Comparsa di costituzione a seguito di citazione per risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale; prova contraria presunzione relativa danno non patrimoniale (onere di allegazione)InquadramentoLe allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, produttiva di danni nella sfera giuridica di chi agisce in giudizio, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l'attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall'assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo ( Cass. sez. lav., n. 2886/2014). L'impresa designata dal Fondo Garanzia per le Vittime della Strada, citata in giudizio dai congiunti della vittima di un incidente stradale, si costituisce in giudizio, deducendo che tra quest'ultima e gli attori vi era una situazione di mera convivenza forzata, caratterizzata da rapporti deteriorati, contrassegnati da continue tensioni e screzi, a tal punto che i coniugi erano in realtà separati in casa. FormulaTRIBUNALE DI .... [1] COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA [2] Nell'interesse di: ...., P.I. .... in persona dell'Amministratore Unico Sig. ...., nato a .... il ...., C.F. .... [3] , con sede legale in ....alla via .... n. ...., elettivamente domiciliato in ...., alla via ....n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., C.F. ...., che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine/in calce al presente atto, con dichiarazione di voler ricevere le comunicazioni, ai sensi dell' art. 125, comma 1, c.p.c. e dell'art. 136, comma 3, c.p.c., al seguente numero di fax ...., oppure tramite PEC .... [4] ; -convenuta- CONTRO Sig. ...., nata a .... il ...., C.F. ...., Sig. ...., nato a .... il ...., C.F. n. ...., e Sig. ...., nata a .... il ...., C.F. ...., tutti residenti in ...., alla via .... n. ....elettivamente domiciliati in ...., alla via ....n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., che li rappresenta e difende, in virtù di procura in calce/a margine dell'atto di citazione; -attori- * * * PREMESSO CHE Con atto di citazione ritualmente notificato ...., .... e .... hanno convenuto in giudizio la scrivente compagnia assicuratrice ...., quale impresa designata dal FGVS, per sentirla condannare - previo accertamento e declaratoria dell'esclusiva responsabilità del soggetto rimasto non identificato nella causazione del indicato sinistro - al risarcimento dei danni subiti a seguito del decesso del loro congiunto, esponendo che: In data ...., il Sig. ...., rispettivamente, marito e padre degli attori, nell'attraversare, dopo essersi assicurato dell'assenza di veicoli nelle immediate vicinanze, sulle strisce pedonali via ...., all'altezza del civico n. ...., era stato violentemente colpito sul lato sx del corpo da una moto di grossa cilindrata e scaraventato, per l'effetto, per oltre tre metri, rimanendo esanime per terra; il conducente del veicolo investitore, che procedeva ad una velocità di circa .... km/h, di molto superiore a quella massima prevista nel punto, non era ritornato sui suoi passi per verificare le condizioni di salute della vittima, ma era fuggito aumentando ulteriormente la velocità del mezzo, in tal guisa rendendo impossibile l'identificazione dello stesso e del suo numero di targa da parte dei presenti; coloro che avevano assistito al sinistro ( ....) immediatamente avevano cercato di prestare soccorso al malcapitato, il quale, peraltro, a causa dei traumi interni subìti e della vasta emorragia, era deceduto dopo pochi istanti. Tanto dedotto, hanno chiesto il risarcimento del danno cd. da perdita del rapporto parentale, quantificandolo nelle rispettive misure di ...., per la prima, e di ...., per gli altri due [5] . — con il presente atto, si costituisce la convenuta, la quale contesta integralmente l'avversa domanda, poiché infondata in fatto e in diritto per i seguenti: MOTIVI Non si intende contestare l'orientamento della Suprema Corte secondo cui la prova del danno esistenziale da uccisione dello stretto congiunto può essere data anche a mezzo di presunzioni (v. Cass. n. 8827/2003; Cass. n. 8828/2003; Cass. n. 12124/2003; Cass., n. 15022/2005), le quali al riguardo assumono, anzi, “precipuo rilievo” (v. Cass. S.U., n. 6572/2006). Così come si è consapevoli del fatto che la presunzione semplice iuris tantum trasferisce a colui, contro il quale essa depone, l'onere della prova contraria (così Cass., n. 13291/1999) e che nella deduzione dal fatto noto a quello ignoto il giudice di merito incontra il solo limite del principio di probabilità (nel senso che non occorre che i fatti, su cui la presunzione si fonda, siano tali da far apparire la esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva - Cass., n. 8489/1999; Cass., n. 7954/1999; Cass., n. 12088/1998-, essendo sufficiente che l'operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità, con riferimento alla connessione degli accadimenti la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza - v. Cass., n. 6220/2005; Cass., n. 