Comparsa di risposta per danni provocati da fauna selvatica

Giovanna Nozzetti

Inquadramento

Un'amministrazione regionale, convenuta in giudizio dal privato danneggiato perché travolto da un cinghiale all'interno di un'area boschiva, si difende contestando l'applicabilità del più rigoroso regime disciplinato dall'art. 2052 c.c. e invocando l'applicazione dei principi generali in materia di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.

Formula

TRIBUNALE DI ... (GIUDICE DI PACE DI )

R.G. n. ... G.I. dott. ...

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA 1

Della Regione ... (P.I. ...) 2 , con sede in ..., via ... in persona del ..., domiciliato nel presente giudizio presso l'Avvocatura dello Stato che la rappresenta e difende ope legis fax ... 3 , PEC: ...@...

(convenuta)

CONTRO

Il Sig. ..., rappresentato e difeso come in atti

(attore)

PREMESSO

1. Con atto di citazione notificato in data... il sig....conveniva in giudizio il la Regione di ... al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni ex art. 2052 c.c.

2. A tal fine, esponeva l'attore che in data..., mentre si trovava a giocare con gli amici all'interno dello spazio attrezzata ubicata nell'area boschiva di ..., era stato travolto da un cinghiale che, avventatosi poco prima sui resti di un pic-nic, era stato messo in fuga da altri gitanti.

3. Con il presente atto si costituisce in giudizio l'amministrazione convenuta, chiedendo l'integrale rigetto della domanda attorea per i seguenti motivi di:

DIRITTO

La domanda dell'attore ex art. 2052 c.c. è totalmente sfornita di prova e in quanto tale va rigettata.

La fattispecie concreta in esame, infatti, non si inquadra nella responsabilità oggettiva ex art. 2052 c.c., ma nella diversa responsabilitàex art. 2043 c.c., di tal che l'attore avrebbe dovuto dar prova non solo del fatto illecito, del danno e del nesso causale, ma anche dell'elemento soggettivo.

Il danno cagionato dalla fauna selvatica non è infatti risarcibile ai sensi dell'art. 2052 c.c., in quanto in detta fattispecie la responsabilità del proprietario o del detentore è presunta ed è fondata sul rapporto di fatto con l'animale stesso.

Diversamente, quando la fauna è selvatica la presunzione di responsabilitàex art. 2052 c.c. del proprietario è inapplicabile all'ente, in quanto detto stato di libertà è incompatibile con qualsiasi obbligo di custodia da parte della PA (ex multisCass. n. 1638/2000).

Nel caso di specie, essendo al più configurabile nei confronti dell'odierno esponente una responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. era onere di parte attrice individuare il concreto comportamento colposo eventualmente ascrivibile all'ente (infra alios Cass. n. 27673/2008).

La mancata adozione di misure necessarie ad evitare danni a terzi, invece, non è neppure allegata da parte attrice, di tal che la domanda di risarcimento del danno proposta è certamente sfornita di prova.

Tanto premesso e considerato, ..., rappresentata e difesa come in epigrafe, rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l'On.le Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione, richiesta e conclusione, rigettare la domanda di risarcimento del danno avanzata dal Sig. ..., in quanto infondata in fatto e in diritto.

Con vittoria di spese e compensi.

IN VIA ISTRUTTORIA 4 ,

Formulando sin d'ora ogni più ampia riserva di articolazione dei mezzi istruttori, nei termini di cui all'art. 183, comma 6, nn 2 e 3, c.p.c., si offrono in comunicazione, mediante deposito, i seguenti documenti:

1. atto di citazione notificato il...

2. deliberazione Giunta ...

3. ...

Luogo e data...

Firma Avv....__

PROCURA AD LITEM

(se non a margine o su documento informatico separato)

[1] Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[2] Ai sensi dell'art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., nella l. 15 luglio 2011, n. 111, in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio.

[3] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c.. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale ... il contributo unificato è aumentato della metà».

