva creato non pochi problemi in sede applicativa, accogliendo l'interpretazione giurisprudenziale che consentiva l'impugnazione di un provvedimento nuovo con lo strumento dei motivi aggiunti anche nei casi in cui le parti della nuova impugnazione non coincidessero con quelle dell'atto introduttivo del giudizio. Anzi proprio quando il provvedimento consequenziale, è idoneo a dare una utilità ad un terzo è necessario che il terzo, che ha assunto una posizione di controinteresse sopravvenuto sia coinvolto nel giudizio attraverso un ricorso per motivi aggiunti. La possibilità che le parti del ricorso originario e dei successivi motivi aggiunti non coincidano pone il problema di salvaguardare l'integrità del contraddittorio, con particolare riferimento ai controinteressati sopravvenuti (ad esempio, gli aggiudicatari di una procedura di gara rispetto all'impugnazione inizialmente proposta, da uno degli altri concorrenti, avverso la propria esclusione). Si ritiene pertanto possibile che i motivi aggiunti siano notificati ai nuovi controinteressati evocati (anche senza la contestuale notifica del ricorso originario), a condizione che in essi siano riportati, sia pure molto sinteticamente, le censure dedotte nel ricorso principale ( Cons. St. III, n. 4792/2011). I motivi aggiunti proposti da uno solo degli originari soggetti ricorrenti in via collettiva sono inammissibili, sia perché (in un ricorso giurisdizionale collettivo che, per sua natura, viene considerato proposto da una sola parte, anche se soggettivamente complessa) vengono in tal modo introdotti da una parte diversa da quella che ha introdotto il ricorso principale, sia perché contravvengono al necessario presupposto della identicità delle domande giudiziali non solo quanto all'oggetto, ma anche quanto ai motivi di censura prospettati (T.A.R. Palermo III , n. 1381/2020; T.A.R. Sardegna I, n. 28/2011). Segue. Mandato a proporre motivi aggiuntiVa, infine, evidenziato che per la proposizione dei motivi aggiunti non è necessario uno specifico mandato al difensore, in quanto il Codice ha previsto che la procura rilasciata per agire e contraddire davanti al giudice si intende conferita anche per proporre motivi aggiunti e ricorso incidentale, salvo che in essa sia diversamente disposto (art. 24). La procura è, quindi, omnicomprensiva, salvo espressa indicazione contraria, potendo il difensore procedere alla notifica dei motivi aggiunti ai sensi del mandato già in essere con la parte ( Cons. St. III, n. 3567/2015; T.A.R. Umbria I, n. 425/2013). Ciò conferma, peraltro, quanto già in precedenza era stato affermato, ossia che ai fini della rituale proposizione di motivi aggiunti nel processo amministrativo, non è necessaria una nuova procura ad litem rispetto a quella rilasciata per la proposizione del ricorso originario, essendo il mandato originario comprensivo, salvo espresse eccezioni, di tutti i poteri processuali finalizzati alla rimozione della lesione subita dal ricorrente. ( Cons. St. V, n. 213/2007). Ciò vale anche in caso di procura rilasciata, senza limitazioni di sorta, dall'ente giuridico pubblico, per l'instaurazione della controversia principale, che è sufficiente per la proposizione dei motivi aggiunti, quando non vi sia alcun mutamento della rappresentanza dell'ente. Si tratta di principio codificato a difesa della parte ricorrente in considerazione del fatto che spesso esigenze di difesa tecnica fanno rendere necessarie ulteriori impugnazioni, senza che a tal fine appaia utile un mandato ad hoc. Viceversa, in giurisprudenza si sono ritenuti inammissibili i motivi aggiunti proposti sulla base di una procura a suo tempo rilasciata da chi non era più titolare di poteri rappresentativi al momento della loro proposizione, atteso che i motivi aggiunti sono pur sempre nuove domande e nuove impugnazioni e, come tali, implicano necessariamente valutazioni di politica istituzionale sull'opportunità di tali estensioni del contenzioso e di reperimento di ulteriori risorse a ciò deputate ( Cons. St. IV, n. 5985/2011). Segue. Motivi aggiunti in fase di appelloSi è fermi nell'escludere la possibilità di proporre motivi aggiunti in appello, qualora abbiano ad oggetto domande nuove rispetto a quelle di primo grado, in considerazione della lesione al diritto di difesa, derivante dalla mancanza del primo dei due gradi del giudizio, che si arrecherebbe a seguito della mera scelta di una parte processuale (art. 104). In tal modo si intende preservare alla cognizione del