Comparsa conclusionale azione di risarcimento del danno cd. morale in presenza di una lesione all'integrità psico-fisicaInquadramentoIn termini generali, la sofferenza morale ed il dolore sono sempre risarcibili nei casi previsti dalla legge e cioè: a) quando l'illecito costituisce un reato; b) negli altri casi espressamente previsti dalla legge; c) quando l'illecito ha leso diritti inviolabili della persona. Pertanto, il danno in oggetto è ora stato riqualificato come sofferenza soggettiva ed appare definitivamente abbandonata l'autonoma categoria di danno morale inteso come pregiudizio soggettivo transeunte. In particolare, almeno nell'ipotesi di fatto illecito che configuri reato, si esclude la sussistenza (come autonoma sottocategoria del danno non patrimoniale) del cd. danno morale soggettivo passeggero, rilevandosi che la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transitoria, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo (così Cass. n. 26972/2008). Fermo restando che il danno morale non assume tendenzialmente il carattere della stabilità e della permanenza − concepito in stretta dipendenza di un determinato stato mentale, esso è, infatti, labile e mutevole, trasformandosi in un aggravamento o, all'opposto, in un'attenuazione −, l'intensità e la durata nel tempo della sofferenza assumono rilevanza solo ai fini della quantificazione del risarcimento, con la conseguenza che è risarcibile indipendentemente dal fatto che sia transeunte, o di lunga durata, o permanente (Cass. n. 9231/2013). È chiaro che, nel tener conto dell'entità della lesione (e, quindi, in sede di liquidazione, soprattutto ai fini di un abbattimento), deve considerarsi altresì il suo imprevedibile sviluppo futuro, atteso che rileva l'eventualità che il dolore tenda ad attenuarsi o il ricordo a sbiadire o, ancora, che la vittima possa assuefarsi alla nuova condizione (Trib. Torre Annunziata 1 settembre 2014, n. 2323; Trib. Bari 29 aprile 2014, n. 2132; Trib. Catania 24 giugno 2013, n. 230). All'esito dell'intervento nel 2008 delle Sezioni Unite, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato, la sofferenza morale potrebbe essere in sé risarcita solo allorquando sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti (ad es., dalla persona diffamata o lesa nella identità personale) senza lamentare degenerazioni patologiche (ossia a prescindere da una base organica e, quindi, non obiettivabile dal punto di vista medico-legale; es.: ingiuria o diffamazione) della sofferenza (cfr. Trib. Catania 17 novembre 2008). Laddove siano dedotte tali ultime conseguenze, si rientrerebbe, invece, nell'area del danno biologico (del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, costituisce componente), con la conseguenza che la congiunta attribuzione dei due danni in tale evenienza determinerebbe (Cass. n. 1343/2010; contra Cass. n. 479/2009) una duplicazione di risarcimento. Il giudice dovrà, pertanto, nel caso in cui il dolore sia degenerato in danno alla salute, procedere ad un'adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico (nel suo aspetto dinamico), valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso (Trib. Arezzo 3 novembre 2010). Ugualmente occorre procedere ad una personalizzazione del danno biologico nel caso in cui a quest'ultimo si sia accompagnata una sofferenza morale (ad es., sottoposizione ad interventi chirurgici o a lunghe terapie riabilitative − sullo specifico profilo si tornerà nel prosieguo; cfr. Trib. Roma 30 marzo 2009, n. 10697, e Trib. Milano 19 febbraio 2009, n. 2334). Con comparsa conclusionale, il danneggiato all'esito di un incidente con postumi permanenti superiori al 9% invoca il riconoscimento in suo favore, oltre che del danno biologico, della sofferenza morale patita, da liquidarsi sotto forma di personalizzazione del primo, dovendosi, a tal fine, valorizzare la pluralità degli interventi chirurgici sopportati, l'iter clinico particolarmente lungo e stressante e la prolungata fisiokinesiterapia. FormulaTRIBUNALE DI .... COMPARSA CONCLUSIONALE EX ART. 189, COMMA 1, N. 2 1 NELLA CAUSA PORTANTE IL N. ...., GIUDICE DOTT. ....ULTIMA UDIENZA .... Nell'interesse di: ...., rappresentato e difeso dell'Avv. ...., C.F. .... 2, P.E.C. ....it, fax n. .... 