Atto di citazione per risarcimento del danno da lesione alla libertà sessuale. Limiti e modalità risarcitorieInquadramentoLa previsione punitiva delle violazione al diritto alla sessualità è stata inserita nel codice penale dalla l. 15 febbraio 1996, n. 66 , con la finalità di tutelare la libertà sessuale “non più come attinente alla moralità pubblica e al buon costume, bensì alla persona umana e alla sua libertà personale”. Recita, infatti, l'art. 609 bis c.p.: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.” Dal punto di vista penalistico (si veda sul punto la formula “Atto di citazione per il risarcimento del danno da reati sessuali ex art. 609 bis e ss. c.p.”) per la configurabilità dell'illecito deve aversi riguardo “alle modalità esecutive e alle circostanze dell'azione mediante una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche in considerazione dell'età, dell'entità della lesione allalibertàsessualee del danno arrecato anche sotto il profilo psichico. In particolare, non è sufficiente la mancanza di congiunzione carnale tra il soggetto agente e la vittima, essendo piuttosto necessario verificare che vi sia stata una minima compromissione della libertà sessuale di quest'ultima” (Trib. Firenze, 7 febbraio 2017, n. 134). Il diritto alla libertà sessuale è inquadrato, anche in un orientamento costituzionale, nell'ambito dei diritti soggettivi e degli interessi personali tutelati dall'art. 2 Cost., divenendo espressione del diritto di autodeterminazione annoverato tra i diritti inviolabili della persona umana. La libertà sessuale, dal punto di vista più propriamente civilistico, si configura, allora, non solo come un diritto inviolabile dell'uomo che viene in rilievo in quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia (art. 2 Cost.), bensì anche come diritto strumentale, che consente, cioè, la realizzazione di altri diritti costituzionalmente garantiti (Cass. I, n. 6607/1986). Con l'atto di citazione in commento, è richiesto il risarcimento del danno non patrimoniale, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., a favore del convivente more uxorio di una persona che ha riportato lesioni all'apparato sessuale per malpractice medica. Sebbene non abbia subito direttamente un pregiudizio alla propria libertà sessuale, il convivente è leso nella propria integrità fisica, in conseguenza della impossibilità o difficoltà di intrattenere rapporti sessuali con il partner. Il diritto alla vita sessuale, infatti, assurge al rango di posizione giuridica costituzionalmente tutelata non solo all'interno del rapporto coniugale ma anche nel caso di convivenza stabile assumendo, dunque, il diritto del partner valore autonomo e meritevole di tutela. FormulaTRIBUNALE CIVILE DI.... [1] ATTO DI CITAZIONE Per il Sig. .... nato a .... il .... residente in .... alla via .... n. .... [2], C.F. .... elettivamente domiciliato in .... alla via .... n. .... presso lo studio dell'Avv. .... [3], C.F. .... [4] che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce del presente atto, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni al n. di fax .... [5] o all'indirizzo di posta elettronica ....@.... [6] espone quanto segue FATTO [7] In data ..../..../.... la Sig. .... veniva sottoposta a un delicato intervento chirurgico di .... al proprio apparato genitale, presso l'Ospedale .... di ..... A seguito dell'intervento le venivano diagnosticate ..... Al fine di riparare tali lesioni, in data ..../..../.... la stessa veniva sottoposta ad altri, più invasivi, interventi di .... come da documentazione medica versata in atti (doc. 1). Tali interventi, tuttavia, non avevano successo, in quanto la Sig. .... riportava postumi parzialmente invalidanti. In ragione di tali circostanze, il Sig. .... vedeva completamente svilita la propria libertà sessuale e quindi, non potendo intrattenere rapporti con la propria compagna, subiva un grave danno esistenziale. In data ..../..../.... l'istante, a mezzo del procuratore costituito, depositava presso l'organismo di mediazione territorialmente competente istanza di mediazione, ma il tentativo di conciliazione non andava a buon fine (doc. 2). DIRITTO 1) Sul danno da lesione della liberta' sessuale Secondo la giurisprudenza “Va affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale alla libertà sessuale subito dal convivente more uxorio di persona che aveva riportato lesioni all'apparato sessuale per malpractice medica. Ciò in quantoil diritto alla vita sessuale assurge al rango di posizione giuridica costituzionalmente tutelata all'interno del rapporto coniugale” [8]. Il bene giuridicamente protetto, pertanto, è lalibertà sessuale dell'individuo [9], in quanto la sessualità “è uno degliessenziali modi di espressione della persona umana”. Riconosciuto ilfondamento costituzionale del diritto alla libertà sessuale, non si può dubitare che la lesione di esso integri un danno di carattere non patrimoniale meritevole