Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 126 - Ambito della giurisdizione sul contenzioso elettoraleAmbito della giurisdizione sul contenzioso elettorale
1. Il giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia. InquadramentoGli artt. 126, 127 e 128 contengono disposizioni comuni al contenzioso elettorale. L'art. 126 attribuisce la giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia. Si tratta di una giurisdizione che ha ad oggetto la regolarità delle operazioni elettorali, che si caratterizza per l'attribuzione al g.a. di poteri sostitutivi, idonei a indicare direttamente sulla proclamazione degli eletti. Rimangono esclusi dalla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie relative alle elezioni politiche, rimesse al potere di autodichia delle Camere, nonché le controversie relative ai diritti di elettorato attivo, a situazioni di decadenza, incompatibilità e ineleggibilità, di competenza del giudice ordinario. Art. 126: la giurisdizione del giudice amministrativo sul contenzioso elettoraleLe disposizioni in commento introducono il Titolo VI del Libro IV, riguardante la disciplina del contenzioso elettorale, nella parte in cui esso è attribuito al giudice amministrativo e recano disposizioni comuni allo stesso. Le stesse abrogano la previgente disciplina contenuta nel d.P.R. n. 570/1960. In tale Titolo confluiscono il rito sulle operazioni elettorali di comuni, province, regioni, e dei membri italiani del Parlamento europeo e non anche sulle elezioni politiche, non essendo stata esercitata la delega sul punto, come verrà chiarito oltre. Sempre in via preliminare appare opportuno inquadrare la tutela che il codice offre in materia elettorale. Infatti, il contenzioso elettorale può riguardare, da un lato, i diritti di elettorato attivo, ossia lo status di elettore ed è devoluto al giudice ordinario. Dall'altro, figurano i diritti di elettorato passivo, ossia a conseguire o mantenere la carica elettiva. Con riferimento a tale ultima dimensione, è possibile individuare a sua volta due diversi ordini di posizioni oggetto di tutela: le questioni di eleggibilità, incompatibilità e decadenza dall'ufficio, rimessa al giudice ordinario, essendo coinvolte situazioni giuridiche concernenti la capacità delle persone e, pertanto, diritti soggettivi; la tutela in tema di regolarità delle operazioni elettorali, affidata, invece, al giudice amministrativo sul presupposto che, in questo caso, siano in discussione interessi legittimi al corretto svolgimento del procedimento elettorale. In materia di elezioni amministrative, la giurisdizione è ripartita tra il giudice amministrativo e quello ordinario in relazione al criterio di riparto del doppio binario, in rapporto, cioè, alla consistenza della situazione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo della quale si chiede la tutela; per cui sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie afferenti questioni di ineleggibilità, decadenza ed incompatibilità dei candidati, perché concernenti diritti soggettivi di elettorato passivo, mentre appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo le questioni afferenti la regolarità delle operazioni elettorali, in quanto relative a posizioni di interesse legittimo ( Cons.St. V, n. 3826/2013; v. anche Cons. St. V, n. 1708/2011; Cons. St.,Ad. plen., nn. 3/2010 e 10/2005; Cass.S.U.ord. n. 21262/2016; n. 23682/2009). La giurisdizione del giudice ordinario in tema di controversie relative ai diritti di elettorato attivo o passivo non viene meno per il fatto che la questione è stata introdotta mediante l'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti ( Cass.S.U. ord 13403/2017). La giurisdizione del G.A. sussiste in materia elettorale, quindi, nei casi in cui si faccia questione di interessi legittimi, o allorquando le questioni di ineleggibilità attinenti a diritti soggettivi palesino un nesso di pregiudizialità necessaria rispetto alla decisione della questione principale (Cons. St. V, n. 3673/2012; Cons. St., n. 908/2002; Cons. St. n. 1052/1999; il giudice amministrativo può in particolare conoscere incidenter tantum la questione relativa all'elettorato passivo del candidato, in quanto pregiudiziale necessaria all'ammissibilità del ricorso avente ad oggetto la legittimità delle operazioni elettorali relative alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale). Così delimitato l'ambito della giurisdizione amministrativa, i successivi artt. 129 e 130-132, dettano due differenti procedimenti a seconda che la tutela sia chiesta avverso un atto di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali oppure avverso l'atto di proclamazione dei risultati. In particolare il Codice prevede: a) la tutela anticipata avverso gli atti (di esclusione o ammissione) immediatamente lesivi adottati nell'ambito dei procedimenti elettorali preparatori per le elezioni comunali, provinciali e regionali (art. 129); b) la tutela avverso gli atti diversi da quelli sub a) e avverso la proclamazione degli eletti in relazione alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni e Parlamento europeo (artt. 130, 131 e 132). Con riferimento alle norme che disciplinano gli aspetti specifici dei diversi procedimenti si rinvia al relativo commento sub artt. 129-132, mentre nel seguito si fornirà il commento alle sole disposizioni comuni. L'art. 126 conferma in primo luogo la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia. Non si tratta di una giurisdizione esclusiva, ma di una giurisdizione estesa al merito e tale estensione è giustificata non dall'attribuzione al giudice amministrativo di veri e propri poteri di merito, intesi come esercizio di valutazioni di opportunità, chiaramente estranee al contenzioso elettorale, ma come attribuzione al g.a. di poteri sostitutivi, idonei a incidere direttamente sulla proclamazione