Ricorso per cassazione in tema di risarcimento danni permanenti a persona

Andrea Penta
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

Con ricorso per cassazione la compagnia di assicurazione del veicolo condotto dal responsabile civile impugna la sentenza d'appello nella parte in cui, confermando la sentenza di primo grado, ha liquidato, in favore del danneggiato, in aggiunta al danno biologico, una ulteriore somma a ristoro dei danni psicologico, alla vita di relazione, sessuale, estetico ed esistenziale.

A tal riguardo, la ricorrente deduce che, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separata delle dette voci è possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo tenuto conto della gravità delle lesioni.

Formula

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

RICORSO PER CASSAZIONE 1

Avverso la sentenza n. ....emessa dal ....di .... in data ....e notificata in data ....oppure, se la sentenza non è stata notificata, pubblicata in data ....

proposto dall'Assicurazione ...., C.F. .... 2, in persona del legale rappresentante p.t., con sede in ...., alla via .... n. ....elettivamente domiciliato in Roma, alla via ....n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., C.F. ...., che lo rappresenta e difende per procura ...., e che dichiara di voler ricevere le comunicazioni da parte della Cancelleria al numero telefax ....o al seguente indirizzo di posta elettronica certificata 3: ....,

CONTRO

...., residente in ....via .... n. ....;

* * *

XXXX...., nato a..il , ivi residente alla via…. codice fiscale, difesa dall'Avv. (codice fiscale)

Sentenza impugnata

Estremi del provvedimento impugnato (Autorità giudiziaria che lo ha emesso, codice ufficio, Sezione, numero del provvedimento, data della decisione, data della pubblicazione, data della notifica se notificato).

Codice materia

Codice materia correlato al codice-oggetto del giudizio di merito (ad eccezione del giudizio tributario), secondo le disposizioni riportate sul sito della Corte di cassazione ed allegate al presente protocollo (v., All. n. I), al fine della corretta assegnazione del ricorso alla Sezione tabellarmente competente.

Valore della controversia

Specificazione del valore della controversia ai fini della determinazione del contributo unificato.

Parole chiave

Massimo 10 ( dieci) parole, che descrivano sinteticamente la materia oggetto del giudizio.

Sintesi dei motivi

Sintesi dei motivi del ricorso (in non più di alcune righe per ciascuno di essi e contrassegnandoli numericamente), mediante la specifica indicazione, per ciascun motivo, delle norme di legge che la parte ricorrente ritenga siano state violate dal provvedimento impugnato e delle questioni trattate.

Nella sintesi dovrà essere indicato per ciascun motivo anche il numero della pagina ove inizia lo svolgimento delle relative argomentazioni a sostegno nel prosieguo del ricorso, eventualmente inserendo il link di invio diretto alla pagina di riferimento.

Svolgimento del processo

Esposizione, di regola, in massimo 5 pagine, del fatto processuale in modo funzionale alla chiara percepibilità delle ragioni poste a fondamento delle censure sviluppate nella parte motiva.

1. Il Sig. ...., con atto di citazione notificato il ...., convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di ...., il Sig. ...., quale responsabile civile, e la deducente ...., quale assicuratore per la r.c.a. dell'autoveicolo .... di proprietà e condotta da quest'ultimo, sostenendo che:

— in data ....era rimasto vittima di un sinistro stradale;

— la responsabilità del sinistro andava ascritta a ...., e per lui al suo assicuratore della responsabilità civile;

— in conseguenza del sinistro aveva patito sia lesioni personali, sia danni patrimoniali per spese mediche ed incapacità di lavoro.

Concluse, pertanto, chiedendo la condanna in solido dei convenuti al risarcimento dei danni patiti.

2. Il Tribunale di ...., con sentenza n. .... del ...., accolse le sue domande.

La sentenza venne appellata dalla compagnia assicuratrice.

3. La Corte d'appello di ...., con sentenza n. .... del ...., rigettò l'impugnazione, ritenendo che il quantum del danno (patrimoniale e non) patito da .... fosse stato congruamente liquidato dal giudice di primo grado.

Motivi di impugnazione

Argomenti a sostegno delle censure già sinteticamente indicate nella parte denominata “sintesi dei motivi”.

L'esposizione deve rispondere al criterio di specificità e di concentrazione dei motivi e deve essere contenuta, di regola, nel limite massimo di 30 pagine.

Per ciascuno dei motivi devono essere indicati gli atti processuali, i documenti, i contratti o gli accordi collettivi sui quali il motivo si fonda, illustrandone il contenuto rilevante (eventualmente inserendo apposito link).

IN DIRITTO

Il presente ricorso è fondato sui seguenti motivi:

la sentenza impugnata è affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all' art. 360 c.p.c., n. 3, (essendo stati violati gli artt. 1223, 1226, 2056, 2059); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell' art. 360 c.p.c., n. 5, per aver la corte territoriale omesso l'esame di un fatto decisivo per la controversia.

In particolare, la pronuncia d'appello è erronea nella parte in cui, confermando integralmente quella di primo grado, ha liquidato alla vittima sia il danno biologico, sia una ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno psicologico, alla vita di relazione, estetico, sessuale, esistenziale.

Il danno non patrimoniale pertanto, che è categoria unitaria, si differenzia nei criteri di accertamento e di liquidazione, a seconda dell'interesse concreto su cui vada a cadere.

