Principio di affidamento e limiti della sua operatività in materia di circolazione stradale

15 Novembre 2017

La questione principale sollevata nei motivi di ricorso ed esaminata dalla Suprema Corte coinvolge il tema del principio di affidamento e i suoi limiti di operatività in materia di circolazione stradale. Tale principio, che opera in relazione ad attività pericolose svolte da una pluralità di persone, consente a ciascun agente di confidare che il comportamento altrui sia conforme alle regole di diligenza, prudenza e perizia, con l'ovvio limite che tale cautela non può spingersi al punto da prevenire ...
Massima

Il comportamento colposo del pedone investito dal conducente di un veicolo, costituisce mera concausa dell'evento lesivo, che non esclude la responsabilità del conducente e può costituire causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, solo nei casi in cui risulti del tutto eccezionale, atipico, non previsto né prevedibile, cioè quando il conducente si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone ed osservarne per tempo i movimenti, che risultino attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile, poiché l'utente della strada deve regolare la propria condotta in modo che essa non costituisca pericolo per la sicurezza di persone o cose, tenendo anche conto della possibilità di comportamenti irregolari altri, sempre che questi ultimi non risultino assolutamente imprevedibili. Nell'ambito della circolazione stradale, la specificità di alcune norme impone infatti di escludere o limitare la possibilità di fare affidamento sull'altrui correttezza, estendendo al massimo l'obbligo di attenzione e prudenza, sino a ricomprendervi il dovere dell'agente di prospettarsi le altrui condotte irregolari.

Il caso

La Corte d'appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Nola, appellata dall'imputato P.V., con la quale il predetto era stato condannato per il reato di omicidio colposo aggravato, perché – alla guida di un'autovettura – per imperizia, negligenza e imprudenza, consistite nel percorrere ad una velocità di 94 Km/h un tratto di strada per il quale era prevista quella massima di 50 Km/h cagionava, a seguito di impatto, la morte del pedone B.M., ha ritenuto già concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e rideterminato la pena, revocando le statuizioni civili e confermando nel resto.

Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato, deducendo, in ordine, un vizio di motivazione relativo al metodo espositivo del giudice; un vizio di motivazione con annessa violazione di legge circa la valutazione degli elementi di prova; un ulteriore vizio di motivazione con riferimento alla valutazione della percepibilità dell'auto da parte del pedone e, da ultimo, con riferimento alla prevedibilità della presenza del pedone da parte del conducente.

La Suprema Corte, investita della questione, ha dichiarato il ricorso inammissibile.

In via preliminare, esaminata la motivazione con la quale la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza di condanna, gli Ermellini ne hanno ritenuta la legittimità, argomentando che al giudice non è vietato il rinvio al contenuto del provvedimento impugnato o ad ampi stralci di esso, bensì il suo acritico recepimento, privo della necessaria rielaborazione critica.

Richiamandosi ad un orientamento precedentemente espresso dalla medesima Sezione (nel quale era stato affrontato il tema della legittimità della motivazione per relationem), la Corte ha, nel caso specifico, ritenuto che i giudici partenopei non abbiano violato alcun obbligo di cui all'art. 125, comma 3, c.p.p. e all'art. 111, comma 6, Cost., in quanto la parte ricorrente si era limitata ad affermare di non condividere la tecnica espositiva utilizzata, senza effettivamente considerare le ragioni esposte dettagliatamente in sentenza sui specifici punti di doglianza.

Quanto ai restanti motivi, con cui veniva dedotto un vizio di motivazione circa la valutazione degli elementi di prova, ed evocato, dal ricorrente, il principio di affidamento ovvero i suoi limiti in materia di circolazione stradale, la Corte Suprema, con trattazione unitaria, li ha ritenuti manifestamente infondati.