degli eletti. L'esclusione del contenzioso elettorale politico. L' art. 44 della legge n. 69/2009 conteneva un preciso criterio di delega: «razionalizzare e unificare le norme vigenti per il processo amministrativo sul contenzioso elettorale, prevedendo il dimezzamento, rispetto a quelli ordinari, di tutti i termini processuali, il deposito preventivo del ricorso e la successiva notificazione in entrambi i gradi e introducendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, mediante la previsione di un rito abbreviato in camera di consiglio che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con gli adempimenti organizzativi del procedimento elettorale e con la data di svolgimento delle elezioni». La fase preparatoria delle elezioni politiche è stata finora disciplinata dall' art. 87 del d.P.R. n. 361/1957, richiamato in tema di elezioni del Senato dall' art. 27 del d.lgs. n. 533/1993, che espressamente riservano all'assemblea elettiva la convalida dell'elezione dei propri componenti, nonché il giudizio definitivo su ogni contestazione, protesta o reclamo presentati ai singoli uffici elettorali ed all'ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente. Proprio facendo leva su questa disposizione, attuativa del principio di autodichia delle Camere, espresso dall' art. 66 Cost., le Sezioni Unite hanno affermato che ogni questione concorrente le operazioni elettorali, ivi comprese quelle relative all'ammissione delle liste, compete in via esclusiva al giudizio di dette Camere, restando, così preclusa qualsivoglia possibilità di intervento in proposito di qualsiasi autorità giudiziaria ( Cass. S.U., n. 9151/2008). Tale conclusione è stata motivata con la considerazione che la circostanza che la tutela giurisdizionale competa ad un organo speciale, quale è la giunta parlamentare, non implica un inammissibile vuoto di tutela, quantunque comporti il differimento della tutela medesima ad un momento successivo alla conclusione della consultazione elettorale (essendo espressa dalla Camera del Parlamento eletto), in coerenza del resto con le medesime indifferibili esigenze di speditezza del procedimento elettorale che l' art. 61 Cost. postula. Durante i lavori di redazione del testo da parte della Commissione istituita presso il Consiglio di Stato, è intervenuta una pronuncia della Corte Costituzionale (Corte cost., n. 259/2009), che ha dichiarato inammissibile la q.l.c. degli art. 23 e 87 d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361, censurati, in riferimento agli art. 3,24, comma 1, 51, comma 1, 103, comma 1, 113 e 117 cost., quest'ultimo in relazione all' art. 6 della Cedu, nella parte in cui non prevedono l'impugnabilità davanti al g.a. delle decisioni emesse dall'ufficio elettorale centrale nazionale aventi per effetto l'arresto della procedura, per la definitiva esclusione del candidato o della lista dal procedimento elettorale. Secondo la Corte, il quadro normativo e giurisprudenziale evidenzia che, contrariamente all'assunto del rimettente, non vi è nell'ordinamento un vuoto di tutela delle situazioni giuridiche soggettive nel procedimento elettorale preparatorio delle elezioni alle Camere del Parlamento, avendo la Corte di cassazione indicato nello stesso organo parlamentare il giudice competente. Inoltre, posto che non si può condividere l'assunto secondo cui le situazioni soggettive che vengono in rilievo nel detto procedimento elettorale sarebbero interessi legittimi, dal momento che si controverte del diritto di elettorato passivo, le controversie aventi ad oggetto il diritto di un candidato a partecipare ad una competizione elettorale potrebbero essere attribuite al g.a. solo a titolo di giurisdizione esclusiva e l'introduzione di un nuovo caso di tale tipo di giurisdizione può avvenire esclusivamente per legge, come prescrive l' art. 103, comma 1, Cost. (Corte cost., n. 259/2009) Tuttavia, la stessa Corte rileva che a partire dalla XIII Legislatura, la Camera dei deputati ha negato la propria competenza a conoscere i ricorsi riguardanti atti del procedimento elettorale preparatorio, dichiarando gli stessi (tra cui quello del ricorrente nel processo principale, che ha dato origine alla questione decisa dalla Corte) inammissibili, sulla base della considerazione che «la verifica dei titoli di ammissione degli eletti esclude per definizione che nella stessa possa ritenersi ricompreso anche il controllo sulle posizioni giuridiche soggettive di coloro i quali (singoli o intere liste) non hanno affatto partecipato alla competizione elettorale». Sono inammissibili i ricorsi proposti alla Camera relativi agli atti del procedimento elettorale preparatorio delle elezioni politiche, in quanto «la verifica dei titoli di ammissione degli eletti esclude per definizione che nella stessa possa ritenersi ricompreso anche il controllo sulle posizioni giuridiche soggettive di coloro i quali (singoli o intere liste) non hanno affatto partecipato alla competizione elettorale» (Giunta elez. Camera, 13 dicembre 2006). La Corte ha, al riguardo, rilevato che tale circostanza implica che sulla questione possa sorgere un conflitto di giurisdizione, che non spetta alla Corte risolvere (nello stesso senso, v. anche la precedente Corte cost., ord. n. 117 del 2006), oppure, qualora ricorrano i presupposti soggettivi ed oggettivi, un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. La questione è stata, quindi, ritenuta inammissibile, in quanto era richiesto alla Corte un intervento additivo rientrante nelle scelte discrezionali del legislatore e il giudice delle leggi richiamava, infatti, l' art. 44 della legge 18 giugno 2009 n. 69, che delegava il Governo ad introdurre, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge stessa, « la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, mediante la previsione di un rito abbreviato in