Ne bis in idem tra sanzioni disciplinari penitenziarie e danneggiamento

10 Novembre 2017

La questione all'esame della Corte era se fosse configurabile il divieto di bis in idem nel caso di soggetto detenuto, già sanzionato disciplinarmente con l'esclusione dall'attività comune per la durata di giorni dieci per la volontaria rottura del vetro di una finestra della casa circondariale dove si trovava ristretto, successivamente ...
Massima

Non è configurabile il divieto di bis in idem nel caso di soggetto detenuto, già sanzionato disciplinarmente con l'esclusione dall'attività comune per la durata di giorni dieci per aver intenzionalmente rotto un vetro di una finestra della casa circondariale dove si trovava ristretto, che per lo stesso fatto sia successivamente chiamato a rispondere del reato di danneggiamento aggravato di cui all'art. 635 c.p.

Il caso

Chiamato a rispondere del reato di danneggiamento aggravato del vetro di una finestra del corridoio di una sezione della casa circondariale dove si trovava detenuto, l'imputato veniva prosciolto dal tribunale, che dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti per ne bis in idem, in quanto per lo stesso fatto aveva già subito un procedimento disciplinare ex art. 81, comma 2, d.P.R. 230 del 2000 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) all'esito del quale gli era stata irrogata la sanzione disciplinare dell'esclusione dall'attività comune per la durata di giorni dieci.

Il tribunale, richiamando l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza sovranazionale e valorizzando la ritenuta gravità della sanzione disciplinare irrogata, perciò avente natura sostanzialmente penale, riteneva operante il divieto di bis in idem, sancito dall'art. 6 della Convenzione Edu e dall'art. 4 del protocollo 7 alla stessa Convenzione.

Contro tale provvedimento, proponeva ricorso immediato per cassazione il Procuratore generale della Corte di appello il quale, premessa la condivisione dei criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (cc.dd. criteri Engel) in applicazione dei quali valutare la natura in concreto penale o meno di una sanzione, contestava la ritenuta assimilabilità dell'irrogata sanzione disciplinare ad una sanzione penale, con la conseguente insussistenza della violazione del divieto di bis in idem.

Il caso ripropone la questione della applicabilità dei principi Cedu in tema di doppio binario sanzionatorio.

Va ricordato che il divieto di bis in idem è sancito a livello convenzionale dall'art. 4, par. 1, del protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali (d'ora in poi, Convenzione Edu): «nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato».

L'art. 4, par. 1, prot. 7 ha costituito oggetto di plurimi interventi della Corte Edu e in particolare, da ultimo, della sentenza della Grande Camera del 15 novembre 2016 A e B c. Norvegia, relativa ad un caso di due contribuenti norvegesi che lamentavano di essere stati perseguiti e puniti due volte – in procedimenti amministrativi e penali – per lo stesso fatto illecito tributario, la quale ha segnato un netto superamento rispetto ai principi enunciati dalla stessa Corte in tema di ne bis in idem convenzionale e doppio binario sanzionatorio amministrativo e penale (si rinvia a Doppio binario sanzionatorio per abuso di informazioni privilegiate. Ricadute della sentenza Cedu A e B. c. Norvegia, nonché a VIGANÒ, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio e CONFALONIERI).

Hanno trovato conferma:

  • l'adozione dei criteri Engel (Corte Edu, 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi) per la qualificazione della sanzione formalmente amministrativa come sostanzialmente penale (criteri ritenuti alternativi e non cumulativi: della qualificazione giuridico formale dell'infrazione nel diritto interno; della natura dell'infrazione o dell'illecito; della natura o del grado di severità della sanzione);
  • la nozione di idem fattuale enunciata dalla Corte Edu (pur dovendosi registrare una certa elasticità nell'individuazione dell'idem che, infatti, nella sentenza della Grande Camera, Zolotoukhine c. Russia del 10 febbraio 2009 si fonda su fatti identici o sostanzialmente uguali, mentre nella sentenza Grande Stevens c. Italia del 4 marzo 2014 si fonda sull'identità del comportamento ed in quella Lucky c. Svezia del 27 novembre 2014 torna a essere un insieme di circostanze fattuali concrete che riguardano lo stesso imputato e che sono inestricabilmente avvinte nel tempo e nello spazio. Per l'analisi del ne bis in idem convenzionale ed eurounitario v., ex plurimis, ALESSANDRI, ALLENA, APRATI, BONTEMPELLI, BOZZI, CONTI, DE AMICIS, GAETA, GALANTINI, GOISIS, MANES, RECCHIA, SCAROINA, ZAGREBELSKY).

