Atto di citazione per il risarcimento dei danni da lesione del diritto alla libertà personale

Maria Carolina De Falco

Inquadramento

La coercizione della libertà personale, quale diritto inviolabile della persona, a seconda della sua gravità, può implicare il riconoscimento di diverse tipologie di reato che trovano la loro sanzione nell'ambito penalistico.

Viceversa, in ambito civilistico è previsto, sia nel caso in cui venga ravvisata e punita una condotta di reato, che laddove la compressione del diritto non raggiunga tale configurazione ma si sostanzi nella violazione del diritto della persona ad essere libera, il ristoro del risarcimento dei danni non patrimoniali.

Nel presente atto di citazione, l'attrice, vittima di condotte di stalking da parte del marito durante la convivenza matrimoniale, agisce in giudizio all'esito della condanna penale del consorte, per vedere ristorata tale lesione alla propria integrità personale.

Formula

TRIBUNALE DI .... [1]

ATTO DI CITAZIONE

La Sig.ra .... , nata a .... il .... , residente in .... alla via .... n. .... , C.F. .... [2], elettivamente domiciliata in .... alla via .... n. .... [3] presso lo studio dell'Avv. .... , C.F. .... che la rappresenta e difende in virtù di procura in calce del presente atto, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni al n. di fax .... [4] o all'indirizzo di posta elettronica .... @ .... [5], espone quanto segue.

FATTO [6] E DIRITTO:

1. In data .... , la Sig.ra .... ha sporto querela contro il marito, il quale per diversi anni l'ha costretta, con minacce e molestie, a restare in casa durante la sua assenza;

2. La Sig.ra .... , temendo per la propria incolumità, si è allontanata dall'ambiente domestico solo in compagnia del marito ed eccezionalmente in compagnia di altra persona da questi designata;

4. In data .... , il Tribunale di .... con sentenza n .... ha condannato il Sig. .... , per il reato di stalking ex art. 612-bis c.p., che punisce chi, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto, ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

5. Ai sensi dell' art. 185 c.p., ogni qualvolta la condotta di reato abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, colui che ha commesso il fatto deve risarcire il danno;

6. Nel caso di specie, la condotta persecutoria ed intimidatrice del Sig. .... , ha generato nell'istante grave turbamento, paura e stato d'ansia, come dimostrano gli attacchi di panico e la costante insonnia che hanno afflitto la Sig.ra ....rispettivamente il giorno e la notte;

7. Detto danno, pertanto, deve essere risarcito, in quanto eziologicamente riconducibile alla condotta illecita di .... costituente il reato di cui all' art. 612-bis c.p.

8. Per mero tuziorismo difensivo, inoltre, deve evidenziarsi che la condotta persecutoria di .... lede gravemente la libertà personale della istante, tutelata dall' art. 13 Cost. quale diritto inviolabile della persona [7].

9. Nel caso di specie, pertanto, la sofferenza e il turbamento patiti dall'istante per effetto dell'illecita condotta di .... , vanno risarciti non solo in quanto danno morale discendente da reato, ma anche in quanto conseguenza della lesione di un diritto inviolabile della persona.

10. Detto danno, consistendo in un pregiudizio di tipo non economico ma personale e quindi difficilmente quantificabile nel suo esatto ammontare da parte attrice, va liquidato dal giudice in via equitativa, tenendo conto delle circostanze del caso concreto, quali la gravità del fatto, le condizioni soggettive delle vittima, l'entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d'animo [8].

12. Nel caso di specie, tenuto conto della frequenza degli attacchi di panico e della costanza dell'insonnia quasi prossima alla patologia, il danno morale patito dall'istante è indicativamente quantificabile in ....