di risarcimento secondo le coordinate ermeneutiche dettate dalle S.U. del 2008 [10]. E invero, l'attività sessualecostituisce “indispensabilecomplemento e piena manifestazione del legame affettivo” tra i coniugi e, quindi, la sua significativa riduzione “determina un generalepeggioramento della vita di coppia”. Ne deriva che subisce un pregiudizio alla propria libertà sessuale anche il coniuge che non è stato direttamente leso nella propria integrità fisica, in conseguenza della impossibilità o difficoltà di intrattenere rapporti sessuali con il partner. I diritti dei partner, infatti, sono tra loro interdipendenti. Il diritto alla vita sessuale assurge, inoltre, a rango di diritto costituzionalmente tutelato anche all'interno del rapporto di convivenza more uxorio, in linea con quanto sostenuto della giurisprudenza in tema di rapporto di convivenza more uxorio. La giurisprudenza, infatti, ha sostenuto che “L'intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità ed indisponibilità, non può non riflettersi - come pure chiarito dalla sentenza n. 9801 del 2005 - sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro, pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva della costituzione di tale vincolo, un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà” [11]. Nel caso di specie non vi è dubbio che i danni causati alla Sig.ra .... siano stati provocati dall'intervento chirurgico e debbano ascriversi a negligenza o imperizia degli operanti (come da consulenza tecnica di parte versata in atti, doc. 3). In conseguenza di tale condotta medica, anche l'istante ha subito ingenti danni alla propria sfera sessuale, per essere stato costretto a rinunciare ai rapporti sessuali con la compagna per lungo tempo, per paura di procurare ulteriori danni fisici alla stessa. Per quanto concerne l'importo del danno esso deve essere liquidato in maniera equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c., tenendo conto che l'astensione dai rapporti sessuali si è protratta per il periodo di ..... Pertanto, il Sig. .... dovrà essere risarcito di tutti i danni non patrimoniali subiti e subendi in conseguenza dei fatti esposti, in misura non inferiore a Euro .... ovvero della diversa misura che risulterà determinata in corso di causa, oltre rivalutazione monetaria ed interessi di legge sulla somma rivalutata. Tutto ciò premesso e ritenuto, il Sig. .... come sopra rappresentato e difeso, CITA il dr. .... residente in .... alla via ...., n. .... nonché l'Ospedale .... nella persona del proprio rapp.te legale p.t., a comparire dinanzi al Tribunale di Civile di .... nella nota sede, Sez. e Giudice designandi, all'udienza che ivi sarà tenuta il giorno .... ore di rito, con l'invito a costituirsi, ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c, nel termine di 20 giorni prima dell'udienza indicata nel presente atto oppure di quella fissata, ai sensi dell'art. 168 bis, ultimo comma, c.p.c. dal Giudice designato, con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui all'art. 167 e 38 c.p.c. e, inoltre, con avviso che in caso di mancata costituzione si procederà in sua contumacia per ivi sentir accogliere le seguenti CONCLUSIONI Voglia l'On.le Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza, condannare i predetti, anche in solido tra loro, a risarcire al Sig. .... i danni dal medesimo subiti e subendi in relazione ai fatti per cui è causa, nella misura di Euro .... ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta equa. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio. IN VIA ISTRUTTORIA Chiede ammettersi prova testimoniale sui capitoli di seguito indicati, indicando quali testi i Sig.ri. ....: vero che il Sig. .... confidava al Sig. .... di aver dovuto interrompere i rapporti sessuali con la compagna in seguito all'intervento da essa subito dal .... al ....; Chiede ammettersi interrogatorio formale del convenuto sulle medesime circostanze di cui alla prova testimoniale. Si offrono in comunicazione, mediante deposito, i seguenti documenti: 1) Documentazione medica; 2) verbale negativo di mediazione; 3) consulenza tecnica di parte del Dott. ....; Ai sensi della Legge n. 488 del 23 dicembre 99 e successive modifiche, dichiarano che il valore della presente domanda è di valore indeterminato. Luogo e data .... Firma Avv. .... MANDATO Delego l'Avv. ....a rappresentarmi e difendermi in ogni fase e grado del presente giudizio compresa quella di esecuzione degli emanandi provvedimenti. Conferisco al suindicato procuratore ogni facoltà di legge, compresa quella di transigere, rinunciare agli atti, farsi sostituire. Presa visione della Informativa al trattamento dati personali, definita in conformità al d.lgs. n. 196/2003, autorizzo al trattamento dei miei dati personali, nell'ambito dell'incarico professionale conferito. Eleggo domicilio in.... Via.... presso lo studio dell'Avv. .... Luogo e data .... Sig. .... E' autentica Firma Avv. .... [1] Il