Responsabilità genitoriale: pregiudizievole la condotta del genitore che non vuole vaccinare il figlio

Luca Dell'Osta
16 Novembre 2017

La decisione, presa da uno dei genitori in disaccordo con l'altro, di non vaccinare il figlio senza ragionevoli motivi può giustificare l'affievolimento della responsabilità genitoriale.
Massima

In caso di contrasto tra genitori separati sull'opportunità di sottoporre il figlio minore a dosi di richiamo di vaccini già somministrati, è ammissibile l'affievolimento della responsabilità genitoriale di uno dei due (nella specie, la madre), lasciando integra quella dell'altro (il padre), limitatamente alla questione vaccini, ritenendosi più corretta la scelta paterna conforme all'opinione scientifica largamente dominante.

Il caso

Il Tribunale per i minorenni di Napoli, provvedendo su ricorso proposto ex artt. 333 e 336 c.c. dal padre separato di un bimbo di circa sette anni, disponeva, all'esito di una consulenza tecnica d'ufficio, l'affievolimento della responsabilità genitoriale della madre sul figlio, relativamente alla somministrazione delle ulteriori dosi vaccinali da eseguirsi a cura del ricorrente, padre coaffidatario, il quale avrebbe dovuto provvedere a prelevare il figlio, ad accompagnarlo in ambulatorio per le vaccinazioni e poi a riaccompagnarlo a casa.

Avverso tale decisione la madre proponeva reclamo alla Corte d'Appello, chiedendo la sottoposizione del bambino ad alcuni esami ematici e la riforma dell'impugnato decreto, con la revoca dell'affievolimento della responsabilità genitoriale nel presupposto che non sussistesse una condotta pregiudizievole.

In buona sostanza, con il suo reclamo la madre sosteneva:

- l'incompetenza del Tribunale per i minorenni, ai sensi del combinato disposto degli artt. 337-bis e 337-terc.c. e art. 38 disp. att. c.c., dal momento che si verteva in un caso non di limitazione e/o ablazione della responsabilità genitoriale, ma esclusivamente di disaccordo tra genitori rispetto a una decisione rilevante nell'interesse del minore, rientrante nell'ambito non già dell'art. 330 o 333 c.c., quanto piuttosto in quella di cui all'art. 337-ter c.c., di competenza del Tribunale ordinario;

- nel merito, che il figlio, dopo il primo ciclo di vaccinazioni, aveva manifestato una serie di sintomi che «si ricomprendono nella sindrome dello spettro autistico» e, pur non avendo la certezza che le cause della patologia del bambino fossero o meno ascrivibili a un vaccino, riteneva che i rischi legati alla somministrazione di ulteriori dosi vaccinali sarebbero stati maggiori rispetto ai potenziali benefici.

La questione

La Corte di Appello è chiamata a risolvere tre questioni; la prima, e più significativa, relativa alla competenza; la seconda, subordinata alla precedente, circa il valore della consulenza tecnica disposta nel corso del primo grado; la terza, infine, subordinata alle altre due, sulla reale interpretazione da fornire al dispositivo del decreto emesso dal Tribunale per i Minorenni.

Le soluzioni giuridiche

Quanto alla prima questione, la Corte di Appello stabilisce che l'eccezione di incompetenza è infondata. Difatti, la domanda in primo grado era stata correttamente proposta al Tribunale per i Minorenni, dal momento che la somministrazione, o meno, di vaccinazioni configura il rischio di un pregiudizio al minore ex art. 333 c.c., e non si limita ad essere un mero «disaccordo» tra genitori (così la lettera dell'art. 337-ter c.c.).

Per ciò che riguarda il valore della consulenza tecnica disposta nella prima fase del giudizio, la Corte di Appello evidenzia che, di fronte a questioni strettamente tecniche e specifiche della scienza medica, il Tribunale per i Minorenni ha ritenuto necessario, e sufficiente, disporre una CTU alle cui conclusioni si è poi sostanzialmente adeguato (autorizzando, quindi, la somministrazione delle ulteriori dosi vaccinali al piccolo). In particolare, non può essere accolta la doglianza dell'appellante circa l'incompletezza e la contraddittorietà della CTU; il Tribunale infatti si era rimesso al medesimo consulente per l'esame di quali fossero le indagini e le valutazioni necessarie per rispondere al quesito, sicché la completezza della consulenza non può essere considerata in rapporto alle richieste di una parte, ma al compendio di accertamenti che il CTU ha considerato necessari per rispondere ai quesiti.