13169/2004; Cass., n. 9961/1996; Cass., n. 9717/1991; Cass., n. 7026/1982-, basate sull'id quod plerumque accidit - v. Cass. n. 6081/2005; Cass. n. 5082/1997). Il prevalente orientamento segnala, peraltro, che, attraverso lo schema logico della presunzione, la legge non vuole imporre conclusioni indefettibili, ma introduce uno strumento di accertamento dei fatti di causa che può anche presentare qualche margine di opinabilità nell'operata riconduzione, in base a regole (elastiche) di esperienza, del fatto ignoto da quello noto (v. Cass. n. 1564/1979). In quest'ottica, la presunzione basata sulla regola di esperienza è, diversamente da quella legale, in realtà rimessa ad una conclusione di tipo argomentativo, nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice ex art. 116 c.p.c. La parte contro cui gioca la presunzione è in ogni caso ammessa a fornire la prova contraria, spettando in tal caso al giudice stabilire l'idoneità nel caso concreto di quest'ultima a vincerla. Orbene, si intende, nel caso di specie, fornire la prova contraria, idonea a vincere la detta presunzione, atteso che: a) il rapporto coniugale che intercorreva tra .... e .... era connotato da una situazione di mera convivenza ”forzata”, caratterizzata da rapporti deteriorati, contrassegnati da continue tensioni e screzi; i coniugi, in realtà, vivevano “separati in casa”; b) il figlio maggiorenne della coppia non viveva da anni con i genitori, ma abitava a ...., avendo deciso di crearsi una vita, sentimentalmente ed economicamente, del tutto autonoma, rompendo completamente i rapporti con la famiglia di origine; c) la figlia minorenne aveva un pessimo rapporto con il padre, avendolo sempre individuato come il vero colpevole della crisi del vincolo coniugale, a causa di .... [6] . Alla stregua di quanto precede, la morte del loro stretto congiunto non ha per essi comportato un'alterazione dell'equilibrio mentale riflettentesi sotto il profilo della difficoltà di partecipazione all'attività quotidiana e della demotivazione rispetto alla vita futura. In via meramente subordinata, risponde a regole di comune esperienza che il dolore è meno intenso se al rapporto parentale non si associa la convivenza (v. Cass. n. 15568/2004). Inoltre, la vastità e la coesione del nucleo familiare della vittima può essere tale da lenire la sofferenza, nei limiti di quanto possibile in un evento tragico del tipo in esame, con la presenza di altri affetti familiari (v., con riferimento a nucleo familiare composto anche dai nonni, Cass. n. 3289/2006). Nel caso di specie, da un lato, la moglie e la figlia minorenne del de cuius convivono con i nonni e, dall'altro, il figlio maggiorenne ha instaurato una relazione sentimentale duratura con .... Tanto premesso ed esposto, il Sig. ...., come in epigrafe rappresentato e difeso, rassegna le seguenti: CONCLUSIONI Voglia l'Ill.mo Giudice adito, in via principale, rigettare la domanda attrice e, in via subordinata, ridurre sensibilmente le pretese risarcitorie degli attori. Con vittoria di spese, diritti e compensi del giudizio. In via istruttoria chiede ammettersi prova testimoniale sui seguenti capitoli: 1) Vero che i coniugi .... convivevano forzatamente “sotto lo stesso tetto” e, in occasione di quasi tutti i fine settimana, .... andava a vivere altrove per poi tornare nella casa coniugale solo la domenica sera; 2) Vero che i coniugi .... frequentavano separatamente le rispettive amicizie e che, in occasione di ricorrenze e/o festività, i parenti non li vedevano mai insieme, almeno negli ultimi .... anni; 3) Vero che la figlia minorenne della coppia .... non aveva più alcun rapporto con il padre, da quando questi ...., accusandolo da allora di ....; 4) Vero che il figlio maggiorenne della coppia .... sin dal .... ha abbandonato i genitori, andando a vivere a .... e creandosi una vita del tutto autonoma dal punto di vista economico, disdegnando ogni rapporto con i genitori, accusati di ....; Indica a testi i Sigg.: .... Offre in comunicazione e deposita in Cancelleria i seguenti documenti: 1) ....; 2) ....; Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA ALLE LITI (se non apposta a margine) [1] Il foro stabilito dall' art. 20 c.p.c., per le cause relative a diritti di obbligazione concorre con i fori generali di cui agli art. 18 e 19 c.p.c. e l'attore può liberamente scegliere di adire uno dei due fori generali, oppure il foro facoltativo dell' art. 20 c.p.c. La norma - infatti - stabilisce che per le cause relative a diritti di obbligazione (tra le quali rientrano anche le obbligazioni scaturenti da responsabilità extracontrattuale) è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi la obbligazione. In particolare, in tema di obbligazioni nascenti da fatto illecito, l'azione di risarcimento sorge nel luogo in cui l'agente ha posto in essere l'azione produttiva del danno (forum commissi delicti) e in relazione a tale luogo deve essere determinata la competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (Cass. II, n. 13223/2014). Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall' art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197 , che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti" ..In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio ( art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111). [3] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall' art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall' art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010. [4] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge n. 114/2014. L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall' art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. 115/2002, modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». [5] La parte danneggiata che intenda chiedere il risarcimento del danno alla salute cd. personalizzato (Cass., n. 11609/2011; Cass. n. 3906/2010) ha, invece, l'onere di allegare (entro il termine di cui all' art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., fino al quale può ancora modificarsi il thema decidendum) e di provare (producendo documenti e chiedendo l'ammissione di mezzi istruttori nel termine perentorio di cui all' art. 183, comma 6, nn. 2 e 3, c.p.c., entro cui viene fissato il cd. thema probandum; ovviamente ciò presuppone che la controparte costituitasi, a fronte delle deduzioni contenute nella precedente memoria, abbia preso posizione ed eventualmente contestato le avverse allegazioni nel termine all'uopo concessole) tutti i fatti e le circostanze significative che consentano una completa personalizzazione del danno (soprattutto al fine di acclarare, anche a mezzo di CTU, se una specifica attività esistenziale sia in tutto o in parte stata preclusa per effetto della menomazione psicofisica). [6] Individuare con precisione la condotta (l'essere dedito al gioco, l'abusare di sostanze alcoliche o stupefacenti, l'aver intessuto relazioni extraconiugali, ecc.). CommentoL'onere di allegazione e probatorio concernente il danno biologico Il danno biologico liquidato sulla base delle tabelle milanesi (maggiormente diffuse a livello nazionale) è quello non personalizzato da particolari “condizioni soggettive del danneggiato” (vale a dire, il pregiudizio subìto dalla persona nei suoi aspetti statico e dinamico-relazionali “medi”), in relazione al quale la parte che ha chiesto in giudizio (genericamente) il risarcimento del danno alla persona non ha alcuno specifico onere di allegazione e di prova (potendosi ricorrere alle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza - art. 115 c.p.c. -). Il giudice, in presenza di accertate “condizioni soggettive” (il relativo onere probatorio dovrà essere assolto in modo pieno; si pensi all'amputazione del dito per una persona che pratichi l'hobby di suonare uno strumento musicale; alla riduzione della funzionalità dell'arto inferiore per una persona che coltivi sistematicamente uno sport; ad una menomazione permanente che provochi una maggiore usura lavorativa - ad esempio, una menomazione alla caviglia per una barista che è costretta, per lavoro, a stare in piedi per molte ore al giorno -), può, però, aumentare, con congrua motivazione, fino al 30% l'importo risultante dall'applicazione della tabella (per quanto concerne le lesioni cc.dd. lievi derivanti da sinistri stradali, il limite predeterminato per legge è del 20%). Ovviamente, in presenza di situazioni eccezionali, anche questa percentuale massima potrà essere, con adeguata motivazione, superata. L'onere di allegazione del fatto storico va assolto nel termine delle preclusioni assertive, ossia, con la prima memoria ex art. 183 c.p.c. ( Trib. Piacenza 30 novembre 2009). Si rimanda alla formula dedicata al danno biologico permanente per l'analisi della sufficienza a volte, ai fini della prova di tale pregiudizio, della documentazione, in luogo di una consulenza tecnica d'ufficio medica. In termini più generali si è affermato che la risarcibilità del danno non patrimoniale, ai sensi dell'art. 2059 c.c. e in relazione all'art. 185 c.p., non richiede la commissione di un reato con condanna penale passata in giudicato. È sufficiente che il fatto sia astrattamente previsto come reato. La mancanza di pronuncia penale non ostacola l'accertamento giudiziale civile degli elementi costitutivi del reato. La lesione di un diritto inviolabile non implica automaticamente un danno non patrimoniale. È necessario dimostrare il pregiudizio subito, anche tramite presunzioni semplici. Il danno esistenziale richiede una prova dettagliata e specifica, non limitandosi a enunciazioni generiche, astratte o ipotetiche (Cass. n. 6795/2024). La prova della sofferenza morale Per evitare deprecabili automatismi, è onere della parte allegare in modo specifico e provare (non essendosi al cospetto di un danno sussistente in re ipsa), anche mediante presunzioni, particolari situazioni di sofferenza, in particolare per chiedere un