[4] Indicazione dei mezzi istruttori di cui ci si intende valere. Le richieste istruttorie possono essere proposte e le produzioni documentali effettuate anche nel termine di cui all'art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c., che costituisce la barriera preclusiva finale.

Commento

La risarcibilità dei danni provocati dalla fauna selvatica

Né la Legge Quadro n. 157 del 1992 (come del resto in precedenza la l. n. 968 del 1977, che per prima aveva assegnato la fauna selvatica al patrimonio indisponibile dello Stato) né la l.r. n. 14 del 1994 (che ha dato attuazione a quella statale) consentono di affermare che la funzione normativa in materia e la funzione amministrativa di gestione della fauna selvatica comprenda quella di una tutela generalizzata dai danni contro la fauna selvatica, sia nel senso di un obbligo di vigilanza e prevenzione della stessa (prevedendo la normativa un obbligo di vigilanza per la prevenzione di danni alla fauna), sia, tanto più nel senso di una responsabilità puramente indennitaria.

Una tutela generalizzata contro i danni cagionati dalla fauna selvatica non può, neppure, ricavarsi dalla l.r. n. 14/ 1994, il cui art. 37, in attuazione dell'art. 26 della Legge Quadro che costituisce, presso le province, un apposito fondo per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili, arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate su terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica e dalla attività venatoria.

La Regione, dunque, non può rispondere dei danni arrecati dalla fauna selvatica per violazione dei doveri di custodia ex art. 2052 c.c., atteso che pur appartenendo la fauna selvatica al patrimonio indisponibile dello Stato nessuna Amministrazione ha un potere materiale sulla stessa.

Questi principi rappresentano l'approdo ermeneutico cui è pervenuta la giurisprudenza della Suprema Corte in esito ad una lunga elaborazione che aveva preso le mosse dalla radicale negazione di qualunque responsabilità in capo alle amministrazioni statali o locali essendo la fauna selvatica reputata alla stregua di res nullius.

Successivamente all'introduzione della legge 27/12/1977 n. 968 (poi abrogata dalla nuova legge sulla caccia, legge n. 157/1992), che all'art. 1 stabilisce che la fauna selvatica italiana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale, la dottrina e parte della giurisprudenza di merito hanno invece affermato che la responsabilità dell'amministrazione potrebbe agevolmente fondarsi sull'art. 2052 c.c., e dunque sulla mera proprietà dell'animale selvatico, secondo il comune principio cuius commoda eius et incommoda.

Presso i giudici di legittimità (Cass. n. 2192/1996; Cass. n. 8788/1991) è invece nettamente prevalsa l'opinione che i cennati interventi normativi non hanno addossato allo Stato un generale obbligo di custodia degli animali selvatici a tutela della pubblica incolumità, bensì oneri posti esclusivamente al fine di interesse generale della conservazione del patrimonio faunistico nazionale. Pertanto la responsabilità prevista dall'art. 2052 c.c. è operante nei confronti della pubblica amministrazione soltanto per quegli animali domestici o mansuefatti di cui abbia la custodia, non anche rispetto alla fauna selvatica che, per il fatto di trovarsi in stato di completa libertà, non è suscettibile di un potere di governo e controllo in senso tecnico. Ne consegue che il danno diverso da quello dell'agricoltura, provocato a persone o a cose da animale selvatico è astrattamente risarcibile soltanto in base ai principi generali fissati dall'art. 2043 c.c., del quale debbono ricorrere tutti gli elementi e in particolar modo la colpa (Cass. III, n. 10008/2003), la cui prova compete al danneggiato secondo i normali principi fissati dall'art. 2697 c.c.

Quanto alla legittimazione passiva, è principio consolidato che la responsabilità extracontrattuale per i danni provocati da animali selvatici dev'essere imputata all'ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione etc., cui siano stati concretamente affidati i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che trovino la fonte in una delega o concessione di altro ente. In quest'ultimo caso, l'ente delegato potrà considerarsi responsabile ai sensi dell'art. 2043 c.c., per i danni verificatisi, a condizione che gli sia stata conferita, in quanto gestore, autonomia decisionale e operativa, sufficiente a consentirgli di svolgere l'attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi (Cass. III, n. 80/2010).