Tuttavia, non è consentito moltiplicare le voci di danno chiamando con nomi diversi pregiudizi identici ( Cass. S.U., n. 26972/2008).

Nella liquidazione del danno alla persona derivante da una lesione permanente della salute, occorre in astratto tenere conto:

a) dell'invalidità permanente causata dalle lesioni (danno biologico permanente), la cui liquidazione comprende necessariamente tutti i pregiudizi normalmente derivanti da quei tipo di postumi;

b) delle sofferenze che, pur traendo occasione dalle lesioni, non hanno un fondamento clinico (la medicina parla, al riguardo, di “dolore non avente base nocicettiva”): si tratterà, ad esempio, della vergogna, della prostrazione, del revanchismo, della tristezza, della disperazione.

Per “tenere conto” di tutte queste circostanze il giudice di merito deve:

(-) liquidare il danno alla salute applicando un criterio standard ed uguale per tutti, che consenta di garantire la parità di trattamento a parità di danno;

(-) variare adeguatamente, in più o in meno, il valore risultante dall'applicazione del criterio standard, al fine di adeguare il risarcimento alle specificità del caso concreto (c.d. “personalizzazione del risarcimento”).

L'una e l'altra di tali operazioni vanno compiute senza automatismi risarcitori, juxta alligata et probata, e soprattutto sulla base di adeguata motivazione che spieghi:

— quali pregiudizi sono stati accertati;

— con quali criteri sono stati monetizzati;

— con quali criteri il risarcimento è stato personalizzato.

Questi criteri non sono stati rispettati dalla Corte d'appello di .... Infatti i giudici di merito, nella aestimatio del danno patito da ....aveva così provveduto:

a) liquidò il danno biologico;

b) poi liquidò il danno morale;

c) poi aumentò l'uno e l'altro per tenere conto delle specificità del caso concreto;

d) quindi liquidò una ulteriore somma per tenere conto del danno psicologico, alla vita di relazione, sessuale, estetico ed esistenziale.

La Corte d'appello ha ritenuto corretta questa liquidazione.

La motivazione è erronea in diritto, ed insufficiente sul piano dell'argomentazione.

È erronea in diritto perché ha liquidato non due, ma più volte pregiudizi identici, chiamandoli con nomi diversi.

Il c.d. “danno psicologico” non è che una particolare ipotesi di lesione (permanente o transeunte) della salute psichica.

In quanto tale, di esso si deve tenere conto nella determinazione del grado di invalidità permanente.

Nel caso di specie il giudice di merito ha determinato nella misura del ....% il grado di invalidità permanente patito dalla vittima, senza precisare se tale percentuale fosse stata determinata comprendendo i postumi lasciati da patologie psichiche.

Stesso discorso va fatto per il c.d. “danno estetico”.

L'alterazione dell'aspetto del volto o del corpo è una invalidità permanente, prevista e classificata secondo varie scale di intensità in tutti i più noti e diffusi barème medico legali. Liquidando a parte l'invalidità causata dal pregiudizio estetico, la Corte d'appello ha duplicato il risarcimento.

Quanto al danno che la Corte d'appello ha chiamato “relazionale”, la sentenza è erronea perché non considera che la perduta possibilità di intrattenere rapporti sociali a causa di una invalidità permanente non è che una delle “normali” conseguenze della invalidità: nel senso che qualunque persona affetta da una grave invalidità non può non risentirne sul piano dei rapporti sociali (in questo senso, ex permultis, Cass. III, n. 21716/2013, Cass. III, n. 11950/2013, Cass. IV - III, Ord. n. 15414/2011; Cass. III, n. 24864/2010, Cass. sez. lav., n. 25236/2009).

Quando la dottrina medico-legale elabora i propri baremes per la determinazione del grado di invalidità permanente, questa incidenza delle lesioni sulla vita di relazione è necessariamente ricompresa nel grado di invalidità permanente. Nel caso di specie, del resto, .... non ha allegato e, tanto meno, dimostrato che i postumi permanenti alla lesione fisica subìti abbiano provocato una più incisiva compromissione della vita di relazione della vittima, rispetto ai casi analoghi.

Quanto appena detto con riferimento al danno alla vita di relazione vale anche per il danno alla vita sessuale e quello alla vita affettiva.

Infatti, anche in questo caso una liquidazione del pregiudizio in esame in aggiunta alla somma liquidata a titolo di danno biologico presupponeva che nella specie ricorressero circostanze anomale ed eccezionali che rendevano le conseguenze del danno alla sfera sessuale della vittima diverse e più gravi di quelle usualmente derivanti in casi analoghi.

Conclusioni

Provvedimento richiesto (ad esempio: cassazione con rinvio, cassazione senza rinvio con decisione di merito, ecc.).

CONCLUDE

affinché la Suprema Corte di Cassazione voglia cassare la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, escludere le dette voci risarcitorie; con vittoria di spese processuali.

Si depositano i seguenti documenti:

1) copia autentica della sentenza impugnata;

2) richiesta di trasmissione alla Corte di Cassazione del fascicolo d'ufficio;

3) documenti ....;

4) ....

Si depositano inoltre quattro copie in carta libera del presente ricorso e della predetta sentenza.

Ai fini del versamento del contributo unificato per le spese di giustizia dichiara che il valore della causa è di Euro ....