3, CONTRO -convenuto- rappresentato e difeso dall'Avv. ....; E -convenuta- rappresentata e difesa dall'Avv. ....; * * * FATTO Con atto di citazione notificato in data ...., .... ha convenuto in giudizio davanti all'intestato Tribunale di .... il Sig. .... e la compagnia assicuratrice .... per ottenere la loro condanna in solido al pagamento della somma di Euro .... a titolo di risarcimento danni alla persona subiti, oltre alle spese, ai diritti ed agli onorari del giudizio. A tal fine ha dedotto che: — il ...., intorno alle ore ...., stava percorrendo a piedi, sul marciapiede, via ...., in ...., quando, giunto all'altezza del civico n. ...., era stato colpito dallo sportello dell'autovettura .... di proprietà di .... e condotta da ...., in sosta, che era stato improvvisamente aperto al suo passaggio; — a seguito dell'urto, era caduto a terra, riportando gravi lesioni personali. Con comparse di costituzione e risposta, depositate, rispettivamente, il .... ed il ...., i convenuti si sono costituiti, contestando genericamente la dinamica del sinistro. Durante l'istruttoria sono stati escussi i testi ....ed è stata espletata una ctu medico-legale sulla persona dell'attore. All'udienza del .... sono state precisate le conclusioni da entrambe le parti e il Giudice all'udienza del .... ha trattenuto la causa in decisione, assegnando alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e repliche. DIRITTO La domanda è fondata e andrà integralmente accolta. Ai fini del decidere, ma solo nell'ottica di riconoscere un eventuale concorso di colpa del danneggiato, appare dirimente stabilire se, come dedotto dall'attrice, al momento del suo passaggio il .... aprì la portiera dell'auto, buttandolo a terra, o invece, come dedotto dai convenuti, la portiera fosse già aperta e lui, distrattamente, vi andò a sbattere. Orbene, all'esito dell'istruttoria espletata, si deve affermare che il sinistro è integralmente imputabile al convenuto, perché il ....aprì, effettivamente, la portiera mentre la ....stava passando. Invero, il teste .... Avuto riguardo alla quantificazione del danno non patrimoniale, il C.T.U. Dott. ...., con motivazione che, in quanto logica, coerente e non contestata dalle parti, va integralmente recepita, ha accertato che, in seguito al sinistro, il .... ha riportato ....; a tali lesioni sono conseguiti un periodo di invalidità temporanea totale di giorni ...., un successivo periodo di invalidità temporanea parziale al 75% di ulteriori giorni ...., un successivo periodo di invalidità temporanea parziale al 50% di ulteriori giorni ...., un successivo periodo di invalidità temporanea parziale al 25% di ulteriori giorni ...., nonché postumi permanenti quantificabili nella misura del ....%. La liquidazione di tale danno deve avvenire sulla base della tabella milanese, che individua un danno non patrimoniale unitariamente inteso, comprensivo delle componenti morale ed esistenziale (che altro non è che la dimensione dinamica del danno all'integrità psico-fisica) nei loro valori “standard” 4. Peraltro, dovendosi escludere ogni automatismo, si deve ritenere che, in concreto, il .... abbia subito per il trauma conseguente il sinistro, per il consistente dolore fisico e, oggi, per la percezione della compromissione della propria salute, oltre alla menomazione dell'integrità fisica, anche un patema d'animo che non è ricompreso nei detti valori “medi” 5. Come chiarito dalla Suprema Corte (v. Cass. n. 18641/2011), in tema di liquidazione del danno, la fattispecie del danno morale, da intendersi come “voce” integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale, trova rinnovata espressione in recenti interventi normativi (e, segnatamente, nel d.P.R. 3 marzo 2009, n. 37 e nel d.P.R. 30 ottobre 2009, n. 181), che distinguono, concettualmente, ancor prima che giuridicamente, tra la “voce” di danno cd. biologico, da un canto, e la “voce” di danno morale, dall'altro, con la conseguenza che di siffatta distinzione il giudice del merito non può prescindere nella liquidazione del danno non patrimoniale. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva liquidato congiuntamente il danno biologico ed il danno morale secondo le tabelle “milanesi” antecedenti all'arresto delle Sezioni unite civili del 2008; la stessa S.C. ha, altresì, rilevato che le successive tabelle del Tribunale di Milano modificate nel 2009 - e applicabili dai giudici di merito su tutto il territorio nazionale - non hanno “cancellato” il danno morale, bensì provveduto ad una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale derivante da lesione permanente all'integrità psicofisica e del danno non patrimoniale derivante dalla stessa lesione in termini di dolore e sofferenza soggettiva, e cioè alla liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico standard, personalizzazione del danno biologico, danno morale. Tanto premesso, poiché il danneggiato, al momento del fatto, aveva .... anni, il demoltiplicatore in ragione dell'età è dello .... ed il danno non patrimoniale permanente, comprensivo del suddetto danno morale “standard”, ammonta ad Euro .... Su tale somma dev'essere operata una personalizzazione del danno, che tenga conto del fatto che l' .... è stato sottoposto a ben tre interventi chirurgici e ad un lungo percorso di fisioterapia, è stato a lungo allettato, vede oggi compromessa la propria possibilità di praticare sport ed è stato costretto ad interrompere gli studi universitari, situazioni, queste, debitamente allegate e provate, che hanno reso per lui il danno più grave di