I danni lungolatenti nella responsabilità medica

Cesare Trapuzzano
16 Novembre 2017

Qualora il danno non patrimoniale sia conseguito all'esecuzione di un'attività professionale qualificata, e segnatamente di un'attività sanitaria, non necessariamente consistente nell'attuazione di un intervento chirurgico, particolare attenzione deve essere dedicata all'ipotesi in cui il pregiudizio causato dalla prestazione medica effettuata si manifesti a distanza di tempo dalla verificazione del fatto lesivo.
Inquadramento

Il concetto di danno lungolatente, specie nell'ambito della responsabilità sanitaria, si fonda sul rilievo secondo cui in alcune circostanze il nesso tra contegno lesivo e conseguenze pregiudizievoli non è sincronico ma diacronico, ossia il danno-evento ovvero il danno-conseguenza si “esternalizza” non già immediatamente ma dopo uno stacco temporale, di durata variabile – e, a volte, anche a distanza di anni –, dall'integrazione del fatto illecito. Con l'ulteriore corollario che solo al momento in cui il nocumento si esplicita può essere rintracciato il collegamento eziologico con una specifica condotta lesiva e può essere formulato un giudizio di imputabilità (rectius addebitabilità) di quest'ultima ad un responsabile precisamente individuato. Finché l'agente patogeno innescato dal fatto illecito del terzo – e, in specie, del medico – non si manifesti, non si realizza alcuna perdita del “valore uomo” – e, in specie, del valore sotteso alla persona del paziente – e, dunque, fino a quando la lesione della salute non sia concretamente percepibile, non ricorre alcun danno. Ne discende che il c.d. danno lungolatente, anziché emergere nell'attimo in cui viene causato, rimane occulto ed inerte per un lasso di tempo più o meno considerevole, determinando così una sfasatura temporale tra la sua inflizione e la sua percezione da parte del soggetto leso. Questa ricostruzione del nocumento ha una diretta incidenza sull'individuazione del dies a quo della prescrizione.

Il quadro normativo

In ordine a questo profilo, i dati normativi di riferimento non hanno una portata dirimente. Infatti, il codice civile del 1942 affronta il nodo dell'exordium praescriptionis in due articoli, le cui indicazioni appaiono piuttosto scarne e, ad ogni modo, molto generiche. In forza dell'art. 2935 c.c. – norma assolutamente aperta a molteplici e contrapposte interpretazioni –, la prescrizione della pretesa risarcitoria inizia a decorrere «dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere». Per converso, l'art. 2947, comma 1, c.c. – con formula, a ben vedere, altrettanto suscettibile di plurime letture – afferma che il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il «fatto si è verificato». Tale ultima previsione, pur attenendo al solo campo della responsabilità aquiliana, ha finito per costituire il terreno elettivo dell'indagine e dell'elaborazione giurisprudenziale sul dies a quo in tutte le azioni risarcitorie. Da un lato, la norma generale evoca il perfezionamento della fattispecie affinché il termine di prescrizione possa cominciare a decorrere, comprendendo in tale fattispecie anche le conseguenze lesive, che presuppongono la piena evidenziazione degli elementi costitutivi del fatto, tanto da rimettere il decorso della prescrizione alla nascita del diritto al risarcimento, ossia all'acquisizione nella sfera giuridica del danneggiato della pretesa ad ottenere la riparazione del pregiudizio. Dall'altro, la norma speciale postula che il “fatto” si sia “verificato” ovvero sia accaduto. Gli equivoci di tale ultima formula si annidano su due termini. In primo luogo, il riferimento al “fatto” può essere significativo del solo comportamento, attivo od omissivo, posto in essere dal responsabile, ovvero dell'integrazione del danno-evento che a tale comportamento è conseguito, secondo un nesso di causalità materiale, o - ancora – del conclamato assestamento del danno-conseguenza che è derivato dal perfezionamento del fatto illecito, secondo un nesso di causalità giuridica. In secondo luogo, il concetto di “verificazione” può essere inteso in senso meramente fenomenico come sinonimo di avvenimento ovvero in senso rafforzativo come sinonimo di accertamento o riscontro del fatto accaduto.