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA ALLE LITI

[1] Il presente modello di ricorso in Cassazione è corrispondente al modello predisposto da lla Corte Suprema di Cassazione, dalla Procura Generale della Corte di Cassazione, dall'Avvocatura Generale dello Stato e dal Consiglio Nazionale Forense che il 1° marzo 2023 hanno sottoscritto un nuovo “ Protocollo d'intesa  sul processo civile in Cassazione “, fornendo indicazioni sulle regole di redazione e sul nuovo schema di ricorso in Cassazione.

Sono state dettate disposizione in tema di: documenti da depositare ai sensi dell'art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. Atti e/o documenti espressamente indicati in relazione a ciascun motivo, elencati secondo un ordine numerico progressivo. I relativi file vanno denominati utilizzando la stessa nomenclatura e numerazione utilizzate nell'elenco; caratteri. Per facilitare la lettura, si raccomanda di utilizzare caratteri di tipo corrente e di dimensioni di almeno 12 pt nel testo, con interlinea 1,5 e margini orizzontali e verticali di almeno cm. 2,5; r egole di redazione dei controricorsi e ricorsi incidentali . Tutte le indicazioni relative al ricorso, comprese quelle sulle misure dimensionali e i caratteri, si estendono, per quanto compatibili, ai controricorsi.

In particolare, per quanto attiene alla sintesi dei motivi, sarà opportuna una sintesi degli argomenti difensivi correlati ai singoli motivi di ricorso (“contromotivi”). Analogamente, sarà opportuno indicare, in relazione a ciascun motivo del ricorso avversario, gli eventuali atti, documenti o contratti collettivi su cui si fonda la difesa. Qualora il controricorso contenga anche un ricorso incidentale, si applicano integralmente le previsioni dettate per i ricorsi; di memorie illustrative. Le memorie non devono superare, di regola, le 15 pagine, con l'osservanza delle raccomandazioni sull'uso dei caratteri previsti per i ricorsi.

Sono stati anche forniti chiarimenti sulla presentazione del ricorso in Cassazione . Il mancato rispetto dei limiti dimensionali e delle ulteriori indicazioni sin qui previste non comporta l'inammissibilità o l'improcedibilità del ricorso (e degli altri atti difensivi or ora citati), salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge. Nel caso che per la loro particolare complessità le questioni da trattare non appaiano ragionevolmente comprimibili negli spazi dimensionali indicati, dovranno essere esposte specificamente, nell'ambito del medesimo ricorso (o atto difensivo), le ragioni per le quali sia risultato necessario scrivere di più. La presentazione di un ricorso incidentale, nel contesto del controricorso, costituisce di per sé ragione giustificatrice di un ragionevole superamento dei limiti dimensionali fissati. L'eventuale riscontrata e motivata infondatezza delle motivazioni addotte per il superamento dei limiti dimensionali indicati, pur non comportando inammissibilità del ricorso (o atto difensivo), può essere valutata ai fini della liquidazione delle spese. Dai limiti dimensionali sono esclusi: a) l'intestazione; b) l'indicazione delle parti processuali, del provvedimento impugnato, dell'oggetto del giudizio, del valore della controversia, della sintesi dei motivi e delle conclusioni; c) l'elenco degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso; d) la procura in calce; e) la relazione di notificazione. L'uso di particolari tecniche di redazione degli atti (in particolare, quando consentano la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all'interno dell'atto), tali da agevolarne la consultazione e la fruizione al magistrato e alle altre parti del processo, comporta l‘aumento del compenso professionale, ai sensi dell'art. 4, comma 1-bis, del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.

[2] [2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall' art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall' art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010.

[3] [3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge n. 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall' art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

Commento

Premessa

In passato il diritto vivente interpretava l' art. 2059 c.c. come riferibile ai soli casi determinati dalla legge penale, il danno biologico veniva distinto dal danno morale proprio per consentirne, tramite la collocazione nell' art. 2043 c.c., la risarcibilità anche nel caso di illecito non integrante reato, il danno morale dava contenuto alla categoria del danno non patrimoniale prevista dall' art. 2059 c.c..

Ciò non escludeva che, al fine di evitare il concreto il rischio di duplicazione del risarcimento, il giudice avrebbe dovuto tener conto di quanto già riconosciuto per il danno morale soggettivo, in relazione alla funzione unitaria del risarcimento del danno alla persona.

Grazie ai contributi della giurisprudenza costituzionale (Corte cost., ord. 22 luglio 1996), si era giunti, ad un certo punto, ad un consolidamento dell'interpretazione che intravedeva nell' art. 2059 c.c. due distinte tipologie di danno ontologicamente autonome: il danno alla salute ed il danno morale soggettivo.

Le Sezioni Unite hanno ora (con le note sentenze di San Martino del 2008) inequivocabilmente statuito che la categoria del danno non patrimoniale è unica ed omnicomprensiva, non suddivisibile in sottocategorie. La Cassazione degrada al piano descrittivo (voci rilevanti solo sul piano nominalistico) le precedenti figure (biologico, morale, da perdita del rapporto parentale) ed apparentemente nega valore di categoria autonoma al danno esistenziale. In particolare, viene attribuita una valenza meramente descrittiva alle figure del danno biologico (comprensivo sia del danno estetico che del danno alla vita di relazione) e del danno da perdita del rapporto parentale; il riferimento a determinati tipi di pregiudizio (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale) non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno.