quanto non sarebbe stato, a parità di lesioni (già compiutamente valutate dalle tabelle), per altra persona della sua medesima età. Ai predetti importi deve, infine, aggiungersi il danno per la invalidità temporanea, corrispondente ad un giorno di invalidità temporanea al 100%, secondo una forbice di valori monetari da un minimo di Euro 96,00 ad un massimo di Euro 145,00. In considerazione della malattia di elevata entità, si ritiene di optare per una quantificazione giornaliera di Euro 145,00, pervenendo ad una somma complessiva di Euro .... Ne discende che il danno non patrimoniale ammonta omnicomprensivamente ad Euro .... Trattandosi di debito di valore, su tale somma già rivalutata debbono essere riconosciuti, a titolo di ristoro del danno per il ritardato pagamento, gli interessi legali, che dovranno essere calcolati sulla somma mediamente rivalutata, giusta Cass. S.U., n. 1712/1995. Si confida pertanto nell'accoglimento delle seguenti, già precisate, conclusioni .... Luogo e data .... Firma Avv. .... [1] La nuova fase decisoria prevede che venga fissata un'udienza, (di rimessione della causa al collegio / di rimessione della causa in decisione), rispetto alla quale decorrono, a ritroso, tre termini, rispettivamente per il deposito delle note di precisazione delle conclusioni (60 giorni prima), per il deposito delle comparse conclusionali (30 giorni prima) ed, infine, per il deposito delle memorie di replica (15 giorni prima). Quindi, nel dettaglio, ex art. 189 c.p.c. i termini sono: 1. Note di precisazione delle conclusioni fino 60 giorni prima dell'udienza per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni che le parti intendono sottoporre al collegio, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'articolo 171 ter 2. Memoria conclusionale fino a 30 giorni prima dell'udienza per depositare memorie limitate al solo riepilogo delle tesi difensive già esposte, contestando gli argomenti e le conclusioni avversarie; 3. Memoria di replica fino a 15 giorni prima dell'udienza per depositare memorie per replicare alle deduzioni avversarie ed illustrare ulteriormente le tesi difensive già enunciate. Facciamo qualche doverosa precisazione: Il giudice, nel rimettere la causa in decisione, ha il dovere di fissare tali termini; Il termine è affidato in contemporanea a tutte le parti; Le parti hanno la facoltà non l'obbligo di depositare le memorie, possono essere oggetto di rinuncia e, in tal caso, il giudice può trattenere la causa immediatamente in decisione; Il deposito avviene in via telematica; I termini sono perentori, ciò significa che una volta spirato si consuma il potere, salva la possibilità di rimessione in termini. 2. Il contenuto La comparsa conclusionale viene tradizionalmente suddivisa in due parti: 1. La prima ripercorre, in modo oggettivo, l'intero svolgimento del processo, sintetizzando: gli atti introduttivi di parte; le memorie ex art 171 ter c.p.c.; quanto accaduto nelle udienze; le istanze e i provvedimenti istruttori; l'esito dell'eventuale C.T.U. e gli elementi probatori acquisiti. 2. La seconda è dedicata alla vera e propria difesa, valutando nel merito: le risultanze istruttorie; il soddisfacimento degli oneri probatori; la verità dei fatti allegati, la loro qualificazione e sulle loro conseguenze giuridiche. L'art. 190 c.p.c. è stato abrogato dall'art. 3, comma 13, lett. m), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022,come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti". [2] [2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010. [3] [3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge n. 114/2014. L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». [4] [4] In tema di danni non patrimoniali, la domanda risarcitoria, volta al ristoro della sofferenza soggettiva, nella misura in cui essa travalichi il quantum riconosciuto sulla base delle note tabelle per la lesione all'integrità psicofisica, deve essere supportata da un'attività almeno di allegazione dei fatti su cui fondare il metodo presuntivo (Trib. S.M.Capua Vetere, 21 giugno 2016). [5] [5] Al fine di conseguire il ristoro, oltre che del danno biologico, delle eventuali conseguenze non patrimoniali ulteriori, ove ricorrano gli estremi del pregiudizio morale, esistenziale, estetico, ecc., non occorre che il danneggiato proponga fin dall'atto di citazione una specifica domanda risarcitoria relativa ad ognuno degli aspetti considerati, essendo sufficiente che egli manifesti inequivocamente la volontà di ottenere il risarcimento di “tutti i danni non patrimoniali”, purché egli specifichi, nel corso del giudizio, i peculiari aspetti che tali danni abbiano concretamente assunto nel suo particolare caso ed essi risultino, ancorché presuntivamente, provati o, comunque, attendibili. CommentoL'autonomia ontologica della sofferenza morale In passato, si tendeva a ritenere che il danno biologico e quello morale