Questioni di costituzionalità delle pene pecuniarie per il delitto di procurato ingresso illegale di stranieri nello Stato

14 Novembre 2017

Sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 12, commi 3 e 3-ter, d.lgs. 286/1998, censurato, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui ...
Massima

Sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale – sollevate dal Gip di Ragusa con ordinanza del 21 aprile 2016 – dell'art. 12, commi 3 e 3-ter, d.lgs. 286/1998, censurato, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui prevede sanzioni pecuniarie fisse per il delitto di procurato ingresso illegale di cittadini stranieri nel territorio dello Stato. Il carattere proporzionale e non fisso delle pene pecuniarie previste dal citato art. 12 d.lgs. 286/1998, la ragionevolezza, pertinenza e proporzione dei fattori da considerare nel loro computo e la previsione – in aggiunta a quella pecuniaria – di una sanzione detentiva variabile corredata di ampia forbice edittale consentono, infatti, al giudice di adeguare la complessiva risposta sanzionatoria alle particolarità del caso concreto, senza che risultino violati i principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità delle pene.

Il caso

Nel caso che ha dato origine al pronunciamento della Corte, il Gip di Ragusa, investito di richiesta di patteggiamento per due imputati del delitto di cui all'art. 12, commi 3 e 3-ter, d.lgs. 286/1998, ha ritenuto incongrua – per via della comminatoria in misura fissa delle sanzioni pecuniarie prevista dalla legge – la pena concordata dalle parti nella misura di 2 anni di reclusione ed € 1.000.000,00 di multa, per uno degli imputati, e 2 anni di reclusione ed € 700.000,00 di multa, per l'altro.

Per il rimettente, le pene pecuniarie fisse, previste dall'art. 12, commi 3 e 3-ter, d.lgs. 286/1998 rispettivamente nella misura di € 15.000,00 ed € 25.000,00 di multa a persona, si pongono in contrasto col principio di ragionevolezza – inteso come «declinazione naturale del principio di uguaglianza» ai sensi dell'art. 3 Cost. – e con la finalità rieducativa della pena, essendo di ostacolo ad una individualizzazione proporzionata del trattamento punitivo.

In particolare, sotto il profilo della ragionevolezza, nell'ordinanza di rimessione, è stato evidenziato come il predetto art. 12 d.lgs. 286/1998 si presti a ricomprendere nel suo spettro applicativo fattispecie concrete estremamente diversificate tra loro, essendo enorme, ad esempio, «la diversità di ruoli e di disvalore delle condotte di chi organizza il traffico di esseri umani, da un lato, e di chi si presta a condurre un'imbarcazione improvvisata, mettendo a rischio la propria e l'altrui incolumità, dall'altro». Per converso, la pena pecuniaria insuscettibile di graduazione in considerazione della concreta gravità del fatto e dell'intensità del dolo si rivela incapace – a maggior ragione in virtù del divieto di bilanciamento previsto dal comma 3-quater dello stesso art. 12 d.lgs. 286/1998 – di salvaguardare le istanze retributive o di prevenzione generale o speciale sottese all'irrogazione della pena ex art. 27 Cost. Sempre a parere del rimettente, la pena pecuniaria fissa introduce una irrazionale sperequazione rispetto all'ampia forbice edittale – compresa tra € 50,00 ed € 50.000,00 – prevista dall'art. 24 c.p., non consente il necessario adeguamento della sanzione alle condizioni economiche del reo ex art. 133-bis c.p. e si discosta dal regime previsto per condotte considerate assimilabili, quali quelle riconducibili nell'ambito applicativo dell'art. 3, n. 6, l. 75/1958 (c.d. legge Merlin).

Dal ragionamento suesposto si fa derivare l'illegittimità costituzionale anche del comma 1 dell'art. 12 d.lgs. 286/1998, che prevede parimenti una pena pecuniaria fissa, e del comma 3-quater, che pone limiti al bilanciamento delle circostanze.

Le questioni prospettate sono state giudicate non fondate dalla Corte.