camera di consiglio che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con gli adempimenti organizzativi del procedimento elettorale e con la data di svolgimento delle elezioni ». Come vedremo, la delega fu poi lasciata scadere. La sentenza n. 259/2009 riconosceva quindi che, in linea di principio, l’art. 66 Cost. non precludeva di affermare in linea di principio la giurisdizione del g.o. nei riguardi degli atti del procedimento pre-elettorale delle elezioni delle Camere (come ebbe a sottolineare la stessa Corte nella successiva sentenza n. 48/2021). Il tenore dell’art. 66 Cost. non sottrae affatto al giudice ordinario, quale giudice naturale dei diritti, la competenza a conoscere della violazione del diritto di elettorato passivo nella fase antecedente alle elezioni, quando non si ragiona né di componenti eletti di un’assemblea parlamentare né dei loro titoli di ammissione (Corte cost., n. 48/2021). La sentenza della Corte cost. n. 259/2009 fotografava allora una impasse, che comportava un vuoto di tutela, da cui però si sarebbe potuto uscire con un intervento del legislatore o con un conflitto di giurisdizione o di attribuzioni (Chieppa,Il processo amministrativo, 698). Invero, il Consiglio di Stato, nello schema di codice, aveva formulato una proposta di attuazione della delega, con riguardo alla tutela nella fase preparatoria delle elezioni politiche. In particolare, si era delineata una soluzione in cui il giudizio amministrativo, in doppio grado, sostituiva il ricorso amministrativo all'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di Cassazione. Il processo era stato articolato in tempi brevissimi sia per il ricorso che per la sua decisione, con possibilità di udienza anche in giorno festivo e con sentenza pubblicata in udienza. Le norme sono poi state eliminate dal Governo, che ha deciso di non esercitare sul punto la delega. Era stato comunque necessario (per gli insuperabili vincoli di cui si è detto) prevedere termini particolarmente ridotti e sistemi straordinari di instaurazione del contraddittorio. Le difficoltà di costruzione del rito erano derivate dai seguenti fattori concomitanti: a) i tempi ristretti del procedimento elettorale sostanziale, dato il vincolo costituzionale a che le elezioni politiche si svolgano entro 70 giorni dallo scioglimento delle Camere; b) la necessità di considerare, nei tempi del procedimento elettorale, anche la tempistica per il voto degli italiani all'estero; c) il vincolo derivante dalla delega, che vuole che il processo si chiuda in tempo utile per la data delle elezioni; d) l'esigenza che il processo si concluda non solo prima della data delle elezioni, ma anche prima dell'inizio della campagna elettorale, per assicurare che tutti i concorrenti competano in condizione di parità; e) la scelta della Commissione speciale, tenuto conto del dibattito svoltosi nell'ambito della Commissione stessa, di salvaguardare il doppio grado di giudizio, escludendo la strada di giudizio in unico grado davanti al Consiglio di Stato. Si era così optato per una soluzione in cui il giudizio amministrativo, in doppio grado, sostituiva il ricorso amministrativo all'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di Cassazione. Il processo era stato articolato in tempi brevissimi sia per il ricorso che per la sua decisione, con possibilità di udienza anche in giorno festivo e con sentenza pubblicata in udienza. Le ragioni della successiva eliminazione di tale soluzione sono state ricondotte ai tempi serrati di tale fase preparatoria — insuperabili per il vincolo posto dall' art. 61 della Costituzione, che impone di espletare le elezioni politiche nei 70 giorni dal decreto presidenziale di scioglimento delle Camere precedenti — che hanno sconsigliato il Governo dall'intraprendere la via della soppressione del procedimento amministrativo di competenza dell'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di Cassazione ipotizzata dalla commissione redigente. Si è evidenziato come il vuoto di tutela appaia evidente specialmente con riguardo alle liste escluse dalla competizione elettorale, a meno di non voler attribuire natura giurisdizionale, esclusa ad oggi, all'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di Cassazione. Per risolvere il problema restano due strade: un intervento del legislatore o un conflitto (negativo) di attribuzioni tra poteri dello Stato, come del resto ipotizzato dalla Consulta (Chieppa,Il processo amministrativo, 700). Ogni questione concorrente le operazioni elettorali, ivi comprese quelle relative all'ammissione delle liste, compete in via esclusiva al giudizio di dette Camere. In particolare, il potere di verificare la legittimità di tutti gli atti del procedimento elettorale relativo alle elezioni politiche è riservato alla autodichia di ciascuna Camera, alla luce delle previsioni di cui all' art. 66 della Costituzione ed agli artt. 22 e 87, d.P.R. n. 361/1957, restando così preclusa ogni possibilità di intervento in proposito da parte del giudice ordinario e del giudice amministrativo. Nemmeno gli artt. 126 e seguenti del Codice del processo amministrativo comprendono nella giurisdizione amministrativa le operazioni elettorali per le elezioni politiche, non essendo stata esercitata la delega prevista dall' art. 44, l. n. 69 del 2009 in punto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di procedimento elettorale per le elezioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica (T.A.R. Firenze Toscana III, 29 gennaio 2013, n. 150; Cass.S.U., n. 9151/2008). Nello stesso senso, v. da ultimo, Cons. St., III, 16 febbraio 2018, n. 999, che rileva il difetto assoluto di giurisdizione del g.a. in ordine ad un contenzioso pre-elelettorale inerente le elezioni politiche nazionali. Il giudice osserva, in particolare, che gli artt. 126 e 129 c.p.a. delimitano con chiarezza