dessero luogo ad una liquidazione distinta e separata, anche se veniva considerato che le liquidazioni dei due danni, pur se distinte, dovevano essere tenute presenti contemporaneamente affinché la liquidazione complessiva fosse corrispondente al danno nella sua globalità (Cass. n. 10269/1994). Il relativo pregiudizio era, di regola, calcolato sull'importo liquidato a titolo di danno biologico (comprensivo della inabilità temporanea e dell'invalidità permanente) in una misura percentuale che variava tra il 25% (1/4) ed il 50% (Cass. n. 5997/2007; Cass., n. 23918/2006). A partire da Cass. n. 5795/2008, si era, però, fatto strada l'orientamento secondo cui, almeno nel caso di accertamento di un danno biologico di rilevante entità e di duratura permanenza, il danno morale non poteva essere liquidato in modo automatico e pro quota come una lesione di minor conto, non essendo la sfera della integrità morale (artt. 2 e 3 Cost.) di minor valore risarcitorio rispetto alla integrità alla salute (art. 32 Cost.; conf. Cass. n. 6288/2008; nel senso che danno biologico e danno morale subiettivo «hanno natura diversa e non si identificano in alcun modo», Corte cost. n. 293/1996). La Cass. S.U., n. 26972/2008 sembrava, tuttavia, aver «definitivamente accantonato» la figura del danno morale, reputandola «assorbita» dalla categoria onnicomprensiva del danno biologico dinamico, quale degenerazione patologica della sofferenza che tutto assorbe (tesi cd. della somatizzazione; v. infra). Una parte della giurisprudenza di merito aveva sin da subito reagito, contestando l'impostazione interpretativa pan-biologica (Cass. n. 5770/2010, Cass. n. 29191/2008, Cass. n. 5770/2010 e Cass. n. 11609/2011; contra, Cass. n. 702/2010, e Cass. n. 15373/2011). La tesi dell'autonomia, anche ontologica, del danno morale rispetto a quello biologico sembrava aver avuto un definitivo avallo sul piano normativo attraverso l'emanazione del d.P.R. 3 marzo 2009, n. 37 («Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all'estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali), e del d.P.R. 30 ottobre 2009, n. 181 (ove si introduce un «Regolamento recante i criteri medico-legali per l'accertamento e la determinazione dell'individualità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice»), i quali hanno stabilito che il danno morale può essere liquidato in misura fino ad un massimo di due terzi del valore percentuale del danno biologico. A fronte di coloro (Cass. n. 18641/2011; Cass. n. 5473/2012; Cass. n. 11851/2015; Cass. n. 22585/2013; Trib. Grosseto 10 ottobre 2016, n. 774) che hanno interpretato l'intervento normativo come definitivamente chiarificatore, si sono posti coloro (Trib. Palermo 3 giugno 2009; Trib. Napoli 22 marzo 2016, n. 3700) che hanno ritenuto trattarsi di interventi periferici e settoriali. Per Cass. n. 16197/2015, il danno morale, pur costituendo un pregiudizio non patrimoniale al pari di quello biologico, non è ricompreso in quest'ultimo e va liquidato autonomamente. In realtà, le Sezioni Unite hanno, a ben vedere, ampliato l'area della risarcibilità, affermando che il dolore e la sofferenza costituiscono un danno risarcibile, nei casi previsti dalla legge, anche quando non abbiano natura transeunte. Conferma ulteriore dell'autonomia del danno morale dovrebbe ricavarsi dalle nuove tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale che l'osservatorio per la giustizia civile di Milano ha depositato in data 22 maggio 2009. Invero, le stesse propongono la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di c.d. danno biologico «standard», c.d. personalizzazione − per particolari condizioni soggettive − del danno biologico e c.d. danno morale (Cass. n. 24473/2014; Cass. n. 20111/2014; Cass. n. 7766/2016). Il “decalogo” della Terza Sezione della cassazione. Il cambiamento di rotta rispetto alle sentenze delle Sezioni Unite meglio note come di “San Martino” già si era percepito con Cass. III, n. 24075/2017, secondo la quale, in tema di liquidazione del danno morale, che, al di fuori dell'ambito applicativo delle lesioni cd. micro permanenti di cui all'art. 139 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, costituisce una voce di pregiudizio non patrimoniale, ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato, da tenere distinta dal danno biologico e dal danno nei suoi aspetti dinamico-relazionali, e che è risarcibile autonomamente, ove provato, senza che ciò comporti alcuna duplicazione risarcitoria, il giudice di merito non può limitarsi a liquidare la componente "sofferenza soggettiva" mediante applicazione automatica di una quota proporzionale del valore del danno biologico, né procedere alla riduzione, anche questa automatica, dell'importo corrispondente a quella del danno biologico commisurato alla durata della vita effettiva del danneggiato, ma deve preliminarmente verificare se e come tale specifica