È stata invece abbandonata la regola tassativa della interruzione del procedimento ancora pendente quando sia divenuto definitivo l'altro avente ad oggetto l'idem factum e ne viene fissata una nuova, per la quale la violazione del ne bis in idem convenzionale ex articolo 4, protocollo 7, Cedu è esclusa, e i distinti procedimenti sanzionatori, penale ed amministrativo, ben possono esaurirsi entrambi, quando tra essi sussiste una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta.

Sotto il profilo sostanziale la sentenza (§ 132) ha ritenuto possibile configurare tale connessione:

  1. quando i due procedimenti, non solo in astratto ma anche in concreto, perseguono scopi complementari ed hanno ad oggetto differenti aspetti della medesima condotta antisociale. Secondo la sentenza (§ 144) tale condizione sussiste in quanto nel sistema norvegese le sanzioni amministrative tributarie hanno finalità sia di deterrenza, sia di compensare gli sforzi, umani e finanziari, che l'amministrazione fiscale deve affrontare, nell'interesse dell'intera collettività, per scoprire e sanzionare le evasioni fiscali, mentre quelle penali hanno finalità esclusivamente punitiva della condotta antisociale, costituendo un implicito rimprovero per un comportamento doloso e fraudolento;
  2. quando la duplicità dei procedimenti sia una prevedibile conseguenza, sotto il profilo giuridico e pratico, della stessa condotta;
  3. quando i due procedimenti siano condotti in modo da evitare per quanto possibile ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, in particolare attraverso una adeguata interazione tra le varie autorità competenti in modo da far sì che l'accertamento dei fatti in un procedimento sia utilizzato altresì nell'altro procedimento;
  4. quando, soprattutto, la sanzione imposta nel procedimento che diventa definitivo per primo sia tenuta in considerazione in quello che diviene definitivo per ultimo, in modo da impedire che l'interessato sopporti un onere eccessivo, rischio quest'ultimo che è meno probabile quando vi sia un meccanismo di compensazione finalizzato a garantire che le sanzioni complessivamente imposte siano proporzionate.

La sentenza (§ 146) ha ritenuto sussistere tali ultime due condizioni poiché l'amministrazione tributaria aveva basato la sanzione, tra l'altro, sulle dichiarazioni rese dagli interessati nel procedimento penale e, per quanto riguarda la proporzionalità della pena globale imposta, la sanzione penale teneva conto della sanzione tributaria.

Sotto il profilo temporale tale connessionesi configura (§ 134) quando tra i due procedimenti vi sia anche un collegamento di natura cronologica, requisito che però non comporta che i due procedimenti debbano essere condotti simultaneamente dall'inizio alla fine.

Resta infatti salva la facoltà degli Stati dioptare per lo svolgimento progressivo dei due procedimenti quando ricorrono ragioni di efficienza e di buona amministrazione della giustizia. Tuttavia, per evitare all'interessato di subire un pregiudizio sproporzionato, il collegamento temporale tra i diversi procedimenti deve essere sufficientemente vicino, in modo da evitare incertezza, ritardo e l'eccessivo protrarsi dei tempi di definizione, tenendo presente che più debole è la connessione temporale, maggiore è l'onere per lo Stato di spiegare e giustificare tale ritardo riconducibile alle modalità di svolgimento dei procedimenti.