13. Nonostante l'attrice abbia invitato il Sig. .... alla procedura di negoziazione assistita, la sua richiesta, formulata con lettera raccomanda a/r del ...., è rimasta inevasa;

Tutto ciò premesso l'attore, come in epigrafe rappresentato, difeso e domiciliato

CITA

il Sig. .... , (C.F. ....), residente in .... via .... n. .... , a comparire innanzi al Tribunale di .... , nell'udienza del .... , ora di rito, dinanzi al Giudice Istruttore che sarà designato ai sensi dell' art. 168-bis c.p.c., con l'invito a costituirsi nel termine di almeno venti giorni prima della suddetta udienza ai sensi e nelle forme stabilite dall' art. 166 c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli artt. 167 e 38 c.p.c. e che, in difetto di costituzione, si procederà in sua contumacia, per sentir accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia il Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, accertare la fondatezza della domanda e, per l'effetto, condannare il convenuto a corrispondere all'attrice, a titolo di risarcimento danni non patrimoniali la somma di euro .... , quantificata in via indicativa, o comunque la minore o maggiore somma ritenuta equa dall'adito Tribunale, oltre rivalutazione e interessi.

Con vittoria di spese, competenze e onorari del giudizio. Con sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege.

IN VIA ISTRUTTORIA:

chiede ammettersi prova testimoniale sui seguenti capitoli di prova e per i testi a fianco di ciascuno indicati:

1) «Vero che la Sig.ra ....ha sofferto costantemente di insonnia dal ....» - Sig. ....

2) «Vero che la Sig.ra ....ha sofferto costantemente di attacchi di panico dal ....» - Sig. ....

3) «Vero che la Sig.ra ....» - Sig. ....

Si allegano:

1) sentenza di condanna n. ....

2) lettera raccomandata a/r ....

3) certificati medici ASL del ....

Ai sensi dell' art. 14, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 si dichiara che il valore del presente procedimento è di Euro ....

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA AD LITEM

Nella qualità, conferisco il potere di rappresentanza e difesa, in ogni fase, stato e grado del giudizio ed atti inerenti, conseguenti e successivi, ivi compresa l'eventuale fase esecutiva ed il giudizio di opposizione, all'Avv. .... , ivi compreso il potere di proporre domande riconvenzionali, chiedere provvedimenti cautelari, chiamare terzi in causa, farsi sostituire, transigere, conciliare, abbandonare il giudizio e rilasciare quietanze.

L'autorizzo, ai sensi dell'art. 13 d.l. n. 196/2003, ad utilizzare i dati personali per la difesa dei miei diritti e per il perseguimento delle finalità di cui al mandato, nonché a comunicare ai Colleghi i dati con l'obbligo di rispettare il segreto professionale e di diffonderli esclusivamente nei limiti strettamente pertinenti all'incarico conferitoLe.

Ratifico sin d'ora il Suo operato e quello di eventuali Suoi sostituti.

Eleggo domicilio presso il Suo studio in ....(indicare la città), via ....n ....

Dichiaro di essere stato informato ai sensi dell' art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 28/2010 della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi previsto e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto, come da specifico atto separato.

Luogo e data ....

Firma ....

La firma è autografa

Firma Avv. ....

[1] Il foro stabilito dall' art. 20 c.p.c., per le cause relative a diritti di obbligazione concorre con i fori generali di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c. e l'attore può liberamente scegliere di adire uno dei due fori generali, oppure il foro facoltativo dell' art. 20 c.p.c. La norma - infatti - stabilisce che per le cause relative a diritti di obbligazione (tra le quali rientrano anche le obbligazioni scaturenti da responsabilità extracontrattuale) è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi la obbligazione. In particolare, in tema di obbligazioni nascenti da fatto illecito, l'azione di risarcimento sorge nel luogo in cui l'agente ha posto in essere l'azione produttiva del danno (forum commissi delicti) e in relazione a tale luogo deve essere determinata la competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (Cass. II, n. 13223/2014).

[2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall' art. 125 c.p.c.

[3] L'elezione di domicilio nel Comune in cui ha sede il Tribunale adito è obbligatoria: essa individua il luogo legale ove effettuare le comunicazioni e notificazioni inerenti al processo: artt. 165 e 170 c.p.c.

[4] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall' art. 125 c.p.c.. Ai sensi dell' art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[5] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge n. 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall' art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014.