l'ambito di estensione della giurisdizione amministrativa in materia di contenzioso elettorale, dal quale sono escluse le controversie concernenti l'esclusione delle liste dalle elezioni politiche e, dunque, riferite al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni politiche alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo, la sezione rileva inoltre che i mezzi di tutela avverso i provvedimenti inerenti il procedimento pre-elettorale sono disciplinati dal d.P.R. n. 361/1957, il cui art. 23 prevede che, avverso le decisioni di eliminazione di liste o di candidati adottate dall'Ufficio centrale circoscrizionale, può essere proposto ricorso all'Ufficio centrale nazionale, istituito presso la Corte Suprema di Cassazione. Si deve quindi dare atto del consolidamento di un orientamento (qualificato come “diritto vivente”, da ultimo, da Corte cost., n. 48/2021) secondo cui rispetto alle decisioni dell’Ufficio centrale nazionale sussiste difetto assoluto di giurisdizione, sia del giudice ordinario che del giudice amministrativo, perché proprio l’art. 66 Cost. riserverebbe esclusivamente alle Camere, tramite le rispettive Giunte, anche il giudizio sul contenzioso pre-elettorale, compreso quello relativo all’ammissione delle liste, restando così precluso qualsiasi intervento giurisdizionale, anche di natura cautelare. D’altro lato, le Giunte delle elezioni delle due Camere hano riconosciuto la propria giurisdizione solo con riguardo a chi era stato eletto, in relazione a contestazioni inerenti i titoli di ammissioni. Il “vuoto di tutela” relativo al procedimento elettorale preparatorio è stato oggetto di rinnovata attenzione nell’ambito di un recente giudizio costituzionale, in cui il g.o. ha interrogato la Corte costituzionale in merito alla ragionevolezza, tra l’altro, del numero di firme previsto per candidarsi e presentare liste di candidati alle elezioni politiche (che l’art. 18-bis del d.P.R. n. 361/1957 fissa in 1.500). La Corte, nel ritenere non manifestamente irragionevole detto limite - anche in considerzione della latissima discrezionalità di cui gode il legislatore in tale materia -, respinge l’eccezione erariale circa il difetto di giurisdizione del g.o. in tema di procedimento pre-elettorale, evidenziandone invece la funzione essenziale nel assicurare tempestiva tutela al diritto di elettorato passivo. Nel caso del diritto di elettorato passivo e, particolarmente per ciò che concerne le elezioni politiche nazionali, manca una disciplina legislativa che assicuri accesso tempestivo alla tutela giurisdizionale nei confronti di decisioni lesive dell’esistenza stessa del diritto (ad es., i provvedimenti di ricusazione di liste o d’incandidabilità). Infatti, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 235/2012, infatti, l’accertamento dell’incandidabilità alle elezioni politiche nazionali è demandato agli Uffici elettorali in occasione della presentazione delle liste e l’unico rimedio ammesso avverso la decisione è il ricorso all’Ufficio centrale nazionale. Ciò determina che di fatto, il controllo di legittimità è precluso per le fattispecie d’incandidabilità. “In questo specifico ambito, è giocoforza riconoscere che si è in presenza di una zona franca dalla giustizia costituzionale, e dalla giustizia tout-court, quantomeno nella sua dimensione effettiva e tempestiva, ciò che non è accettabile in uno Stato di diritto.” E’ stato evidenziato come con le sentenze n. 259/2009 e n. 48/2021, la Corte costituzionale “ha osservato un comportamento di judicial deference verso il Parlamento”, a fronte di un vuoto di tutela sempre meno tollerabile (Silvestri). Il riparto di giurisdizione Come anticipato nel paragrafo precedente, il sistema di riparto nella materia elettorale è stabilito da un lato, dall'art. 126 e, dall'altro dagli artt. 82 del d.P.R. 570/1969 e 22 del d.lgs. n.150/2011, ai sensi dei quali al giudice ordinario spetta la cognizione delle controversie in tema di ineleggibilità, decadenza ed incompatibilità dei consiglieri (Cass. n. 348/1990; Cons.St., n. 5695/2001; Cons. St., n. 717/2002; Giunta Camera 2002, I, 1594; Cons. St.Ad. plen., n. 10/2005). Mentre le cause inerenti alle operazioni per le elezioni dei consigli comunali, provinciali e regionali, devolute al giudice amministrativo dall'art. 6, l. T.A.R., sottendono posizioni di interesse legittimo, in quanto le norme che regolano le suddette operazioni sono dirette a tutelare in via preminente gli interessi dell'amministrazione, le controversie concernenti, invece, l'elettorato passivo (e cioè la posizione della candidatura ed il mantenimento della carica elettiva) involgono posizioni di diritto soggettivo, poiché la condotta dell'amministrazione è vincolata dalle norme in vista della prevalente tutela dell'interesse dei destinatari (Cons. St. VI, n. 6760/2005). La distinzione si basa sulla tesi tradizionale che le controversie in materia di operazioni elettorali coinvolgono interessi legittimi e, dunque, rientrano nella giurisdizione del Giudice amministrativo, mentre quelle in materia di ineleggibilità, decadenza e incompatibilità attengono a diritti soggettivi e, dunque, rientrano nella cognizione del Giudice ordinario (Gigli, 1215). Data la natura delle situazioni giuridiche coinvolte — diritti soggettivi di elettorato attivo e passivo — in dottrina si è qualificata la giurisdizione del giudice amministrativo in materia come esclusiva, inerente diritti costituzionalmente tutelati, pur nell'ambito di procedimenti amministrativi, come le operazioni elettorali (Scoca, 2010, 439). Il giudice amministrativo ha riconosciuto come «in materia di giudizio elettorale alla giurisdizione ordinaria spetta soltanto la cognizione delle liti concernenti le ineleggibilità, le decadenze e le incompatibilità dei candidati, ossia le questioni che investono diritti soggettivi