In ordine alle dedotte violazioni degli artt. 3 e 27 Cost., non è stato ravvisato alcun profilo di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà del trattamento punitivo, sul rilievo che le sanzioni stabilite dall'art. 12, commi 3 e 3-ter, d.lgs. 286/1998 non sono «fisse», bensì «proporzionali», in quanto non sono stabilite in una misura invariabile e insensibile alle circostanze di fatto ma vengono computate moltiplicando l'importo fisso previsto dalla legge per un «coefficiente variabile» – dato «dal numero di cittadini stranieri di cui il soggetto responsabile ha procurato l'ingresso illegale nel territorio italiano» –, ciò che consente la modulazione della risposta punitiva in base ai principi di ragionevolezza e proporzione ricavabili dagli artt. 3 e 27, Cost. Poiché, poi, l'art. 27 c.p. distingue nettamente le pene pecuniarie «fisse» e quelle «proporzionali» e precisa che queste ultime «non hanno limite massimo», sono stati giudicati inconferenti i riferimenti alla giurisprudenza costituzionale formatasi a proposito delle pene «fisse».

È stata, quindi, richiamata e ribadita la giurisprudenza costituzionale sulle pene pecuniarie «proporzionali», le quali – proprio perché tese ad evitare inaccettabili «livellamenti sanzionatori», in contrasto con l'esigenza di individualizzazione della pena – risultano in armonia coi principi di uguaglianza, legalità, personalità ed individualizzazione della pena nonché rispondenti alla finalità rieducativa prevista dall'art. 27, comma 3, Cost. Né sono stati ravvisati profili di frizione col principio di ragionevole entità della pena nella mancanza di un limite massimo alla sanzione applicabile: il rischio di irrogare sanzioni eccessivamente elevate è, infatti, controbilanciato dall'esigenza di approntare una risposta effettivamente dissuasiva «nei casi in cui commettere il reato risulta vantaggioso e profittevole sul piano economico, anche a rischio di subire la sanzione penale».

Le pene pecuniarie proporzionali non sono sottratte, in quanto tali, al sindacato di legittimità costituzionale ma l'eventuale illegittimità non potrà derivare «dalla lamentata, ma insussistente, loro fissità strutturale» o dalla mancanza di un valore massimo, bensì «dalla irragionevolezza o dalla sproporzione dei fattori da considerare nel computo della pena: del valore-base o dell'elemento moltiplicatore prescelti dal legislatore in relazione alla fattispecie di reato alla quale si devono applicare». In altri termini, «il controllo sulla ragionevolezza e sulla proporzionalità dei fattori che determinano l'entità della pena rappresenta […] il contenuto del sindacato di costituzionalità».

In tale quadro, i fattori da considerare nel computo della pena a norma dei commi 3 e 3-ter dell'art. 12 d.lgs. 286/1998 sono stati giudicati «non irragionevoli, pertinenti e adeguati alla gravità del reato di procurato ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato». Infatti, considerato che le disposizioni de quibus tendono «anzitutto, anche se non esclusivamente, a tutelare le persone trasportate, che spesso versano in stato di bisogno, anche estremo», «il numero delle persone coinvolte – individuato come moltiplicatore variabile della pena pecuniaria – appare idoneo a rappresentare la misura del disvalore espresso dalla condotta tenuta in concreto, considerato che si tratta di reati lesivi della dignità di ciascuna persona, oltre che di interessi generali». Né gli importi fissati, € 15.000,00 ed € 25.000,00 per persona trasportata, esprimono un esercizio irragionevole della discrezionalità legislativa, poiché i beni giuridici tutelati ricomprendono – oltre all'ordine pubblico ed alla sicurezza dei confini – anche «i diritti fondamentali delle persone trasportate o illegalmente introdotte nel territorio dello Stato italiano, le quali non di rado sono esposte a pericolo di vita e di incolumità fisica nonché a trattamenti inumani e degradanti, a scopo di profitto».

