Ammissibilità dell'estromissione tacita dell'alienante nella successione a titolo particolare nel diritto controverso

Cesare Trapuzzano
17 Novembre 2017

Nella decisione in commento, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione della configurabilità o meno nel nostro ordinamento giuridico di una figura autonoma di estromissione tacita.
Massima

Ove il giudizio di impugnazione si sia svolto senza l'evocazione in giudizio dell'alienante del diritto controverso, ma con la partecipazione del successore a titolo particolare, allorché il primo abbia dimostrato il suo disinteresse al gravame e l'altra parte, senza formulare eccezioni al riguardo, abbia accettato il contraddittorio nei confronti del successore, sussistono i presupposti per l'estromissione tacita dal giudizio dell'alienante, con conseguente perdita della qualità di litisconsorte necessario della parte originaria.

Il caso

La società appaltatrice della costruzione di 43 villette proponeva azione ordinaria di condanna al pagamento del compenso aggiuntivo spettante per i lavori integrativi eseguiti in favore del socio assegnatario di una di tali villette, sul presupposto che direttamente quest'ultimo avesse commissionato la realizzazione di siffatti lavori ulteriori. L'assegnatario si costituiva in giudizio, negando di avere commissionato alcuna opera aggiuntiva nei confronti dell'appaltatore e affermando di avere concordato l'esecuzione di modifiche al progetto originario con la sola società cooperativa appaltante, la quale per l'effetto era chiamata in causa a titolo di garanzia. Nel corso del giudizio interveniva la cessionaria del credito vantato dall'attrice, giusta atto pubblico di cessione, cessionaria che era rappresentata in giudizio dallo stesso difensore della cedente. Dal momento in cui si formalizzava detto intervento la cedente del credito non compariva più alle udienze successive e non rassegnava le conclusioni in sede di precisazione delle conclusioni. Con la sentenza conclusiva del giudizio di prime cure, in accoglimento della domanda proposta, l'assegnatario convenuto era condannato al pagamento, nei confronti della sola cessionaria del credito, della somma riconosciuta a titolo di corrispettivo per i lavori aggiuntivi effettuati dall'appaltatrice cedente sulla villetta di proprietà dell'assegnatario. Nessuna statuizione era contenuta nella sentenza verso la cedente del credito controverso. All'esito, l'assegnatario del bene, condannato al pagamento del compenso integrativo, previa rinuncia alle primarie istanze avanzate verso la società appaltante, chiamata in garanzia, spiegava gravame nei confronti della sola cessionaria, contestando l'an e il quantum del credito riconosciuto dalla sentenza impugnata. Si opponeva alla riforma della sentenza gravata la cessionaria del credito. A conclusione del giudizio di appello, era confermata la spettanza del corrispettivo per l'esecuzione di lavori integrativi commissionati all'appaltatore direttamente dall'assegnatario della villetta, ma ne era ridotta la misura, con la previsione degli interessi legali a decorrere dalla domanda e senza il riconoscimento della rivalutazione monetaria. A sostegno della decisione, il giudice dell'impugnazione evidenziava che si era verificata, già nel corso del giudizio di primo grado, un'estromissione tacita dal processo della cedente del credito, la qual poteva essere desunta dalla circostanza che detta cedente non era più comparsa in udienza dopo l'intervento in giudizio della cessionaria con il medesimo patrocinatore e non aveva rassegnato conclusioni; inoltre, l'estromissione era arguita dal fatto che la sentenza di prime cure era stata emessa nei soli confronti della cessionaria, contro cui soltanto la controparte aveva interposto appello. Avverso tale decisione era proposto ricorso in Cassazione da parte della cessionaria del credito nei confronti sia dell'assegnatario sia della cedente, fondato su quattro motivi, cui resistevano, con controricorso contenente ricorso incidentale, basato su un unico motivo, gli eredi dell'assegnatario.