foro stabilito dall'art. 20 c.p.c., per le cause relative a diritti di obbligazione concorre con i fori generali di cui agli art. 18 e 19 c.p.c. e l'attore può liberamente scegliere di adire uno dei due fori generali, oppure il foro facoltativo dell'art. 20 c.p.c. La norma - infatti - stabilisce che per le cause relative a diritti di obbligazione (tra le quali rientrano anche le obbligazioni scaturenti da responsabilità extracontrattuale) è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi la obbligazione. In particolare, in tema di obbligazioni nascenti da fatto illecito, l'azione di risarcimento sorge nel luogo in cui l'agente ha posto in essere l'azione produttiva del danno (forum commissi delicti) e in relazione a tale luogo deve essere determinata la competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (Cass. II, n. 13223/2014). [2] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111). [3] L'elezione di domicilio nel Comune in cui ha sede il Tribunale adito è obbligatoria: essa individua il luogo legale ove effettuare le comunicazioni e notificazioni inerenti al processo: artt. 165 e 170 c.p.c. [4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione sopra citata. [5] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione citata sub nota 2. Ai sensi dell'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». [6] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45 bis d.l. 90/2014 conv., con modif., dalla legge n. 114/2014. [7] L'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragione della domanda dell'attore rappresenta un elemento essenziale della citazione. L'indicazione della causa petendi, e cioè del titolo della domanda, è richiesto dall'art. 163 comma 3, n. 4 c.p.c. Tuttavia solo la mancanza dell'indicazione dei fatti posti a fondamento della domanda produce la nullità della citazione a norma dell'art. 164, comma 4, c.p.c. [8] Cfr. Trib. Verona III, 26 settembre 2013. [9] Cfr. Trib. Napoli, n. 3996/2007. [10] Cfr. nn.26972, 26973, 26974 e 26975 dell'11 novembre 2008. [11] Cfr. Cass. n. 15481/2013. CommentoTutela costituzionale Il diritto alla sessualità, secondo l'inquadramento appena fatto, “costituisce uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, da inquadrarsi tra i diritti inviolabili della persona umana”, la cui violazione, con riferimento alla violenza carnale, “costituisce la più grave violazione del fondamentale diritto alla libertà sessuale” (Corte cost. n. 561/1987). Tale modalità di lettura della disposizione sui diritti inviolabili dell'uomo appare di immediata evidenza nel caso del diritto all'identità e alla libertà sessuale, visto che il diritto di disporre liberamente della propria sessualità, rappresenta un diritto soggettivo inviolabile ed assoluto che necessariamente “andrà inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. intende tutelare” (Corte cost. n. 184/1986). Esso non può trovare limitazione o attenuazione a fronte di diversità culturali, di tradizioni o religione : “Quando oggetto di giudizio sono reati che ledono i diritti fondamentali dell'uomo (quali l'integrità fisica, la libertà sessuale: nella specie, l'imputato era stato chiamato a rispondere - tra l'altro - dei reati di cui agli art. 572 e 609-bis c.p.), non v'è ingresso, nel sistema penale, alla valutazione delle diversità culturali quali limiti al fatto di rilevanza penale nell'ordinamento giuridico. Infatti, nessun sistema penale potrà mai abdicare, in ragione del rispetto di tradizioni culturali, religiose o sociali del cittadino o dello straniero, alla punizione di fatti che colpiscano o mettano in pericolo beni di maggiore rilevanza (quali i diritti inviolabili dell'uomo garantiti e i beni a essi collegati tutelati dalle fattispecie penali), che costituiscono uno sbarramento invalicabile contro l'introduzione, di diritto e di fatto, nella società civile, di consuetudini, prassi, costumi che tali diritti inviolabili della persona, cittadino o straniero, pongano in pericolo o danneggino” (Cass. Pen. III, n. 7590/2019). Come chiarito in più occasioni proprio dalla Suprema Corte delle leggi, il diritto alla sessualità in generale «si sostanzia in una posizione soggettiva tutelata dalla Costituzione”, dovendosi, in particolare, qualificare “il diritto reciproco di ciascun coniuge ai rapporti sessuali con l'altro coniuge come un diritto inerente alla persona, che ha per contenuto un modo di essere, un aspetto dello svolgimento della persona del coniuge nell'ambito della famiglia” (cfr. Cass. I, n. 9801/2005 in un caso in cui la Corte si trovò a discettare del risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito da un coniuge a causa della condotta illecita dell'altro coniuge il quale, in spregio ai doveri di correttezza e lealtà, aveva taciuta la propria incapacità coeundi). La violazione di tale diritto non solo ad opera di terzi, bensì anche da parte di un coniuge e costituisce, pertanto, una lesione “della