Proseguendo nel proprio argomentare per l'insussistenza di qualsivoglia vulnus ai principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità delle pene, la Corte ha altresì evidenziato la circostanza – rimarcata dall'Avvocatura dello Stato e trascurata, invece, dal rimettente – che la risposta sanzionatoria prevista dai commi 3 e 3-ter dell'art. 12 d.lgs. 268/1998 non si basa sulla sola pena pecuniaria proporzionale, ma contempla anche una pena detentiva variabile. Se viene esclusa l'illegittimità delle pene pecuniarie fisse, ove affiancate da pene detentive dotate di adeguata forbice edittale (cfr. Corte cost., ord. n. 91/2008 e 475/2002), a maggior ragione la stessa conclusione deve valere quando ad essere accompagnate da pene detentive modulabili siano le sanzioni pecuniarie proporzionali, «che a differenza di quelle fisse sono di per sé stesse caratterizzate da un certo grado di variabilità in ragione dell'offensività del fatto». Con riferimento alle disposizioni censurate, «la reclusione da cinque a quindici anni (comminata dal comma 3 del citato art. 12 d.lgs 268/1998), aumentata da un terzo alla metà nel caso delle aggravanti previste dal comma 3-ter della stessa disposizione, costituisce un intervallo edittale che assicura un ragionevole spazio alla valutazione discrezionale del giudice, al quale è così consentito di ponderare aspetti ulteriori rispetto al dato strettamente quantitativo del numero delle persone illegalmente trasportate, al fine di pervenire ad una adeguata individualizzazione del trattamento sanzionatorio».

A confutazione dell'ultimo argomento speso nell'ordinanza di rimessione, il confronto dell'art. 12, comma 3-ter, lettera a), del testo unico sull'immigrazione con l'art. 3, n. 6, l. 75/1958 – che punisce con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da € 258,00 ad € 10.329,00 «chiunque induca una persona a recarsi nel territorio di un altro Stato o comunque in luogo diverso da quello della sua abituale residenza, al fine di esercitarvi la prostituzione ovvero si intrometta per agevolarne la partenza» – è stato giudicato asimmetrico ed incongruo. Infatti, tale parallelismo pone a raffronto rispettivamente una fattispecie aggravata ed una fattispecie base e non considera che, nella previsione dell'art. 12 d.lgs. 268/1998, la «persona trasportata si trova in situazione di illegalità, e quindi di maggiore vulnerabilità», ciò che giustifica un trattamento sanzionatorio diverso e più severo rispetto a quello previsto dalla c.d. legge Merlin.

La questione

Nel giudicare manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità sollevati dal Gip di Ragusa, la sentenza in commento ritorna sul tema delle pene pecuniarie fisse e proporzionali, strumenti sanzionatori classici, in quanto previsti dall'art. 27 c.p., ma poco esplorati a livello dottrinale. È, dunque, opportuno soffermarsi sulle relative nozioni e rispettivi regimi di disciplina.

In entrambi i casi, ci si trova in presenza di pene che si discostano dal modello tipico della sanzione oscillante all'interno di una forbice edittale

Le pene fisse sono previste dalla legge in misura unica per la singola fattispecie di reato e restano insensibili – salva l'applicazione delle circostanze – al potere di discrezionale di adeguamento del giudice ex artt. 132, 133 e 133-bis, c.p. (cfr. Cass. pen., 2 ottobre 1987, Basile, CED 177101).

Le pene pecuniarie proporzionali – rare nell'impianto codicistico e più diffuse nella legislazione speciale – sono, invece, il prodotto di una base pecuniaria per un coefficiente moltiplicatore, ove almeno uno dei fattori è variabile (Cass. pen., Sez. unite, 7 febbraio 1981, Viola). Esse si distinguono in proprie (o a proporzionalità costante) ed improprie (o progressive o a proporzionalità progressiva od eventualmente proporzionali).

Le pene pecuniarie proporzionali proprie vengono calcolate moltiplicando un valore base, correlato alla fattispecie concreta, per un coefficiente fissato dal legislatore (cfr.: art. 250 c.p., a norma del quale il commercio col nemico è punito, oltre che con la reclusione da 2 a 10 anni, anche con la multa pari al quintuplo del valore della merce; artt. 251 e 252, c.p., che ripropongono un meccanismo analogo a quello di cui a citato art. 250; art. 291 d.P.R. 43/1973, che punisce il contrabbando nell'importazione od esportazione temporanea con la multa non minore di due e non maggiore di dieci volte l'ammontare dei diritti evasi o che si tentava di evadere; art. 291-bisd.P.R. 43/1973, che punisce il contrabbando di tabacchi lavorati esteri superiore a 10 chilogrammi convenzionali con la multa di € 5,00 per ogni grammo convenzionale di prodotto).