aumento del risarcimento del danno alla persona. Diversamente opinando, si pretenderebbe una prova diabolica, trattandosi di stato d'animo interiore. Tuttavia, se la reputazione, l'onore, la dignità di una persona viene lesa da un servizio televisivo o da un articolo di stampa, non può dubitarsi che un danno non patrimoniale si è necessariamente verificato e non avrebbe senso richiedere la prova del verificarsi del pregiudizio; in siffatte evenienze il problema riguarderebbe esclusivamente il quantum e la liquidazione equitativa. Gli elementi da prendere, di regola, in considerazione ai fini della scelta della percentuale da applicare nel caso concreto sono rappresentati, soprattutto, dalla particolare afflittività delle lesioni, manifestatasi nella lunga degenza ospedaliera e/o nella pluralità degli interventi chirurgici sopportati. Invero, si deve considerare che un'operazione medica, anche sulla scorta della comune esperienza, è certamente fonte di notevole stress ed ansia per qualunque soggetto. Mentre per le sofferenze morali a base emotiva è oggettivamente impossibile individuare precisi parametri per la liquidazione, per quanto concerne la quantificazione del dolore avente base organica alcuni autori (Ronchi e Cucci; cfr., in giurisprudenza, Trib. Santa Maria Capua Vetere 29 marzo 2012) hanno tentato di dare una base scientifica, in particolare valorizzando le ripercussioni connesse agli eventuali interventi chirurgici cui la vittima si è sottoposta (distinguendo tra piccola chirurgia ambulatoriale - ad es., un'estrazione dentaria -, chirurgia ospedaliera in anestesia loco-regionale o in anestesia generale, plurimi interventi chirurgici) ed alle rinunce quotidiane (secondo una gradualità che va da minime a notevoli), attribuendo a ciascuna voce un punteggio. In questo ambito particolare rilevanza assume, come già accennato, la prova presuntiva ( art. 2727 c.c.) che si può ricavare da fatti noti, purché gli indizi siano gravi, precisi e concordanti (cfr. Cass. III, n. 17144/2006) e siano fondati su elementi ritualmente acquisiti al processo o suscettibili di essere considerati notori. Ad esempio, l'intensa sofferenza morale può desumersi dall'abbandono delle attività precedenti, di lavoro, studio e svago, oltre che, ovviamente, dagli eventuali interventi sanitari subìti e della durata della malattia conseguente al sinistro, anche in ragione dell'età e, quindi, della maturità della vittima. Basti pensare che l'età avanzata del danneggiato può rendere più complicata e più lunga la convalescenza e più faticosa la completa guarigione. La prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l'unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell'uno in dipendenza del verificarsi dell'altro secondo criteri di regolarità causale (Cass. III, n. 11059/2009). Concorrerà al convincimento del giudice anche l'audizione del danneggiato, se del caso in sede di interrogatorio libero, la visione dei documenti ed il ricorso alle massime di comune esperienza (per App. Milano 10 dicembre 2005, si può arrivare al risarcimento del danno morale anche ricorrendo a fatti notori), nonché la possibilità di utilizzare la propria scienza professionale. Va ricordato, infatti, che il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non ha alcun obbligo di nominare un consulente d'ufficio, ma può ben fare ricorso alle conoscenze specialistiche che abbia acquisito direttamente attraverso studi o ricerche personali ( Cass. III, n. 14759/2007). Ed, infatti, il potere di nomina del consulente tecnico, in quanto esercizio di una facoltà concessa al giudice (e da questo esercitabile di ufficio o su istanza di parte) per integrare le conoscenze tecniche che, non rientrando nelle nozioni di comune esperienza, egli non ha il dovere di conoscere e di cui, invece, il consulente è dotato, non preclude affatto al giudice la possibilità di avvalersi, oltre che delle massime di esperienza, che ha il dovere di conoscere, siccome patrimonio comune del sapere laico, anche delle conoscenze tecniche e specialistiche di cui sia per avventura in possesso o delle quali acquisisca direttamente il possesso attraverso studi o ricerche personali ( Cass. III, n. 11440/1997). Tale conclusione non è contraddetta dal principio che vincola il giudice ad attenersi ai fatti ed alle allegazioni di parte (il giudice deve decidere iusta alligata et probata), perché tale principio si riferisce solo alla conoscenza privata dei fatti storici che non rientrino nella categoria dei fatti notori, e non anche al sistema generale delle conoscenze peritali, come è inequivocamente dimostrato dalla possibilità, generalmente riconosciuta al giudice, di dissentire, con adeguata motivazione, dalle conclusioni del perito anche sulla base di teorie non prospettate dalla parti e perciò tratte dal bagaglio culturale del giudice o da suoi studi personali ( Cass. n. 11440/1997; Cass. II, n. 5665/1988; Cass. III, n. 245/1983). Con riferimento al danno conseguente