perfetti; sono, invece affidate alla giurisdizione amministrativa tutte le questioni inerenti il vaglio di legittimità delle operazioni elettorali» ( Cons. St.,Ad. plen.n. 3/2010). All'alveo della giurisdizione amministrativa è ricondotto anche il contenzioso sul processo elettorale relativo all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, in base all' art. 42 della l. n.18/1979 che, per quanto attiene le disposizioni concernenti le elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, ne riconduce la disciplina alle previsioni dettate dal medesimo Codice. Di recente la Cassazione civile ha ribadito il sistema di riparto giurisdizionale, definendo la regola per cui spetta alla cognizione del giudice ordinario la domanda avente come oggetto la tutela del diritto di elettorato attivo, proposta prima ed al di fuori del relativo procedimento elettorale, in quanto giudice naturale dei diritti fondamentali e, tra questi, dei diritti politici. Nella specie, si verteva della lesione al diritto di voto derivante dalle disposizioni di una legge regionale, in relazione all'elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale, che attribuirebbe un premio di maggioranza eccedente, istituirebbe un anomalo premio di minoranza, assegnerebbe i seggi in base ai voti del candidato e non della lista e ripartirebbe il premio secondo criteri non conformi ai parametri evocati. La Corte afferma la giurisdizione del giudice ordinario avuto riguardo al «petitum« sostanziale, individuandolo nella tutela del diritto di elettorato attivo ossia l'espressione del voto, che costituisce oggetto di un diritto inviolabile e »permanente, devoluto alla giurisdizione del giudice civile quale giudice naturale dei diritti fondamentali e dei diritti politici in generale) (Cass.S.U., n. 21262/2016; negli stessi termini v. anche Cass.S.U., n. 13403/2017). Di interesse è che, nell'escludere la controversia dall'ambito della giurisdizione amministrativa sul contenzioso elettorale, di cui agli artt. 126, 129 e 130, la Corte afferma che la giurisdizione che tali disposizioni assegnano al giudice amministrativo ha ad oggetto le sole «operazioni elettorali», ossia la regolarità delle forme procedimentali di svolgimento delle elezioni, alle quali fanno capo nei singoli posizioni che hanno la consistenza dell'interesse legittimo, non del diritto soggettivo. E benché tali operazioni non si esauriscano nelle attività di votazione, ma si estendano al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni regionali e comprendano tutti gli atti del complesso procedimento, dall'emanazione dei comizi elettorali sino alla proclamazione degli eletti, resta tuttavia attribuita all'autorità giudiziaria ordinaria la cognizione delle controversie nelle quali si fanno valere posizioni di diritto soggettivo, quali quelle che si riconnettono al diritto di elettorato attivo o che concernono ineleggibilità, decadenze e incompatibilità. Nell'addivenire a tale conclusione, la Corte precisa che «in materia di contenzioso elettorale l'ambito della giurisdizione amministrativa «non è affatto un sistema di giurisdizione esclusiva, che possa includere posizioni di diritto pieno», il che è confermato dall'«elencazione (tassativa) contenuta nell'art. 133, che individua per l'appunto le materie di giurisdizione esclusiva e non comprende quella elettorale» (ibid.). Al contrario, l'attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione su diritti, e diritti fondamentali, sarebbe da ritenersi derogatoria del criterio di riparto costituzionalmente delineato dall' art. 103 Cost., comma 1, e avrebbe richiesto una legge, non bastando a tal fine la generale locuzione dell'art. 126. Tale approdo interpretativo è coerente con i precedenti arresti giurisprudenziali con riguardo alla disciplina di cui al previgente L. n. 1034/1971, art. 6. Si è infatti affermato ( Cass.S.U., n. 8084/1992) che la (allora) prevista competenza dei tribunali amministrativi regionali a «decidere sui ricorsi concernenti controversie in materie di operazioni per le elezioni dei consigli comunali, provinciali e regionali» si caratterizzava per la pertinenza delle operazioni «a situazioni giuridiche soggettive che hanno la consistenza del mero interesse legittimo», e si è conseguentemente escluso che alla giurisdizione amministrativa in tali controversie potesse «riconoscersi carattere esclusivo», costituendo essa, piuttosto, «una applicazione dei criteri generali di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo». Si tratta di un esito condiviso ed applicato dai giudici amministrativi, i quali — ribadita la spettanza al giudice ordinario delle «questioni che vertono su diritti soggettivi perfetti» — hanno riconosciuto ricadenti nel loro perimetro giurisdizionale «tutte le decisioni relative all'annullamento degli atti amministrativi attinenti alle operazioni elettorali, nell'ambito delle quali sono ricomprese anche le deliberazioni dei competenti uffici elettorali in ordine all'ammissione o ricusazione dei candidati e dei relativi simboli» ( Cons. St.,Ad. plen., n. 10/2005). Sempre in materia di diritto di elettorato attivo, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile una questione sollevata dal giudice a quo e diretta a contestare, in termini astratti, la costituzionalità del disegno del procedimento elettorale delle elezioni europee. La Corte ha rilevato come, essendo nel caso di specie la domanda proposta senza alcun riferimento ad un concreto procedimento elettorale, la stessa difetta del requisito di rilevanza, dovendo l'incertezza sulla portata del diritto di voto suscettibile di profilarsi e misurarsi solo in termini concreti, con l'applicazione della norma dubbia in una determinata vicenda elettorale (Corte cost. n. 110/2015). Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche, si è così affermata la devoluzione al giudice amministrativo della domanda di annullamento delle operazioni elettorali relative all'elezione del sindaco e del Consiglio comunale, fondata sull'ammissione al voto di cittadini dell'Unione Europea, residenti in Italia, che abbiano presentato in ritardo l'istanza d'inclusione nelle liste elettorali aggiunte (tale controversia, infatti, non coinvolge il diritto di elettorato attivo, non mettendo in discussione il diritto al voto o la sussistenza dei relativi presupposti, ma si esaurisce nell'assunto dell'illegittimità dell'operato della Commissione circondariale, consistente nell'accoglimento di istanze di ammissione al voto tardivamente presentate, e resta dunque nell'ambito della denuncia d'irregolarità di un atto facente parte del complessivo procedimento elettorale ( Cass.S.U., n. 22220/2006). Analogamente, nel caso di provvedimento di decadenza, si è stabilito che il giudice ordinario può conoscere della questione relativa all'eleggibilità, posto che la decisione verte non sull'annullamento dell'atto amministrativo, ma sul diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato attivo ed il giudice ordinario, nelle cause elettorali devolute alla sua cognizione, ha il potere di correggere, in caso di accoglimento del ricorso, il risultato dell'elezione stessa, sostituendo ai candidati illegittimamente proclamati coloro che hanno il diritto di esserlo o di porre nel nulla il provvedimento di decadenza, ove emesso al di fuori delle condizioni che lo legittimano. ( Cass.S.U., n. 11646/2003). Nello stesso senso, si è rilevato che spetta al giudice ordinario la cognizione sulla questione della non candidabilità di un soggetto, potendo essa essere conosciuta e valutata dal giudice amministrativo solo in via incidentale e senza efficacia di giudicato, ai sensi dell' art. 8 comma 1, d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 11 ottobre 2011, n. 1777), nonché le controversie, promosse per denunciare irregolarità attinenti l'esercizio del voto da parte degli elettori affetti da impedimento (cosiddetto voto assistito), la vidimazione delle schede votate, le modalità dello scrutinio ( Cass.S.U., n. 4448/1986). In tema di consultazioni referendarie – sia regionali sia comunali – la giurisdizione sulla impugnazione dei provvedimenti di indizione appartiene al giudice ordinario, sia in caso di provvedimenti positivi sia negativi. Si è osservato che, in tali casi, i promotori del referendum agiscono nel relativo procedimento in posizione di parità con gli organi preposti al controllo di legalità della richiesta referendaria che operano, al pari del comitato promotore, a tutela dell'ordinamento generale e non di uno specifico interesse della Pubblica Amministrazione (Cons. St. I, n. 897/2021). In tema di risarcimento dei danni, la controversia introdotta da un consigliere regionale per ottenere il risarcimento dei danni sofferti in conseguenza del ritardo nella consecuzione della carica, a causa di errori commessi dagli organi amministrativi preposti alle operazioni elettorali, appartiene alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, ancorché la domanda fosse stata proposta successivamente alla sentenza di quest'ultimo che, accertata l'erroneità delle operazioni elettorali e dei suoi risultati quanto alla posizione del consigliere, ne aveva disposto la correzione in senso a lui favorevole, rigettando, per ragioni di rito afferenti alla sua tardiva proposizione, l'istanza risarcitoria formulata nel giudizio di impugnazione del risultato elettorale ( Cass. S.U., n. 19911/2016). In caso di cumulo di domande, entrambe appartenenti alla giurisdizione del g.a., ma soggette l'una al rito elettorale e l'altra a quello ordinario,la regola fissata dal codice del processo è quella della prevalenza del rito ordinario (Cons. St. III, 5 marzo 2018, n. 1328, relativa ad un ricorso con cui si chiedeva l'annullamento del verbale di proclamazione degli eletti e dell'atto di nomina del vice-sindaco da parte del sindaco eletto). La querela di falso La disciplina vigente preclude al giudice amministrativo l'accertamento, anche incidentale, di falsi in atti pubblici commessi nel procedimento preparatorio elettorale. Infatti, ai sensi dell'art. 8, comma 2, «restano riservate all'autorità giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell'incidente di falso» (la norma riproduce testualmente i previgenti art. 7, comma 3, ultima parte della l. Tar e artt. 28, comma 3 e 30, comma 2 T.U. Cons. St.; inoltre, l'art. 8 della stessa l. Tar disponeva che «La risoluzione dell'incidente di falso e le questioni concernenti lo stato e la capacità dei privati individui restano di esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio»; ancora prima v. l' art. 7 del R.d. n. 2840/1923). L'art. 77. disciplina, invece, la sospensione del giudizio amministrativo in seguito alla proposizione della querela di falso (anche in questo caso in modo analogo alle previgenti disposizioni, di cui agli artt. 41-43 del r.d. n. 642/1907). Fin dalle origini del processo amministrativo, dunque, il legislatore ha inteso riservare al solo giudice ordinario l'accertamento della falsità degli atti pubblici, cui l' art. 2700 c.c. riconosce fede privilegiata fino a querela di falso. Le sopra riportate norme precludono al giudice amministrativo anche l'accertamento incidentale della falsità dei documenti (richiesta ad es. mediante Ctu). Il Consiglio di Stato ha dubitato della legittimità costituzionale di tale limitazione in un giudizio riguardante le elezioni regionali del Piemonte, in cui assumeva rilievo la dedotta falsità delle sottoscrizioni di accettazione delle candidature di una lista risultata decisiva sull'esito del voto (Cons. St. V, ord., n. 1000/2011; pur non sollevando q.l.c., analoga questione ha riguardato le elezioni regionali della Lombardia, in