[6] L'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragione della domanda dell'attore rappresenta un elemento essenziale della citazione. L'indicazione della causa petendi, e cioè del titolo della domanda, è richiesto dall' art. 163 comma 3, n. 4 c.p.c. Tuttavia solo la mancanza dell'indicazione dei fatti posti a fondamento della domanda produce la nullità della citazione a norma dell' art. 164, comma 4, c.p.c.

[7] Ed invero, la Corte di Cassazione a sezioni unite, con sentenza n. 11 novembre 2008 n. 26972, nel pronunciarsi sulla risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., ha chiarito che, al di fuori delle ipotesi di reato, il danno non patrimoniale è risarcibile nei casi espressamente previsti dalla legge o quando il fatto illecito violi in modo grave diritti inviolabili della persona.

[8] Cass. I, n. 208595/2015.

Commento

Premessa

La libertà personale rappresenta il più importante tra i cd. diritti inviolabili e viene spesso qualificata come “libertà negativa” riconosciuta a tutti in quanto a carattere universale, vale a dire afferente all'essere umano in quanto tale e a prescindere dalla nazionalità o qualsivoglia elemento di discriminazione.

Come detto, viene spesso intesa come libertà negativa («...non si presta affatto come potere illimitato di disposizione della persona fisica, bensì come diritto a che l'opposto potere di coazione personale, di cui lo Stato è titolare, non sia esercitato se non in determinate circostanze e con il rispetto di alcune forme» Corte cost. n. 11/1956) in quanto si esplicita nel diritto dell'individuo a non subire alcun tipo di coercizione, restrizione fisica o arresto che possano, di fatto, limitare o impedirne i movimenti.

La libertà personale sancisce quindi il cd. habeas corpus, vale a dire l'inviolabilità della persona avverso qualsiasi tipo di abuso, una delle pietre angolari della convivenza civile in un regime democratico ( Corte cost. n. 49/1959).

La libertà personale rappresenta la condizione primaria ed essenziale affinché un soggetto possa godere di autonomia, sufficienza e indipendenza necessaria per esercitare tutte le altre libertà costituzionalmente garantite, e comprende anche il divieto di violenza morale, ovvero qualsiasi forma di coercizione che leda la dignità della persona comportandone una degradazione giuridica.

Ovviamente, come statuito anche dalla Corte Costituzionale, limitazioni di lieve entità che rispondano a interessi superiori, (come nel caso dei prelievi del sangue, propedeutico al diritto alla salute ex art. 32 Cost.), funzionali rispetto al diritto alla salute, o comunque non giuridicamente degradanti, non rientrano nella sfera tutelabile della libertà personale in quanto non potenzialmente lesive della stessa.

 

Le garanzie costituzionali

L'art. 13 della Carta Fondamentale, una volta sancita l'inviolabilità della libertà personale, afferma che «non è ammessa alcuna forma di detenzione, ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge », ponendo a tutela della libertà personale tre garanzie:

- Una riserva di legge assoluta, che delega in via del tutto esclusiva al potere legislativo la competenza a disciplinare la materia, quanto a ipotesi e modalità in cui è possibile, in modo legittimo, una limitazione della libertà personale di un individuo. Il fine di tale disposizione è evidente: far si che il solo legislatore (il Parlamento) possa intervenire in materia, evitando ogni tipo di intervento della potestà normativa secondaria (riservata al potere esecutivo). Questo, evidentemente, al fine di garantire al cittadino che il solo organo da lui eletto possa regolare, con legge, la materia. Ogni legge che voglia quindi regolare particolari restrizioni o limitazioni della libertà personale dovrà attenersi, grazie alla riserva rinforzata, ai principi dell' art. 13 Cost. Il legislatore ordinario incontra comunque dei limiti alle possibili restrizioni della libertà personale, ovvero il principio di tassatività o determinatezza, che lo “obbliga” ad individuare con estrema precisione il fatto che costituisce reato, evitando che il giudice possa da solo, arbitrariamente quindi, stabilire quali comportamenti lo integrino. L'eventuale imputato trova quindi ulteriore garanzia, potendo articolare una difesa sol quando è chiaro il reato di cui è accusato. Da qui deriva anche il divieto di interpretazione analogica, che evita che la legge si applichi a casi simili non espressamente elencati. Altro strumento a tutela del cittadino è il principio di colpevolezza: solo laddove ci sia condotta colpevole potrà esserci sanzione.

