Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 102 - Legittimazione a proporre l'appelloLegittimazione a proporre l'appello
1. Possono proporre appello le parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado. 2. L'interventore può proporre appello soltanto se titolare di una posizione giuridica autonoma. InquadramentoLa legittimazione a proporre appello è attribuita alle sole parti formali del giudizio di primo grado e non è, quindi, più ammesso l'appello del terzo, il quale ha a disposizione il solo strumento dell'opposizione. Si prevede la legittimazione ad appellare dell'interveniente solo se titolare di una posizione giuridica autonoma, in conformità con quanto affermato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 2 del 1996, con cui, appunto, è stato ritenuto che è legittimato a proporre appello il soggetto intervenuto «ad opponendum» nel giudizio di primo grado, che sia titolare di una propria e autonoma posizione giuridica, anche nel caso di mancata impugnazione della parte resistente in primo grado. Legittimazione all'impugnazioneIn passato, la legittimazione ad impugnare era riconosciuta alle sole parti necessarie del giudizio di primo grado, restati soccombenti. Successivamente, sempre prima dell'entrata in vigore del Codice, la giurisprudenza aveva riconosciuto la legittimazione all'appello avverso le sentenze amministrative di primo grado non solo alle parti necessarie del giudizio di prime cure, ancorché non intimate o non costituite, e all'interventore (che non sia parte necessaria, per i capi della sentenza che direttamente lo riguardano), ma pure a quei soggetti che, pur non assumendo la veste processuale di controinteressati, risultano titolari di una posizione sostanziale d'interesse legittimo in ordine alla conservazione dell'atto impugnato in primo grado (i controinteressati c.d. «sostanziali») (Cons. St. V, n. 456/1997). Non era messo in dubbio che l'interventore ad opponendum in primo grado fosse legittimato a proporre appello avverso la sentenza che annulli il provvedimento, da cui egli trae, anche in via riflessa, il proprio vantaggio giuridico. Infatti, era stato riconosciuto che l'intervento ad opponendum, nel giudizio di primo grado, da parte del titolare di autonoma posizione giuridica, legittima l'interveniente ad impugnare la sentenza sfavorevole di primo grado. Cons. St. Ad. plen., n. 2/1996, purché l'interventore vantasse una propria autonoma e qualificata posizione giuridica e non solo un mero interesse di fatto: Cons. St Ad. plen., n. 15/1997. Era stato, tuttavia, ritenuto inammissibile l'appello proposto da un'associazione di consumatori, nel caso in cui la stessa non abbia partecipato in alcun modo, pur avendone titolo, al giudizio di primo grado ( Cons. St. Ad. plen.n. 1/2007). L’art. 102, comma 2– secondo cui l’interventore “può proporre appello soltanto se titolare di una posizione giuridica autonoma” – va interpretato nel senso che il soggetto interveniente ad adiuvandum nel giudizio di primo grado non è legittimato a proporre appello in via principale e autonoma, salvo che non abbia un proprio interesse direttamente riferibile alla sua posizione, come nel caso in cui sia stata negata la legittimazione all'intervento o sia stata emessa nei suoi confronti la condanna alle spese giudiziali (Cons. St. IV, n. 567/2020). Con l'entrata in vigore del Codice è stata esclusa l'ammissibilità dell'appello del terzo, essendo la legittimazione all'appello stata limitata alle parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado ed è stata legislativamente riconosciuta la legittimazione all'appello anche all'interventore a condizione che sia titolare di una posizione giuridica autonoma. I terzi sono invece legittimati all'opposizione di terzo in presenza dei relativi presupposti (v. art. 108). La giurisprudenza è stata chiara nel sottolineare che l'art. 102 sancisce, con previsione tassativa, che «possono proporre appello le parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado», con ciò escludendo la possibilità per il controinteressato sostanziale pretermesso in primo grado di proporre autonomamente appello. Conseguentemente deve ritenersi che, nella vigenza del codice del 2010, il controinteressato non evocato in giudizio possa impugnare la sentenza di primo grado soltanto — laddove ne sussistano le condizioni — nelle forme dell'opposizione di terzo di cui agli articoli 108 e 109 ( Cons. St. VI, n. 151/2014). L'esclusione dell'appello da parte di terzi riguarda anche le pubbliche amministrazioni che non sono state parti del giudizio di primo grado e che per censurare una sentenza pregiudizievole dei loro interessi avrebbero potuto utilizzare lo strumento dell'intervento nel giudizio di appello ( Cons. St. IV, n. 143/2015). In sostanza, nel processo amministrativo la legittimazione all'appello va individuata in base al criterio della soccombenza, nel senso che deve essere riconosciuta alle parti che dalla sentenza di primo grado ricevono un effetto giuridico sfavorevole; per conseguenza, nel caso di pronuncia di accoglimento del ricorso di primo grado e di annullamento dell'atto impugnato, la legittimazione spetta non solo all'autorità emanante, ma anche a chi è stato parte formale in primo grado ed è portatore di una posizione sostanziale differenziata, diretta a sostenere l'atto annullato, anche in assenza dei presupposti per qualificare tale parte come controinteressato. BibliografiaPaleologo, L'appello al Consiglio di Stato, Milano, 1989; Pototsching, Appello - e) Diritto amministrativo, Enc. dir., II, Milano, 1958, 781. |