Il danno biologico: valenza meramente descrittiva?

Non può condividersi la degradazione del danno biologico a sottocategoria di danno non patrimoniale con valenza meramente descrittiva, in quanto il danno alla salute nel Codice delle Assicurazioni è normativamente previsto (nell'accezione normativa di cui agli artt. 138 e 139, per danno biologico si intende “la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”). Semmai, la definizione di danno biologico contenuta nel predetto codice non può estendersi ad altre tipologie di fatti illeciti, in quanto, altrimenti, la relativa disciplina, anziché essere inserita in una normativa settoriale, sarebbe stata inserita nel codice civile.

Avuto riguardo ai rapporti con l'inabilità temporanea e alla delimitazione dei confini tra le due figure, Cass. III, 7 novembre 2019 n. 28614, posto che il CTU, nel caso di specie, aveva indicato una data quale termine finale del periodo di inabilità temporanea , stante la definitiva consolidazione dei postumi, ha ribadito che da quel momento si può discutere solo dei postumi invalidanti, e non più di inabilità temporanea. Viceversa, la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe una duplicazione di danno (oltre che un absurdum logico, posto che il danno permanente viene ad esistenza solo al cessare dell'invalidità temporanea). Pertanto, la richiesta produzione di documentazione medica successiva, volta ad un maggiore riconoscimento del danno da inabilità temporanea, ovvero ad un danno non liquidabile nemmeno in astratto, è stata rigettata anche sotto il profilo della “indispensabilità”, ai sensi dell'art. 345, comma 3, c.p.c.

Per quanto concerne i rapporti con il danno cd. morale, Sez. 3, Ordinanza n. 6443 del 03/03/2023 ha di recente chiarito che il danno conseguente alla lesione dell'integrità psicologica della persona è risarcibile come danno morale, se si mantiene nei termini della mera compromissione dell'equilibrio emotivo-affettivo del soggetto, e come danno biologico nel caso di degenerazione patologica, suscettibile di accertamento medico-legale, idonea ad esplicare un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, ferma restando la possibilità, per quest'ultimo, di dimostrare l'effettiva compresenza nel caso concreto delle due voci di pregiudizio.

L'onere di allegazione e l'onere probatorio

Uno dei principali connotati del danno biologico è la a-redditualità, in quanto va risarcito a tutti, percettori e produttori di reddito e non (quali lo studente, la casalinga, ecc.).

In termini generali, le circostanze relative alle quattro componenti (fisica, psichica, interrelazionale interna e relazionale sociale) del danno biologico devono essere provate, le prime due con valutazione medica o medico-legale e le seconde due con prova libera, se del caso anche in via di presunzione.

Per quanto concerne l'aspetto probatorio, le Sezioni Unite hanno rimarcato che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato. Solo in casi eccezionali sussiste un danno in re ipsa (si veda, a tal riguardo, la formula dedicata ai “Danni conseguenza e ai danni in re ipsa”).

Premesso che l'onere (trattandosi di danno-conseguenza) incombe sul danneggiato, attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva (presunzioni semplici) è destinato ad assumere particolare rilievo e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice ( Cass. sez. lav. n. 9834/2002). Sussiste un onere quantomeno di allegare (specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio) circostanze concrete che ne consentano la dimostrazione, anche presuntiva, della loro esistenza (cioè elementi di fatto dai quali desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio).

In particolare, il danno biologico può essere dimostrato attraverso un accertamento medico-legale o (e questa rappresenta una significativa novità), se sufficienti, sulla base degli elementi acquisiti al processo (documenti, testimonianze), oltre che delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Le Sezioni Unite del 2008, affermando che l'accertamento medico-legale non è “strumento esclusivo e necessario” per concedere il danno biologico, pare aver infranto il connubio storico fra diritto ed accertamento medico-legale che ha da sempre costituito l'essenza del pregiudizio in esame. Infatti, come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice può non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga superfluo. D'altra parte, la consulenza tecnica d'ufficio può costituire fonte autonoma di prova solo quando si risolva in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili esclusivamente con ricorso a determinate cognizioni tecniche. Viceversa, l'esistenza, ad esempio, di un danno da distorsione del rachide cervicale (cd. colpo di frusta) non è “strumentalmente” accertabile (cd. ascientificità nelle valutazioni); invero, la distorsione (senza fratture) del rachide cervicale integra una menomazione micropermanente cui residuano essenzialmente solo disturbi soggettivi, come tali sfuggenti a sicuri controlli medici ed accertamenti clinici; pertanto, stante l'estrema difficoltà a tradurre in percentuale tale tipo di danno, nella liquidazione dello stesso deve trovare applicazione il criterio equitativo. Altra ipotesi nella quale l'accertamento medico-legale può essere evitato, perché superfluo, è quella in cui il danneggiato si limiti a richiedere il ristoro del danno da invalidità temporanea di pochi giorni, e questo risulti documentato ampiamente dalla documentazione medica, della cui attendibilità non è dato discutere (ad es., referto di pronto soccorso che indica in dieci i giorni di guarigione).