componente sia stata allegata e provata dal soggetto che ha azionato la pretesa risarcitoria, provvedendo successivamente – in caso di esito positivo della verifica – ad adeguare la misura della reintegrazione del danno non patrimoniale, indicando il criterio di "personalizzazione" adottato, che dovrà risultare coerente logicamente con gli elementi circostanziali ritenuti rilevanti a esprimere l'intensità e la durata della sofferenza psichica. Nel solco di tale apertura si inserita, con un impatto sul piano pratico notevole, Cass. III, n. 7513 del 2018, rel. Rossetti, che ha riassunto i princìpi esposti (cd. decalogo) nel modo che segue: 1) l'ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale. 2) Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomenologicamente) unitaria. 3) "Categoria unitaria" vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223,1226,2056,2059 c.c.). 4) Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell'illecito; e dall'altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici. 5) In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell'effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio. 6) In presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale). 7) In presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. 8) In presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). 9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati dall'art. all'articolo 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124, nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di "danno non patrimoniale", distinguono il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello "morale"). 10) Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con sè stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria. Riflessi sul piano pratico dell'autonomia del danno morale I principali riflessi sul piano pratico-applicativo dell'affermazione dell'autonomia del danno morale rispetto a quello biologico sono tre: i) per quanto concerne l'aspetto probatorio, va fornita autonoma prova, seppur per presunzioni, di aver patito una sofferenza soggettiva legata alla lesione dell'integrità morale; pertanto, il giudice di merito (se si fa eccezione per quello “standard”, già ricompreso in quello biologico) non potrà dare per implicito il danno morale, ritenendolo in re ipsa al cospetto del danno biologico, ma dovrà motivare sull'emersione della sua prova nel corso del procedimento (Cass. n. 3260/2016); ii) avuto riguardo alla liquidazione, mentre nel caso non degeneri in lesione all'integrità psico-fisica il danno morale non può essere liquidato per automatismi (con l'appesantimento del punto percentuale o con proporzione rispetto al danno biologico), nell'ipotesi di degenerazione il danno biologico viene liquidato con un incremento, anche percentuale ed automatico, in considerazione del morale assorbito; iii) al fine di conseguire il ristoro, oltre che del danno biologico, delle eventuali conseguenze non patrimoniali ulteriori, ove ricorrano gli estremi del pregiudizio morale, esistenziale, estetico, ecc., non occorre che il danneggiato proponga fin dall'atto di citazione una specifica domanda risarcitoria relativa ad ognuno degli aspetti considerati, essendo sufficiente che egli manifesti inequivocamente la volontà di ottenere il risarcimento di “tutti i danni non patrimoniali”, purché egli specifichi, nel corso del giudizio, i peculiari aspetti che tali danni abbiano concretamente assunto nel suo particolare caso ed essi risultino, ancorché presuntivamente, provati o, comunque, attendibili (Trib. Bari 3 marzo 2016, n. 1220). In definitiva, il danno biologico, inteso quale lesione del diritto alla salute, e il danno morale, quale sofferenza conseguente all'illecito, non costituiscono ex se voci automaticamente sovrapponibili (in termini Cass. n. 18641/2011, Cass. n. 2228/2012, e Cass. n. 22585/2013). Vi sarebbe, invece, duplicazione della liquidazione dei danni, nel caso in cui le medesime conseguenze pregiudizievoli venissero risarcite due volte, ad esempio ricomprendendo la sofferenza psichica sia nel danno “biologico” che in quello “morale” (cfr. Cons. St. n. 1945/2015, e Cass. n. 28137/2013). È chiaro che nelle ipotesi in cui l'originaria sofferenza venga assorbita entro il pregiudizio alla integrità psicofisica come conseguenza di una sua evoluzione degenerativa in forme patologiche, va accordata al danneggiato un'unica forma risarcitoria (Cass. n. 23725/2008). Tuttavia, nel panorama giurisprudenziale descritto, che sembrava ormai essersi consolidato, si è inserita Cass. 27 marzo 2018, n. 7513, la quale ha enunciato il seguente decalogo in materia di danno non patrimoniale alla salute: 1) L'ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale. 2) Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomenologicamente) unitaria. 3) “Categoria unitaria” vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223,1226,2056,2059 c.c.). 4) Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell'illecito; e dall'altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici. 5) In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell'effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio. 6) In presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale). 7) In presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose de/tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. 8) In presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). 9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati dall'art. all'articolo 1, comma 17, l. 4 agosto 2017, n. 124, nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di "danno non patrimoniale", distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello "morale"). 10) Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria». Alla stregua dei principi riportati, sembrerebbe che la cd. sofferenza morale abbia riacquisito, agli occhi della S.C., una autonomia, anche ontologica, rispetto al danno biologico. Avuto riguardo al profilo probatorio, secondo Cass. civ., ord. n. 23146/2019, nel caso di un soggetto che abbia riportato delle fratture ed una vasta ferita suturata con punti, ai fini del risarcimento del danno morale, che deve essere allegato e provato, trovano applicazione i paradigmi normativi in tema di presunzioni, dovendosi far discendere dal fatto noto indicato la necessaria conseguenza in termini di sofferenza. E' stato, al riguardo, osservato che la corte di merito, pur esattamente ritenendo che anche il danno morale soggettivo patito in conseguenza di lesioni personali deve essere allegato e provato, non ha fatto corretto uso dei paradigmi normativi in tema di presunzioni, non facendo discendere dal fatto noto indicato (frattura rotula sx e piede sx ed uso di potente antidolorifico) la necessaria conseguenza in termini di sofferenza morale e non valutando, quindi, che la situazione nell'immediatezza evidenziava una sofferenza a carico del ricorrente. In questo contesto si è inserita di recente Cass. n. 28988/2019. Viene chiarito e ribadito in questa decisione che, in caso di applicazione delle tabelle equitative del tribunale di Milano per compensare il danno alla salute, la personalizzazione è valorizzabile a favore del danneggiato solo in caso di comprovata eccezionalità delle conseguenze di danno. Infatti, le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. Si osserva che, nel prendere posizione sulla questione della personalizzazione, la Cassazione esordisce affermando che «in presenza di un danno permanente alla salute costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di danaro a titolo di risarcimento del danno biologico e l'attribuzione di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali, e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico relazionale)». Tale enunciato potrebbe generare qualche dubbio perché non è chiaro quale sia il rapporto tra danno “dinamico relazionale”, “personalizzazione” e “danno morale”, sul quale ultimo la pronuncia in esame “tace” (ne è possibile una liquidazione a parte? o sono la stessa cosa e partecipano della medesima natura?). Non sembra, tuttavia, che la Cassazione abbia con ciò inteso discostarsi dagli ultimi precedenti (in particolare dalla nota sentenza “decalogo” Cass. n. 7513/2018 che valorizza l'autonoma risarcibilità della sofferenza morale): nella successiva Cass. n. 28989/2019, infatti, i giudici di legittimità ripetono, alla lettera, il principio sopra riportato, precisando subito dopo che «non costituisce invece duplicazione la congiunta attribuzione del danno biologico e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi [..] rappresentati dalla sofferenza interiore». All'esito di questo approdo, occorre distinguere tra, da un lato, la «sofferenza psicofisica» (o «sofferenza biologica», oppure «sofferenza menomazione-correlata»), che si riferisce a plurimi tipi di dolori comportanti effetti invalidanti medicolegalmente apprezzabili ed accertabili (il «dolore nocicettivo», prodotto dall'attivazione diretta dei recettori della nocicezione; il «dolore neuropatico», causato dall'interessamento del sistema nervoso centrale e/o periferico; il «dolore psichico», attivato da situazioni psico-relazionali; il «dolore misto», tale da annoverare la presenza di più o tutte le componenti precedenti), e, dall'altro lato, la «sofferenza morale» (o «patema d'animo» o «sofferenza interiore»), categoria fenomenologicamente variegata e complessa, inclusiva di tutti i risvolti negativi dell'evento dannoso apprezzabili in relazione alla sfera del πάθος, cioè la «sfera dell'intimo sentire» (così ex multis Cass. III, n. 4712/2008, ). Al centro di questa seconda categoria, per giurisprudenza costante e come pure sottolineato dagli ultimi interventi della Suprema corte, si pone l'aspetto interiore