Esteriorizzazione del danno-evento

A fronte di questo quadro normativo non concludente o quantomeno non univoco, si è innestata la giurisprudenza di legittimità, che nel corso degli anni ha assunto posizioni diversificate. A partire dagli anni ‘70, la Suprema Corte (in primis, Cass. civ., sez. III, 24 marzo 1979, n. 1716, in Giust. civ., 1979, I, 1440) ha sostenuto che il dies a quo, nel caso di danno che si produca a distanza di tempo dall'integrazione del fatto lesivo, deve essere traslato dal verificarsi del fatto all'esteriorizzazione del danno, finendo così per soppiantare, in larga misura, lo schema codicistico basato sulla valorizzazione in senso restrittivo del fatto inteso come condotta lesiva o, al più, come danno-evento e sulla contrapposizione tra verificazione (rectius realizzazione) e manifestazione (rectius percezione o percepibilità all'esterno), sulla scorta del dato letterale di cui all'art. 2947, comma 1, c.c., schema che in questo senso è stato di fatto rovesciato a fronte dell'esistenza di un limite “mobile”.

Pertanto, in forza della lettura nomofilattica delle disposizioni citate, all'espressione “verificarsi del fatto” deve essere attribuito il significato di rivelazione o espressione del danno, con la puntualizzazione che il danno si manifesta all'esterno quando diviene «oggettivamente percepibile e riconoscibile»; dunque, non è sufficiente la mera consapevolezza della vittima di stare male, bensì occorre che quest'ultima si trovi nella possibilità di apprezzare la gravità delle conseguenze lesive della sua salute anche con riferimento alla loro rilevanza giuridica. In questa prospettiva, la verificazione del fatto esigerebbe non solo l'integrazione della condotta lesiva, del nesso di causalità materiale e del danno-evento, quali elementi costitutivi del fatto illecito, ma anche l'esplicazione del collegamento giuridico tra fatto inteso nel suo complesso e conseguenze dannose (c.d. danno-conseguenza), che devono essere obiettivamente identificabili all'esterno. La soluzione accolta è corroborata dalla vigenza di analogo principio, desunto dalla legislazione speciale: l'art. 23 l. n. 1860/1962 sull'impiego di energia nucleare e l'art. 14 del d.P.R. n. 224/1988 in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi (oggi trasfuso nel codice del consumo) stabiliscono che la decorrenza della prescrizione è determinata, tra l'altro, anche dal giorno in cui il danneggiato viene a conoscenza dell'identità del responsabile. Ciò conferirebbe rilevanza alla direttiva generale contenuta nell'art. 2935 c.c., giocando un ruolo importante nell'interpretazione del primo comma dell'art. 2947 c.c. e della decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento. In ogni caso, si rammenta che le richiamate normative speciali prevedono un limite massimo, superato il quale l'esercizio dell'azione giudiziale è precluso o perento, rispettivamente quando siano decorsi dieci anni dalla verificazione dell'incidente nucleare oppure dalla commercializzazione del prodotto difettoso.

Percezione del danno ingiusto

La soluzione, sebbene estensiva, non si è mostrata del tutto soddisfacente: la conoscibilità del danno, infatti, non dà luogo anche alla conoscibilità del fatto giuridicamente rilevante ai fini dell'esercizio di un'azione risarcitoria. Questa considerazione ha indirizzato la giurisprudenza verso un ulteriore passo in avanti. Con una nota pronuncia del 2003 si è chiarito che «il termine di prescrizione del danno inizia a decorrere dal momento in cui la malattia può essere percepita come danno ingiusto conseguente al comportamento colposo o doloso di un terzo, usando l'ordinaria diligenza, tenuto conto, altresì, della diffusione delle conoscenze scientifiche» (Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2645, in Danno e resp., 2003, 847). È noto che la locuzione “danno ingiusto” utilizzata dall'art. 2043 c.c. deve essere letta in un duplice senso: oltreché nell'accezione di danno prodotto non jure, cioè in assenza di cause giustificative del fatto dannoso per effetto del perseguimento di interessi non meritevoli di tutela (presupposto soggettivo), anche contra jus, ossia come fatto che incide su una posizione soggettiva attiva tutelata come diritto perfetto (presupposto oggettivo), ossia ledendo interessi meritevoli di tutela. Viene, così, instaurata l'equazione «conoscibilità del danno - rapportabilità causale dello stesso alla condotta di un soggetto ben individuato». In ragione di questa ricostruzione, non basta che abbia avuto attuazione il nesso causale in senso materiale e giuridico, ossia non è sufficiente l'ontologica produzione del danno all'altrui diritto (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2010, n. 12699), ma è necessario - inoltre - che le conseguenze dannose non siano solo identificabili nella loro materialità, ma siano altresì rilevabili come «danno ingiusto”, per effetto della precisa riconduzione ad un nesso eziologico e ad un responsabile. In altri termini, l'illecito deve essersi definitivamente assestato anche in chiave subiettiva, ossia deve avere definitivamente cagionato un danno ingiusto di cui la vittima sia consapevole o, quantomeno, di cui questa poteva rendersi conto usando la diligenza esigibile dall'homo ejusdem condicionis et professionis. Questa conclusione è suffragata dall'adesione ad una prospettiva sistemica e non frazionata o atomistica, ossia da una lettura complessiva e costituzionalmente orientata di tutte le norme che regolano l'istituto, includendovi la stessa clausola generale sulla definizione del fatto illecito. Così la giurisprudenza mostra di optare per la teoria della realizzazione, intesa come manifestazione del danno, e non della lesione, intesa come integrazione dello stesso. Ne discende che l'art. 2947 c.c. (che stabilisce la prescrizione del diritto al risarcimento del danno aquiliano) va letto nel sistema in cui si pone, cioè va coordinato con le norme-cardine della responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.) e della decorrenza della prescrizione in generale (art. 2935 c.c.), come modificazione della realtà esteriore, riconoscibile dal soggetto leso.