- Una riserva di giurisdizione, che attribuisce alla sola autorità giudiziaria la possibilità di emanare provvedimenti che limitino la libertà personale. La cd. “garanzia dell'habeaus corpus”, già contemplata nel XVII secolo in Gran Bretagna, è ulteriore baluardo a favore dell'inviolabilità della libertà personale, conferendo al solo Giudice il compito, delicato, di offrire garanzie di imparzialità.

- Un obbligo di motivazione, che deve esserci sempre in caso di provvedimenti di carattere giurisdizionale che limitino la libertà personale. Il Giudice dovrà dunque necessariamente indicare fatti, motivazioni e iter che ha portato ad adottare quel particolare provvedimento restrittivo. In tal caso è utile operare una lettura congiunta degli artt. 13 e 111 Cost., con quest'ultimo che, nell'ottica di attuare il cd. “giusto processo”, prevede che contro le sentenze e provvedimenti relativi alla libertà personale è sempre possibile ricorrere in Cassazione per violazione di legge. Tale obbligo costituisce un'importante garanzia in quanto impone al giudice di indicare espressamente i fatti, i motivi e, conseguentemente, l'iter logico che ha giustificato l'adozione del provvedimento restrittivo, per dimostrare che ha applicato e rispettato la legge.

Il combinato disposto di riserva di legge “rinforzata” e riserva di giurisdizione opera, dunque, come baluardo non valicabile della libertà personale in senso stretto (intesa come libertà da arresti arbitrari, perquisizioni o ispezioni arbitrarie).

L'attuale art. 13 della Costituzione va oltre la tipica definizione molto più restrittiva dello Statuto Albertino (art. 26) che si limitava a menzionare solo l'arresto e la traduzione in giudizio, a differenza della configurazione odierna che vieta non solo detenzione, ispezione e perquisizione personale ma qualsiasi tipo di restrizione arbitraria della libertà personale.

 

Limitazioni

Il Codice di Procedura penale ammette strumenti che limitino la libertà personale, di esclusiva competenza della Polizia Giudiziaria (come il fermo e l'arresto in flagranza) o del P.M., o strumenti di pertinenza esclusiva del giudice che comunque può adottarli su richiesta del P.M. e mai di ufficio, proprio a garanzia della libertà personale.

Nel caso del fermo non è richiesta la sussistenza di gravi indizi ma il solo pericolo di fuga, senza flagranza, onde sventare ipotesi di fuga in assenza di flagranza.

Ogni limitazione della libertà personale è comunque soggetta a determinate garanzie a tutela dell'inviolabilità del diritto.

Anzitutto, la privazione della libertà non equivale a perdita del diritto al rispetto della personalità e dignità del soggetto. Da qui si desume che la Polizia Giudiziaria, nel dare seguito a una misura restrittiva, non può sottoporre la persona a atti di violenza arbitrari o a forme di coercizione fisica o morale.

Anche nei termini della carcerazione preventiva (oggi misura della custodia cautelari), con sentenza n. 15/1982 della Corte Costituzionale, è stato precisato che il legislatore deve stabilire un ragionevole limite di durata che non trasformi la custodia cautelare in pena a tutti gli effetti.

Il principio è peraltro previsto anche a livello comunitario, in particolare all' art. 5 terzo comma della CEDU, per il quale fino alla condanna la persona va ritenuta innocente e quindi rimessa in libertà allorquando il prosieguo della detenzione non sia più ragionevole.

Nell'ambito delle misure “concesse”, e pertanto non in contrasto con la libertà personale rientrano certamente le misure cautelari, distinguibili in misure di prevenzione (ante delictum), misure cautelari in senso proprio, nel corso del processo, e misure di sicurezza, adottate dopo una condanna/provvedimento passati in giudicato. Qualora le misure incidano sulla libertà fisica di una persona, si parlerà di misure coercitive. Requisiti necessari sono il fumus del reato e il periculum in mora.