e più intimo del danno non patrimoniale, ossia la sofferenza morale in tutti i suoi aspetti, non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente o dei giorni di invalidità temporanea. Per esempio - l'elenco, come puntualizzato dalla stessa Cassazione, non è esaustivo - tra questi sovvengono il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione, spaventi, angosce, timori e prove della vita, il rimorso, la malinconia, la tristezza, stress, fastidi, frustrazioni, prostrazioni, disagi, dispiaceri, imbarazzi, sentimenti di «rabbia» o di «revanchismo», ed altre innumerevoli emozioni negative (sui contenuti del «danno morale» cfr. amplius M. Bona, Importanti precisazioni per lo statuto del danno non patrimoniale: sfera morale, personalizzazioni, rischi di recidive e congiunti del sopravvissuto, I Parte, in Resp. Civ. Prev., 2019, n. 5, 1716-1731). In particolare, in tema di danno non patrimoniale discendente da lesione della salute, se è vero che all'accertamento di un danno biologico non può conseguire in via automatica il riconoscimento del danno morale (trattandosi di distinte voci di pregiudizio della cui effettiva compresenza nel caso concreto il danneggiato è tenuto a fornire rigorosa prova), la lesione dell'integrità psico-fisica può rilevare, sul piano presuntivo, ai fini della dimostrazione di un coesistente danno morale, alla stregua di un ragionamento inferenziale cui deve, peraltro, riconoscersi efficacia tanto più limitata quanto più basso sia il grado percentuale di invalidità permanente, dovendo ritenersi normalmente assorbito nel danno biologico di lieve entità (salvo prova contraria) tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle misurabili sotto il profilo del danno morale (Sez. 3, Ordinanza n. 6444 del 03/03/2023) . Come ribadito ancora da ultimo, per «sofferenza interiore» s'intende il «moto d'animo, manifestazione emotiva che può o meno accompagnarsi alla lesione della salute e che non assume rilevanza clinica prescindendo pertanto da qualsiasi verifica oggettiva secondo i criteri della medicina legale» (Cass. III, n. 9865/2020). I criteri di liquidazione della sofferenza morale Quanto alla sua liquidazione, deve farsi ricorso all'equità, trattandosi di danno che, sebbene accertato nell'an, non è di semplice liquidazione nel quantum debeatur (Cass. n. 20320/2005; Cass. n. 18484/2012). Fermo restando che esiste un orientamento che privilegia, in luogo del criterio della personalizzazione, quello della liquidazione autonoma (Cass. n. 16041/2013), per i giudici di legittimità, tendenzialmente, è errata la liquidazione in misura pari ad una frazione dell'importo liquidato a titolo di danno biologico (Cass. n. 22909/2012; Cass. n. 2228/2012), perché tale criterio non rende evidente e controllabile l'iter logico attraverso cui il giudice di merito sia pervenuto alla relativa quantificazione. D'altra parte, la prassi di automaticità nel riconoscimento del danno morale soggettivo hic et nunc, meramente parametrato al danno biologico, da un lato, potrebbe condurre ad una contrazione del ristoro riconosciuto, ma, dall'altro, rischierebbe di essere produttivo di duplicazioni risarcitorie, che si tradurrebbero, in ultima analisi, in una ingiusta locupletatio del danneggiato (Cass., n. 17209/2015). Il parametro di valutazione equitativa del danno morale deve considerare, comunque e innanzitutto, la soglia della gravità e della permanenza degli effetti del danno ingiusto (Cass. n. 15760/2006, cit.). Sono, ancora, elementi di riferimento pertinenti l'attività espletata, le condizioni sociali e familiari del danneggiato (contra, tuttavia, Cass. n. 10024/1997, secondo cui tali condizioni sono irrilevanti, in quanto insuscettibili di incidere sull'entità della sofferenza) e la gravità delle lesioni e degli eventuali postumi permanenti, ove al pregiudizio morale consegua anche una lesione dell'integrità fisica. La giurisprudenza di merito tende a sostenere che, allorquando il danno morale è eziologicamente connesso a quello biologico, alla categoria del danno biologico vada riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva, di modo che la voce “danno” possa ricomprendere tanto il c.d. danno esistenziale quanto quello morale, essendo quindi non consentita una liquidazione autonoma del danno morale in aggiunta a quello biologico, ma soltanto una adeguata “personalizzazione” del danno biologico in sede di liquidazione da parte del giudice (cfr., tra le altre, Trib. Firenze 15 gennaio 2015, n. 103; Trib. Torre Annunziata 10 gennaio 2014, n. 185; Trib. Salerno 11 febbraio 2014, n. 464). In ogni caso, per essere completamente satisfattivo, il risarcimento del danno patrimoniale dovrà comprendere tutte quelle sofferenze generate dalle lesioni, sia quelle percepite nell'imminenza delle lesioni subite (oltre che per eventuali interventi terapeutici o chirurgici), sia quelle successive che coincidono