persona umana intesa nella sua totalità, nella sua libertà-dignità, nella sua autonoma determinazione al matrimonio, nelle sue aspettative di armonica vita sessuale, nei suoi progetti di maternità, nella sua fiducia in una vita coniugale fondata sulla comunità, sulla solidarietà e sulla piena esplicazione delle proprie potenzialità nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela risiede negli art. 2, 3, 29 e 30 Cost.” ( cfr. Corte cost. n. 561/1987 dove la Corte qualifica «la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana [...] che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire»). Nella medesima direzione, ma con riferimento al terzo danneggiante, il giudice di legittimità già si era espresso nella nota sentenza dell'11 novembre 1986 n. 6607, la quale, nell'esaminare il comportamento colposo o doloso del terzo che cagiona ad una persona coniugata l'impossibilità ad avere rapporti sessuali con l'altro coniuge (nella specie, si trattava di un'operazione chirurgica che aveva provocato alla moglie una necrosi completa della mucosa vaginale), sancì il diritto al risarcimento del danno esistenziale in capo al marito per la lesione del suo diritto ad avere rapporti sessuali con l'altro coniuge. In particolare, vista «la coesistenza parallela dei due uguali e reciproci diritti, dell'uno e dell'altro coniuge, ai rapporti sessuali tra loro, stante il reciproco condizionamento, essendo l'esistenza dell'un diritto condizione per l'esistenza dell'altro diritto uguale e reciproco, il fatto del terzo che lede, sopprimendolo, il diritto di uno dei coniugi, cagionando a questi l'impossibilità del rapporto sessuale, è anche lesivo, contemporaneamente e direttamente, dell'uguale reciproco diritto dell'altro coniuge». Da ultimo, e sotto altro aspetto, la tutela dell'autodeterminazione dell'individuo anche nella sfera sessuale ha condotto, addirittura, la Corte Costituzionale – chiamata a valutare la legittimità costituzionale della legge in materia di rettificazione di attribuzione di sesso n. 164 del 1982 - a dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la legge n. 848 del 1955, sulla scorta dell'affermazione per cui “La mancanza di un preciso riferimento testuale alle modalità con cui addivenire ad una variazione dei caratteri sessuali primari implichi la necessità di un trattamento chirurgico, che è soltanto una delle tecniche potenzialmente usufruibili. Spetta esclusivamente al singolo individuo scegliere le modalità attraverso cui porre in essere il proprio percorso di transizione, essendo la scelta di modificare chirurgicamente i propri caratteri sessuali l'esito di un processo di autodeterminazione” ( cfr. Corte cost. n. 221/2015; vedi anche: Corte cost. n. 214/2016; Corte cost. n. 169/2016; Corte cost. n. 219/2016; Corte cost. n. 76/2016 nonché Corte cost. n. 180/2017, per cui “La rettificazione di attribuzione di sesso non è condizionata dal requisito dell'intervento chirurgico. Va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, l. n. 164/1982 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 117, comma 10, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; l'interpretazione costituzionalmente conforme della legge citata consente di escludere che la rettificazione di attribuzione di sesso sia condizionata dal requisito dell'intervento chirurgico di normoconformazione. E tuttavia ciò non esclude affatto, ma anzi avvalora, la necessità di un accertamento rigoroso, non solo della serietà e univocità dell'intento, ma anche dell'intervenuta oggettiva transizione dell'identità di genere). Bene giuridico tutelato. Le unioni di fatto Il bene giuridicamente protetto dalla norma in esame “è la libertà sessuale dell'individuo” nelle sue diverse eccezioni (Trib. Napoli n. 3996/2007) e non solo il “diritto reciproco di ciascun coniuge ai rapporti sessuali con l'altro coniuge” (come statuito dalla pronuncia della Cass. I. n. 8976/2006). La violazione del diritto alla vita sessuale quale diritto costituzionalmente tutelato, pone rilievo alla sussistenza di un danno non patrimoniale ai sensi dell' art. 2059 c.c.; (Cass. S.U. n. 26972/2008; Cass. S.U., n. 26973/2008; Cass. S.U., n. 26974/2008; Cass. S.U., n. 26975/2008). La Suprema Corte, con la pronuncia Cass. n. 15481/2013 ha statuito che “il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, così come da parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all'interno di un contesto familiare”. Non solo, però, non può, logicamente, assimilarsi ad un rapporto contrattuale un rapporto sessuale tra due persone ad esso consenzienti (e tra l'altro, pacificamente, non riconducibile ad alcuna attività di prostituzione), ed inserire in esso l'obbligo di ciascuno di informare l'altro del suo stato di fertilità o meno, ma altresì, se una persona fornisce ad un'altra, con cui intende compiere un atto sessuale completo, una informazione non corrispondente al vero in ordine al suo attuale