Ciò non esclude che prova principale resta la documentazione medica (rilevando a tal fine referti di diagnosi, certificati di ricovero, cartelle cliniche, relazioni di medici di parte, ecc.), attestante le lesioni psico-fisiche subìte, la loro evoluzione (recte, l'evoluzione della malattia che né è seguita), sulla quale evidentemente si innesterà la valutazione del giudice, che nella stragrande maggioranza dei casi passa attraverso l'esame medico-legale operato tramite la consulenza tecnica d'ufficio. D'altra parte, la Suprema Corte ha chiarito che i commi 3-ter e 3-quater dell' art. 32 d.l. n. 1/2012 sono da leggere in correlazione alla necessità, di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass., che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale, siccome conducenti ad un'”obiettività” dell'accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni che i relativi postumi (Cass. III, n. 18773/2016).

In questo contesto si sono inseriti di recente gli artt. 1, comma 19, e 30, lett. b), della legge 4 agosto 2017, n. 124 (legge cd. Concorrenza), il quale ha, da un lato, confermato la necessità  della diagnostica strumentale (escludendo, per l'effetto la sufficienza della prova presuntiva, non essendo cioè più ammissibile desumere tale prova dalla sintamologia soggettiva della vittima) ai fini della ricollegabilità di un danno “permanente” alle microlesioni e, dall'altro lato, abrogato espressamente il comma 3-quater, con la conseguenza che ora non vi è più alcun limite circa la prova del danno biologico “temporaneo”. Quanto al danno biologico “permanente”, si è, però, precisato che è idoneo anche l'accertamento visivo (oltre che quello clinico strumentale obiettivo) “con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l'ausilio di strumentazioni”.

Di recente, è intervenuta sul tema Cass. III,  n. 10816/2019, la quale ha evidenziato che la normativa introdotta nel 2012 ha come obiettivo quello di sollecitare tutti gli operatori del settore (magistrati, avvocati e consulenti tecnici) ad un rigoroso accertamento dell'effettiva esistenza delle patologie di modesta entità, cioè quelle che si individuano per gli esiti permanenti contenuti entro la soglia del 9 per cento", precisando, però, che il "rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere - che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia - non può essere inteso, però, come pure alcuni hanno sostenuto, nel senso che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l'accertamento clinico strumentale". Infatti, "l'accertamento medico non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza" (così, in motivazione, Cass. III, n. 1272/2018, in senso conforme anche Cass. III, ord. n. 17444/2018). Occorre, pertanto, qui nuovamente ribadire che "ferma restando la necessità di un rigoroso accertamento medico-legale da compiersi in base a criteri oggettivi, la sussistenza dell'invalidità permanente non possa essere esclusa per il solo fatto che non sia documentata da un referto strumentale per immagini, sulla base di un automatismo che vincoli, sempre e comunque, il riconoscimento dell'invalidità permanente ad una verifica di natura strumentale" (così, in motivazione, Cass. III, ord. n. 22066/2018,).

In questo contesto si sono inseriti di recente gli artt. 1, comma 19, e 30, lett. b), della l. 4 agosto 2017, n. 124 (legge cd. Concorrenza), i quali hanno, da un lato, confermato la necessità della diagnostica strumentale (escludendo, per l'effetto la sufficienza della prova presuntiva, non essendo cioè più ammissibile desumere tale prova dalla sintomatologia soggettiva della vittima) ai fini della ricollegabilità di un danno “permanente” alle microlesioni e, dall'altro lato, abrogato espressamente il comma 3-quater, con la conseguenza che ora non vi è più alcun limite circa la prova del danno biologico “temporaneo”. Quanto al danno biologico “permanente”, si è, però, precisato che è idoneo anche l'accertamento visivo (oltre che quello clinico strumentale obiettivo) “con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l'ausilio di strumentazioni”.

Sul punto, la S.C. ha chiarito che, in tema di risarcimento del danno biologico da cd. micropermanente, ai sensi dell'art.139, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005, come modificato dall'art. 32, comma 3-ter, del d.l. n. 1 del 2012, inserito dalla legge di conversione n. 27 del 2012, la sussistenza dell'invalidità permanente non può essere esclusa per il solo fatto di non essere documentata da un referto strumentale per immagini, sulla base di un mero automatismo che ne vincoli il riconoscimento ad una verifica strumentale, ferma restando la necessità che l'accertamento della sussistenza della lesione dell'integrità psico-fisica avvenga secondo criteri medico-legali rigorosi ed oggettivi (Cass. III n. 10816/2019).

La Suprema Corte ha osservato che il comma 3 -quater dell'art. 32, del d.l. n. 1 del 2012, così come il precedente comma 3 -ter, sono da leggere in correlazione alla necessità (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli artt. 138 e 139 cod. ass. (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto già presente nel «diritto vivente»), che il danno biologico sia «suscettibile di accertamento medico-legale», esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una «obiettività» dell'accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)".

Si aggiunga, poi, che la normativa introdotta nel 2012 ha come obiettivo quello di sollecitare tutti gli operatori del settore (magistrati, avvocati e consulenti tecnici) ad un rigoroso accertamento dell'effettiva esistenza delle patologie di modesta entità, cioè quelle che si individuano per gli esiti permanenti contenuti entro la soglia del 9 per cento, precisando, però, che il rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere - che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia - non può essere inteso, però, come pure alcuni hanno sostenuto, nel senso che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l'accertamento clinico strumentale.

Infatti, l'accertamento medico non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza.