Le pene pecuniarie proporzionali improprie, per converso, vengono calcolate moltiplicando una base di calcolo fissa o determinabile dal giudice tra un minimo ed un massimo per un coefficiente che va desunto dalla fattispecie concreta. È proprio in tale ambito che si collocano le pene pecuniarie previste dai commi 1, 3 e 3-ter dell'art. 12 d.lgs. 268/1998.

Nelle pene pecuniarie proporzionali proprie, la proporzionalità della sanzione è in funzione del valore economico dell'oggetto materiale del reato o del danno cagionato dalla condotta e le relative fattispecie legali presentano una struttura essenzialmente unitaria, investendo la proporzionalità solo il sistema di determinazione della sanzione. Nelle pene proporzionali improprie, invece, «l'adozione della tecnica sanzionatoria proporzionale è correlata alla struttura pluralistica del precetto, il quale, in realtà, riguarda una pluralità di violazioni della norma» (Cass. pen., Sez. unite, 7 febbraio 1981, cit.).

Da tale distinguo, le Sezioni unite della Suprema Corte hanno desunto il corollario dell'inapplicabilità dell'istituto della continuazione con riferimento alle pene pecuniarie proporzionali improprie, comminate per fattispecie legali a struttura pluralistica e rispetto alle quali il legislatore – nell'esercizio della sua discrezionalità – è libero di scegliere un meccanismo sanzionatorio diverso dalla continuazione e che renda la tutela più efficace in quanto più rigorosa (Cass. pen., Sez. unite, 7 febbraio 1981, cit. Ex plurimis, conf.: Cass. pen, 6 luglio 2011, n. 37696, resa in fattispecie relativa a pena pecuniaria irrogata con una sentenza di condanna per l'assunzione di trentuno lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno). In altri termini, una fattispecie legale che preveda essa stessa il trattamento sanzionatorio, nella forma del cumulo materiale delle pene, per i casi di concorso omogeneo – sia esso formale o materiale di reati – è giudicata ontologicamente incompatibile col regime di cui all'art. 81 cpv. c.p., che è fondato sul diverso sistema del cumulo giuridico. Coerentemente, è stata affermata la soluzione opposta – quindi nel senso dell'applicabilità della continuazione – per le ipotesi di pene pecuniarie proporzionali proprie comminate per fattispecie legali a struttura unitaria, ove, pertanto, non si prevede una speciale disciplina sanzionatoria riferita al concorso formale o materiale di reati (Cass. pen., Sez. unite, 7 febbraio 1981, cit. Più di recente, conf. Cass. pen., 15 maggio 2001, n. 24719, Gagliardi, resa in fattispecie in tema di contrabbando di tabacco lavorato estero. Contra: Cass. pen., 19 novembre 1985, n. 1310, Bertolli, secondo cui, «nella ipotesi di reati che prevedano pene pecuniarie proporzionali il regime della continuazione non è applicabile, sia tra loro che con altri reati»; Cass. pen., 11 giugno 1992, n. 9361, Orofino ed altro, per la quale, «in caso di concorso di reati, le norme sulla continuazione (art. 81, comma 2, c.p.) e quelle sul cumulo giuridico (art. 78 c.p.) non possono trovare applicazione limitatamente a quella parte delle violazioni che siano punite con pene pecuniarie proporzionali. In particolare, per quel che attiene alla continuazione, la legge, allorquando stabilisce che una pena sia proporzionale all'entità o al numero delle infrazioni, esclude implicitamente l'applicabilità della normativa sulla continuazione dato che questa non prevede la proporzionalità della pena in rapporto all'entità o al numero delle violazioni che vengono a confluire nel reato continuato ed atteso che il giudice non ha il potere di sovvertire il meccanismo della proporzionalità sostituendovi – quando la pena proporzionale inerisca alla violazione meno grave – quello dell'aumento fino al triplo della pena base pecuniaria ovvero detentiva». La sentenza citata è stata resa in fattispecie in cui il giudice di merito aveva ritenuto la continuazione tra il reato di contrabbando e quello di resistenza a pubblico ufficiale e, considerato più grave quest'ultimo, aveva applicato un aumento della pena detentiva per il reato satellite; la Cassazione, sulla scorta del principio di cui in massima, ha censurato la decisione in questione affermando che il giudice di merito avrebbe dovuto applicare per il reato di contrabbando la pena pecuniaria proporzionale della multa).