 

Il danno alla persona tra 2043 e 2059 c.c.

Per molto tempo il dibattito giurisprudenziale e dottrinale si è focalizzato sulla configurabilità del danno alla persona come danno di natura patrimoniale, e quindi rientrante nell'alveo del 2043 c.c., o come danno di natura non patrimoniale, 2059 c.c. L'art. 2059 c.c. conteneva però un ostacolo, prevedendo la risarcibilità in casi specifici determinati dalla legge, oltre a intendere il danno non patrimoniale come danno morale soggettivo, cioè come ristoro del cd. pretium doloris, legato alla gravità della lesione e all'intensità dell'elemento soggettivo.

Un'evidente dimostrazione di tale orientamento è contenuta nell' art. 185, comma 2, del c.p. «Ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui” è dovuta al fatto che la figura del danno morale era equivoca e mal si prestava a differenziare il danno morale puro da quei danni, che, pur radicandosi in offese alla personalità morale, “direttamente o indirettamente menomano il patrimonio ».

Per anni, quindi, il danno patrimoniale finiva con l'identificarsi nel danno per perdita di guadagno, mentre il danno non patrimoniale veniva collegato a ogni tipo di conseguenza di carattere morale e, quindi, incidente sotto un profilo prettamente soggettivo. Non è un caso che lo stesso danno alla salute abbia faticato a inserirsi in tale contesto risarcitorio.

Dalla stesura della Carta Fondamentale e dal riconoscimento in essa dei diritti inviolabili della persona all'art. 2, si è assistito ad un cambio di direzione, dapprima rivolta al solo diritto alla salute come posizione soggettiva autonoma, e quindi risarcibile ex se, poi man mano riguardante tutti gli altri diritti inviolabili.

Questo progresso giurisdizionale non era però seguito da un progresso di carattere sostanziale, dal momento che si continuava a subordinare la risarcibilità della lesione della sfera personale alla dimostrazione di una perdita patrimoniale, riportando tutto all'interesse economico eventualmente leso.

Da apripista rispetto al cambio epocale ci fu una sentenza della Corte Costituzionale, la n. 87/1978, in cui la Corte si pronunciò circa la legittimità costituzionale dell' art. 2059 c.c. in correlazione con l' art. 185 c.p. in quanto ritenuto in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., proprio nella parte in cui si limitava la risarcibilità del danno non patrimoniale a quello derivante da fatto illecito costituente reato.

Con questa interessante pronuncia la Corte giunse alla conclusione che il danno non patrimoniale non era suscettibile di divisione in categorie, ma consisteva in tutte le compromissioni di natura non patrimoniale che un soggetto può aver ricevuto in seguito ad un fatto illecito.

Deve, pertanto, essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi che ineriscono la persona e che non sono connotati da rilevanza economica. Il suo risarcimento implica la verifica della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile definito dall' articolo 2043 codice civile.

L'ampliamento della nozione di danno non patrimoniale ha comportato l'individuazione nella prassi applicativa di due ipotesi fondamentali in cui si configura la risarcibilità del danno non patrimoniale.

La prima ipotesi è quella prevista dall' articolo 185 del codice penale che prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente a reato (ipotesi prevista nell'atto in commento).

La seconda ipotesi riguarda i danni non patrimoniali prodotti dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Carta fondamentale.

In altre parole, per la Corte Suprema il tratto saliente del risarcimento del danno non patrimoniale era la tipicità, ossia in tanto si potrà parlare di risarcimento solo laddove siano lesi diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti e nei soli casi previsti dalla legge.

A tal proposito, va ricompreso nella previsione dall' art. 2059 c.c. « ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima, sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico ( art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina e giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona » (cfr. Corte cost. n. 233/2003).

Nel percorso ermeneutico della giurisprudenza, si giunge, pertanto, alla sentenza a Sez. Unite della Cassazione n. 26972/2008, punto di arrivo in tema di risarcimento del danno non patrimoniale attinente alla lesione di libertà e diritti costituzionalmente garantiti.

Il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l' art. 2059 c.c., è il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica.