Occorre, pertanto, ribadire che ferma restando la necessità di un rigoroso accertamento medico-legale da compiersi in base a criteri oggettivi, la sussistenza dell'invalidità permanente non possa essere esclusa per il solo fatto che non sia documentata da un referto strumentale per immagini, sulla base di un automatismo che vincoli, sempre e comunque, il riconoscimento dell'invalidità permanente ad una verifica di natura strumentale".

Il CTU esprimerà, poi, in termini di numero di giorni il periodo di invalidità temporanea, suddividendola in totale e parziale ed esprimendo percentualmente anche la seconda, sulla base di una media (tenendo conto che trattasi di fenomeno decrescente sino alla guarigione o stabilizzazione). Con riferimento all'inabilità, sia assoluta che relativa, preciserà quali attività dell'ordinaria esistenza (ad es., camminare, lavarsi, vestirsi, ecc.) siano state precluse al periziato nel relativo periodo.

E' opportuno ricordare che la liquidazione del danno biologico, ai fini della tutela dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, pur in presenza della stessa menomazione dell'integrità psico-fisica, non può essere effettuata con i medesimi criteri valevoli in sede civilistica, in quanto in ambito previdenziale vanno obbligatoriamente osservate le tabelle di cui al d.m. del 12 luglio 2000, secondo quanto disposto dall'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, perseguendo le due liquidazioni fini propri e diversi (cfr., in tal senso, di recente sez. lav. n. 24880 del 04/10/2019).

Da ultimo, va rimarcato che il danno biologico non consiste nella semplice lesione dell'integrità psicofisica in sé e per sé considerata, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli per la persona, sicché, in mancanza di dette conseguenze, difetta un danno risarcibile, altrimenti configurandosi un danno "in re ipsa", privo di accertamento sul nesso di causalità giuridica (necessario ex art. 1223 c.c.) tra evento ed effetti dannosi; ne consegue che, in caso di danno c.d. lungolatente (si pensi alla contrazione di epatite B, asintomatica per molti anni, derivante da trasfusione), il risarcimento deve essere liquidato solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell'infezione  (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 25887 del 02/09/2022).

I criteri di liquidazione del danno biologico

Ai fini della liquidazione del danno biologico, che consegue alla lesione dell'integrità psico-fisica della persona, devono formare oggetto di autonoma valutazione il pregiudizio da invalidità permanente (con decorrenza dal momento della cessazione della malattia e della relativa stabilizzazione dei postumi) e quello da invalidità temporanea (da riconoscersi come danno da inabilità temporanea totale o parziale ove il danneggiato si sia sottoposto a periodi di cure necessarie per conservare o ridurre il grado  di  invalidità residuato al fatto lesivo o impedirne l'aumento, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto), mentre, ai fini della liquidazione complessiva del danno non patrimoniale, deve tenersi conto altresì delle sofferenze morali soggettive, eventualmente patite dal soggetto in ciascuno degli indicati periodi (Cass., III, Ord. n. 7126/2021).

È opportuno che il CTU venga invitato, in sede di formulazione dei quesiti, a valutare l'incidenza della lesione su tutti gli aspetti, anche extra-lavorativi (di natura familiare, sociale, culturale, ricreativa), della vita del leso, a considerare quale fosse lo stato di salute pregresso (descrivendo tutti gli eventuali precedenti morbosi interessanti la salute del periziando) del soggetto, a prevedere se lo stato del danneggiato sia suscettibile di miglioramento (ad es., attraverso il ricorso a protesi, a terapie o ad interventi, i cui costi, la cui natura e le cui difficoltà andrebbero precisati) o di aggravamento e ad esprimere un giudizio sulla compatibilità tra il sinistro e le lesioni (stabilendo se le lesioni refertate e/o successivamente certificate siano in rapporto causale, secondo i criteri medico-legali, con il fatto lesivo).

Inoltre, occorre tener presente, ai fini della quantificazione, che, in caso di lesioni plurime, le relative percentuali non si sommano aritmeticamente, dovendosi applicare metodi riduzionistici.

Per la configurabilità del danno biologico rilevano, a titolo di esempio, le invalidità, le menomazioni, le deturpazioni, le impotenze sessuali, le alterazioni nervose, l'insonnia e le alterazioni mentali distinte dalla sofferenza mentale. Per Cass. III, n. 3399/2004, elementi di riferimento pertinenti sono la gravità delle lesioni, gli eventuali postumi permanenti, l'età, l'attività espletata, le condizioni sociali e familiari del danneggiato.

La scelta di adottare, come parametro di riferimento, il valore medio del punto di invalidità è stata avallata dalla Suprema Corte, purché siffatto valore sia adeguato alle peculiarità del caso concreto (Cass. n. 19057/2003; Cass. n. 16525/2003; conf. Cass. n. 11039/2006). Quando il giudice di merito liquida il danno biologico col criterio c.d. “a punto variabile”, nella motivazione non può limitarsi a generici richiami tabellari, ma deve indicare: a) il valore monetario di base del punto e il grado di invalidità permanente; b) il coefficiente di abbattimento in funzione dell'età della vittima; c) le ragioni per le quali ha ritenuto eventualmente di variare il risarcimento standard (Cass. III, n. 16788/2015).