Sussistendo la connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta nei termini illustrati, non vi è violazione del ne bis in idem convenzionale ex articolo 4, protocollo 7, Cedu, in quanto la previsione normativa di un doppio binario sanzionatorio, pur se la sanzione amministrativa in base ai criteri Engel abbia natura penale ex articolo 7 Cedu, si traduce in un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell'illecito in maniera prevedibile e proporzionata nel quadro di una strategia unitaria.

I margini applicativi di tale orientamento giurisprudenziale sono all'evidenza estremamente elastici, tanto che l'unica opinione dissenziente nel collegio ha qualificato il criterio adottato come «vaghissimo ed arbitrario», affermazione condivisa dalla dottrina (VIGANÒ, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, cit.) con l'aggiunta che lo stesso parallelismo delle due procedure in sede amministrativa e penale può non essere essenziale quando l'apertura della seconda procedura abbia connotazione temporalmente tale da non essere il sintomo di un'esposizione «a perdurante incertezza sulla propria sorte», del soggetto gravato dai procedimenti (si è osservato in dottrina che le indicazioni della sentenza sulla connessione temporale sembrano «aprire la strada – un po' sorprendentemente, viste le premesse con le quali la Corte pareva aver ristretto il suo esame all'ipotesi, appunto, dei procedimenti paralleli – alla possibilità di escludere la violazione anche nell'ipotesi in cui il secondo procedimento inizi dopo la definitiva conclusione del primo procedimento»).

A tali considerazioni può aggiungersi il rilievo che la sentenza non precisa se le condizioni per la configurabilità della connessione sostanziale siano cumulative, nel senso che devono sussistere congiuntamente, ovvero alternative (come rileva, peraltro in modo dubitativo, CONFALONIERI, secondo cui, «fermo il fatto che non sembra che si tratti di parametri cumulativi, rimane però oscuro se la mancanza di uno solo di essi basti per escludere la close connection»).

Sembra peraltro che la Grande Camera, ammettendo un doppio binario sanzionatorio, pur se la sanzione amministrativa in base ai criteri Engel abbia natura penale, quando lo stesso si traduce in «un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell'illecito in maniera prevedibile e proporzionata nel quadro di una strategia unitaria», valorizzi comunque come essenziali le condizioni di prevedibilità e proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, connotati, del resto, tipici della sanzione penale ex articolo 7 Cedu. La natura essenziale, inoltre, quanto al meccanismo compensativo che attua la proporzionalità tramite la considerazione della sanzione imposta nel procedimento che diventa definitivo per primo in quello che diviene definitivo per ultimo, si desume dall'uso della locuzione above all (soprattutto) prima della enunciazione di tale criterio.

Spazi di discrezionalità interpretativa e di adattamento alla fattispecie concreta in relazione alla natura delle sanzioni amministrative interessate ed alle regole dei rispettivi procedimenti, sembrano invece possibili per il giudice del merito quanto alle altre due condizioni enunciate per la configurabilità della connessione sostanziale.

La questione

La questione all'esame della Corte era se fosse configurabile il divieto di bis in idem nel caso di soggetto detenuto, già sanzionato disciplinarmente con l'esclusione dall'attività comune per la durata di giorni dieci per la volontaria rottura del vetro di una finestra della casa circondariale dove si trovava ristretto, successivamente chiamato a rispondere per lo stesso fatto del reato di danneggiamento aggravato di cui all'art. 635 c.p.

Il tema si colloca nel contesto più ampio del rapporto tra sanzioni disciplinari e sanzioni penali, tradizionalmente caratterizzato dalla reciproca autonomia.