Gli stessi principi sono stati applicati quanto alla decorrenza del termine di prescrizione ordinario nei casi di danni alla salute per responsabilità (medica) di tipo contrattuale (in genere sull'estensione del principio all'ipotesi di responsabilità contrattuale Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2009, n. 16463; Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10493; Cass. civ., sez. lav., 29 agosto 2003, n. 12666). Inoltre, sebbene la ricostruzione sistematica di tale questione abbia trovato la più approfondita rappresentazione con riguardo al danno lungolatente alla salute, numerose conferme sono rintracciabili anche in altre materie. Infatti, il principio è stato ribadito in ipotesi di intese anticoncorrenziali, segnatamente nello specifico dei cartelli tra compagnie assicurative (Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 2007, n. 2305, in Corriere giur., 2007, 5, 641); in tema di ristoro dei danni derivanti dalla perdita di risparmi, affidati a società autorizzata ad operare come fiduciaria del Ministero dello Sviluppo economico perché fossero investiti in programmi finanziari (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2013, n. 17572); in caso di danno derivato al cliente dalla presentazione incompleta della documentazione necessaria per l'accoglimento di domanda di condono edilizio commissionata ad un geometra (Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 2003, n. 311, in Giust. civ., 2004, 3, 1, 800); nel caso di illegittimo trattamento di dati personali (Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2011, n. 13616); nell'ipotesi di illecita negoziazione di un assegno circolare (Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2013, n. 11119) o di illegittimo protesto di un titolo di credito (Cass. civ., sez. I, 25 marzo 2009, n. 7212). In caso di responsabilità professionale dell'avvocato, si è sostenuto che il termine decorre da quando il cliente ha potuto effettivamente conoscere l'inadempimento di quest'ultimo nell'aver omesso di trascrivere una domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. (Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2007, n. 16658) ovvero, in un'ipotesi di responsabilità professionale per avere il proprio difensore in altra causa di risarcimento danni erroneamente evocato in giudizio soggetto diverso da colui che risultava essere il vero responsabile, dalla notificazione della sentenza contenente il definitivo accertamento giudiziale della carenza di legittimazione del soggetto convenuto in quell'altro processo, quale momento in cui il danno si era manifestato all'esterno nella sua oggettività, divenendo percepibile, conoscibile ed azionabile sul piano della domanda risarcitoria (Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10493). È altresì menzionabile il caso della prescrizione dell'azione di ripetizione dell'indebito con riferimento agli interessi anatocistici, il cui termine ordinario decennale decorre, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati (Cass. civ., sez. I, 24 maggio 2016, n. 10713; Cass. civ., Sez. Un., 2 dicembre 2010, n. 24418, in Giur. it., 2011, 10, 2073; sul punto v. anche C. cost., 5 aprile 2012, n. 78, in Corriere giur., 2013, 22). Sempre in tema di azione di ripetizione di indebito, la decorrenza della prescrizione dell'azione di ripetizione di una somma versata al mandatario per l'acquisto in comunione di una porzione immobiliare è stata fissata nel momento in cui, in violazione del mandato ricevuto, il mandatario provvedeva ad intestare a sé stesso l'intera porzione immobiliare acquistata (Cass. civ., sez. III, 6 febbraio 2004, n. 2287).