Poiché la definizione di danno non patrimoniale non è contenuta nell' art. 2059 c.c., occorre da esso rinviare alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale.

Al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.

 

Il reato di atti persecutori, cd. “stalking”. Rinvio alla formula sul danno da stalking

Nell'intento di offrire una tutela forte alla libertà personale, l' art. 7 del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv., con mod., in l. 23 aprile 2009 n. 38, ha introdotto nel codice penale l'art. 612- bis che prevede la fattispecie di reato degli atti persecutori (cd. stalking). Con questo reato si punisce chi, reiteratamente, minacci o molesti qualcuno fino a cagionare uno stato di ansia o paura perdurante nel tempo e derivante dal timore fondato per la propria incolumità o per quella di un prossimo congiunto, o tale da costringere la vittima a cambiare le proprie abitudini di vita.

La giurisprudenza di merito (Trib. Bari 6 aprile 2009) ha confermato tale definizione, precisando che si può parlare di stalking laddove ci siano ripetute condotte finalizzate alla molestia col chiaro intento di arrecare alla vittima disagi psichici, timore per la propria incolumità e per quella delle persone vicine nonché pregiudizio alle proprie abitudini di vita.

La fattispecie in esame, inoltre, tutela anche la salute psico-fisica della vittima e non solo la sua integrità fisica e personale: a confermarlo è il dettato stesso dell' art. 612 bis c.p. che richiede, tra le varie ipotesi, che la condotta sia realizzata in modo da cagionare un grave stato di ansia e di paura.

Per la trattazione integrale dell'argomento, si rinvia alla formula sul danno da stalking.

 

La c.d. violenza morale. Rinvio alla formula sui danni da violenza privata

Uno degli aspetti più interessanti dell' art. 13 Cost., sviluppato soprattutto in dottrina e in giurisprudenza, attiene al divieto di invadere la sfera individuale non più, e non solo, a livello fisico ma nemmeno a livello morale.

Il comma 4 dell'articolo, infatti, punisce «ogni violazione fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà», riferendosi a ogni tipo di violenza che possa danneggiare la persona a livello anche psichico.

Speculare a tale tratto distintivo della “nuova” configurazione dell' art. 13 Cost. ed è al terzo comma dell'art. 27, che vengono vietate pene consistenti in trattamenti contrari al senso di umanità e non miranti a rieducare il condannato.

A questo fa da sponda un tipo di tutela di carattere generale contro qualsiasi atto degradante per la dignità della persona.

La stessa Corte Costituzionale, con sent. n. 30/1962, ha previsto che «la garanzia dell'habeas corpus non deve essere intesa soltanto in rapporto alla coercizione fisica della persona, ma anche alla menomazione della libertà morale quando tale menomazione implichi un assoggettamento totale della persona all'altrui potere».

Il concetto di violenza morale rientra nel più generale discorso della violenza, sotto cui si inseriscono tre tipi di figure delittuose:

1) la violenza privata tipica ( art. 610 c.p.) che consiste nel fatto di colui che, ”con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”. Scopo della norma in parola è la necessità di tutelare quella possibilità di determinarsi spontaneamente, secondo motivi propri, che rappresenta uno degli aspetti essenziali della libertà personale e che generalmente è detta libertà morale.

L'elemento oggettivo della condotta è rinvenibile in una violenza o minaccia che abbiano l'effetto di costringere qualcuno a fare o non fare una cosa, e per il codice il costringimento ne rappresenta l'elemento essenziale nonché la consumazione vera e propria che genera la lesione. Il fatto deve essere illegittimo, salvo cause di giustificazione, mentre l'elemento soggettivo consiste nella coscienza e volontà di usare violenza/minaccia.