giudice di appello il thema decidendum offerto al giudizio di primo grado e oggetto della sentenza impugnata, che non può ricevere ampliamenti, in tal modo sfuggendo alla regola del doppio grado di giudizio. Si ammette tuttavia la possibilità di proporre motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati (v. anche il commento all'art. 104). Ai sensi dell' art. 104 c.p.a. nel giudizio amministrativo di appello non possono essere proposte domande nuove e i motivi aggiunti devono attenere a vizi derivanti dalla conoscenza di documenti non prodotti nel giudizio di primo grado. (Cons. St. III, n. 6366/2020 e Cons. St. III, n. 961/2017; T.A.R. Lazio III, n. 4116/2016). L'inammissibilità sussiste anche quando i motivi aggiunti riguardano atti diversi da quelli impugnati con il ricorso di primo grado, ancorché connessi ovvero consequenziali ( Cons. St. V, n. 3913/2011), ovvero se hanno ad oggetto domande nuove rispetto a quelle oggetto del giudizio di primo grado ( Cons. St. V, n. 6136/2006; Cons. St. IV, n. 3509/2016). Ai sensi del comma 3, se la domanda nuova è proposta con ricorso separato davanti allo stesso tribunale, il giudice provvede alla riunione ai sensi dell'art. 70. L'intento di semplificazione perseguito dall'istituto del ricorso per motivi aggiunti (con cui si introducono motivi di ricorso avverso nuovi atti; c.d. motivi impropri) mira ad evitare che la parte interessata proponga autonome impugnazioni avverso gli atti connessi emanati nel corso del giudizio, al fine di prevenire eventuali contestazioni in ordine alla propagazione dei vizi eventualmente inficianti il ricorso introduttivo. In giurisprudenza si è rilevato come proprio in considerazione della esigenza di impedire una frammentazione dei giudizi, la norma di cui all'art. 43, co. 3 prevede che nel caso sia proposto un autonomo ricorso avverso un provvedimento connesso a quello originariamente impugnato «il giudice provvede alla riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 70». Si è inoltre precisato che, ai sensi del tenore della norma, la riunione è prevista a prescindere dall'apprezzamento in ordine all'ammissibilità del ricorso originario, con una soluzione che risulta coerente con l'intento perseguito con la riforma di realizzare un processo unitario ( T.A.R. Molise I, n. 163/2016). Peraltro, il mancato esercizio del potere di riunione, che ha natura meramente ordinatoria, salvo il caso in cui sussista un rapporto di pregiudizialità, non comporta, per gli effetti che ne discendono nello svolgimento dei processi, alcuna nullità ( T.A.R. Umbria I, 19 novembre 2015 n. 518). Segue. Competenza a decidere sui motivi aggiuntiLa norma non disciplina il profilo delle conseguenze sulla competenza del giudice adito nei casi in cui con i motivi aggiunti si chiama il giudice a conoscere di provvedimenti che potrebbero esulare dalla sua sfera. La tesi prevalente in dottrina, muovendo dall'applicazione analogica dell'art. 42, comma 4, ritiene che questi debbano essere proposti innanzi al tribunale adito con il ricorso principale, salvo che la nuova domanda rientri nella competenza funzionale del Tar Lazio o di altro Tar funzionalmente competente, spettando a questi ultimi la competenza a conoscere dell'intero giudizio (Caringella, Manuale, 367). In giurisprudenza, con riferimento alla competenza territoriale, alcuni indirizzi hanno valorizzato il principio di conservazione, affermando che, salvo il caso in cui l'atto sopravvenuto rientri nelle ipotesi di cui all'art. 14, il ricorso per motivi aggiunti contro un atto consequenziale (nel caso atto con effetti sovraregionali) è attratto alla competenza del Tar già adito per l'atto presupposto valendo così a vanificare la competenza territoriale del Giudice in ordine al primo ordinariamente competente sulla base dei criteri di cui all' art. 13 c.p.a. ( Cons. St.,Ad. plen., 20 novembre 2013, n. 29). Secondo altra posizione, anche nel caso in cui l'atto successivo, applicativo, sia attratto alla competenza funzionale inderogabile, si deve dare prevalenza alla competenza territoriale radicata con il ricorso principale, ciò in forza di una forma di connessione per accessorietà in base a cui, ai fini della determinazione del giudice competente, la causa principale (avente ad oggetto l'impugnativa prefettizia) attrae a sé quella accessoria (avente ad oggetto gli atti applicativi adottati dalla stazione appaltante), senza che a ciò siano di ostacolo le norme sulla competenza funzionale ( Cons. St.,Ad. plen., n. 17/2014). Segue. Deposito di documenti nel corso del giudizio ed effetto sui termini per ricorrere (rinvio)Si rinvia al commento sub art. 41. Motivi aggiunti e domande di risarcimento del dannoLa domanda di risarcimento del danno può essere proposta nel corso del giudizio di annullamento, come previsto dall'art. 30, comma 5, utilizzando lo strumento dei motivi aggiunti e ciò può avvenire senza alcun termine anche quando, a distanza di tempo, è venuto meno l'interesse del ricorrente ad ottenere la tutela demolitoria o conformativa. È principio pacifico in dottrina e giurisprudenza l'esperibilità dell'azione risarcitoria sia contestualmente all'azione di annullamento che successivamente alla pronuncia di illegittimità. Pertanto, in pendenza dell'azione impugnatoria non è configurabile alcun termine decadenziale per l'esercizio dell'azione diretta ad ottenere il risarcimento per equivalente ( T.A.R. Lazio (Roma) II, n. 4209/2015). Se si tratta di danno derivante da un provvedimento amministrativo illegittimo, impugnato con il ricorso principale, non vi è un termine per proporre la domanda, salvo che non sia fissata l'udienza di merito e siano scaduti i termini per il deposito di nuovi atti. Per consolidato orientamento giurisprudenziale, la domanda di risarcimento danni non è preclusa dalla sua mancata proposizione unitamente al ricorso introduttivo. Risponde invero ai principi di concentrazione dei giudizi e di ragionevole durata del processo la possibilità di ricorso all'istituto dei motivi aggiunti per la proposizione di una domanda risarcitoria che vada ad inserirsi in un giudizio già instaurato dinanzi al T.A.R. per l'annullamento di un atto amministrativo (motivi proponibili nel termine ultimo per il deposito di memorie e debitamente notificati) ( Cons. St. V, n. 6233/2012; Cons. St. IV, n. 6485/2010). Se si tratta di una danno derivante a posizioni di diritto soggettivo, la domanda di risarcimento può essere proposta con motivi aggiunti, purché ovviamente connessa con il ricorso principale, entro il termine di prescrizione, sempre fatta salva la fissazione dell'udienza di merito. Per la disciplina processuale collegata alla emergenza Covid-19, , v. la sezione dedicata. 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Dir. Proc., 1968; Lorenzoni, Il ricorso al Giudice Amministrativo, in Giustamm.it, 12 novembre 2010; Lubrano, L'impugnazione incidentale nel giudizio amministrativo, Rass. Dir. Pubbl., 1964; Mandrioli, Diritto processuale civile, Torino, 2009; Menchini, Processo amministrativo e tutele giurisdizionali differenziate, in Dir. proc. amm. 1999, 986 ss.; Mignone, I motivi aggiunti nel processo amministrativo, Padova, 1984; Pajno, Appunti a proposito del ricorso incidentale condizionato nel processo amministrativo, Giur. mer., 1975; Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, vol. I, Milano, 1962; Pugliese, Le ragioni del controinteressato nell'evoluzione della tutela cautelare, in Dir. proc. amm. 1988, 385 ss..; Ramajoli, La connessione del processo amministrativo, Milano, 2002; Romano Tassone, Il ricorso incidentale e gli strumenti di difesa nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm. 2009, 581 ss..; Saitta, Sette note sui motivi aggiunti, in giust.it, n. 2-2001; Sassani-Villata, Il processo davanti al giudice amministrativo, Torino, 2001; Scognamiglio, Il diritto di difesa nel processo amministrativo, Milano, 2004; Stella Richter, L'inoppugnabilità, Milano, 1970; Tarullo, Il giusto processo amministrativo, Milano, 2004; Tigano, L'intervento nel processo amministrativo, Milano, 1984; Traina, Motivi aggiunti, in Morbidelli (cur.), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 582; Tropea, Il ricorso incidentale nel processo amministrativo, Napoli, 2007; Tropea, La Plenaria prende posizione sui rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale (nelle gare con due soli concorrenti). Ma non convince, in Dir. proc. amm. 2009, 200 ss.; Vacirca, Appunti per una nuova disciplina dei ricorsi incidentali nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1986, 57 ss; Villata, In tema di ricorso incidentale e di procedure di gara con due soli concorrenti, in Dir. proc. amm. 2008, 931 ss; Villata, Riflessioni in tema di ricorso incidentale nel giudizio amministrativo di primo grado, in Dir. proc. amm. 2009, 285 ss.; Villata-Bertonazzi, Ricorso e costituzione delle parti, in Quaranta-Lopilato (cur.), Il processo amministrativo, Milano, 2011, 385 ss. |