Cons. St. V, n. 5345/2011). Secondo il Consiglio di Stato, la riserva al giudice ordinario dei giudizi di accertamento della falsità di atti pubblici attraverso la speciale procedura della querela di falso e la preclusione per il giudice amministrativo dell'accertamento, anche solo incidentale, di tali falsità trae origine in un periodo storico, in cui le parti del processo amministrativo e lo stesso g.a. non avevano a disposizione strumenti probatori idonei per siffatti accertamenti. Tale limitazione si è progressivamente attenuata e l'evoluzione del processo amministrativo ha condotto al riconoscimento di sempre maggiori poteri istruttori al giudice amministrativo, soprattutto a seguito dell'approvazione della l. n. 205/2000, che ha modificato l' art. 44, comma 1, T.U. Cons. St. con la previsione dell'ammissibilità del ricorso alla Ctu (art. 16) e l' art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 80/1998 con il riconoscimento dell'ammissibilità nelle materie di giurisdizione esclusiva di tutti i mezzi di prova previsti dal c.p.c., esclusi l'interrogatorio formale e il giuramento. Il suddetto processo evolutivo ha trovato poi pieno compimento con l'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, che agli artt. 63 e ss. disciplina i mezzi di prova, ammettendo anche nella giurisdizione di legittimità tutti i mezzi di prova previsti dal c.p.c., sempre con l'esclusione di interrogatorio formale e giuramento, che mal si attagliano alla specificità del processo amministrativo. La attuale pienezza dei poteri istruttori del giudice amministrativo non giustificherebbe più la permanenza di preclusioni soprattutto in quei giudizi, quali il contenzioso elettorale, caratterizzati da una esigenza «rafforzata» di garantire il principio della ragionevole durata del processo. Nel Codice del processo amministrativo, la disciplina del rito elettorale (artt. 126-132) è caratterizzata, oltre che dall'attribuzione di pieni poteri di merito al g.a. (art. 7, comma 6 e art. 134, comma 1, lett. b), da una tempistica estremamente serrata, diretta a garantire un processo celere, che giunga a conclusione quando ancora gli effetti della pronuncia siano utili per la parte vittoriosa. La necessaria rapidità del giudizio elettorale troverebbe un ostacolo nella già descritta preclusione per il giudice amministrativo di accertare, anche solo incidentalmente, l'eventuale falsità degli atti del procedimento elettorale. Come affermato da Corte cost. n. 236/2010, in tali giudizi deve essere garantita «la possibilità di una tutela giurisdizionale efficace e tempestiva delle situazioni soggettive immediatamente lese»; al contrario, la necessaria sospensione del giudizio amministrativo e l'obbligo di proporre querela di falso priva il ricorrente della possibilità di ottenere tutela non solo prima dello svolgimento delle elezioni, ma talora addirittura prima della fine della legislatura. Tra tutti i precedenti a titolo di esempio veniva richiamata la vicenda esaminata dalla sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 2 dicembre 2010 n. 3, in cui un giudizio, attinente ad elezioni comunali svoltesi nel 2002 e sospeso a seguito della proposizione di querela di falso (relativa sempre ad alcune firme), è poi proseguito dopo il passaggio in giudicato della sentenza del giudice ordinario, che ha accertato la falsità delle sottoscrizioni, quando però ormai si era conclusa la consiliatura e si erano da tempo svolte nuove elezioni. Al riguardo è stato osservato che problema non è la durata del processo civile di accertamento del falso (che è un elemento di fatto inidoneo ad essere valutato in un giudizio di costituzionalità), ma la preclusione per il giudice amministrativo di garantire una tutela effettiva, accertando incidentalmente la falsità di atti pubblici del procedimento elettorale. Peraltro, tale sistema preclude in radice la possibilità di tutela cautelare in contrasto con quanto affermato dalla Corte cost. n. 236/2010, sopra citata, in cui è stato valorizzato il potere di sospensione dell'esecuzione dell'atto amministrativo come «elemento connaturale di un sistema di tutela giurisdizionale» (un ricorso in materia elettorale, affidato esclusivamente a censure inerenti la falsità di atti nella presentazione di una lista, vede oggi preclusa la tutela cautelare, non potendo il giudice amministrativo vagliare, neanche in sede cautelare, le denunciate falsità, rimesse alla esclusiva cognizione del giudice ordinario) (Chieppa,Il processo amministrativo, 719). La questione di costituzionalità è stata ritenuta non fondata dalla Corte Costituzionale. La Corte ha statuito che la riserva al giudice civile (di ultracentenaria tradizione) della risoluzione dell'incidente di falso, in tema di atti muniti di fede privilegiata, risponde alla esigenza di assicurare in talune peculiari materie — rispetto alle quali maggiore è la necessità di una certezza erga omnes e sulle quali possa dunque formarsi anche un giudicato — una sede e un modello processuale unitari: così da evitare, ad un tempo, il rischio di contrastanti pronunce (che minerebbero la fiducia verso determinati atti ovvero in ordine a condizioni e qualità personali di essenziale risalto agli effetti dei rapporti intersoggettivi), nonché il ricorso a modelli variegati di accertamento, dipendenti dalle specificità dei procedimenti all'interno dei quali simili questioni «pregiudicanti» possono intervenire. La devoluzione al giudice civile della querela di falso rappresenta, pertanto, una (unanimemente condivisa) opzione di sistema, rimessa alla discrezionalità del legislatore (la disciplina degli istituti processuali rientra nella discrezionalità del legislatore). La «unitarietà» della giurisdizione in specifiche materie ben può, dunque, costituire una necessità destinata a prevalere su quella di concentrazione dei singoli e