Ad esempio, anche in ambito di trattamenti sanitari, «Integra il reato di violenza privata la condotta dell'infermiere il quale sottoponga a trattamento terapeutico un paziente che in relazione ad esso abbia, invece, manifestato un libero e consapevole rifiuto, non potendosi ritenere applicabili, in tale ipotesi, neppure le scriminanti dell'adempimento di un dovere o dello stato di necessità, condizioni esimenti che cedono il passo rispetto al diritto all'inviolabilità della libertà personale, intesa anche come libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica (fattispecie in cui l'operatore sanitario, in presenza di espresso e consapevole rifiuto all'apposizione di catetere, procedeva egualmente all'intervento sanitario nei confronti del paziente in ricovero, ricorrendo a violenza fisica per vincere la sua opposizione, picchiandolo sulle mani ed immobilizzandolo)» (cfr. Cass. pen. n. 38914/15).

Per una più completa trattazione dell'argomento, si rinvia alla formula sui danni da violenza privata.

2) la violenza o minaccia per costringere a commettere un reato (611 c.p.);

3) Stato di incapacità procurato mediante violenza ( art. 613 c.p.).

 

Perquisizione ed ispezioni personali arbitrarie ( art. 609 c.p.)

Viene, altresì, punito ( art. 609 c.p.) il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, esegue una perquisizione o una ispezione personale.

In tal caso è essenziale per la configurazione del reato che il pubblico ufficiale agisca abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, per incompetenza assoluta o per inosservanza di quanto prescritto dalla legge, come nelle perquisizioni personali eseguite ex 352 c.p.p., che consistono nel sottoporre il sottoposto (paziente, detenuto) a investigazioni sul corpo e nella sfera di custodia del corpo stesso al fine di accertare se vi si nascondano determinati oggetti ed impossessarsene.

L'ispezione personale può essere, invece, eseguita per compiere sulla persona dati rilievi (accertare la presenza di una cicatrice). Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui il pubblico ufficiale inizia la perquisizione o l'ispezione, ovvero costringe o induce la persona ad obbedirgli.

Come nelle tre figure incriminatrici precedenti, il dolo è escluso se l'agente non ha la consapevolezza di abusare dei poteri inerenti alle proprie funzioni.

 

Altre ipotesi contemplate nel Codice Penale. Rinvio alle formule “Danni da reati sessuali ex art. 609-bis e ss. c.p.

Il Codice prevede ancora altre diverse tipologie di reato che ledono la libertà personale, a partire dall' art. 605 c.p. (sequestro, purché sia una privazione di libertà di durata apprezzabile e non minima) e dai 609 e s.s. attinenti i cd. delitti sessuali.

A completare il quadro, l'arresto illegale (606 c.p. l'indebita limitazione della libertà personale (607 c.p.), l'abuso di autorità contro arrestati e detenuti (608 c.p.) e le perquisizioni e ispezioni arbitrarie (609 c.p.).

 

Le misure di custodia cautelare

Un aspetto su cui tanto si discute in dottrina e giurisprudenza attiene ai limiti massimi della carcerazione preventiva (quarto comma dell' art. 13 Cost.), che benché regolata dalla Carta Fondamentale, ha visto più volte il nostro Paese condannato al risarcimento dei danni per le vittime di questo tipo di violazione, prevista non solo nel nostro ordinamento ma anche nella Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

Spesso la carcerazione preventiva si trasforma, infatti, visti i tempi allungati con ulteriore limitazione della libertà personale, in anticipazione della pena che, una volta dimostratasi ingiusta dopo assoluzione, merita adeguato ristoro in sede risarcitoria.

Sulla tematica si rinvia alla formula sull'ingiusta detenzione.

 

Le misure concesse e quelle non concesse

A lungo si è dibattuto anche su quali fossero i confini di valicabilità della libertà personale.

Una pronuncia, datata, della Corte Costituzionale (n. 30/1962), a proposito di costrizioni non lesive in quanto lievi e momentanee, ha individuato ad esempio nei prelievi di sangue o indagini su parti del corpo non esposte alla vista, o nell'assunzione delle impronte digitali o rilievi fotografici, elementi di invasione “non lesiva” della libertà personale.

Sono invece considerate lesive alcune azioni che non prevedono coercizione fisica, come il c.d. soggiorno cautelare, misura di prevenzione che può applicarsi a chi è ritenuto prossimo a commettere reati di mafia ( Corte cost. n. 419/1994) o l'obbligo di comparire in ufficio di polizia, che può imporsi a tifosi protagonisti di episodi di violenza sportiva ( Corte cost. n. 143/1996 e Corte cost. n. 144/1997).