Anche le nuove tabelle liquidative sono state predisposte in modo tale che il valore del punto - e, quindi, del risarcimento - venga determinato seguendo un criterio progressivo, in relazione alla gravità della menomazione permanente, ed uno regressivo, in relazione all'età del danneggiato (cioè crescente con l'aggravarsi della lesione e delle sue conseguenze invalidanti e decrescente in ragione dell'aumento dell'età della vittima).

Il giudice che intenda utilizzarle deve, comunque, - per non incorrere nel vizio di omessa motivazione - prima dare conto dei criteri indicati nelle tabelle (in termini generali ed in forma concisa) e poi descriverne l'applicazione alla fattispecie concreta ( Cass. n. 5012/2002).

Nelle attuali tabelle elaborate dal Tribunale di Milano (alla cui specifica formula si rinvia) l'importo cd. minimo già comprende gli aspetti anatomo-funzionali, relazionali e di sofferenza soggettiva medi (o standard).

Ai fini della liquidazione del danno biologico permanente, si possono distinguere due fasi, la prima delle quali è volta a individuare le conseguenze standard del pregiudizio (ossia quelle che qualunque vittima di lesioni analoghe non potrebbe non patire), da monetizzare con un criterio uguale per tutti, mentre la seconda mira a identificare eventuali conseguenze peculiari (cioè quelle che trovano rispondenza esclusivamente nella particolarità del caso specifico), da monetizzare con un criterio ad hoc, scevro da qualsiasi automatismo.

Il danno biologico liquidato sulla base delle menzionate tabelle è quello non personalizzato da particolari (ed accertate) “condizioni soggettive del danneggiato” (vale a dire, ripetesi, il pregiudizio subìto dalla persona nei suoi aspetti statico e dinamico-relazionali “medi”), in relazione al quale la parte che ha chiesto in giudizio (genericamente) il risarcimento del danno alla persona non ha alcuno specifico onere di allegazione e di prova (potendosi ricorrere alle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza - art. 115 c.p.c. -). La parte danneggiata che intenda chiedere il risarcimento del danno alla salute cd. personalizzato ha, invece, l'onere di allegare (entro il termine di cui all' art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., fino al quale può ancora modificarsi il thema decidendum; nel senso che l'onere di allegazione del fatto storico vada assolto nel termine delle preclusioni assertive, ossia, con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., v. Trib. Piacenza, 30 novembre 2009) e di provare (producendo documenti e chiedendo l'ammissione di mezzi istruttori nel termine perentorio di cui all' art. 183, comma 6, nn. 2 e 3, c.p.c., entro cui viene fissato il cd. thema probandum; ovviamente ciò presuppone che la controparte costituitasi, a fronte delle deduzioni contenute nella precedente memoria, abbia preso posizione ed eventualmente contestato le avverse allegazioni nel termine all'uopo concessole) tutti i fatti e le circostanze significative che consentano una completa personalizzazione del danno (al fine di acclarare, anche a mezzo di CTU, se una specifica attività esistenziale è in tutto o in parte preclusa per effetto della menomazione psicofisica).

Con riferimento alla personalizzazione del danno non patrimoniale da lesione alla salute, la misura "standard" del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (si pensi alle tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo  in presenza  di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna "personalizzazione" in aumento (Cass. VI, Ord. n. 5865/2021;  conf . Cass. III,  n. 28988/2019).

Nel rinviare alla formula dedicata al danno biologico temporaneo per maggiori approfondimenti, si segnalano due importanti recenti interventi, uno giurisprudenziale e l'altro normativo.

Quanto al secondo, la legge n. 124/2017, all'art. 1, comma 19, ha sostanzialmente stabilito che, a decorrere dal 29 agosto 2017 (data di entrata in vigore della legge sulla Concorrenza), il risarcimento del danno alla persona da invalidità temporanea non è più soggetto ad una specifica normativa, mentre, al fine di ottenere il risarcimento del danno biologico permanente conseguente a lesioni lievi, le stesse dovranno essere oggetto di un “accertamento clinico strumentale obiettivo”, ovvero “visivo”, ma in tale ipotesi solo con riferimento “alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l'ausilio di strumentazioni”.

Cass. III n. 1272/2018 ha, a sua volta, chiarito che l'accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica deve avvenire con rigorosi ed oggettivi criteri medico-legali; tuttavia, l'accertamento clinico-strumentale obiettivo non potrà in ogni caso ritenersi l'unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l'esame clinico strumentale.

Le species inquadrabili nel genus danno biologico

Vanno ricondotti (cfr. Cass., n. 15859/2000) nella categoria generale del danno biologico:

a) il danno da incapacità lavorativa generica (per la cui analisi si rimanda alla specifica formula), inteso come lesione alla potenziale attitudine lavorativa da parte di un soggetto che non svolge attività produttiva di reddito né sia in procinto presumibilmente di svolgerla (Cass. III, n. 23259/2010; Cass. n. 23291/2004; Cass. n. 22593/2004; Cass. n. 7084/2001; Cass. n. 4231/1999; Cass. n. 6736/1998); in quest'ottica, la maggiore difficoltà nello svolgimento del lavoro, senza ripercussioni sul reddito, è un danno di tipo biologico (lesione della cenestesi lavorativa), del quale tenere conto nella monetizzazione di quest'ultimo ( Cass. III, n. 126/2016; Cass. III, n. 2758/2015); il danno alla capacità lavorativa specifica rientra, invece, nel danno cd. patrimoniale ( Cass. n. 8599/2001; Cass. n. 12022/2000).