Infine, la Corte evidenzia che una lettura non superficiale del decreto reclamato deve necessariamente muovere dal fatto che il Tribunale non ha imposto le vaccinazioni al bambino, ma ha semplicemente lasciato al (solo) padre la decisione finale. Se è vero che nel dispositivo si legge che il padre «preleverà ed accompagnerà il minore ad effettuare le vaccinazioni», il complessivo impianto motivazionale del decreto va inteso nel senso che, spettando l'ultima decisione al padre, questi ha la facoltà di sottoporre il bambino alle vaccinazioni anche senza il consenso della madre, fatti comunque salvi gli obblighi di legge (rectius:in considerazione delle sopravvenienze legislative; si tenga infatti presente che al momento del deposito del decreto poi reclamato davanti alla Corte di Appello non era ancora stato emanato il d.l. 7 giugno 2017, n. 73, e ovviamente non era ancora stata approvata la l. 31 luglio 2017, n. 119, di conversione del citato decreto). Va da sé che, limitandosi il provvedimento ad affievolire la responsabilità genitoriale della madre lasciando quella del padre integra e, limitatamente alla questione vaccini, esclusiva, la decisione del Tribunale per i Minorenni non impedisce astrattamente al padre di cambiare la sua idea circa l'opportunità di sottoporre il figlio ai richiami vaccinali, più volte manifestata nel corso del giudizio.

Alla luce di tutte queste considerazioni, il reclamo. è respinto e il decreto impugnato viene confermato.

Osservazioni

La decisione della Corte d'Appello di affermare la competenza del Tribunale per i minorenni, riferendo la vicenda all'art. 333 c.c. risulta pienamente condivisibile e supportata da unanime giurisprudenza. Muovendo dal pacifico presupposto che la mancata vaccinazione può esporre un minore a un grave pregiudizio (o, ragionando a contrario, se si ritiene che la vaccinazione può egualmente esporre un minore a un grave pregiudizio, in considerazione dei pur assai rari effetti collaterali del farmaco descritti nella lettura medica), non si può che concordare con il predominante orientamento giurisprudenziale per i cui i provvedimenti modificativi e ablativi della responsabilità genitoriale ex artt. 330, 332, 333 e 336 c.c., sono preordinati all'esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei minori e sono fondati sull'accertamento, da parte del giudice, degli effetti lesivi che hanno prodotto o che possono ulteriormente produrre in danno dei figli, tali da giustificare una limitazione (come in questo caso), o anche una ablazione, della responsabilità genitoriale (così Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2017, n. 14145). Di ciò è tra l'altro consapevole anche la giurisprudenza amministrativa, la quale ritiene che la prescrizione di vaccinazioni obbligatorie (seppur limitatamente all'accesso dei servizi educativi comunali) riguarda la tutela della salute pubblica la quale assume un valore dirimente che prevale sulle prerogative sottese alla responsabilità genitoriale (così Cons. Stato, sez. III, 21 aprile 2017, n. 1662).

Per ciò che riguarda invece il valore della CTU, assai correttamente la Corte fa riferimento all'elaborazione giurisprudenziale circa la consulenza tecnica a carattere percipiente – ossia quella nell'ambito della quale il giudice affida al CTU non solo l'incarico di valutare i fatti accertati, ma anche quello di accertare i fatti medesimi, rilevabili solo grazie a conoscenze e pratiche scientifiche che non sono, né potrebbe essere altrimenti, in possesso del giudice procedente –, ritenendola particolarmente pregnante nel caso di specie, in cui le valutazioni sulla condizione clinica del piccolo potevano essere accertate solo da un esperto dotato di peculiari mezzi, conoscenze e studi (in tal senso si vedano Cass. civ., sez. II, 27 giugno 2017, n. 20553, ancorché come obiter, in motivazione; Cass. civ., sez II, 20 giugno 2017, n 1606).

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