La questione

Con il primo motivo di censura la ricorrente denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 1259 c.c. e 111 c.p.c. nella parte in cui la Corte d'appello, con la sentenza gravata, aveva ritenuto che si fosse perfezionata un'estromissione tacita della cedente nel corso del giudizio di primo grado. Al riguardo, contestava la configurabilità nel nostro ordinamento giuridico di una figura autonoma di estromissione tacita ed eccepiva che nel giudizio d'appello - non essendo stata evocata la parte originaria attrice, che rimaneva tale anche all'esito della successione della cessionaria nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c., sino ad un'eventuale estromissione formale, consentita dalle parti e dal giudice, nel caso di specie non perfezionata - avrebbe dovuto essere integrato il contraddittorio, stante la ricorrenza di un litisconsorzio necessario. Con il secondo motivo era denunciata la violazione di norme sostanziali (artt. 1346 e 1418 c.c.), in ragione della nullità parziale dell'accordo con il quale sarebbe stata commissionata l'opera integrativa a cura dell'assegnatario della villetta, ossia di una tettoia senza la previa concessione edilizia. Con il terzo motivo era denunziata la violazione dell'art. 1227 c.c. per il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria, nonostante l'attività imprenditoriale esercitata dalla società appaltatrice. Con il quarto motivo erano ribadite le censure già sollevate avverso l'ammissibilità dell'estromissione tacita e avverso l'omesso rilievo della nullità parziale dell'accordo integrativo. Infine, con il ricorso incidentale gli eredi dell'assegnatario deducevano l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine alla prova dei lavori effettivamente eseguiti e al prezzo pattuito dalle parti, alla stregua della motivazione apodittica della sentenza d'appello, fondata sulla deposizione di un solo teste e sull'esame di un computo metrico.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento ha reputato infondati il primo e il terzo motivo del ricorso principale mentre ha dichiarato inammissibili il secondo e il quarto motivo nonché l'unico motivo del ricorso incidentale.

In ordine al primo motivo del ricorso principale, oggetto di attenzione in questa sede, la Corte di Cassazione ha previamente qualificato diversamente la natura della doglianza: il motivo, benché formulato con riferimento al n. 3 dell'art. 360, comma 1, c.p.c., è stato inteso come riferito al n. 4 per l'evidente riferimento a vizi del processo.

Nel merito, esso è stato valutato come infondato. La censura era basata sull'assunto secondo cui l'estromissione dal giudizio ex art. 111 c.p.c. avrebbe necessariamente presupposto, in ogni caso, l'accordo esplicito delle parti e, all'esito, il consenso del giudice mediante formalizzazione in un provvedimento espresso. Sennonché, ha rilevato la Corte, tale assunto trascurava il portato dell'interpretazione giurisprudenziale della disposizione codicistica che, accanto all'estromissione espressa, ha configurato la possibilità giuridica di un'estromissione tacita. E ciò nei casi in cui il giudizio di impugnazione si sia svolto senza l'evocazione in giudizio dell'alienante del diritto controverso, ma con la partecipazione del successore a titolo particolare, allorché il primo abbia dimostrato il suo disinteresse al gravame e la controparte, senza formulare eccezioni al riguardo, abbia accettato il contraddittorio nei confronti del successore. Tali elementi, secondo la giurisprudenza, integrano i presupposti per l'estromissione tacita dal giudizio dell'alienante, estromissione che, sebbene non formalmente dichiarata, fa cessare la qualità di litisconsorte necessario della parte originaria (sul punto Cass. civ.,sez. III, 8 febbraio 2011, n. 3056; Cass. civ.,sez. II, 17 maggio 2010, n. 12035; Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2009, n. 8395; Cass. civ.,sez. I, 19 maggio 2000, n. 6530; con riguardo alle pronunce in materia tributaria, Cass.civ., 27 marzo 2015, n. 6196; Cass.civ.,29 dicembre 2010, n. 26321; Cass.civ.,12 marzo 2008, n. 6591; Cass.civ.,16 aprile 2007, n. 9004; Cass.civ.,30 dicembre 2004, n. 24245; Cass.civ.,12 dicembre 2003, n. 19072). Ne consegue, ad avviso del Giudice di legittimità, che - applicando tale principio alla fattispecie concreta - il giudice del gravame ha correttamente ritenuto che si fosse realizzata già in primo grado un'estromissione tacita, atteso che la società appaltatrice, cedente del credito, non era più comparsa dopo l'intervento in giudizio della cessionaria e non aveva rassegnato conclusioni all'udienza di precisazione delle conclusioni, anche tenuto conto del rilievo che le parti (cedente e cessionaria) si erano avvalse del medesimo patrocinatore; a ciò era seguito univocamente il recepimento dell'estromissione a cura del giudice, che aveva emesso sentenza esclusivamente nei confronti della cessionaria e della controparte, la quale solo contro la cessionaria aveva proposto appello.