b) il danno estetico; può, semmai, determinare un appesantimento del valore punto del danno biologico, salva la prova certa della determinazione di un danno patrimoniale (Cass. n. 3868/2004; Cass., n. 6383/2004; Cass. n. 6895/2001; Cass. n. 15859/2000; Cass. n. 10762/1999 e Cass. n. 12622/1999; Cass. n. 4677/1998). In particolare, i postumi di carattere estetico possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, solo se viene dimostrata una ripercussione per il soggetto danneggiato sotto l'aspetto patrimoniale ( Cass. n. 6895/2001). Secondo Cass. 21012/2010, i postumi di carattere estetico, in quanto incidenti in modo negativo sulla vita di relazione, possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l'aspetto strettamente patrimoniale (incidendo sulla capacità di guadagno del soggetto), allorché, pur determinando una cd. micropermanente sul piano strettamente biologico, eventualmente provochino negative ripercussioni non soltanto su un'attività lavorativa già svolta, ma anche su un'attività futura (precludendola o rendendola di più difficile conseguimento), in relazione all'età, al sesso del danneggiato e ad ogni altra utile circostanza particolare. Ciò si verifica, in genere, quando l'aspetto estetico è un elemento essenziale, o fortemente determinante, dell'attività lavorativa espletata dal danneggiato (si pensi, ad es., ad una fotomodella). È possibile utilizzare parametri superiori rispetto al criterio base del valore medio del punto di invalidità e correlati alla necessità di personalizzazione del danno (in tal senso, Cass. n. 6383/2004). Sull'inammissibilità di una liquidazione del danno biologico separatamente da quello cd. estetico, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, v. Cass. III, n. 15373/2011, e Cass. III, n. 24864/2010.

c) il danno alla vita di relazione (Cass. n. 6326/2005; Cass. n. 3868/2004; Cass. n. 3266/2003; Cass. n. 6023/2001; Cass. n. 15034/2001; Cass. n. 12740/1999; contra, Cass. n. 10289/2001).

d) secondo un orientamento ormai minoritario, la perdita di chances lavorative (alla cui specifica formula si rinvia) rientra nel danno biologico (Cass, n. 2211/1980; Trib. Pisa 25 febbraio 1985; Trib. Torino, 14 novembre 2000); in base ad un recente indirizzo, invece, non costituisce duplicazione di voci risarcitorie il riconoscimento del risarcimento per perdita di chance, da ritenersi non compresa nel danno biologico, in quanto tale perdita costituisce un'ipotesi di danno patrimoniale futuro, come tale risarcibile a condizione che il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la sussistenza di un valido elemento causale tra il fatto e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno (Cass. III, n. 10291/2001; Trib. Roma II, n. 13045/2011); in particolare, la perdita di chances lavorative è una perdita patrimoniale diretta che consegue alle gravi lesioni riportate; non bisogna, pertanto, fare confusione fra il danno patrimoniale per la perdita della capacità lavorativa specifica e il danno biologico non patrimoniale come lesione e menomazione della salute: quest'ultimo va risarcito integralmente, sulla base della prova scientifica e medico-legale dell'invalidità, come danno complesso che include la perdita della vita di relazione e della capacità lavorativa generica (Cass. III, n. 10840/2007; conf. Cass. II, n. 15759/2001);

e) il danno alla sfera sessuale (pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità; Cass. n. 1421/1998; Trib. Roma 7 marzo 2002): in realtà, va adesso ricompreso nell'ambito dei danni derivanti da lesione di valori inerenti alla persona di rilevanza costituzionale; in modo, a dire il vero, apodittico parte della giurisprudenza di merito ha stabilito che, in caso di negligenza medica che abbia determinato conseguenze negative sul piano della sfera sessuale del danneggiato, il danno non patrimoniale può essere liquidato in modo unitario, nella misura del doppio del danno “tabellare” biologico o alla salute in senso stretto, comprendendosi quindi nella liquidazione finale sia le sofferenze fisiche e psichiche, sia il danno alla vita sessuale, lavorativa e di relazione in genere subito dal danneggiato ( Trib. Pordenone, 18 marzo 2009, n. 296); non condivisibile appare Cass. III, n. 2311/2007, secondo cui la perdita o la compromissione, anche soltanto psichica, della sessualità costituisce di per sé un danno esistenziale, la cui rilevanza deve essere autonomamente apprezzata e valutata equitativamente.

Ovviamente, qualora il danno estetico costituisca una componente del danno biologico, il giudice è tenuto a personalizzare la liquidazione, valutando l'incidenza della lesione sulla vita specifica del danneggiato (Cass. III, n. 9549/2009).

Avuto riguardo all'ambito applicativo, Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 4509  del 11/02/2022 ha chiarito che i criteri di liquidazione del danno biologico previsti dall'art. 139  c.ass., per il caso di danni derivanti da sinistri stradali, costituiscono oggetto di una previsione eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica nel caso di danni non derivanti da sinistri stradali; per l'effetto, nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva applicato le tabelle ex art. 139  c.ass.  per la liquidazione del pregiudizio, riconducibile a responsabilità ex art. 2051 c.c., conseguente all'urto tra il veicolo condotto dalla danneggiata e alcune lastre di travertino abbandonate sulla sede stradale .

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