ad immissioni illecite (alla cui specifica formula si rinvia), Cass. S.U., n. 2611/2017, ha precisato che non osta al risarcimento del danno non patrimoniale l'assenza di un danno biologico documentato, allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la prova del cui pregiudizio può essere fornita anche con presunzioni. In applicazione di tale principio, le Sezioni Unite hanno confermato la decisione di merito, che aveva riconosciuto sussistente una turbativa della vita domestica degli attori, conseguente alle immissioni sonore e luminose provenienti da un palco montato ad un metro di distanza dalla loro abitazione, realizzato per i festeggiamenti del Santo Patrono e, successivamente, non rimosso per tutto il periodo estivo. La prova del danno iure hereditatis da morte Sul piano probatorio, non si accoglie la domanda risarcitoria del danno biologico, terminale e catastrofico iure hereditatis, neppure quale invalidità temporanea della vittima e da questi trasmessa agli eredi, in difetto di prova sul lasso temporale intercorso tra fatto e decesso (quanto al danno cd. terminale), e soprattutto in difetto assoluto di elementi atti a sostenere che la vittima percepiva quanto stava accadendo (quanto al danno cd. catastrofico o catastrofale). È evidente che tanto inferiore è il lasso di tempo tra l'evento e il decesso, minore spazio vi sarà per il consolidamento del danno biologico, per evitare che il riconoscimento di quest'ultimo si sostanzi in un risarcimento del diritto alla vita calpestato. Spetta al giudice, in base ai referti medici ed alle prove testimoniali accertare anzitutto lo stato di lucidità della vittima prima della morte e, in base alla gravità della lesione, trarne le conseguenze, traducibili in termini pecuniari, delle sofferenze non solo fisiche, ma anche psicologiche, patite nell'arco temporale tra la lesione e la morte. Seri dubbi possono nutrirsi per l'ipotesi cd. border line di persona priva di sensi, indotta in coma farmacologico. Si tende a ritenere che il danno morale non sia ipotizzabile nel caso in cui manchi lo stato di coscienza, per essere la persona in coma, svenuta o comunque, non in grado di avvertire sofferenza; in tal caso nulla potrà essere risarcito a titolo di danno morale iure hereditatis, mancandone il presupposto rappresentato dalla pecunia doloris. La prova del danno morale iure proprio da morte Con riferimento ad una fattispecie di uccisione di uno stretto congiunto si tende a riconoscere il danno in base a presunzione semplice, iuris tantum, a favore dei familiari della vittima (allorquando gli stessi alleghino precise circostanze), con conseguente inversione dell'onere della prova a carico del danneggiante, che deve fornire la dimostrazione (anche se appare arduo fornire la eventuale prova contraria) di rapporti deteriorati, di una convivenza “forzata”, di “separati in casa” (cfr. Cass. n. 13546/2006; Cass. S.U., n. 6572/2006; nel senso che la sussistenza del danno non patrimoniale, quale conseguenza non pregiudizievole di una lesione suscettibile di essere risarcita, deve essere oggetto di allegazione e di prova, sebbene a tale ultimo fine possano ben utilizzarsi anche le presunzioni semplici, Cass. III, n. 20643/2016). Occorre puntualizzare che, in realtà, non può presumersi, sia pure in forza di presunzione semplice, che dalla morte di un soggetto vi siano conseguenze sotto il profilo del danno morale per i familiari, occorrendo, invece, che tali evenienze vengano prospettate ed allegate dai familiari, spettando poi al giudice valutare tali allegazioni ed attribuire o meno valenza di prova alle stesse. La prova può anche essere di segno negativo, dimostrandosi che, senza il fatto dannoso, la sofferenza non si sarebbe manifestata, o avrebbe avuto una intensità minore. Si segnala, peraltro, la pronuncia Cass. n. 20188/2008 la quale, nel confermare un orientamento ormai consolidato (cfr. Cass. n. 10823/2007; Cass. n. 3758/2007; Cass. n. 1203/2007; Cass. n. 22849/2007), ha statuito che, in tema di danno morale dovuto ai parenti della vittima, non è necessaria la prova specifica della sua sussistenza, siccome la prova può essere desunta anche solo in base allo stretto vincolo familiare, idoneo a dimostrare l'esistenza di un legame affettivo di particolare intensità; ai fini della valutazione del danno morale conseguente alla morte di un prossimo congiunto, quindi, l'intensità del vincolo familiare può già di per sé costituire un utile elemento presuntivo su cui basare la prova dell'esistenza del menzionato danno morale, in assenza di elementi contrari, mentre l'accertata mancanza di convivenza dei soggetti danneggiati con il congiunto deceduto può rappresentare soltanto un idoneo elemento indiziario da cui desumere, sul piano liquidatorio, un più ridotto danno morale ( Cass. III, n. 16018/2010). Sulla liquidazione di tale danno, da effettuarsi in via equitativa, non può incidere in senso riduttivo anche la precarietà delle condizioni di salute