con i disagi del perdurare (durante l'inabilità temporanea) e del permanere, poi, della menomazione (durante l'inabilità permanente). Nella giurisprudenza di merito, nell'alveo dell'indirizzo che, in ossequio alle direttive delle Sezioni Unite, procedono ad una liquidazione tendenzialmente unitaria del danno non patrimoniale, a fronte di chi (Trib. Treviso 17 marzo 2009) riconosce un'unica voce di danno biologico comprensivo delle sofferenze psichiche, si pone chi (Trib. Piacenza 2 dicembre 2008; Trib. Milano 11 dicembre 2008) appesantisce il singolo punto di danno biologico di una percentuale in ragione delle sofferenze morali (Trib. Treviso 11 gennaio 2010, ha − considerate la specificità del caso, l'età della vittima e le implicazioni che la condizione post operatoria aveva generato − quantificato in una percentuale del 60% la maggiorazione della liquidazione del danno biologico finalizzata a ristorare la sofferenza soggettiva). La limitazione nella misura non superiore ad 1/5 del danno biologico di cui all'art. 139, comma 3, cod. ass. (d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209), oltre a non essere estensibile al di fuori del suo campo elettivo di applicazione (vale a dire, quello dei sinistri stradali), dovrebbe, a rigore, essere riferita unicamente alla personalizzazione inerente all'aspetto dinamico-relazionale (non fosse altro perché, all'epoca dell'emanazione della norma, era pacifica l'autonoma risarcibilità del danno morale; Trib. Bologna 29 gennaio 2009), con la conseguenza che la stessa (20% per le micropermanenti e 30% per le macro) non dovrebbe essere considerata omnicomprensiva, nel senso di estendersi anche alla sofferenza soggettiva. Ciò in quanto la nozione di danno biologico di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass. è costruita sul concetto base del danno anatomo-funzionale, non toccando considerazioni relative a pregiudizi morali (dolori, sofferenze, disagi, patimenti d'animo). Tuttavia, la Corte costituzionale, nel considerare non fondata la q.l.c. dell'art. 139, nella parte in cui introduce un meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico (permanente o temporaneo) da lesioni di lieve entità derivanti da sinistro stradale, ancorato a livelli pecuniari ex ante riconosciuti come equi, ha statuito che la denunciata non liquidabilità del danno morale e, quindi, l'esistenza di un limite alla integrale risarcibilità del danno biologico è fondata su una erronea premessa interpretativa, atteso che il c.d. danno morale rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente e, ricorrendone in concreto i presupposti, può essere riconosciuto mediante incremento dell'ammontare del danno biologico (Corte cost. n. 235/2014; contra, Cass. n. 7766/2016). Elementi da prendere in considerazione, ai fini della personalizzazione del danno biologico, sono, ad es.: a) un trattamento terapeutico particolarmente pesante, doloroso, disagevole (pluralità degli interventi chirurgici sopportati, distinguendo tra piccola chirurgia ambulatoriale - ad es., un'estrazione dentaria - e chirurgia ospedaliera in anestesia loco-regionale o in anestesia generale); b) un iter clinico particolarmente lungo, stressante, con ricoveri lunghi e ripetuti e prolungata fisiokinesiterapia; c) l'uso di presidi, ortopedici o di altro tipo, notevolmente limitativi; d) la somministrazione consistente di analgesici per lenire un dolore intenso; e) un dolore superiore a quello normalmente correlabile alla lesione dell'integrità psicofisica in questione, a causa di ben determinate caratteristiche personali del danneggiato (ad es., l'intolleranza soggettiva specificamente documentata). In sede di consulenza tecnica d'ufficio, poi, il perito potrebbe, ad es., accertare che, per il modesto grado di resilienza − in psicologia, la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà − della vittima, la degenza ospedaliera o la terapia riabilitativa siano state particolarmente dolorose (Cass. pen. n. 2702/2015). Nel contesto delle cc.dd. micro permanenti, dovrà, peraltro, essere autonomamente riconosciuta la sofferenza psico-fisica di particolare intensità che, pur non degenerando in danno biologico-psichico, sia esclusivamente interiore (si pensi al caso di una cicatrice che determini un danno estetivo valutato dal ctu, ma che determini particolare sofferenza nella vittima, la quale, pur continuando a compiere le sue quotidiane attività come prima, modifichi sensibilmente il proprio stile di abbigliamento per nascondere la menomazione). La Corte di Cassazione, con l'ordinanza Cass. 13 aprile 2022, n. 12060, in sintonia con un precedente del 2001, ha ribadito che la liquidazione del danno morale deve effettuarsi con riferimento al momento dell'evento dannoso ed alle caratteristiche dello stesso, escludendo qualsiasi incidenza di fatti ed avvenimenti successivi, ivi compresa la morte del soggetto leso . |