stato di fertilità o infertilità, a tacer d'altro, in concreto nulla ne può derivare in termini risarcitori (Cass. III, n. 10906/2017). Sul punto si evidenzia che “la violazione dei diritti fondamentali della persona è, altresì, configurabile, alle condizioni descritte, all'interno di una unione di fatto, che abbia, beninteso, caratteristiche di serietà e stabilità, avuto riguardo alla irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti, riconosciuti, ai sensi dell'art. 2 Cost., in tutte le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell'individuo” (Cass., n. 4184/2012). Dunque, la libertà sessuale non solo trova fondamento in diverse parti dell'ordinamento, ma la sua lesione, integra un danno di carattere non patrimoniale. L'autore dell'illecito e la responsabilità per il fatto del dipendente La condotta di violazione dell'altrui libertà sessuale può derivare anche dalla condotta di un dipendente agevolato dallo svolgimento delle proprie mansioni lavorative. Invero, “In tema di fatto illecito, la responsabilità dei padroni e committenti per il fatto del dipendente ex art. 2049 c.c. non richiede che tra le mansioni affidate all'autore dell'illecito e l'evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che le incombenze assegnate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo. (Nella specie, la S.C. ha ravvisato responsabilità dell'azienda ospedaliera per i danni provocati da un medico autore di violenza sessuale in danno di paziente, perpetrata in ospedale e in orario di lavoro, nell'adempimento di mansioni di anestesista, narcotizzando la vittima in vista di un intervento chirurgico”( Cass. III, 22 settembre 2017, n. 22058 ). Risarcimento del danno Sulla scorta dei numerosi precedenti citati, e condividendo la riferibilità costituzionale della libertà ed integrità della vita sessuale (in particolare coniugale) non può, allora, che affermarsi l'esistenza in linea di principio della risarcibilità del danno non patrimoniale da mancata prestazione sessuale tra coniugi - oltre l'ipotesi dell'inadempimento contrattuale in caso di danno provocati nell'ambito di un rapporto contrattuale - o da mancata osservanza dei doveri di correttezza e lealtà tra coniugi medesimi e fissarsi il principio secondo cui, anche in caso di comportamento extracontrattuale dannoso, colui il quale abbia procurata l'impossibilità per un coniuge di avere rapporti sessuali con l'altro, è tenuto a risarcire l'altro coniuge per il danno arrecato alla sua libertà sessuale Il giudice è, pertanto, tenuto alla liquidazione del danno (tabellare o equitativa) procedendo ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, “valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”, ciò valendo anche per il fatto illecito che integri il reato di cui all'art. 609 bis e ss. c.p., o comunque, per la lesione del diritto all'autodeterminazione sessuale. Da ultimo sull’effettività della tutela risarcitoria è intervenuta anche la Corte di Giustizia Europea affermando che "Un indennizzo forfettario concesso alle vittime di violenza sessuale sulla base di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non può essere qualificato come "equo ed adeguato", ai sensi di tale disposizione, qualora sia fissato senza tenere conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime, e non rappresenti quindi un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito". Questo è quanto affermato dalla Grande sezione della Corte di giustizia dell'unione europea che, fermo restando l'obbligo per gli Stati membri di riconoscere un indennizzo a tutte le vittime di reati intenzionali violenti (pena la responsabilità extracontrattuale dello Stato membro per mancata trasposizione in tempo utile della direttiva 2004/80), sottolineano che questo deve essere effettivo e non meramente simbolico, anche se non corrisponde al ristoro integrale del danno” (Corte giustizia UE, grande sezione, 16 luglio 2020, n. 129). Ora, quanto ai limiti della risarcibilità del danno, nel richiamo dei principi della Carta di Nizza, un'interessante pronuncia della Corte di Cassazione n. 1361/2014, partendo dall'art. 1 che recita: "La dignità umana è inviolabile", ha statuito che “un danno non patrimoniale è risarcibile solo se si da la prova che il fatto illecito abbia (direttamente) leso il bene giuridico protetto, ovvero la dignità della vittima”. Ancora sul punto, il Tribunale di Milano con sentenza del 17 dicembre 2004, ha affermato che il danno non patrimoniale “può consistere in aspetti di sofferenza soggettiva e cioè un patema d'animo interiore (prima definito danno morale transeunte) e/o in aspetti relazionali e cioè nell'alterazione delle condizioni di vita della vittima (primaria o secondaria) o, se si preferisce, nei pregiudizi esistenziali. Solamente nell'ipotesi di lesione del bene salute (danno biologico, quale species del danno non patrimoniale) è risarcito, altresì, il pregiudizio degli aspetti anatomo-funzionali