del defunto, le cui gravi affezioni o patologie, secondo l'id quod plerumque accidit, intensificano, piuttosto che diminuire, il legame emozionale con gli altri parenti. La prova del danno da perdita del rapporto parentale La prova del danno non patrimoniale conseguente consiste nella perdita, nella privazione di un valore personale non economico costituito dalla irreversibile perdita del godimento del familiare, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare: perdita, privazione e preclusione costituiscono conseguenza della lesione dell'interesse protetto. In particolare, secondo Cass. III, n. 10527/2011, nel caso di morte di un prossimo congiunto, un danno non patrimoniale diverso ed ulteriore rispetto alla sofferenza morale (cd. danno da rottura del rapporto parentale) non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che è onere dell'attore allegare e provare. Tale onere di allegazione, peraltro, va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (come la perdita “del piacere di condividere gioie e dolori col figlio” e dei “riti del vivere quotidiano, quali potevano essere il cinema assieme alla sera, l'alternarsi alla guida della macchina, le vacanze, le telefonate durante la giornata, il caffè appena svegli, il pranzo, la cena, i regali inattesi”). Il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto è costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali. Trattandosi di danno-conseguenza e, ancor più precisamente, di pregiudizio che si proietta nel futuro (diversamente dal danno morale soggettivo contingente), dovendosi aver riguardo al periodo di tempo nel quale si sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che l'illecito ha invece reso impossibile, sarà consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obiettivi che sarà onere del danneggiato fornire (cfr. Trib. Milano V, 2 settembre 2008, n. 10796). Peraltro, quando la lesione della salute è assai lieve, non può configurarsi alcun pregiudizio; infatti, affinché ricorra la tipologia di danno in esame, è necessario che la vittima abbia subito lesioni seriamente invalidanti perché si sia determinato uno sconvolgimento delle normali abitudini dei superstiti, tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse (Cass. III, n. 25729/2014). Cass. III, n. 4253/2012, ha statuito che il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela. Perché, invece, possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subìta da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare - quali i nonni, i nipoti, il genero, o la nuora -, è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico (Cass. n. 13546/2006, Cass. n. 10823/2007, Cass. n. 16018/2010, Cass. III, n. 1410/2011, Cass. n. 10527/2011; quanto ai soggetti non appartenenti alla c.d. famiglia nucleare, cfr. altresì Cass. sez. lav., n. 17006/2014). La sua liquidazione, vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona, in quanto tali privi di contenuto economico, non potrà che avvenire in base a valutazione equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c.), tenuto conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti. La liquidazione deve essere congruamente motivata e rifuggire da automatismi (ad esempio, la sofferenza può essere insostenibile anche per la perdita di prossimi congiunti non conviventi o che addirittura vivano in altre città). La mera titolarità di un rapporto familiare non può essere considerata sufficiente a giustificare la pretesa risarcitoria, occorrendo di volta in volta verificare in che cosa il legame affettivo sia consistito ed in che misura la lesione subìta dalla vittima primaria abbia inciso sulla relazione fino a comprometterne lo svolgimento ( Cass. S.U. n. 9556/2002). In tema di danno non patrimoniale, il pregiudizio patito dai prossimi congiunti della vittima va allegato, ma può essere provato anche a mezzo di presunzioni semplici e massime di comune esperienza, dato che l'esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare superstite, ferma restando la possibilità, per la controparte, di dedurre e dimostrare l'assenza di un legame affettivo, perché la sussistenza del predetto pregiudizio, in quanto solo presunto, può essere esclusa dalla prova contraria, a differenza del cd. "danno in re ipsa", che sorge per il solo verificarsi dei suoi presupposti senza che occorra alcuna allegazione o dimostrazione (Cass. 25541/2022). La prova del danno esistenziale Anche a seguito dell'entrata in vigore della recente legge sulla concorrenza (v. art. 1, comma 19, l. 4 agosto 2017, n. 124), essendosi pur sempre al cospetto di un danno-conseguenza (e, quindi, non in re ipsa), è essenziale che l'avvocato della vittima assolva compiutamente e tempestivamente l'onere di allegazione della circostanza di fatto che possa giustificare l'aumento della liquidazione del danno (nel contesto dell'incidentistica stradale e della responsabilità medico-sanitaria, fino al 30% per le cc.dd. macropermanenti