La decisione in commento, premesso che la Corte costituzionale con la sentenza n. 49 del 26 marzo 2015 ha chiarito che il giudice nazionale è vincolato all'osservanza non di qualsivoglia sentenza della Corte di Strasburgo, bensì soltanto delle sentenze costituenti diritto consolidato o delle sentenze pilota in senso stretto, ha riconosciuto che le sentenze della Corte di Strasburgo (anche nella composizione allargata della Grande Camera, quale la sentenza A e B c. Norvegia) in tema di violazione del divieto di bis in idem ex art. 4 prot. n. 7, alla Conv. Edu, costituiscono senza dubbio diritto consolidato nei sensi indicati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità e ne ha quindi fatto applicazione nella fattispecie in esame.

Ricordando come la stessa Corte di Strasburgo, in materia di rapporti tra separati procedimenti finalizzati all'irrogazione di sanzioni penali e sanzioni disciplinari, non abbia mai affermato la sussistenza del divieto di bis in idem ex art. 4 del protocollo n. 7 alla Convenzione Edu, ha richiamato per la medesima soluzione diverse decisioni della Cassazione civile e penale.

Quanto alla prima, ha rinviato a:

  • Sezioni unite n. 4004/2016, secondo cui il procedimento disciplinare nei confronti di un magistrato (nel caso di specie, incolpato di corruzione in atti giudiziari) poteva proseguire e condurre all'irrogazione della sanzione disciplinare (nel caso di specie, della rimozione) anche dopo il giudicato penale di condanna con pena accessoria dell'estinzione del rapporto d'impiego, senza alcuna violazione del divieto di bis in idem, stante la diversa natura della sanzione disciplinare e di quella accessoria penale;
  • Sezione II n. 2927/2017, in tema di giudizio disciplinare nei confronti dei professionisti (nella specie, a carico di un notaio), secondo cui, nel caso in cui l'incolpato avesse già riportato condanna ad una sanzione penale per i medesimi fatti oggetto del procedimento disciplinare, non può ipotizzarsi la violazione del divieto di bis in idem, in quanto la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale ed è preordinata all'effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sicché ad essa non può attribuirsi natura sostanzialmente penale.

Sul versante penale, la sentenza ha poi richiamato Sezione III n. 36350/2015, che ha ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., sollevata per violazione degli artt. 24 e 117 Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 4 del protocollo n. 7 alla Convenzione Edu, nella parte in cui non prevede l'applicazione del divieto di bis in idem anche quando, dopo un procedimento disciplinare davanti agli organi della giustizia sportiva conclusosi con l'applicazione di una sanzione, faccia seguito per lo stesso fatto l'attivazione di un procedimento penale in senso stretto. È significativo che in quel caso, relativo a rapporti tra un illecito disciplinare di competenza della giustizia sportiva e un illecito penale, era stata esclusa la configurabilità della violazione del divieto di bis in idem per il rilievo che la sanzione disciplinare inflitta dagli organi della giustizia sportiva non ha nemmeno natura amministrativa, in quanto non esercita alcuna efficacia al di fuori dell'ordinamento di settore.

Altro precedente penale richiamato, che ha fondamentale rilevanza, in quanto riguardante una fattispecie simile, è quello della stessa Sezione II (sentenza n. 9184/2017, annotata da ZUFFADA), che aveva disposto l'annullamento con rinvio di una sentenza con cui il giudice del merito aveva dichiarato non doversi procedere per il reato di danneggiamento aggravato commesso da un detenuto su una finestra della casa circondariale nella quale era ristretto e che aveva già subito la sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune per cinque giorni (tanto risulta nella esposizione del fatto, mentre nel considerato in diritto si fa riferimento all'isolamento diurno).

In quel caso la Cassazione aveva escluso la preclusione all'esercizio dell'azione penale ex art. 649 c.p.p., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente "penale", ai sensi dell'art. 4 del protocollo 7 alla Convenzione Edu (come interpretato dalla sentenza della Corte Edu, Grande Camera, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia), pervenendo quindi alla stessa conclusione della sentenza in commento, sia pure, come si dirà in seguito, sulla base di diverse considerazioni.