Per l'effetto, la doglianza è stata considerata destituita di fondamento, essendo stata reputa condivisibile la ponderazione in ordine alla ricognizione di un accordo tacito tra le parti, nel senso dell'estromissione, seguito da un provvedimento concludente del giudice.

Osservazioni

La pronuncia in commento, confermando un orientamento di legittimità consolidato, ha ammesso che l'estromissione dell'alienante, nel caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, può avvenire, non solo in forma esplicita, quale conseguenza del consenso manifestato expressis verbis dalle parti e dell'ordinanza interlocutoria del giudice che, dando atto dei relativi presupposti, la disponga, ma anche in forma tacita, quale effetto del consenso desumibile dai contegni concludenti delle parti e della conseguente delimitazione della portata subiettiva della pronuncia decisoria del giudice che implicitamente ne dia atto, provvedendo ad adottare ogni statuizione nei confronti del solo successore e della controparte, senza tenere conto della qualità di parte dell'alienante. In ogni caso, l'estromissione dell'alienante (o del successore universale), sia essa espressa o tacita, postula che il successore a titolo particolare nel diritto controverso (per atto inter vivos o mortis causa) sia intervenuto volontariamente in giudizio ovvero sia stato chiamato in causa, ossia sia divenuto parte effettiva del processo, partecipandovi attivamente. Prima dell'intervento volontario o coatto (recte della chiamata) l'alienante assume invece il ruolo di sostituto processuale ex art. 81 c.p.c. (e non di mero rappresentante) del successore, poiché il trasferimento del diritto controverso, espressione del potere dispositivo delle parti, provoca una modificazione soggettiva del processo, essendo esso stato istaurato fra le parti proprio in relazione alla posizione che esse avevano rispetto al bene conteso. All'esito dell'assunzione della qualità di parte effettiva del successore, mediante intervento o chiamata, può - per converso - prospettarsi la possibilità di estromettere l'alienante o il successore universale alla condizione prevista dal terzo comma dell'art. 111 c.p.c. che le altre parti vi consentano. Chiaramente deve ricorrere anche il consenso della parte interessata, ossia dell'alienante estromettendo. Nondimeno, quand'anche il successore a titolo particolare non sia divenuto parte effettiva del giudizio, per difetto di intervento o di chiamata, questi può impugnare la sentenza conclusiva del giudizio nel corso del quale si è realizzata la successione, ai sensi del quarto comma dell'art. 111 c.p.c., poiché la sentenza pronunciata contro l'alienante o il successore a titolo universale spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare. In tal caso, il successore a titolo particolare di una delle parti, il quale proponga impugnazione avverso la sentenza resa nei confronti del suo dante causa, non estromesso, non gode di legittimazione autonoma e sostitutiva e deve chiamare in giudizio, in qualità di litisconsorte necessario, il suo dante causa. Detta eventualità, ossia la necessità di integrare il contraddittorio verso il dante causa nel giudizio di appello, è – invece - esclusa qualora il successore sia intervenuto o sia stato chiamato in causa già nel giudizio di primo grado e, all'esito dell'attiva partecipazione dell'avente causa al processo, l'alienante sia stato estromesso. Come detto, nel regolare tale fattispecie di estromissione, la norma dedicata all'istituto della successione a titolo particolare nel diritto controverso si limita a richiedere il consenso delle parti. Nessuna altra condizione è all'uopo prevista, neanche con riferimento all'adozione di un conforme provvedimento giudiziale. Ne discende che la richiesta di un esplicito provvedimento giudiziale di estromissione dell'alienante incontra ostacoli non trascurabili nel dettato normativo dell'art. 111, comma 3, c.p.c., avendo il legislatore previsto che le modifiche soggettive del rapporto processuale si compiano validamente, in questo caso, con il mero consenso delle parti. Ma vi è di più. Che tale consenso possa essere anche tacito, ossia ricavabile dai comportamenti concludenti delle parti, è appunto ammesso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il consenso all'estromissione dell'alienante può essere desunto dal suo disinteresse alla prosecuzione del giudizio, all'esito dell'intervento o della chiamata del successore, mentre il consenso della controparte può essere arguito dalla sua accettazione