Critiche della dottrina

Pacificamente accolta in giurisprudenza, questa elaborazione sistematica ha attirato le critiche di un filone della dottrina (P.G. MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Le fonti delle obbligazioni, 3, Torino, 1998, 371), che ha tentato di recuperare l'interpretazione letterale dell'art. 2947 c.c. in una dimensione riduttiva. In questa prospettiva la norma farebbe riferimento alla “verificazione” e non già alla “manifestazione” del “fatto”: una sintassi così limpida e cristallina, in teoria, non dovrebbe consentire alcuna interpretazione estensiva, dovendosi intendere che il termine di prescrizione comincia indefettibilmente a decorrere dal momento in cui la condotta lesiva si è realizzata, indipendentemente dal momento in cui il danno si è manifestato. E ciò fatte salve alcune ipotesi particolari - artt. 2051, 2052, 2053 c.c. - in cui il legislatore parla solo di danno e non più di fatto; per tale ragione lessicale solo in tali ipotesi sarebbe ammesso far decorrere la prescrizione dal momento del danno, perché in questi settori la nozione di fatto produttivo dell'obbligazione comprenderebbe anche quella di danno. Per l'effetto, l'impostazione cui ha aderito la giurisprudenza avrebbe l'effetto di soppiantare lo schema del codice in un duplice senso: prevaricando la volontà del legislatore di limitare l'orizzonte temporale in cui l'azione può essere intentata per ragioni processuali di formazione e attendibilità della prova; snaturando il tenore letterale dell'art. 2947 c.c., che ancora la decorrenza del termine di prescrizione (del diritto al risarcimento del danno) al fatto, ossia all'atto illecito, nozione in cui non sarebbe ricompreso il danno. Tale lettura sarebbe suffragata proprio dall'art. 2043 c.c., che, nel definire la fattispecie, delineerebbe come sue componenti distinte il fatto e il danno. L'art. 2947 c.c. – che sarebbe norma speciale, derogatoria dell'art. 2035 c.c. – e l'art. 2043 c.c. contrapporrebbero, dunque, il danno al fatto, connettendo il diritto della vittima (e l'obbligo dell'autore) al solo fatto, non al danno; conseguentemente, il termine di prescrizione decorrerebbe nell'immediato a partire da quando il fatto è stato commesso, indipendentemente dal tempo in cui il danno si è manifestato. La tesi estensiva fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità contrasterebbe, poi, con la ratio stessa del suddetto articolo, che è quella riassunta nel brocardo latino ne lites immortales fiant; invece, facendo decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento dal giorno in cui il danno si manifesta, il debitore rimarrebbe indefinitamente esposto alla pretesa risarcitoria, senza alcuna certezza. In pratica, ad avviso di questa dottrina, l'orientamento giurisprudenziale avrebbe stravolto la volontà del legislatore, “riscrivendo”, in un certo senso, l'art. 2947 c.c. Hanno, inoltre, osservato tali autori che la giurisprudenza, soprattutto in materia di diritto alla salute, ha continuato a sviluppare un sistema di regole pretorie che in molti casi esprimono un marcato favor per la posizione del danneggiato; tuttavia, non si può dimenticare che la prescrizione ha una funzione ben precisa, volta com'è a tutelare l'interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici. E, proseguendo su questa tesi argomentativa, non si è mancato di stigmatizzare che l'istituto della prescrizione, così com'è oggi strutturato, tende ad assumere un'estensione temporale “altamente impredicibile”, esplicando perciò effetti negativi sul diritto alla difesa delle parti. Ne discenderebbe il rischio della maggiore incertezza del diritto che la eccessiva soggettivizzazione della regola potrebbe ingenerare, quando invece sarebbe il dato oggettivo naturalistico a colorare la nozione di fatto; la percezione del danno sarebbe, infatti, rimessa alla situazione soggettiva interna del danneggiato e per il danneggiante sarebbe eccessivamente gravoso dimostrare da quale momento il danneggiato sarebbe divenuto inerte, e non più semplicemente ignaro.