La questione all'esame della Cassazione, quindi, era se, in una fattispecie identica, l'esclusione della possibilità di attribuire natura sostanzialmente penale alle sanzioni disciplinari fosse da confermare e, in caso di soluzione affermativa, dovessero ribadirsi le argomentazioni della citata sentenza n. 9184/2017.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza n. 9184/2017, pur attribuendo natura sostanzialmente penale alla sanzione disciplinare ha però ritenuto sussistere un rapporto tra i due procedimenti (penale e disciplinare) di contiguità temporale tale da ritenere esaudita la verifica dello stretto legame temporale proveniente dalla Corte europea ai fini della valutazione di legittimità convenzionale del doppio binario sanzionatorio.

Sotto il primo profilo, pur riferendosi all'isolamento diurno per cinque giorni, mentre nella esposizione del fatto la sentenza fa riferimento alla esclusione dalle attività in comune per cinque giorni, la sentenza afferma la natura penale, trattandosi di «punizione di significativa gravità, in quanto rende la detenzione particolarmente afflittiva, al punto che per applicare la sanzione è necessaria una autorizzazione del medico», per poi precisare:

  • che tale sanzione non è qualificata formalmente come penale, tuttavia il grado di afflittività della stessa, tenuto conto della severità della restrizione e della sua durata ne consente l'equiparazione alla sanzione formalmente penale, nel rispetto dei principi di Engels, ovvero dei parametri indicati dalla Corte di Strasburgo per la valutazione della natura penale della reazione sanzionatoria al comportamento deviante;
  • che tale valutazione non può essere generalizzata ed estesa a tutte le sanzioni disciplinari dovendosi valutare, caso per caso, se le stesse abbiano caratteristiche tali da potere essere considerate sostanzialmente penali, tenuto conto dei parametri indicati dalla Corte europea.

Viene poi risolto positivamente il quesito della esistenza di uno stretto legame materiale tra le due procedure «visto che:

a) le finalità della sanzione penale e di quella disciplinare sono differenti, avendo la prima sia una funzione generalpreventiva volta alla dissuasione dalla commissione di condotte analoghe, che una finalità specialpreventiva, rivolta alla specifica rieducazione del deviante; la seconda svolgendo, invece, la più limitata funzione di presidiare l'ordine interno all'istituto penitenziario;

b) la plurioffensività della condotta di danneggiamento è prevedibile ab initio essendo previsto dall'art. 32 dell'ordinamento penitenziario che il detenuto sia posto a conoscenza delle norme che disciplinano i suoi diritti e doveri oltre che la disciplina ed il trattamento; ed essendo, d'altro canto, pacificamente riconosciuta la prevedibilità della reazione, strettamente penale, alla condotta deviante contestata;

c) i due procedimenti presentano adeguate interazioni, dato che il Consiglio di disciplina dell'istituto penitenziario può sospendere il giudizio in ragione della complessità dell'accertamento dei fatti ed all'esiguità degli strumenti istruttori disponibili (art. 79 reg. esec. ord. pen.)».

Di conseguenza, il procedimento che presidia il mantenimento della disciplina all'interno degli Istituti penitenziari e quello penale possono, in astratto, essere orientati ad infliggere una sanzione penale integrata basata sull'accertamento dello stesso fatto; sanzione che non contrasta con il diritto a non esser perseguiti due volte come interpretato alla luce del diritto convenzionale consolidato.

Una astratta compatibilità che, secondo la sentenza, in parte sostanzia il legame materiale tra le procedure richiesto dalla giurisprudenza convenzionale, non garantisce che, in concreto, le due procedure si integrino senza violare il diritto a non essere perseguiti due volte, essendo comunque necessaria la verifica dello stretto legame temporale tra le procedure, oltre che dell'ulteriore profilo (materiale) della proporzionalità complessiva della sanzione inflitta.

I due procedimenti (penale e disciplinare) sono quindi temporalmente contigui, con applicabilità della recente giurisprudenza della Corte europea in tema di legittimità convenzionale del doppio binario sanzionatorio. La sentenza n. 9184/2017, pur riconoscendo che allo stato non è valutabile il profilo della proporzionalità complessiva della sanzione, non rinviene però «alcuna violazione dell'art. 649 c.p.p., anche nella dimensione emergente dalla interpretazione assegnabile alla norma alla luce del diritto convenzionale».