della vittima”. Da ultimo la Corte di Cassazione ha definitivamente e limpidamente ammesso, sul tema propriamente in commento, che “È risarcibile il danno non patrimoniale, di tipo esistenziale, patito dalla vittima di un grave sinistro stradale e conseguente all'impossibilità di realizzare la propria persona sul piano sessuale, di realizzarsi attraverso la formazione di un nucleo familiare con figli,.... Ove infatti tali pregiudizi, scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, non siano stati già oggetto di apprezzamento e di liquidazione da parte del giudice del merito, essi dovranno certamente essere valutati e debitamente ristorati, pur restando inammissibile nel nostro ordinamento una autonoma categoria di "danno esistenziale" in ciò confermando un orientamento già precedente per cui ““Sussiste la responsabilità professionale del medico per l'intervento chirurgico eseguito dallo stesso a seguito del quale è subentrata una patologia con conseguente compromissione dell'integrità psico-fisica del paziente (fattispecie relativa al risarcimento di una coppia per danno alla vita sessuale derivante da un intervento chirurgico svolto con imperizia)” (Cass. III, n. 19092/2009). In sintesi, è possibile affermare che “La perdita o la compromissione anche soltanto psichica della sessualità costituisce di per sé un danno, risarcibile a titolo di danno biologico, la cui rilevanza deve essere apprezzata e globalmente valutata in via equitativa (nella specie, la Corte ha cassato la decisione dei giudici del merito, che avevano escluso ogni risarcimento per le sofferenze psichiche sopportate dalla paziente che, in seguito ad un errato intervento chirurgico, aveva visto alterata la sua vita sessuale)” (Cass. III, n. 13547/2009). Da ultimo è stato puntualizzato, ad esclusione della pretesa risarcitoria di un uomo che si riteneva leso nella sua libertà sessuale da una partner con la quale aveva concepito un figlio non desiderato per ingannevole informazione sulle precauzioni assunte, che “Non solo non può, logicamente, assimilarsi ad un rapporto contrattuale un rapporto sessuale tra due persone ad esso consenzienti (e tra l'altro, pacificamente, non riconducibile ad alcuna attività di prostituzione), ed inserire in esso l'obbligo di ciascuno di informare l'altro del suo stato di fertilità o meno, ma altresì, se una persona fornisce ad un'altra, con cui intende compiere un atto sessuale completo, una informazione non corrispondente al vero in ordine al suo attuale stato di fertilità o infertilità, a tacer d'altro, in concreto nulla ne può derivare in termini risarcitori” ( Cass. III, n. 10906/2017). In tema di quantum risarcitorio, il Tribunale di Milano, in recente pronuncia ha affermato che il danno biologico va liquidato oltre i limiti tabellari, senza che ciò esaurisca il pregiudizio da risarcire alla vittima; “a parità di percentuale di invalidità, temporanea e/o definitiva, le compromissioni patite dalla vittima di reato doloso – commesso tramite violenza su persona minore – rivestono maggior intensità rispetto a quelle subite dalla vittima di sinistri stradali, reati colposi o altri atti/fatti privi di rilevanza penale: per cui risulta equa una personalizzazione del danno biologico in termini doppi rispetto alla percentuale massima prevista dalla Tabella milanese. A fronte di un illecito plurioffensivo, quale il reato di violenza sessuale, il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione del bene-salute non esaurisce i pregiudizi non patrimoniali, dovendosi procedere all'autonoma e separata liquidazione del danno derivante dalla lesione del diritto all'autodeterminazione sessuale“, Tribunale Milano sez. X, 11/08/2021, n.6963. Risarcibilità iure proprio dei genitori in caso di reato sessuale subito da un minore E' riconosciuta la risarcibilità del danno non patrimoniale patito dai genitori della persona offesa, proprio in materia di atti sessuali con minore o di violenza sessuale sia dalla giurisprudenza di merito (Trib. Milano, 9 giugno 2005), che dalla Suprema Corte, secondo la quale “Ai prossimi congiunti della vittima di un reato (nella specie abuso sessuale su minore) spetta iure proprio il diritto al risarcimento del danno, avuto riguardo al rapporto affettivo che lega il prossimo congiunto alla vittima, non essendo ostativi ai fini del riconoscimento di tale diritto né il disposto dell'art. 1223 del codice civile né quello di cui all'art. 185 del codice penale, in quanto anche tale danno trova causa diretta e immediata nel fatto illecito” (Cass. I, n. 38952/2007). Peraltro, in tale pronuncia, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che nel caso di reati sessuali, anche l'interesse dei genitori ha rilevanza costituzionale visto che “l'attribuzione di tale legittimazione iure proprio si fonda anche e soprattutto sul riconoscimento dei "diritti della famiglia" previsto dall'art. 29 Cost., comma 1, il quale riconoscimento, come