Richiamando copiosa giurisprudenza sul tema del principio di affidamento, la IV Sezione ha stabilito che «il comportamento colposo del pedone investito dal conducente di un veicolo, costituisce mera concausa dell'evento lesivo, che non esclude la responsabilità del conducente e può costituire causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, solo nei casi in cui risulti del tutto eccezionale, atipico, non previsto né prevedibile, cioè quando il conducente si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone ed osservarne per tempo i movimenti, che risultino attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile, poiché l'utente della strada deve regolare la propria condotta in modo che essa non costituisca pericolo per la sicurezza di persone o cose, tenendo anche conto della possibilità di comportamenti irregolari altri, sempre che questi ultimi non risultino assolutamente imprevedibili».

La specificità di alcune norme del codice della strada, giustifica infatti l'estensione al massimo dell'obbligo di attenzione e prudenza, sino a ricomprendervi il dovere dell'agente di prospettarsi le altrui condotte irregolari.

Nel caso in esame, l'attraversamento del pedone doveva pertanto ritenersi del tutto ragionevole e, date le caratteristiche del tratto di strada e le condizioni temporali, l'agente aveva l'obbligo di contenere la velocità anche al di sotto del limite previsto.

La questione

La questione principale sollevata nei motivi di ricorso ed esaminata dalla Suprema Corte coinvolge il tema del principio di affidamento e i suoi limiti di operatività in materia di circolazione stradale.

Tale principio, che opera in relazione ad attività pericolose svolte da una pluralità di persone, consente a ciascun agente di confidare che il comportamento altrui sia conforme alle regole di diligenza, prudenza e perizia, con l'ovvio limite che tale cautela non può spingersi al punto da prevenire e impedire comportamenti al di fuori di ogni ragionevole prevedibilità.

Non può pertanto invocarsi legittimamente l'affidamento nel comportamento altrui quando colui che si affida sia già in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e confidi che altri si attengano alle prescrizioni del Legislatore.

Le soluzioni giuridiche

La questione sottesa è di particolare rilievo per l'ordinamento, in quanto la valutazione e la configurabilità del principio di affidamento allarga, inevitabilmente, l'esame anche al più generale concetto di responsabilità penale ed al concorso di cause ai sensi dell'art 41 c.p.

La Corte, già pronunciatasi in svariate occasioni sul tema, ha chiarito e definito i termini e i limiti di operatività del principio di affidamento, con particolare riguardo ai reati commessi in violazione delle norme del codice della strada.

L'orientamento ormai consolidato (parzialmente rivisitato in termini meno rigorosi solo in un paio di pronunce), riconosce e stabilisce infatti che, il soggetto agente, a cui è richiesta una particolare forma di prudenza e attenzione, come nel caso della circolazione stradale, può invocare il principio di affidamento, e dunque andare esente da responsabilità, solo lì dove il comportamento dell'altro utente sia assolutamente ed oggettivamente inatteso, imprevedibile, imprevisto, eccezionale ed atipico.

Ci si chiede tuttavia fino a che limite può spingersi tale obbligo di diligenza da parte dell'utente della strada. Se è vero infatti che, in virtù di stringenti e specifiche regole del codice della strada, grava sull'agente un particolare dovere di prospettarsi le altrui condotte, esteso al massimo, data la natura del bene da tutelare, è pur vero che tale principio è e deve mitigato dal concetto che non si può attribuire all'agente un obbligo di controllo e sorveglianza nei confronti di terzi, sempre e comunque, oltre il limite della concreta prevedibilità.

Altrimenti si rischierebbe di scardinare il principio della responsabilità penale e di ritenere il soggetto agente responsabile, anche, di condotte altrui del tutto imprevedibili, indipendentemente dalle circostanze fattuali che si sono manifestate nel caso concreto.

In tale ottica si inserisce dunque la sentenza n. 45795 che, ribadendo concetti già espressi nelle precedenti pronunce, ha ulteriormente precisato che solo nei casi in cui il comportamento altrui risulti del tutto eccezionale, atipico, non previsto né prevedibile, e cioè quando il conducente si sia trovato per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza ed i movimenti altrui siano stati attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile, il soggetto agente non sarà chiamato a rispondere dell'evento lesivo prodotto.