Diversa impostazione, pur con la stessa conclusione, è quella della sentenza n. 43435/2017 in commento.

In primo luogo, la decisione opportunamente chiarisce che la sanzione della esclusione dalle attività in comune è diversa rispetto all'isolamento ed ha natura pacificamente disciplinare.

Vale ricordare, al riguardo, che l'art. 39 della l. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) prevede le sanzioni disciplinari distinguendo, al comma 1, l'isolamento durante la permanenza all'aria aperta per non più di dieci giorni (numero 4) dall'esclusione dalle attività in comune per non più di quindici giorni (numero 5) e prevedendo per tale seconda sanzione «non può essere eseguita senza la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che il soggetto può sopportarla» e «che il soggetto escluso dalle attività in comune è sottoposto a costante controllo sanitario».

A sua volta il d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) disciplina agli artt. 73 e 77 le varie ipotesi di isolamento (tra cui quello continuo durante l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune che – art. 73, comma 2 – «è eseguito in una camera ordinaria, a meno che il comportamento del detenuto o dell'internato sia tale da arrecare disturbo o da costituire pregiudizio per l'ordine e la disciplina») nonché all'art. 78 la loro adozione in via cautelare, prevedendo infine all'art. 80, comma 3 che «qualora il sanitario certifichi che le condizioni di salute del soggetto non gli permettono di sopportare la sanzione della esclusione dalle attività in comune questa è eseguita quando viene a cessare la causa che ne ha impedito l'esecuzione».

La sentenza in commento, poi, esclude la violazione del ne bis in idem per due ragioni.

La prima è che gli orientamenti consolidati della Corte di Strasburgo, in materia di rapporti tra separati procedimenti finalizzati all'irrogazione di sanzioni penali e disciplinari, non ha mai affermato la sussistenza del divieto di bis in idem ex art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione Edu.

Infatti, in più occasioni la Grande Camera della Corte Edu (sentenza 21 febbraio 1984, caso Ozturk c. Germania, p. 53; sentenza 10 febbraio 2009, caso Sergey Zolotukhin c. Russia, p. 55), in ciò seguita dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini dell'attribuzione della natura sostanzialmente penale ad una sanzione formalmente non penale, ha evidenziato, quale elemento atto ad incidere negativamente sulla configurabilità del terzo dei criteri Engel (gravità delle conseguenze in cui l'incolpato può incorrere in conseguenza della commissione dello "stesso fatto" costituente oggetto di due distinti procedimenti), che la sanzione sostanzialmente penale si caratterizza per la circostanza di essere diretta alla generalità dei consociati, mentre il procedimento disciplinare può comportare unicamente l'applicazione di sanzioni mai sostanzialmente penali, in quanto conseguenti alla violazione di regole di comportamento valevoli unicamente nell'ambito di una cerchia ristretta di soggetti ma non anche della generalità dei consociati, essendo finalizzate unicamente a regolare l'ordinato svolgersi dei reciproci rapporti in determinati contesti e/o settori.

È stata quindi esclusa la possibilità di attribuire natura sostanzialmente penale alle sanzioni disciplinari, in quanto esse sono valide ed efficaci soltanto all'interno di una ristretta cerchia di consociati e fino a che il soggetto sanzionato ne faccia parte.