In particolare, la legge 11 febbraio 1992 n. 157 ha attribuito alle Regioni la competenza ad emanare norme relative alla gestione e alla tutela della fauna selvatica e ad esercitare le funzioni di programmazione e pianificazione al riguardo, per cui compete ad esse l'obbligo di predisporre le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone e cose. La domanda risarcitoria va dunque proposta nei confronti della Regione, ove il risarcimento non sia previsto e disciplinato da specifiche norme.

Quanto al riparto dell'onere probatorio, in materia di danni da fauna selvatica, a norma dell'articolo 2052 c.c., grava sul danneggiato l'onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell'animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi (Cass. n. 25868/2023).

Il ristoro del danno arrecato alla produzione agricola

La legge quadro sulla caccia e la successiva legge n. 157/1992 hanno introdotto forme di ristoro per i danni all'agricoltura provocati dagli animali selvatici. L'art. 10 demanda infatti ai piani faunistico - venatori di competenza provinciale la specificazione dei criteri per la determinazione del risarcimento in favore dei conduttori di fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate sui fondi vincolai per gli scopi di cui alle lett. a), b) c) (ad es. le oasi di protezione destinate al rifugio, alla riproduzione, alla sosta della fauna selvatica).

E' inoltre prevista la costituzione, a cura di ogni regione, di un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti «per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall'attività venatoria».

Anche nella legge quadro sulle aree protette (legge n. 394/1991) e nelle leggi regionali istitutive di parchi e riserve naturali sono contemplate disposizioni normative che introducono forme di compenso o indennizzo per i danni arrecati ai prodotti del suolo dalla selvaggina protetta.

La questione circa la natura giuridica dell'interesse del privato alla corresponsione di tali indennizzi/risarcimenti, rilevante ai fini del riparto di giurisdizione, è stata ripetutamente risolta dalla Suprema Corte nel senso che, indipendentemente dalla terminologia impiegata (nella stessa legge n. 157/1992 si è preferita l'espressione 'risarcimento') tale forma di compensazione del danno non altrimenti risarcibile arrecato alla produzione agricola non rientra nell'ipotesi di responsabilità aquiliana, non trattandosi di ristorare un danno ingiusto (Cass. III, n. 14241/2004).

Spetta dunque alla giurisdizione ordinaria la controversia avente ad oggetto l'esatta determinazione dell'indennizzo, essendo tale beneficio riconosciuto direttamente dalla legge che ne prevede la liquidazione secondo parametri predeterminati, scevri da alcun potere discrezionale da parte della P.A. (Cass. S.U., n. 10701/2006).

 La questione non è tuttavia pacifica presso la giurisprudenza civile ed amministrativa: da parte della Corte di Cassazione si è infatti riconosciuto che, nella materia in questione, essendo stabilito un limite massimo entro il quale liquidare il danno, la percentuale di risarcimento in concreto erogabile è incerta, dipendendo dai fondi regionali stanziati e dall'ammontare totale dei danni accertati in ragione dei quali vanno proporzionalmente ripartiti. Non è perciò previsto il ristoro integrale del danno, bensì “contributi per il risarcimento”, ancorchè in base a criteri oggettivi predeterminati, nei limiti – variabili – dell'entità dei fondi (Cass. S.U., .n. 24466/2013), per cui il privato, mentre vanta un diritto soggettivo al rispetto della procedura di accertamento dei danni subiti e alla proporzione tra la loro entità e lo stanziamento erogato, è, invece, titolare di un semplice interesse legittimo all'integrale risarcimento dei danni, che è condizionato all'ammontare dei fondi regionali all'uopo assegnati (Cass.  III, 12686/2015; nello stesso senso TAR Venezia, n. 1043/2017).

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