 

Libertà personale e misure di prevenzione

Le misure di prevenzione, adottate in virtù anche di soli indizi o sospetto che un determinato reato possa essere commesso in futuro, si distinguono in misure cautelari (domiciliari, carcerazione preventiva), adottate dopo un reato commesso ma nel corso delle indagini o del procedimento giudiziario, e misure di sicurezza (libertà vigilata) che vengono emesse solo dopo la condanna, per punire ulteriormente il soggetto ritenuto altamente pericoloso. Oggi, proprio nell'ottica di limitare al massimo l'utilizzo delle misure di prevenzione, è stato notevolmente limitato il novero di soggetti passibili di esservi sottomessi ( l. n. 327/1988).

 

Le eccezioni

Quanto ai casi eccezionali, previsti dal comma 3 dell'articolo 13, si fa riferimento a ipotesi tassativamente contemplate nel Codice di Procedura Penale, in particolare dagli artt. 379 e ss. in cui si fa riferimento al cd. arresto in flagranza quando il soggetto viene colto nel momento di commettere un reato particolarmente grave, o al cd. fermo del soggetto sospettato di un delitto. Anche qui però, dopo 48 ore l'autorità giudiziaria deve convalidare i suddetti provvedimenti, altrimenti revocati e privi di ogni effetto. (cfr. Corte cost. n. 515/1990).

 

I trattamenti contro il senso dell'umanità e la rieducazione del condannato

Alla Corte Costituzionale è conferito il potere, cruciale, di sindacare eventuali scelte di politica criminale che il legislatore può compiere in conflitto con l' art. 27 comma 3 Cost., strettamente collegato all'art. 13, quando queste sono contrarie al senso dell'umanità non perseguano fini prettamente rieducativi.

In particolare, la sanzione detentiva non può, sulla scorta di quanto detto finora, comportare una totale ed assoluta privazione della libertà della persona, in quanto può rappresentarne una limitazione, ma non una totale soppressione.

Chi si trova in stato di detenzione, anche se privato della maggior parte delle libertà concesse normalmente, ne conserva pur sempre un residuo, “tanto più prezioso in quanto costituisce l'ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale ( Corte cost. n. 349/1993).

Di recente proprio a proposito delle violazioni della libertà personale risarcibili civilisticamente, la Suprema Corte di Cassazione Penale ha chiarito che “La ricognizione dello stato attuale della pertinente normativa deve far escludere che alla Magistratura di Sorveglianza sia attribuita la competenza a pronunciare su domande di carattere risarcitorio pur derivanti da pretese violazioni di diritti soggettivi di detenuti, anche se connessi allo stesso stato di detenzione ( Cass. pen., I, n. 20488/2015), spettando la competenza al Giudice Ordinario Civile.

Le attribuzioni al giudice penale di competenze in materia risarcitoria si pongono come eccezioni a tale generale ripartizione e, come tali, devono essere specificamente previste dalla normativa; a titolo esemplificativo il giudice penale è chiamato a pronunciarsi sulla domanda risarcitoria del danneggiato da un reato costituito parte civile ( art. 74 c.p.p.) o su quella per ingiusta detenzione ( art. 314 c.p.p.) od anche per riparazione dell'errore giudiziario ( art. 643 c.p.p.) mentre “Il giudice ordinario è dotato del potere di sindacare la legittimità dell’atto amministrativo incidente sulla libertà della persona ed è quindi competente a decidere sul risarcimento del danno cagionato dall’eventuale illegittimità” (cfr. Trib. Bari  I, 10 agosto 2017, n. 4089 in un caso di presunta violazione del diritto alla libertà personale commesso in un centro di accoglienza di immigrati ).

Una tale attribuzione specifica non si riscontra nelle leggi in materia penitenziaria il cui dato normativo non prevede alcuna attribuzione di competenza alla Magistratura di Sorveglianza della materia risarcitoria o indennitaria, anche qualora tale richiesta derivi da aspetti dell'ambito penitenziario o carcerario.

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