Pur essendo tali considerazioni “assorbenti” (punto 13 della motivazione) la decisione impugnata è stata ritenuta illegittima anche perché, pur facendo applicazione dei criteri Engel, alla sanzione disciplinare in esame non può essere attribuita natura sostanzialmente penale, mancando il requisito della sua gravità, sia perché detta sanzione esercita efficacia afflittiva soltanto nel contesto carcerario e fino a che il soggetto sanzionato ne faccia parte ma non esercita alcuna efficacia al di fuori di tale contesto, sia perché è priva di quei caratteri di marcata afflittività che potrebbero indurre l'interprete a qualificarla, in concreto, come sanzione di natura sostanzialmente penale, in quanto (punto 8 della motivazione cui rinvia il punto 13.3) è prevista per la durata massima di giorni quindici), con espressa indicazione che essa può essere in concreto applicata solo se il detenuto sia fisicamente e psicologicamente in grado di sopportarla: per tale ragione, il detenuto sanzionato è sottoposto a costante controllo sanitario e la sanzione, ove si riveli pregiudizievole per la salute del detenuto che vi è sottoposto, deve cessare immediatamente, in ogni momento.

Osservazioni

Entrambe le sentenze, ricordando che la Corte costituzionale con la sentenza n. 49 del 26 marzo 2015 ha chiarito che il giudice nazionale è vincolato all'osservanza non di qualsivoglia sentenza della Corte di Strasburgo, bensì soltanto delle sentenze costituenti diritto consolidato o delle sentenze pilota in senso stretto, hanno riconosciuto che le sentenze della Corte di Strasburgo (anche nella composizione allargata della Grande Camera) in tema di violazione del divieto di bis in idem ex art. 4, Prot. n. 7, alla Conv. Edu, costituiscono senza dubbio "diritto consolidato" nei sensi indicati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità.

Tale posizione smentisce quanto affermato in dottrina da un commentatore (MANACORDA) secondo cui la diversità della materia oggetto della decisione della Corte Edu, concernente il doppio binario sanzionatorio tributario e la riferibilità del giudizio ad uno Stato diverso dall'Italia precluderebbero la configurabilità di un diritto consolidato giusta i parametri della sentenza n. 49 del 2015 della Corte Costituzionale.

Va aggiunto al riguardo che in tale sentenza non è richiesto quale requisito per il formarsi di un diritto consolidato che il dictum della Corte Edu riguardi l'Italia e che la Corte costituzionale si è limitata a dubitare della vincolatività quando «nel caso deciso dalla Corte Edu la stessa non sia stata posta in condizione di apprezzare i tratti peculiari del nostro ordinamento», sicché si tratti di estendere «criteri di giudizio elaborati nei confronti di altri Stati aderenti».

Siffatto dubbio non si pone certamente nel caso esaminato dalla sentenza A e B c. Norvegia, che non si fonda sulle peculiarità proprie del sistema norvegese di doppio binario sanzionatorio tributario ma affronta in generale il tema di tale doppio binario in termini riferibili a tutti gli Stati membri che lo hanno adottato ed altresì suscettibili di ricaduta sul doppio binario sanzionatorio anche al di fuori della materia tributaria (nel caso esaminato dalla citata dottrina in tema di market abuse), quando si presentino, come nella specie, identici problemi in punto di sua operatività a fronte dei diritti fondamentali assicurati dalla Cedu.

Quanto al differente percorso argomentativo cui sono pervenute le due decisioni, la soluzione adottata della sentenza n. 43435/2017 sembra preferibile, in quanto, a prescindere dalla non afflittività dell'esclusione dall'attività comune, si fonda su consolidate affermazioni della giurisprudenza della Corte Edu in tema di natura non penale delle sanzioni disciplinari – poiché valide ed efficaci soltanto all'interno di una ristretta cerchia di consociati e fino a che il soggetto sanzionato ne faccia parte – evitando opportunamente la difficile applicazione dei criteri dettati dalla sentenza A e B c. Norvegia, che peraltro la stessa sentenza n. 9184/2017 finisce per applicare sulla base di un dato temporale casuale (fine del procedimento disciplinare contestualmente all'avvio di quello penale) e non predeterminato per legge, per giunta riconoscendo l'impossibilità di valutare il profilo della proporzionalità complessiva della sanzione.