del contraddittorio verso il successore. Del resto, la norma si limita a prevedere che, ove le altre parti (rispetto al dante causa), ivi compreso l'avente causa costituito in giudizio, vi consentano, l'alienante o il successore a titolo universale può esserne estromesso, sul presupposto implicito che anche quest'ultimo sia favorevole alla sua estromissione. Sicché la locuzione utilizzata non allude affatto alla necessità di un consenso espresso e formalizzato. Nella fattispecie la prestazione del consenso dell'alienante all'estromissione è stata ricavata dallo specifico contegno processuale assunto, e segnatamente dalla mancata comparizione alle udienze successive alla costituzione del successore, tale da poterne arguire l'abbandono della difesa per disinteresse alla continuazione del processo, anche in considerazione dell'identità del patrocinante nominato dall'alienante e dal successore, essendosi tale procuratore limitato a rappresentare il solo successore; nonché dall'omessa formulazione delle conclusioni all'udienza di precisazione delle conclusioni. Il fatto che lo stesso difensore abbia rappresentato il solo successore è, inoltre, emblematico della carenza di obiezioni, anche indirette, del successore avverso l'uscita dal giudizio dell'alienante, in difetto di alcun interesse alla sua permanenza in giudizio, che si sarebbe potuta desumere, ad esempio, dalla eventuale proposizione di domande del successore intervenuto contro l'alienante. Per converso, il consenso tacito della controparte è stato dedotto dalla circostanza che, in conseguenza dell'intervento dell'avente causa, le sue difese sono state indirizzate esclusivamente nei confronti del successore, con la conseguente piena accettazione del contraddittorio verso quest'ultimo. In conseguenza, la sentenza è stata pronunciata con riferimento al solo rapporto tra successore e controparte, senza considerare l'alienante. Tali contegni sono ancora più significativi in ragione del gravame interposto. Il fatto che la controparte abbia spiegato appello avverso la sentenza di prime cure, instaurando il contraddittorio verso il solo successore, lascia intendere il suo disinteresse alla permanenza in giudizio dell'alienante e all'impugnazione verso costui; per contro, il fatto che il successore evocato in sede di gravame non abbia formulato eccezioni avverso la mancata chiamata dell'alienante nel giudizio di appello proposto dalla controparte fa presagire che vi sia stato il suo assenso all'estromissione. E d'altronde, la circostanza che, in ragione di tali condotte, indicative del consenso delle parti all'estromissione dell'alienante, il giudice abbia pronunciato la sentenza nei confronti del solo successore, omettendo ogni statuizione verso l'alienante, è ulteriormente significativa della presa d'atto, anch'essa per assunti concludenti, del perfezionamento dell'estromissione, in difetto di alcun riferimento della norma alla necessità di un provvedimento costitutivo di detta estromissione, limitandosi appunto la norma a subordinare l'estromissione dell'alienante alla manifestazione del consenso delle parti. Anche una parte della dottrina ammette la possibilità di un accordo tacito fra le parti ai fini dell'estromissione; altro filone della dottrina rileva, invece, l'esistenza di figure di estromissione impropria, non sempre riconducibili a provvedimenti giudiziali, tra cui ricade anche l'ipotesi di riassunzione parziale; altra parte esclude, a monte, la possibilità di un'estromissione tacita. In ogni caso, la pretesa di un esplicito provvedimento giudiziale di estromissione nel caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso è, di fronte al silenzio legislativo, operazione eccessiva e priva di formali collegamenti con la realtà normativa. Una riprova in tal senso è fornita dal fatto che il legislatore, laddove ha voluto subordinare l'estromissione alla pronuncia di un conforme provvedimento giudiziale, come requisito necessario affinché si produca il relativo effetto, lo ha espressamente richiesto: come nei casi dell'estromissione del garantito ex art. 108 c.p.c. e dell'obbligato ex art. 109 c.p.c.. Infatti, in tali ipotesi di estromissione il legislatore esige che essa sia disposta con provvedimento giudiziale; diversamente dall'art. 111, comma 3, c.p.c., che non richiama affatto un provvedimento giudiziale di natura dispositiva, potendo al più ammettersi un mero provvedimento dichiarativo, anch'esso espresso o implicito, che dia atto dell'avvenuta estromissione per l'integrazione dei relativi