Le soluzioni giuridiche

Le questioni di legittimità costituzionale delle pene pecuniarie fisse e di quelle proporzionali sono sempre state dichiarate infondate dal giudice delle leggi.

In particolare, le pene fisse – pur giudicate eccentriche rispetto ad un sistema sanzionatorio costituzionalmente orientato nel senso dell'individualizzazione e della proporzionalità – sono state giudicate conformi ai principi di uguaglianza e personalità della responsabilità penale ed alla finalità rieducativa della pena, sul presupposto che il giudice possa adeguare la sanzione alle caratteristiche del caso concreto con l'eventuale applicazione delle circostanze attenuanti generiche e a condizione che la sanzione prevista appaia ragionevolmente adeguata all'intera gamma di comportamenti riconducibili alla fattispecie incriminatrice violata (cfr.: Corte cost., 15 maggio 1963, n. 67; Corte cost., 23 marzo 1970, n. 45; Corte cost., 4 aprile 1980, n. 50).

La Consulta si è parimenti pronunciata per la compatibilità delle pene proporzionali coi principi di uguaglianza, personalità della responsabilità penale, umanità e rieducatività della pena (cfr.: Corte cost., 12 marzo 1962, n. 15; Corte cost., 8 luglio 1971, n. 167, ove si rileva che «la pena pecuniaria commisurata al valore del bene oggetto della tutela penale vuole rapportare la sanzione alla gravità del reato ed è compatibile con il principio di legalità, senza che a tale sistema si oppongano precetti costituzionali; Corte cost., 27 aprile 1993, ord. n. 200, per la quale, nei casi di pene pecuniarie proporzionali, l'«esigenza di individualizzazione ed articolazione del trattamento punitivo […] trova adeguato soddisfacimento attraverso l'incidenza, sulla pena proporzionale, degli istituti che in vario modo concorrono alla determinazione concreta della sanzione: valutazione giudiziale dei criteri di commisurazione della pena ex artt. 132 e 133 c.p. all'interno dell'escursione consentita dalla legge; applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena per le ipotesi circostanziali (in specie, di carattere “soggettivo”); facoltà di ulteriore aumento o riduzione della pena pecuniaria in ragione delle condizioni economiche del reo (art. 133- bis c.p.); rateizzazione della pena pecuniaria, per le medesime condizioni (art. 133-ter c.p.)»; inoltre, a mente della stessa sentenza, «il parametro di legalità della pena […] risulta rispettato attraverso la predeterminazione normativa del rapporto tra entità della violazione (e quindi del danno arrecato) e pena pecuniaria»; Corte cost., 22 novembre 2002, ord. n. 475, che – nel dichiarare la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 291-bis del d.P.R. 43/1973 e 163 del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione – sottolinea che la pena pecuniaria di cui al citato art. 291-bis «è comminata non da sola, ma in aggiunta ad una pena detentiva con una forbice edittale di ampiezza significativa» e che, pertanto, «la graduabilità della pena detentiva comminata congiuntamente a quella pecuniaria – offrendo al giudice un consistente margine di adeguamento del trattamento sanzionatorio alle particolarità del caso concreto, anche in rapporto a parametri oggettivi e soggettivi diversi dalla semplice “dimensione quantitativa” dell'illecito – esclude (…) che la pena edittale del reato in questione possa, nel suo complesso, considerarsi fissa»).

Osservazioni

Alla luce della giurisprudenza consolidata della Consulta, erano poche o nulle le possibilità che le questioni di costituzionalità sollevate dal Gip di Ragusa potessero trovare accoglimento.