In tutti gli altri casi, grava sul conducente un onere, esteso nel suo limite massimo, di porre la massima attenzione e prudenza al punto da prospettarsi le altrui condotte irregolari.

Nelle pronunce susseguitesi, in linea con quanto già statuito, la Suprema Corte ha anche ribadito che il principio di affidamento, applicazione del rischio consentito, è teso ad evitare «[…] l'effetto paralizzante di dover agire prospettandosi tutte le altrui possibili trascuratezze» e viene meno «allorché l'agente sia gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi, o quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere che altri non si atterrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività».

L'art 141 del codice della strada (articolo per il quale l'imputato era stato condannato nel caso in esame, avendo egli superato di gran lunga i limiti di velocità imposti) dunque, alla luce della sua dettagliata formulazione, non può che ritenersi norma idonea a tratteggiare obblighi di vasta portata, compresa la gestione del rischio connesso alle altrui condotte imprudenti, così frequenti nello specifico ambito della circolazione stradale da costituire rischio tipico, prevedibile, da governare nei limiti del possibile.

E, nel caso concreto, la prevedibilità dell'attraversamento da parte del pedone in un tratto di strada curvilineo, con visibilità ridotta anche in considerazione dell'orario notturno, doveva imporre all'agente di contenere il limite di velocità persino al di sotto del limite previsto, rendendo dunque inammissibile l'invocazione del principio di affidamento, da parte del ricorrente, a giustificazione del proprio operato.

Osservazioni

Sono meritevoli di approfondimento le ulteriori questioni trattate dalla Suprema Corte nella decisione in esame, riferibili più nello specifico a:

  • limiti di operatività del principio di affidamento, a seconda del contesto di riferimento;
  • le concause nella produzione dell'evento lesivo;
  • la legittimità della motivazione per relationem e l'obbligo del giudice nella redazione della decisione.

In relazione a tali argomenti, sono opportune delle brevi precisazioni a margine.

In merito ai richiamati limiti di operatività del principio di affidamento, questi operano in maniera differente a seconda dello specifico contesto in cui il giudice è chiamato a pronunciarsi. Senza dubbio quello della circolazione stradale è un contesto meno definito rispetto, ad esempio, a quello del sanitario che lavora in equipe o al datore di lavoro in tema di sicurezza dei propri dipendenti, in quanto vi è una maggiore frequenza di violazione delle regole di prudenza e la contemporanea sussistenza di norme più restrittive e rigorose in termini di obblighi di attenzione e prudenza.

Argomento certamente connesso, seppur trattato a margine nella odierna sentenza, è il concorso di cause ai sensi dell'art 41 c.p. ove la Corte precisa che il comportamento colposo del pedone investito può costituire causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, solo nel caso in cui risulti del tutto eccezionale, atipico, non previsto né prevedibile.

Contrariamente, il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra l'azione o l'omissione e l'evento (art. 41, comma 1, c.p.)

Da ultimo, la Suprema Corte, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha affrontato anche la questione sollevata sulla c.d. motivazione per relationem, ribadendo come al giudice non sia vietato il rinvio al contenuto del provvedimento impugnato o ad ampi stralci di esso, bensì il loro acritico recepimento privo di rielaborazione critica.

Dunque è consentito al giudice di secondo grado, recepire in modo critico e valutativo la sentenza impugnata, limitandosi a ripercorrere e ad approfondire solo alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di contestazione da parte della difesa, anche omettendo di esaminare le doglianze dell'atto di appello che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza di primo grado.

La sentenza de quo, dunque, inserendosi in un filone giurisprudenziale ormai consolidato in tema di affidamento e vizi della motivazione, ha contribuito a specificare, in termini ulteriormente restrittivi, i limiti di invocabilità e operatività del suindicato principio di diritto, ribadendo come, solo in via eccezionale e per motivi estranei ad ogni obbligo di diligenza, il soggetto agente – oggettivamente impossibilitato ad impedire l'evento – possa ritenersi esente da responsabilità penale.

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