e fino al 20% - comprensivo, però, della sofferenza morale – per le cc.dd. micro permanenti); successivamente, e comunque entro il termine di cui all' art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., tenuto conto delle contestazioni mosse dalla controparte, il medesimo difensore avrà l'onere di documentare e/o chiedere la prova orale circa i fatti e le circostanze significative che consentano una completa personalizzazione del danno, sia in relazione al periodo di durata della malattia sia in relazione ai postumi permanenti. Fermo restando che anche in siffatta evenienza si è in presenza di un danno-conseguenza ( Cass. n. 20987/2007), assume precipuo rilievo la prova per presunzioni ( Cass. n. 6572/2006; dovendosi ritenere integrato, a differenza del danno biologico, a prescindere dalla relativa accertabilità in sede medico-legale), trattandosi di pregiudizio ad un bene immateriale. La prova testimoniale rileva per la compromissione delle attività realizzatrici della persona umana incise dall'evento lesivo, atteso che il danneggiato ha l'onere di fornire la prova della modificazione negativa nella propria sfera personale. Di regola, i capitoli di prova testimoniale diretti a dimostrare il peggioramento delle “condizioni esistenziali” del soggetto (cioè gli aspetti dinamico-relazionali del danno biologico) sono i seguenti: “Vero è che il sig. ..., prima del sinistro per cui è causa, svolgeva (o si occupava ovvero frequentava)... e dopo il sinistro ha smesso di svolgere (o di occuparsi o di frequentare) ...”. Ad esempio, nel caso del demansionamento, gli elementi da prendere in considerazione sono le caratteristiche, la durata, la gravità, la conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, la frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, le eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l'avvenuta lesione dell'interesse relazionale, gli effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto (così Cass. sez. lav., n. 21223/2009). In generale, cagiona un danno “esistenziale” l'atto illecito del terzo che, senza incidere sulla salute o sul patrimonio della vittima, comporti, tuttavia, lo svolgimento di una serie di attività non remunerative, sino ad allora abituali, che contribuivano alla sua realizzazione, ovvero gli imponga attività che concorrano a ridurre i margini di esplicazione o gratificazione personale. Non essendo passibile di determinazione secondo il sistema tabellare, necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il soggetto danneggiato può fornire, individuando le circostanze comprovanti l'alterazione delle sue abitudini di vita. Occorre, quindi, una prova testimoniale, documentale o presuntiva, che dimostri nel processo “i concreti” cambiamenti che l'illecito ha prodotto, in senso peggiorativo, nella qualità di vita del danneggiato. In mancanza di allegazioni sulla natura e le caratteristiche del danno esistenziale, non è possibile al giudice neppure la liquidazione in forma equitativa. Secondo Cass. n. 20987/2007, il parente che intende indicare la dimensione esistenziale di tale danno (la distruzione del nucleo familiare, l'impossibilità dei superstiti di esplicare la propria personalità nei rapporti con il congiunto, la perdita delle attività sociali e culturali) deve allegare e provare le diverse situazioni di danno, in modo da evitare qualsiasi duplicazione risarcitoria. Peraltro, per Cass. n. 13546/2006, provato il fatto base della sussistenza di un rapporto di coniugio o di filiazione e della convivenza, deve ritenersi che la privazione di tale rapporto presuntivamente determina ripercussioni sia sugli assetti degli stabiliti e armonici rapporti del nucleo familiare, sia sul modo di relazionarsi degli stretti congiunti del defunto (anche) all'esterno di esso, rispetto ai terzi, nei comuni rapporti di vita di relazione. Incombe allora alla parte, in cui sfavore opera la presunzione, dare la prova contraria al riguardo, idonea a vincerla (ad esempio, situazione di mera convivenza forzata, caratterizzata da rapporti deteriorati, contrassegnati da continue tensioni e screzi, coniugi in realtà separati in casa, ecc.). Qualche dubbio si nutre in ordine a tale impostazione, atteso che il criterio di cd. vicinanza della prova renderebbe estremamente difficoltoso per il danneggiante fornire la dimostrazione del contrario. In quest'ottica, spetterebbe al danneggiato dimostrare che l'evento lesivo abbia prodotto uno sconvolgimento dell'esistenza tale da meritare la risarcibilità autonoma in omaggio al principio dell'integralità della riparazione (così Cass. n. 10527/2011). In assenza di detta prova, dovrebbe escludersi la possibilità che venga attribuito un ulteriore ammontare a titolo di danno esistenziale (recte, di lesione degli aspetti dinamico-relazionali). Se, invece, il danneggiato (quantomeno) alleghi il fatto base della normale e pacifica convivenza del proprio nucleo familiare e che il decesso (o le gravi lesioni subìte