Infatti, le disposizioni censurate – al pari della fattispecie base di cui al comma 1 dello stesso art. 12 d.lgs. 286/1998 – comminano pene pecuniarie proporzionali improprie, correlate alla struttura pluralistica del reato ed alla gravità del fatto, cui si affiancano pene detentive dotate di una forbice edittale ampia e tale, quindi, da consentire margini di adeguamento alle circostanze del caso concreto. Ci si trova in presenza di un sistema sanzionatorio che va valutato nel suo complesso e che diverge da quello classico della multa oscillante tra un minimo ed un massimo, ma già abbondantemente sperimentato dal Legislatore e più volte passato indenne al vaglio della Corte costituzionale. Peraltro, non va trascurato che l'art. 12 d.lgs. 286/1998 presenta diverse articolazioni, espressive dello sforzo del Legislatore di massima specificazione e di regolamentazione analitica delle diverse fattispecie, delle pene per ciascuna previste e dei criteri di applicazione delle circostanze.

D'altro canto, però, guardando alla casistica giudiziaria, appare certamente destinata a restare solo sulla carta l'applicazione di sanzioni di centinaia di migliaia o addirittura di milioni di euro nei confronti di soggetti che non saranno mai in grado di pagare. È raro, infatti, che si riesca a catturare e processare taluno degli organizzatori delle perigliose traversate del Mediterraneo ossia taluno di coloro che riescono a spuntare lauti guadagni da quei terribili viaggi della speranza.

Le strategie delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti dalle coste africane a quelle europee si sono rivelate capaci di mutare nel tempo e di adattarsi ai diversi scenari per continuare ad assicurare ai vertici il massimo guadagno col minimo rischio.

Da tempo, non vengono più impiegate per il viaggio imbarcazioni in grado di portare a compimento la traversata e non v'è neppure la necessità di affidare il comando ad esperto e fidato pilota, in grado di riportare indietro il mezzo per consentirne il reimpiego in analoga impresa.

L'esperienza recente – fotografata da numerose pronunce – dimostra che gli spregiudicati organizzatori dei viaggi di migranti, per evitare di esporre sé stessi od un qualche fidato collaboratore al rischio della vita o della cattura, preferiscono, di regola, affidare il comando dei barconi a taluno dei passeggeri, magari reclutato all'ultimo momento con la promessa o dazione di emolumenti in denaro o dietro grave minaccia. È poi frequente che il malcapitato nocchiere – non sempre dotato di significativa esperienza di navigazione – venga scelto tra i subsahariani, giudicati ultimi tra gli ultimi dai nord-africani organizzatori della traversata e, quindi, prescelti per l'ingrato compito di comandare l'imbarcazione, col connesso rischio di incorre in gravi sanzioni in caso di cattura. Può accadere che dei “facilitatori” si affianchino al barcone carico di migranti o lo precedano per indicare la rotta ma solo per un primo brevissimo tratto, in attesa che questo arrivi al limite delle acque territoriali del Paese di partenza, dove potrà e dovrà essere soccorso in forza di quanto previsto dalle convenzioni internazionali sul soccorso in mare.

La Corte di cassazione riconosce chiaramente che «lo sbarco dei migranti, apparentemente conseguenza dello stato di necessità che ha determinato l'intervento dei soccorritori, non è altro che l'ultimo segmento di una attività ab initio pianificata, costituente il raggiungimento dell'obiettivo perseguito dall'associazione e l'adempimento dell'obbligo assunto verso i migranti. La condotta dei trafficanti non può essere frazionata, ma deve essere valutata unitariamente e […] si deve considerare mirata ad un risultato che viene raggiunto con la provocazione e lo sfruttamento di uno stato di necessità. […] L'azione dei soccorritori nella parte finale della concatenazione causale può definirsi l'azione di un autore mediato, costretto ad intervenire per scongiurare un male più grave (morte dei clandestini)» e a «realizzare quel risultato (ingresso di clandestini nel nostro Paese) che la previsione del d.lgs. 286 del 1998, art. 12 intende scongiurare. Il nesso di causalità non può dirsi interrotto dal fattore sopravvenuto (intervento dei soccorritori) inseritosi nel processo causale produttivo dell'evento poiché non si ha riguardo ad evento anomalo, imprevedibile o eccezionale, ma a fattore messo in conto dai trafficanti per sfruttarlo a proprio favore» (Cass., 22 dicembre 2015, n. 11165, Almagasbi. Conf. Cass., 11 marzo 2014, n. 18354).