Il consolidamento del principio che riconduce la decorrenza alla manifestazione del danno ingiusto

Nonostante le critiche, siffatto orientamento “estensivo” è stato avvallato dalle Sezioni Unite nel 2008 (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576, in Giust. civ., 2009, 11, I, 2533; Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio2008, n. 579, in Rep. Foro it., 2008, Prescrizione e decadenza, n. 21; Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 583, in Giur. it., 2008, 1695, con nota di G. Terlizzi, Il dies a quo della prescrizione tra tutela del danneggiato e certezza del diritto), secondo cui il termine di prescrizione quinquennale decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche. Solo in questo momento il diritto al risarcimento può essere fatto valere, alla stregua della piena integrazione della fattispecie e dell'acquisizione della sua rilevanza giuridica. D'altronde, solo il perfezionamento di tutte le condizioni del fatto, ivi compresa la definitiva cristallizzazione delle conseguenze lesive sulla persona del danneggiato, può propiziare il decorso della prescrizione. Pertanto, il momento iniziale della decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno va individuato in quello in cui, a seguito dell'altrui condotta, si verifica la lesione concreta (e non potenziale) nella sfera giuridica del danneggiato. Costituisce, pertanto, momento indefettibile l'esternazione del danno ingiusto, essendo necessario che il danneggiato abbia avuto - o abbia potuto avere, usando l'ordinaria diligenza - sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato (Cass. civ., sez. VI-III, ord. 27 gennaio 2012, n. 1263). Ne consegue che sino a quando il danno ingiusto non si sia manifestato all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte del danneggiato, la prescrizione non corre (Cass. civ., sez. III, 22 settembre 2016, n. 18606; Cass. civ., sez. III, 3 maggio 2016, n. 8645).

I suddetti principi – tuttora condivisi dalla giurisprudenza – hanno più recentemente trovato larga applicazione con specifico riguardo alla prescrizione dell'azione risarcitoria derivante da danni lungolatenti alla salute, quali quelli legati, tipicamente, alla responsabilità medica in genere, alle malattie professionali, alla trasfusione di sangue o emoderivati infetti (Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2013, n. 28464; Cass. civ., sez. VI-I, ord. 2 luglio 2013, n. 16550; Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 581, in Foro it., 2008, I, 453; Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2645, in Danno e resp., 2003, 845), alla mancata adozione da parte del datore di lavoro di adeguate misure di sicurezza delle condizioni di lavoro nei confronti dei lavoratori, ai sensi dall'art. 2087 c.c. (Cass. civ., sez. lav., 30 marzo 2011, n. 7272), all'esposizione a sostanze nocive. L'elenco potrebbe includere le morbosità conseguenti all'esposizione a onde elettromagnetiche; nonché un campionario di condotte vessatorie – come, ad esempio, quelle qualificabili come mobbing – che gradatamente ingenerano disagi psichici nel soggetto leso dopo un iniziale, anche lungo, periodo asintomatico di latenza. Così – in tema di asbestosi – i giudici di merito e di legittimità hanno precisato che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno biologico e del danno morale, conseguenti alla malattia professionale, decorre dal momento in cui sia stata raggiunta – tramite precise indagini mediche – la certezza della malattia e della sua origine professionale. Più marcatamente, anche con pronunce a Sezioni Unite, in casi di responsabilità del Ministero della Sanità per i danni conseguenti ad infezioni da virus contratte da soggetti emotrasfusi, la Cassazione ha statuito che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie decorre non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno, né semplicemente dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita, o può essere percepita, quale danno ingiusto, munito di rilevanza giuridica, riferibile al comportamento del terzo, con ciò valorizzandosi una lettura costituzionalmente orientata (art. 24 Cost.) degli artt. 2935 e 2947 c.c. (Cass. civ., sez. VI-III, ord. 27 febbraio 2017, n. 4996). L'ordinaria diligenza richiesta al danneggiato nel compiere quanto necessario per pervenire a tale percezione viene poi valutata sulla base delle comuni conoscenze scientifiche e della loro diffusione. Il principio è stato ribadito con riguardo alla responsabilità medico-chirurgica (Cass. civ., sez. III, 23 settembre 2013, n. 21715). In particolare, nel novero delle svariate pronunce sul tema merita un'attenta disamina un arresto della Corte di legittimità (Cass. civ., sez. III, 9 maggio 2000, n. 5913, in Dir. ec. ass., 2000, 1226), che ha ritenuto corretto far decorrere il termine di prescrizione dalla caduta del primo dente, avvenuta a tre anni di distanza dai trattamenti ricevuti, perché solo da quel momento il danneggiato aveva potuto appurare l'insuccesso delle cure ortodontiche. Anche la pronuncia richiamata è incentrata sul criterio dell'esteriorizzazione del danno, quale condizione perché la prescrizione cominci a decorrere. La sentenza, relativa ad un caso di errate cure all'apparato dentario ricevute dal soggetto leso, individua i principali punti fermi nella ricostruzione giurisprudenziale della questione, sul piano normativo e su quello dogmatico, e ciò nel senso che:

- l'art. 2947 c.c. non ha carattere né speciale, né derogatorio e va letto nel sistema in cui si pone, in coordinamento con la norma fondante della responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.) e con quella relativa alla decorrenza della prescrizione in generale (art. 2935 c.c.);

- l'art. 2043 c.c., nell'individuare le componenti di quella responsabilità, postula che il diritto al risarcimento sorge non per effetto della sola esistenza del fatto illecito, e quindi della condotta dell'agente, ma per l'effetto del danno che la condotta ha causato;

- posto che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.), se «… non c'è (ancora) il danno, non c'è (ancora) il diritto al risarcimento e, consequenzialmente, non decorre alcuna prescrizione, anche se l'agente abbia già compiuto il fatto illecito»;

- solo per tale via «… si evita l'assurdo per cui se tra il fatto ed il danno intercorre un periodo superiore ai cinque anni, il danneggiato in effetti sarebbe privo di tutela, in quanto prima del danno non avrebbe diritto a risarcimento proprio per l'assenza del danno, nonostante il fatto illecito, e dopo l'insorgenza del danno, egli si troverebbe con il diritto al risarcimento già estinto per prescrizione»;

- non è sufficiente una semplice oggettiva realizzazione del danno, ma è necessaria la sua esteriorizzazione, la sua conoscibilità, l'acquisto di rilevanza giuridica, momenti questi cui l'ordinamento ricollega la nascita del diritto al risarcimento;

- non è la semplice ignoranza del danneggiato sull'esistenza di un danno da lui subito a precludere il decorso della prescrizione, in quanto gli stati di ignoranza soggettiva in cui versi il titolare del diritto costituiscono un mero impedimento di fatto;

- ciò che impedisce che inizi a decorrere la prescrizione è «… l'oggettiva impercepibilità e riconoscibilità all'esterno del danno e cioè l'oggettiva sua esteriorizzazione».

La necessità di individuare nella conoscibilità del danno l'exordium praescriptionis trova conferma sia nella giurisprudenza comunitaria sia in recenti progetti di codificazione europea. Secondo la Corte di Giustizia, infatti, la prescrizione può decorrere soltanto nell'ipotesi in cui la vittima abbia l'obiettiva possibilità di venire a conoscenza dell'evento dannoso (Corte di Giustizia 27 gennaio 1982, in Foro it., 1982, IV, 220). Ugualmente i Principi Lando prevedono la sospensione del termine prescrizionale fino a quando il creditore non ha avuto o avrebbe dovuto avere contezza dell'identità del debitore e di altre informazioni per poter realmente esercitare il diritto. Nella medesima direzione sembrano condurre i Principi Unidroit, i quali permettono il decorso del termine prescrizionale solo a partire dal momento in cui il danneggiato conosce o è in grado di conoscere i fatti in virtù dei quali il diritto può essere esercitato.

Impedimenti di diritto

Piuttosto, in caso di responsabilità contrattuale del medico (oggi in linea di principio della struttura e del medico solo ove vi sia una specifica pattuizione con il paziente), la Corte di Cassazione, facendo leva sul combinato disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c., ha statuito che non è consentito procrastinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale rispetto al momento in cui il diritto può essere fatto valere, se non nell'ipotesi d'impedimento legale al detto esercizio e non anche, salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge e regolate con gli istituti della sospensione e dell'interruzione, nell'ipotesi di “impedimento di fatto” (Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2009, n. 16463, in Imm. e propr., 2009, 663; Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2004, n. 1547, in Danno e resp., 2004, 389). Il principio si è consolidato più recentemente nel senso che l'impossibilità di far valere il diritto, alla quale l'art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, tra le quali, salva l'ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, il dubbio soggettivo sull'esistenza di tale diritto, né il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento (Cass. civ., sez. lav., 26 maggio 2015, n. 10828).