dal) del proprio congiunto all'esito del fatto evento lesivo abbiano comportato una sofferenza interiore tale da determinare un'alterazione del proprio relazionarsi con il mondo esterno (vale a dire, alleghi almeno la degenerazione della sofferenza o patema d'animo in obiettivi profili relazionali), inducendolo a scelte di vita diverse, incombe al danneggiante dare la prova contraria (quindi, si realizza una vera e propria inversione dell'onere della prova) idonea a vincere la presunzione di “sconvolgimento esistenziale” riverberante anche in obiettivi e radicali scelte di vita diverse (Cass. n. 8546/2008; Cass. n. 13754/2006; Cass., n. 8827/2003; Cass. S.U., n. 9556/2002). Deve, peraltro, evidenziarsi che le conseguenze esistenziali di un fatto lesivo possono essere distinte in due categorie, ovvero quelle “normalmente” legate all'evento dannoso e quelle “particolari”, connesse alla fattispecie concreta, alla personalità ed alle condizioni di vita della vittima. Le prime non necessitano di una prova specifica e possono essere presunte secondo l'id quod plerumque accidit. Ad esempio, ricorrendo anche alle presunzioni relative, nel caso di uccisione (o grave invalidazione permanente) del familiare lo sconvolgimento dell'esistenza dei congiunti è una conseguenza più o meno duratura, ma pressoché inevitabile (Cass. III, n. 13546/2006). Occorre precisare che non si tratta di una presunzione assoluta: il responsabile potrà cercare di dimostrare in giudizio le particolari relazioni parentali della vittima che possono avere escluso, o comunque ridotto, le normali conseguenze del fatto lesivo. D'altra parte, gli stessi danneggiati, qualora ritengano che il danno da loro sofferto sia superiore a quello statisticamente ipotizzabile e sia, dunque, meritevole di una più ampia liquidazione, possono superare la presunzione ed offrire la prova positiva del reale pregiudizio esistenziale patito, dimostrando le effettive alterazioni negative del proprio modo di vivere. Diverso è il caso del danno esistenziale subito dai familiari legati al de cuius (o al soggetto che ha patito una grave invalidità permanente) da un rapporto meno stretto, non caratterizzato, ad esempio, dalla convivenza e dalla costante frequentazione. In tali ipotesi il danneggiato non potrà avvalersi della presunzione e dovrà fornire una specifica prova del danno lamentato. Al consulente tecnico d'ufficio è possibile delegare una valutazione meramente descrittiva di eventuali impedimenti a compiere determinate attività extralavorative, già previamente allegate, in quanto potrà specificare se la lesione subìta abbia ripercussioni, ad esempio, su attività sportive non professionali svolte in precedenza dalla vittima, consentendo così al giudice di personalizzare la liquidazione inserendo anche la componente esistenziale (sul punto si rinvia alla formula dedicata alla consulenza tecnica d'ufficio). L'onere di allegazione nell'ambito della responsabilità sanitaria Premesso che, in tema di responsabilità medica, è a carico del danneggiato la prova dell'esistenza del contratto e dell'insorgenza o dell'aggravamento della patologia, con l'allegazione di qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare il danno lamentato, restando a carico dei sanitari la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che il pregiudizio sia stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile, non di rado il paziente incontra difficoltà nell'individuare le condotte ascrivibili al personale sanitario ed il nesso eziologico tra queste ultime e il danno lamentato. Mediante il nuovo istituto dell'a.t.p. introdotto, a mò di condizione di procedibilità, dalla l. 8 marzo 2017, n. 24 (cd. Bianco-Gelli), da un lato, si assisterà normalmente ad un'anticipazione (quantomeno parziale) del momento acquisitivo e di valutazione medico-legale delle prove, e, dall'altro, risulterà più agevole individuare con la maggior precisione possibile quali siano le condotte (commissive o omissive) imputabili in concreto ai sanitari o alla struttura, in modo da porre il danneggiato nelle condizioni di allegare, nel contesto dell'atto introduttivo del successivo, eventuale giudizio di merito, “qualificate inadempienze”, idonee a provocare il pregiudizio. Da ciò consegue che, nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno causato da un errore del medico o della struttura sanitaria, al quale sono applicabili (ormai limitatamente alla seconda) le regole sulla responsabilità contrattuale (ivi comprese quelle sul riparto dell'onere della prova), l'attore ha il solo onere - ex art. 1218 c.c. - di allegare e provare l'esistenza del contratto, e di allegare in modo “qualificato” l'esistenza d'un valido nesso causale tra l'errore del medico e l'aggravamento delle proprie condizioni di salute, mentre spetterà al convenuto dimostrare o che inadempimento non vi sia stato, ovvero che esso, pur essendo sussistente, non sia stato la causa efficiente dei danni lamentati dall'attore. |