Può accadere che le dichiarazioni dei trasportati consentano di addivenire all'individuazione del soggetto o dei soggetti al comando dell'imbarcazione fino all'arrivo dei soccorsi ed è corretto dire che costui o costoro abbiano posto in essere una condotta che realizza la tipicità di una delle fattispecie contemplate dall'art. 12 d.lgs. 286/1998. Al contempo, è evidente che non è questa la categoria di soggetti attivi che il legislatore aveva pensato di poter dissuadere e dover punire con la previsione di pene pecuniarie proporzionali tanto elevate.

Ancora, le discussioni che hanno infuocato il dibattito politico nella scorsa primavera-estate e che proseguono tutt'oggi hanno portato alla ribalta la possibilità che motonavi facenti capo ad organizzazioni non governative finiscano anch'esse per agevolare le attività dei criminali che gestiscono i traffici di migranti.

A questo proposito, si può citare il decreto del Gip. di Trapani del 2 agosto 2017, che ha avuto ampia risonanza sui media, avendo disposto il sequestro preventivo della motonave Iuventa, battente bandiera olandese e operante per conto della O.N.G. tedesca Jugend Rettet, sul presupposto che membri dell'equipaggio – in almeno tre occasioni, verificatesi tra settembre 2016 e giugno 2017 – abbiano integrato il delitto di cui all'art. 12, commi 3 e 3-bis, d.lgs. 286/1998, avvicinandosi oltremodo alle coste libiche durante le operazioni di soccorso e fornendo supporto logistico agli scafisti per rendere possibile l'ingresso in Italia di numerosi cittadini extracomunitari. Del resto, è noto che per «attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione della legge» non devono intendersi soltanto quelle condotte specificamente finalizzate a far partire i migranti dalle coste africane in direzione di quelle italiane, ma anche quelle successive, intese a garantire il buon esito dell'operazione, la sottrazione ai controlli della polizia e, in genere, tutte quelle attività di cooperazione in ogni modo collegabili all'ingresso degli stranieri (Cass. pen., 20 dicembre 2011, n. 19355, Moussa).

In base alla prospettazione della procura trapanese, condivisa e fatta propria dal Gip, l'equipaggio della Iuventa, nelle occasioni oggetto di contestazione, non è intervenuto per scongiurare un imminente pericolo di vita delle persone in mare, ma si è prestato a prendere in consegna i migranti dai trafficanti libici non lontano dalla costa africana, per poi smistarli su navi militari o di altre O.N.G., dirette in Italia e chiamate ad intervenire in considerazione delle ridotte dimensioni della Iuventa. È capitato che i natanti impiegati per il trasbordo siano stati restituiti ai libici, invece che affondati per impedirne l'ulteriore utilizzo per analoghe imprese. Talvolta, la scena si è svolta davanti alla Guardia Costiera libica, non intervenuta per procedere all'identificazione ed al controllo delle imbarcazioni utilizzate dai trafficanti durante le successive fasi di rientro, ciò che si spiega solo nell'ottica di una situazione di grave collusione tra singole unità della Guardia Costiera ed i gestori del traffico di migranti.

A parere dei pubblici ministeri e del Gip di Trapani, pertanto, non sono state poste in essere mere attività di soccorso in mare – legittime perché necessarie per salvare le persone da una situazione di grave pericolo per l'incolumità –, ma vere e proprie prese in carico di migranti previamente concordate, perché precedute da contatti tra le parti, ed osservate passivamente dalla Guardia Costiera libica.

A base delle condotte asseritamente commesse dall'equipaggio della Iuventa non risultano motivi di lucro, bensì ragioni essenzialmente umanitarie, non essendo emersi passaggi di denaro per “ricompensare” l'operato della O.N.G. ma, al più, un generico interesse a pubblicizzare le missioni di salvataggio per incrementare le donazioni in proprio favore.

Quale che sia il giudizio etico o politico che ciascuno ritenga di esprimere sull'operato della ONG di cui s'è detto o di altre che possano aver agito in modo analogo, l'assenza di movente economico e di un conseguente arricchimento da parte degli attivisti rende poco efficaci anche nei loro confronti le severe pene pecuniarie previste dalla legge italiana per le fattispecie di cui all'art. 12 d.lgs. 286/1998.