statuito da questa Cass. III, n. 8827/2003, deve essere inteso non già restrittivamente, come tutela delle estrinsecazioni della persona nell'ambito esclusivo di quel nucleo, con una proiezione di carattere meramente interno, ma nel più ampio senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell'individuo alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto personale ispira, generando così, non solo doveri reciproci, ma dando luogo anche a gratificazioni e reciproci diritti. Da tale rapporto interpersonale discende che il fatto lesivo commesso in danno di un soggetto esplica i propri effetti anche nell'ambito del rapporto familiare”. In tema di abuso sessuale patito da un minore viene a generarsi anche un danno patito anche dal genitore, “il quale danno può essere di natura patrimoniale, allorché ad esempio i genitori devono sostenere spese per terapie psicologiche a favore della vittima, o di natura non patrimoniale per le apprensioni o dolori causati dall'illecito” (Cass. I, n. 38952/2007). Circa la risarcibilità dei danni subiti da soggetti diversi dalla persona offesa dalla lesione all'autodeterminazione sessuale, è stata riconosciuta la legittimazione a costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali agli enti e o associazioni che erogano servizi rivolti alle vittime di violenza sessuale e ciò “in quanto statutariamente e concretamente impegnate contro la violenza alle donne (Cass. pen. n. 29905/2011) e “alle organizzazioni sindacali rappresentative degli iscritti vittime di violenza sessuale commessa sul luogo di lavoro” (Cass. pen. n. 12738/2008). Risarcimento al convivente more uxorio L'estensione dei diritti dei coniugi alle coppie di fatto, come testimoniata dall'ampliamento della normativa in materia sulle cd. unioni civili, ha trovato la sua conferma anche in materia di violazione dei diritti alla libertà sessuale all'interno della coppia non consacrata da un matrimonio. Invero, come ammesso dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Verona III, 26 settembre 2013) “va affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale alla libertà sessuale subito dal convivente more uxorio di persona che aveva riportato lesioni all'apparato sessuale per malpractice medica”. Il Tribunale di Verona, nel merito ha assunto che "la libertà sessuale è un diritto assoluto e va ricompreso tra le posizioni soggettive tutelate dall'art. 2" della Carta cost. E' un dato di fatto, che l'attività sessuale costituisce piena manifestazione del legame affettivo e la sua significativa riduzione determina un generale peggioramento della vita di coppia". In un rapporto di convivenza more uxorio un'ipotesi di lesione alla libertà sessuale, provoca un danno alla vita di relazione che va riconosciuto e risarcito, legato alla stabilità del rapporto e non al semplice crisma del vincolo matrimoniale. Ora se tale stabilità viene in qualche modo presunta nell'ambito di quest'ultimo ( cfr. Cass. I, n. 9801/2005; Cass. I, n. 15481/2013), nel rapporto di fatto, per trovare tutela, esso deve presentare i caratteri della serietà e della stabilità, con onere sul punto di uno sforzo probatorio da parte dell'istante (cfr, Cass. I, n. 4184/2012)”. Il caso riguardante una coppia di omosessuali che rivendicava la legittimità di un matrimonio celebrato all'estero ha consentito, infatti, di affermare che “Le persone dello stesso sesso conviventi in stabile relazione di fatto sono titolari del diritto alla "vita familiare" ex art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; pertanto, nell'esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente la condizione di coppia, esse possono adire il giudice per rivendicare, in specifiche situazioni correlate ad altri diritti fondamentali, un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”.
Liquidazione del danno Sulle modalità di liquidazione, non potrà che ricorrersi al metodo equitativo ex art. 1226 c.c. individuando quali parametri l'età dei danneggiati diretti o riflessi, e dunque la prevedibilità o meno della finalità della sessualità alla procreazione, e la vivacità della stessa vita sessuale della coppia. Nella liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., dunque, quale lesione del diritto costituzionalmente garantito alla libera esplicazione della propria personalità sessuale, il Giudice è tenuto a considerare e quantificare la lesione ovviamente sulla base di indici quali il rapporto di coniugio ( sintomo di stabilità e anzi fondamento addirittura di un dovere codicistico alla fedeltà ed esclusività nei rapporti fisici) e l'età dei danneggiati ( il marito in via diretta e la moglie in via indiretta), cui è connessa la potenziale frequenza ed esistenza di rapporti sessuali, cui va parametrata la compromissione totale degli stessi ed a valutare come in re ipsa la lesione, senza bisogno di alcuna prova diretta che non possa ricavarsi per presunzione. Sul punto, merita di essere