diversi giudizi, senza che a tal proposito possa in qualche modo venire in discorso la maggiore o minore idoneità di questo o quello tra i modelli processuali ad assicurare adeguata tutela in quelle stesse materie. Il valore della effettività della tutela nell'ambito del contenzioso amministrativo in materia elettorale va dunque preservato, quanto al vincolo della pregiudizialità che scaturisce dall'incidente di falso, nel più ampio contesto delle esigenze di certezza che la soluzione di quell'incidente ragionevolmente postula, non potendo tali esigenze essere (questa volta sì irragionevolmente) totalmente pretermesse a vantaggio di una ipotetica maggiore speditezza del procedimento. Il dubbio di costituzionalità sollevato dal Consiglio di Stato determinerebbe — secondo la Corte — che, allo scopo di salvaguardare le esigenze di speditezza e di effettività della tutela nel contenzioso elettorale, contraddittoriamente si produrrebbe, quale naturale effetto, quello di «affievolire» l'efficacia e la qualità dell'atto munito di fede privilegiata, proprio in materia elettorale. Se si consentisse, in altri termini, solo un accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo, si finirebbe ineluttabilmente per frustrare il valore probatorio dell'atto pubblico, proprio perché non più fidefacente «fino a querela di falso» (Corte cost., n. 304/2011). In sostanza, secondo la Corte, non può ritenersi che la conformazione dell'accertamento della falsità documentale, per come discrezionalmente effettuata dal legislatore con la disciplina di cui al complesso delle disposizioni denunciate, sia di per sé idonea a recare un vulnus al predetto principio di effettività. La verifica della falsità da parte del giudice ordinario — destinata a confluire nel processo amministrativo ai fini della definizione della controversia — oltre a rinvenire la sua giustificazione nel sistema delle tutele di cui alle linee di sviluppo sommariamente indicate, è comunque in grado di assicurare un livello di protezione conforme alle prescrizioni costituzionali e internazionali. La Corte esclude inoltre che la necessaria sospensione del processo amministrativo in materia elettorale a seguito della querela di falso incida sul principio della ragionevole durata del processo, in quanto, su un piano generale, come tutti i meccanismi di accertamento pregiudiziale, comprese la pregiudizialità costituzionale e quella comunitaria, possano, per se stessi, incidere sulla durata del processo, senza che ciò automaticamente si risolva, com'è ovvio, nella violazione del principio di ragionevole durata del processo medesimo. Non è, dunque, mediante la soppressione di fasi processuali, essenziali ai fini della decisione, che si consegue l'obiettivo di garantire la celerità dei processi, compreso quello amministrativo in materia elettorale. La linea scelta dalla Corte — è stato osservato – appare quella maggiormente prevedibile e coerente con la tradizione del legislatore che ha sempre affidato l'accertamento del falso in atto pubblico al giudice ordinario. Resta, tuttavia, difficile ipotizzare che il giudizio civile si concluda in tempi utili per ottenere tutela nel contenzioso elettorale davanti al giudice amministrativo (Chieppa, Il processo amministrativo, 718). Alla luce di tali principi, è quindi possibile che, nell'ambito di un giudizio di annullamento di atti amministrativi — quali l'ammissione alla competizione elettorale di una lista considerata priva dei requisiti necessari e la proclamazione di un risultato elettorale al cui esito hanno concorso i voti raccolti da tale lista — il giudice amministrativo debba tener conto, incidentalmente, dell'accertamento di falsità documentali compiuto da altro giudice, posto che il legislatore ha sottratto un siffatto accertamento alla sua potestas iudicandi. Al contrario, il giudice violerebbe i limiti esterni della giurisdizione amministrativa qualora si arrogasse il potere di accertare egli stesso quelle falsità. La decisione con cui il Consiglio di Stato — nell'ambito della propria giurisdizione sul contenzioso elettorale, a norma dell' art. 126 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 — abbia ritenuto di identificare la pronuncia definitiva in ordine alla falsità documentale dell'autenticazione delle firme di accettazione della candidatura alla carica di consigliere regionale in quella resa dal giudice penale a norma dell' art. 537, comma 1, c.p.p., piuttosto che in quella adottata dal giudice civile all'esito del procedimento di querela di falso, non risulta affetta da vizio di eccesso di potere giurisdizionale, atteso che, in ipotesi, ricorrerebbe, eventualmente, un errore inerente il modo di esercizio in concreto della giurisdizione, come tale non sindacabile a norma degli artt. 362, primo comma, c.p.c. e 111, ottavo comma, Cost. ( Cass. S.U., n. 8993/2014). L'incidente processuale relativo alla querela di falso incontra dei limiti di ammissibilità in caso in cui sia proposto per la prima volta nel giudizio di appello. È stato infatti ritenuto inammissibile la proposizione della querela di falso in grado di appello, nel caso in cui il ricorrente in primo grado, pur avendo piena possibilità di farlo, non lo abbia proposto. In caso contrario, l'eventuale ammissione della querela di falso in appello comporterebbe un'indebita violazione del generale divieto di nova in grado di appello (cfr. art. 104, comma 1, primo periodo, secondo cui «[n]el giudizio di appello non possono essere proposte nuove domande, fermo quanto previsto dall'articolo 34, comma 3, né nuove eccezioni non rilevabili d'ufficio») (Cons. St. V, n. 278/2013.) BibliografiaBonelli, Il ricorso incidentale nel processo elettorale: spunti critici a proposito di un recente orientamento del Consiglio di Stato, in Riv. amm. R. 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