Considerazioni almeno in parte analoghe a quelle sviluppate supra sono espressamente alla base dell'ordinanza di rimessione del Gip di Ragusa. Questi, pur errando nel qualificare fisse piuttosto che proporzionali le pene pecuniarie ex art. 12 d.lgs. 286/1998, ha dato voce all'insoddisfazione ed alle perplessità di molti giudici di merito nel comminare elevatissime sanzioni pecuniarie, che, il più delle volte, non potranno essere pagate dai condannati, perché indigenti, e potranno essere convertite in libertà controllata o lavoro sostitutivo, nella remota ipotesi che i predetti condannati – scontata la pena detentiva – restino reperibili nel nostro Paese.

L'argomentare della Corte costituzionale è impeccabile in punto di diritto, mettendo in evidenza la proporzionalità delle pene pecuniarie previste dall'art. 12 d.lgs. 286/1998, la differenziazione delle fattispecie, le possibilità di adeguamento del complessivo trattamento sanzionatorio consentite al giudice e la non manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte legislative.

È altresì condivisibile la rimodulazione del bene giuridico protetto dalle disposizioni censurate. Infatti, la Consulta, sia pure incidenter tantum, si discosta espressamente dall'intento del legislatore storico – seguito dall'esegesi consolidata – di mettere in prima fila l'ordine pubblico e l'interesse dello Stato al controllo dei flussi migratori (in questo senso, da ultimo, cfr. Cass. pen., 27 febbraio 2017, n. 9636) e sposta il fuoco dell'attenzione sulla tutela delle persone trasportate e della loro dignità, in armonia con la centralità accordata alla persona umana dalla nostra Carta fondamentale ed in coerenza coi dati di esperienza che dimostrano come proprio i migranti siano le prime vittime delle fattispecie delineate dall'art. 12 d.lgs. 286/1998.

Detto questo, però, resta fermo il problema politico – nel merito del quale la Consulta non si è ovviamente e giustamente avventurata – del fallimento di una delle ragioni giustificatrici dell'art. 12 d.lgs. 286/1998, «individuata nell'esigenza di realizzare una cooperazione internazionale diretta al controllo e al contenimento degli imponenti fenomeni migratori, anche nello spirito dell'accordo di Schengen del 19 giugno 1990, reso esecutivo dalla L. 30 settembre 1993, n. 388» (Cass. pen., 6 ottobre 2006, n. 34053).

Grazie agli svariati processi celebrati a carico dei c.d. scafisti e a diversi coraggiosi reportage giornalistici, sono state acquisite molte preziose informazioni. Ad esempio, è noto che: i migranti devono pagare per il viaggio cifre per loro onerosissime; spesso, vengono convogliati sulle coste libiche od egiziane in attesa della partenza, chiusi in baracche o recinti sotto sorveglianza armata e, non di rado, picchiati o violentati; affrontano la traversata su imbarcazioni inidonee a tenere il mare e condotte, di regola, da improvvisati timonieri. Sono note le basi di partenza più sfruttate, i nomi di taluni organizzatori e di qualche prezioso “gancio”. Si sa che, talora, le organizzazioni hanno ramificazioni o collegamenti anche nei Paesi europei di destinazione e, soprattutto in tali casi, può accadere che le rotte dei migranti vengano utilizzate anche per la tratta di esseri umani o che venga favorito l'ingresso nel Vecchio continente di ricercati per la commissione di gravi reati o per connessioni con formazioni di stampo terroristico.

L'azione di contrasto ad un fenomeno criminale transnazionale quale quello descritto – che mette a repentaglio la vita e la dignità delle persone prima ancora che l'interesse degli Stati alla gestione dei flussi migratori – non può essere svolto efficacemente da un singolo Stato né rimessa all'efficacia dissuasiva ed alla funzione rieducativa delle pene previste dalla legislazione nazionale, con buona pace dei nostri giudici, i quali non possono far altro che rassegnarsi a maneggiare armi spuntate fino a che il quadro politico di riferimento non sarà mutato.

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