Va infine rilevato che le sentenze non affrontano l'ulteriore questione dell'adattamento ai principi della sentenza A e B c. Norvegia della Corte Edu di quelli enunciati dalla Corte di Giustizia in tema di ne bis in idem con la sentenza 26 febbraio 2013, nella causa C-617/10, Åkerberg Fransson.

Sentenza quest'ultima riferita ad un doppio binario sanzionatorio tributario e che si riportano:

  • alla nozione di idem enunciata dalla sentenza della Corte Edu Grande Camera Zolotoukhine/Russia del 2009;
  • all'adozione dei criteri Engel per la qualificazione della sanzione;
  • alla regola della interruzione del procedimento pendente quando l'altro sia divenuto definitivo;

differenziandosi dalla giurisprudenza della Corte Edu quanto al riconoscimento al giudice nazionale del potere di verificare l'esistenza dell'idem e dell'obbligo di assicurarsi, ai fini della predetta interruzione, «che le rimanenti sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive» (§ 36).

Sarebbe stato invero superfluo affrontare la questione, non essendo la disciplina sanzionatoria in materia penitenziaria riconducibile all'ambito di applicazione del diritto UE, condizione di applicabilità, come prevede l'art. 51 C.D.F.Ue, dell'insieme dei diritti e delle garanzie riconosciute dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

Peraltro è utile ricordare che, in relazione alle questioni pregiudiziali di interpretazione del diritto dell'Unione con riferimento all'art. 50 C,D.F.Ue in tema di bis in idem, proposte dalla Sezione tributaria della Cassazione (n. 20675/2016 in materia tributaria) e della seconda Sezione civile (n. 23232/2016 e n. 23233/2016 in materia di sanzioni Consob), l'Avvocato generale della Corte di giustizia Campos Sánchez-Bordona nelle conclusioni presentate il 12 settembre 2017 nella causa C‑537/16 Garlsson Real Estate SA, in liquidazione, Stefano Ricucci, Magiste International SA contro Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) oggetto della questione posta dalla sezione tributaria della Cassazione e nelle cause riunite C‑596/16 e C‑597/16 Enzo Di Puma contro Consob (C‑596/16) e Consob contro Antonio Zecca (C‑597/16), oggetto delle questioni poste dalla seconda sezione civile della Cassazione, ha rinviato (rispettivamente ai punti 53 e 51) alle riflessioni svolte nella parallela causa C‑524/15, Menci, avente ad oggetto l'operatività del ne bis in idem in ambito tributario, quanto al profilo dell'influenza della sentenza della Corte Edu A e B c. Norvegia sul diritto dell'Unione.

In particolare, al punto 61 della causa Menci si afferma che la Corte di Giustizia può optare per l'allineamento o meno alla sentenza A e B c. Norvegia, ma che (punto 69) «è difficile rinunciare al livello di tutela già raggiunto con la sentenza Fransson sol perché la Corte Edu ha cambiato orientamento» e, quindi, far proprio un minor livello di tutela, «ispirato ad una posizione di deferenza verso gli argomenti degli Stati parte della Cedu» (punto 71).

Una minore tutela affidata per di più alla operatività di un criterio di connessione sostanziale e temporale che «aggiungerebbe notevole incertezza e complessità al diritto delle persone tirano essere giudicate ne condannate due volte per gli stessi fatti» (punto 73).

Conclusioni queste dell'Avvocato Generale decisamente radicali che si traducono in un suggerimento alla Corte di giustizia «di adottare un'interpretazione dell'articolo 50 della CDFUE che prosegua in linea con la giurisprudenza precedente, ma non riduca il contenuto di tale diritto nel senso indicato dalla sentenza A e B c. Norvegia» (punto 94)

Guida all'approfondimento

ALESSANDRI, Prime riflessioni sulla decisione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo riguardo alla disciplina italiana degli abusi di mercato, in Giur. comm., 2014, V, 855;

ALLENA, Interessi procedimentali e Convenzione europea dei diritti dell'uomo: verso un'autonomia di tutela?, in Giorn. dir. amm., 2015, XI, 1053;

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