Distinzione tra aggravamento e nuova lesione

Alla luce del quadro innanzi descritto, in tema di responsabilità medica e, quindi, di inadempimento, la decorrenza del termine di prescrizione dell'azione risarcitoria va individuata nel momento della prestazione dovuta, se tale inadempimento sia rilevabile immediatamente; se, invece, esso non sia rilevabile, l'exordium praeascriptionis è solo dalla data in cui essa è oggettivamente rilevabile. Ciò vale sia per la responsabilità contrattuale sia per quella extracontrattuale. Occorre, cioè, che sussista l'esteriorizzazione non solo dell'inadempimento, ma anche del danno (poiché ciò che è risarcibile non è l'inadempimento in sé, ma il danno conseguente). Va peraltro specificato che il suddetto principio in tema di exordium praescriptionis non apre la strada ad una rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del danneggiato, in quanto esso deve essere saldamente ancorato a due parametri obiettivi, l'uno interno e l'altro esterno al soggetto, e cioè, da un lato, al parametro dell'ordinaria diligenza, dall'altro, al livello di conoscenze scientifiche dell'epoca, comunque entrambi verificabili dal Giudice senza scivolare verso un'indagine di tipo psicologico. Ne consegue che, per quanto riguarda le prestazioni sanitarie, è solo da quando siano esteriorizzati i danni lungolatenti che decorre la prescrizione (Cass. civ., sez. III, 22 settembre 2015, n. 18610).

Occorre, a questo punto, chiedersi quale sia il regime della prescrizione, con precipuo riferimento all'individuazione del momento in cui essa corre, nel caso in cui al danno immediato che la condotta sanitaria ha determinato segua, dopo un certo scarto temporale, una complicazione o addirittura un'ulteriore lesione, sempre causalmente riconducibile all'originaria condotta lesiva. Al riguardo, Cass. civ., sez. III, 21 marzo 2013, n. 7139 ha osservato che, in materia di diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, in presenza di illecito che determini, dopo un primo evento lesivo, ulteriori conseguenze pregiudizievoli, il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria per il danno inerente ad esse decorre dal loro verificarsi, purché sia ravvisabile una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella manifestatasi con l'esaurimento della condotta del responsabile, come nel caso in cui si passi dall'indebolimento permanente di un senso o di un organo alla sua perdita, atteso che l'ulteriore manifestazione dell'evento lesivo, in parte rimasto latente, andando oltre la minore gravità, che poteva fondare - rendendola incolpevole – l'inattività del danneggiato rispetto all'esercizio del diritto, supera la qualificazione come aggravamento e sviluppo della malattia, integrando un fatto nuovo nella percezione del soggetto che deve decidere se esercitare il diritto al risarcimento. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che il fatto lesivo della perforazione di un occhio, manifestatosi inizialmente con sdoppiamento dell'immagine e riduzione del visus correggibile con l'uso di lenti, evoluto successivamente in strabismo, si traduceva, poi, in ulteriore riduzione del visus non più migliorabile con lenti, fino alla definitiva perdita dello stesso, integrando così il passaggio dall'indebolimento permanente di un senso alla sua perdita, e, quindi, una lesione nuova idonea ad escludere la prescrizione del diritto al risarcimento.

Nello stesso senso altri arresti (Cass. civ., sez. lav., 21 febbraio 2004, n. 3498; Cass. civ., sez. lav., 13 febbraio 1998, n. 1520), in riferimento all'azione contrattuale di risarcimento del danno alla persona fondata sull'art. 2087 c.c., hanno affermato che l'aggravamento del danno non vale a determinare lo spostamento del termine iniziale della prescrizione decennale qualora esso derivi da un mero peggioramento del processo morboso già in atto, e non sia manifestazione di una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella già esteriorizzatasi. In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza di merito che aveva collocato l'inizio della malattia professionale - ipoacusia - oltre dieci anni prima della proposizione dell'azione, sull'assunto che l'ipoacusia sia una malattia della quale il danneggiato non può non essere immediatamente consapevole, anche quando essa si trovi ancora allo stadio iniziale. Per l'effetto, quando la violazione dei doveri di protezione posti a carico del datore di lavoro dall'art. 2087 c.c. ha comportato l'insorgenza di una malattia professionale, la prescrizione dell'azione risarcitoria nei confronti del datore di lavoro decorre dal momento in cui il lavoratore ha potuto avere piena consapevolezza della malattia, con un danno alla salute apprezzabile, e della sua eziologia professionale, tenendo conto che, qualora la stessa condotta dolosa o colposa determini, dopo un primo evento lesivo, ulteriori conseguenze pregiudizievoli, la prescrizione dell'azione risarcitoria per il danno inerente a queste ultime, decorre dal loro prodursi solo nel caso in cui le stesse non costituiscano un mero sviluppo ed aggravamento del danno già insorto, ma integrino nuove ed autonome lesioni (Cass. civ., sez. lav., 29 maggio 1997, n. 4774).