presupposti. In aggiunta, con riguardo agli artt. 108 e 109 c.p.c., non è possibile il ricorso all'analogia. In primis, l'art. 108 c.p.c. presuppone che il garante costituito accetti di assumere la causa in luogo del garantito; in tal caso, su richiesta del garantito, qualora le altre parti non si oppongano, il giudice, con ordinanza, può disporne l'estromissione, pur spiegando la sentenza di merito effetti anche contro l'estromesso. La successione a titolo particolare nel diritto controverso non è invece equiparabile ad un rapporto di garanzia, poiché il successore subentra a tutti gli effetti nella titolarità del diritto sostanziale oggetto di causa, sicché quest'ultimo non è un garante mentre l'alienante non è un garantito, piuttosto perde la titolarità di tale diritto e, in alcune ipotesi, può essere garante del successore. Sicché, ai sensi dell'art. 108 c.p.c., nell'ambito dello stesso processo convergono due rapporti, quello principale tra garantito e controparte e quello accessorio di garanzia tra garantito e garante, rispetto ai quali il garante può assumere la causa in luogo del garantito, ossia come suo sostituto processuale. Il che non accade nella successione a titolo particolare, dove, per effetto della successione, il rapporto sostanziale resta unico, poiché uno è il diritto controverso, la cui titolarità si trasferisce dal dante causa all'avente causa. Ed ancora, l'art. 109 c.p.c. disciplina l'ipotesi in cui nel giudizio si instauri, oltre alla causa contro il debitore, relativa all'adempimento dell'obbligazione, anche la causa fra creditori pretendenti dello stesso diritto. Sicché, diversamente dal successore a titolo particolare, l'obbligato che abbia riconosciuto la sua posizione debitoria, dichiarandosi pronto ad eseguire la prestazione dovuta nei confronti dell'avente diritto e provvedendo al deposito ordinato dal giudice della cosa o della somma dovuta, è indifferente all'esito finale della lite fra i pretendenti, tant'è che può rendere testimonianza nel processo tra tali pretendenti all'esito del deposito e dell'estromissione; inoltre, la sentenza fra i pretendenti, all'esito dell'estromissione, non spiega effetti nei suoi confronti e non può essere da questi impugnata. Né la posizione dell'obbligato può essere equiparata a quella dell'alienante, poiché il primo si libera riconoscendo il suo debito nonché la sua disponibilità ad eseguire la prestazione dovuta nonché eseguendo il deposito della prestazione ordinato dal giudice, ma non trasferisce affatto il suo obbligo, mentre il secondo si libera per effetto del trasferimento in corso di causa del diritto controverso ad un terzo, cosicché il rapporto continua tra successore e controparte. Ne deriva che la causa fra pretendenti è assolutamente autonoma da quella dell'obbligato; infatti, non vi è alcun rapporto di successione rispetto all'obbligato. In conclusione, la previsione nell'art. 109 c.p.c. di un esplicito provvedimento giudiziale si giustifica in quanto, mediante la sua adozione, si realizza, non tanto l'estromissione dell'obbligato dal processo, quanto la cessazione della materia del contendere nei suoi confronti. È stato inoltre puntualizzato che la diversità delle situazioni sostanziali poste a fondamento delle varie ipotesi di estromissione, e ancora la mancanza di un preciso disegno unitario nella relativa disciplina legislativa, rendono alquanto difficile ogni tentativo diretto alla ricostruzione e all'inquadramento sistematico dell'istituto. Di conseguenza, è preclusa l'applicazione analogica delle previsioni di cui agli artt. 108 e 109 c.p.c. nella parte in cui esigono un provvedimento giudiziale espresso affinché l'estromissione possa essere disposta. Tra l'altro, lo stesso provvedimento giudiziale che decide sull'estromissione del garantito e dell'obbligato assume forme eterogenee: nel primo caso la norma evoca espressamente la disposizione dell'estromissione con ordinanza; nel secondo si ritiene che il provvedimento di estromissione debba assumere la forma della sentenza. Inoltre, con riferimento all'ambito applicativo dell'art. 111 c.p.c., l'impugnazione del successore è regolata, non a caso, nell'ultimo comma, distintamente dall'intervento o dalla chiamata del medesimo e come potere primario, originario, indipendente da quello del dante causa. Detta impugnazione a cura del successore può naturalmente avvenire qualora questi si sia già costituito e sia parte a tutti gli effetti; ma il quarto comma si riferisce precipuamente all'ipotesi in cui il successore non sia