ricordata la pronuncia del Tribunale di Milano del 16 dicembre 2009 che, nella liquidazione di un danno non patrimoniale conseguente alla lesione dell'inviolabile diritto di libertà sessuale, ha affermato che “atteso che la violenza sessuale comporta la lesione di fondamentali valori di libertà e dignità della persona, acquista autonomo rilievo rispetto alle sofferenze ed ai perturbamenti psichici che quella violenza naturalmente comporta”. Pertanto, come anche affermato dalla pronuncia n. 13530/2009 della Suprema Corte “la valutazione unitaria del danno non patrimoniale deve esprimere analiticamente l'iter logico ponderale delle poste (sinteticamente descritte e tipicizzate in relazione agli interessi o beni costituzionali del minore lesi) e non già una apodittica affermazione di procedere ad un criterio arbitrario di equità pura, non controllabile per la sua satisfattività. La posta del danno morale deve essere dunque comparata a quella del danno biologico, e non è detto a priori che il danno morale sia sempre e necessariamente una quota del danno alla salute... perché il danno morale non è soltanto pretium doloris, ma anche la risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana”. Così, in tema di abusi sessuali è stato assunto che “In conseguenza di un fatto costituente reato (abusi sessuali su minore), pur in assenza di allegazione di un danno biologico della vittima, il danno morale soggettivo è risarcibile, a titolo di riparazione dell'illecito, sia in favore del minore quale conseguenza della lesione alla sua libertà sessuale, sia in favore del suo genitore quale conseguenza della lesione alla libera esplicazione del rapporto parentale” (Trib. Genova II, 29 novembre 2010, n. 4093), e con particolare riferimento alle modalità di liquidazione dei danni subiti dal minore, “Il giudice può determinare in via equitativa il danno morale subito dal minore che sia stato vittima di reati sessuali, dovendo prendere in considerazione, ai fini della determinazione, elementi tra cui l'intensità dell'azione, gli effetti proiettati nel tempo ed il turbamento cagionato” Cass. pen. III, n. 10802/2018. . Il risarcimento dei danni può influire sulla determinazione della pena : invero, “Nei reati sessuali, nel caso di somma offerta a titolo di risarcimento del danno alla persona offesa e da questa accettata, il giudice che ritenga tale somma insufficiente al ristoro dell'integrale pregiudizio, e dunque inidonea a dimostrare l'effettivo ravvedimento del colpevole, deve negare la circostanza attenuante prevista dall'art. 62, n. 6, cod. pen., non potendo tuttavia limitarsi ad enunciare, quale elemento ostativo al suo riconoscimento, l'inadeguatezza del risarcimento versato in relazione al danno morale e di relazione patito dalla vittima, ma dovendo invece esprimere una rigorosa valutazione delle specifiche configurazioni assunte dal danno non patrimoniale in relazione alle concrete ripercussioni negative sulla vittima, in relazione alle quali commisurare la liquidazione equitativa”( Cass. pen. III, n. 18483/2017).
La punibilità dei comportamenti omofobi Costituisce violazione della libertà sessuale anche la condotta lesiva della propria identità sessuale, a maggior ragione ove assuma valenza discriminatoria. Occupandosi di un caso di omofobia, la Suprema Corte di Cassazione, di recente ha affermato che “Si attua una condotta gravemente illecita perché discriminatoria ed ingiuriosa nell'ipotesi in cui un giovane di sesso maschile chiamato alla leva militare, che, dichiaratosi omosessuale, sia stato esonerato dal servizio militare di leva e, quindi, a seguito di segnalazione dell'Ospedale militare alla Motorizzazione civile, sia stato sottoposto a procedimento di revisione della patente di guida, restando privo di rilievo, a fronte dell'inviolabilità del diritto alla identità sessuale, che la vicenda sia rimasta confinata in ambiti endo-amministrativi, peraltro vincolati ad una condotta del tutto riservata ed, in ogni caso, non omofobica, pur se per il malaccorto tentativo della Corte territoriale di edulcorare la gravità dei fatti, riconducibili ad aspetti solo amministrativi, non pare revocabile in dubbio che la parte lesa sia stata vittima di un vero e proprio (oltre che intollerabilmente reiterato) comportamento di omofobia, che giustifica il diritto del giovane al risarcimento del danno” (Cass. III, n. 1126/2015). Anche, infatti, l'omosessualità – precisa la Corte - va riconosciuta “come condizione dell'uomo degna di tutela, in conformità ai precetti costituzionali”, da cui discende che la libertà sessuale va “intesa anche come libertà di vivere senza condizionamenti e restrizioni le proprie preferenze sessuali”, in quanto espressione del diritto alla realizzazione della propria personalità, tutelato dall'art. 2 Cost. In caso contrario “rimarrebbero violati i principi generali di libertà (anche sessuale) e di dignità di ogni persona” (Cass. Pen. n. 24513/2006). |