La ragione di tale discriminazione deve essere ravvisata nella constatazione in forza della quale, mentre il peggioramento del processo morboso, a fronte di un pregiudizio conclamato, può essere previsto, sicché, in base ad un'indagine tecnica, anche la corrispondente voce ristoratoria può essere riconosciuta in via anticipata attraverso la liquidazione di un danno futuro, l'insorgenza di una nuova patologia, sebbene causalmente ascrivibile alla medesima condotta lesiva, non può costituire oggetto di percezione secondo l'ordinaria diligenza, sicché il termine di prescrizione comincia a decorrere solo dal momento in cui tale autonoma lesione sia percepibile all'esterno come danno ingiusto.

In conclusione

Siffatto sistema di adeguamento del decorso della prescrizione alla manifestazione all'esterno del danno ingiusto sembra contemperare in modo soddisfacente le esigenze sottese all'istituto della prescrizione: l'effettività della tutela del diritto rivendicato e la certezza dei rapporti giuridici. Infatti, per un verso, l'adesione ad una soluzione rigida che rimetta il decorso della prescrizione ad un momento fisso, rappresentato dall'integrazione del comportamento lesivo, implicherebbe il rischio di negare salvaguardia a pretese risarcitorie in cui il nocumento si esternalizzi dopo un apprezzabile lasso di tempo dal perfezionamento della condotta incriminata; per altro verso, la subordinazione dell'inizio della prescrizione all'acquisizione, da parte del danneggiato, della concreta conoscenza dell'ingiustizia delle conseguenze lesive, anche nell'ipotesi in cui meri impedimenti di fatto abbiano ostacolato tale acquisizione, renderebbe fin troppo evanescente la certezza dei rapporti giuridici, che potrebbero essere dilatati sine die a scapito della posizione giuridica del potenziale danneggiante, evocabile in giudizio in ogni tempo, con inevitabili ripercussioni sull'esercizio del diritto di difesa. La previsione di un limite mobile ancorato alla percepibilità secondo l'ordinaria diligenza del pregiudizio ingiusto, anche in base allo stato delle conoscenze scientifiche, estese alla ricostruzione del nesso causale e all'identificazione del responsabile, realizza un calibrato contemperamento tra le due esigenze, assicurando, entro congrui binari di esigibilità, la tutela effettiva dei diritti e la certezza dei rapporti giuridici nonché in tal guisa escludendo che meri impedimenti di fatto, anche collegati all'ignoranza della persona offesa, possano pregiudicare il decorso della prescrizione e consentendo, per converso, che assumano rilevanza, sotto tale profilo, ben delimitati e ragionevoli impedimenti giuridici.

Guida all'approfondimento

M.BONA, Prescrizione e danno alla persona: il nuovo leading case della cassazione sposta il dies a quo dalla manifestazione del danno all'addebitabilità del pregiudizio al responsabile (la nuova regola a confronto con il modello inglese... idee per una riforma), in Giur. it., 2004, 286 ss.;

M.BONA, Appunti sulla giurisprudenza comunitaria e CEDU in materia di prescrizione e decadenza: il parametro della “ragionevolezza”, in Resp. civ. e prev., 2007, 1709 ss.;

G.BUFFONE, Prescrizione del diritto al risarcimento dei danni lungolatenti, in Resp. civ. e prev., 2008, 1269 ss.;

G.DE CRISTOFARO, Responsabilità civile-prescrizione dell'azione risarcitoria, nota a Cass., SS.UU., 11 gennaio 2008, n. 580, in Studium juris, 2008, 11, 1295 ss.;

A.GUARNERI, L'exordium praescriptionis, in Riv. dir. civ., 2013, 1129 ss.;

U.IZZO, La decorrenza della prescrizione nell'azione risarcitoria da danno lungolatente: quali regole per governare l'incertezza probatoria ?, in Danno e resp., 2003, 853, postilla al contributo di I. Righetti, Prescrizione e danno lungolatente, nota a Cass., Sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2645, ivi, 845 ss.;

M.ROSSETTI, Postumi silenti, la prescrizione decorre lo stesso, in Dir. e giust., 2004, 46 ss.;

M.TESCARO, Osservazioni in tema di decorrenza della prescrizione e autoresponsabilità, in Studium juris, 2007, 255.

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