ancora parte effettiva (ossia già costituita). A questo proposito, un autorevole autore in dottrina ha evidenziato la ricorrenza di una collegittimazione autonoma di dante causa e avente causa, in ragione della quale la mancata chiamata dell'alienante nel giudizio di gravame interposto dal successore equivarrebbe ad un'estromissione di fatto. Nondimeno, secondo l'indirizzo giurisprudenziale maggioritario, qualora nel giudizio di prime cure l'alienante non possa ritenersi estromesso, sia pure implicitamente, nel giudizio di gravame instaurato dal successore a titolo particolare (o contro il medesimo) anche l'alienante è parte necessaria, con l'effetto che, in difetto della sua evocazione in giudizio, il contraddittorio dovrà essere esteso anche a tale litisconsorte necessario sul piano processuale, a norma dell'art. 331 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2010, n. 4486; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1535; Cass. civ., sez. II, 24 agosto 2006, n. 18483). Resta fermo però che, sebbene l'estromissione dell'alienante non sia automatica all'esito dell'intervento o della chiamata del successore, essa può comunque avvenire per contegni concludenti e non esige un consenso espresso. Al riguardo, si rileva che il rifiuto a consentire l'estromissione deve fondarsi su un interesse meritevole di tutela a mantenere in causa l'alienante, interesse che spetta al giudice apprezzare al fine, eventualmente, di ammettere comunque l'estromissione. Il rifiuto può essere giustificato in alcuni casi particolari in cui può esservi interesse a una pronuncia di merito anche nei confronti dell'alienante, ovvero se esista un fondato timore che il successore a titolo particolare non possa garantire, in caso di soccombenza, il pagamento delle spese processuali. In proposito, si fa riferimento all'ipotesi di successione solo parziale nel diritto controverso ovvero al caso di domanda di garanzia del successore nei confronti del dante causa e a quello in cui la controparte abbia interesse ad una pronuncia nei confronti della parte originaria per proporre contro di essa una domanda dipendente (o per paralizzare una sua domanda dipendente). Ma ove tali ostacoli, idonei a legittimare un rifiuto, non vi siano, non si può negare l'estromissione in presenza del consenso delle parti, desumibile anche in via tacita. Da un punto di vista processuale, l'estromissione non richiede un provvedimento costitutivo del giudice; piuttosto, il giudice deve prendere atto di tale estromissione e ciò può avvenire, non solo attraverso un provvedimento dichiarativo della maturazione dell'effetto, che potrebbe assumere la forma dell'ordinanza interlocutoria, la quale, in mancanza di un'espressa disposizione, non sembrerebbe impugnabile né ricorribile al collegio, ma anche alla stregua di una presa d'atto implicita, ricavabile dalla limitazione del contraddittorio alle parti residue, come accade quando la decisione di merito sia assunta nei soli confronti del successore e della controparte, ma non dell'alienante. Né è necessario che l'estromissione sia espressamente richiesta con un'apposita istanza, non essendovi alcun riferimento della norma alla richiesta dell'alienante, e ciò diversamente dalla previsione dell'art. 108 c.p.c., che espressamente richiama la richiesta del garantito in ordine alla sua estromissione, alla quale le altre parti non devono opporsi. Piuttosto, in presenza dei relativi presupposti, ossia della costituzione del successore e del consenso, anche per contegni concludenti, delle parti, l'estromissione è un atto dovuto. Ne consegue che, in ragione dell'integrazione di un'estromissione tacita, già perfezionatasi nel corso del giudizio di prime cure, di cui il giudice prenda atto con la pronuncia conclusiva del giudizio, le cui statuizioni siano limitate al solo rapporto processuale tra successore e controparte, nel successivo giudizio di gravame eventualmente intrapreso l'alienante non è più parte necessaria.

Guida all'approfondimento
  • C.M. De Marini, La successione nel diritto controverso, Roma, 1953, 230 e 290 ss.;
  • F. Lezzerini, Estromissione dell'obbligato, in Encicl. del dir., XVI, Milano, 1967, 73;
  • A. Proto Pisani, Dell'esercizio dell'azione, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. Allorio, I, 2, Torino, 1973, sub art. 111, 1246;
  • S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1962, 427;
  • F. Tommaseo, L'estromissione di una parte dal giudizio, Milano, 1975, 60.

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