Atto di citazione per risarcimento del danno non patrimoniale per effetto di condotta diffamatoria pluriaggravataInquadramentoLa libertà di stampa si intende come “libertà di servirsi di questa per manifestare e diffondere idee o per narrare fatti. L'oggetto di questa narrazione può essere speculativo, estetico o storico” ( cfr. Cass., n. 3860/1955). Nella nozione di “stampa” di cui alla disposizione predetta vanno ricomprese tutte le riproduzioni grafiche, come i manifesti e i volantini, ottenute con qualsiasi mezzo meccanico, sia esso un ciclostile, una fotocopiatrice o un computer, poiché per la configurabilità del reato è sufficiente che la riproduzione sia destinata alla diffusione ad una indifferenziata cerchia di persone, mentre è del tutto irrilevante lo strumento utilizzato per ottenerla o il numero di copie ottenuto (Trib. Lucca, 30 novembre 2016, n. 2506). La libertà di stampa rientra in quel novero di diritti fondamentali della nostra Costituzione e, più in generale, di tutte le Carte Fondamentali anche sovranazionali. Sull' art. 21 Cost., che nel nostro caso la prevede, la Cassazione si è interrogata in merito ad una sua portata precettiva o programmatica. L'orientamento è oscillato tra il carattere puramente direttivo della norma, che si completerebbe nell'elaborato legislativo che non si esaurisce, comunque, con la legge sulla stampa del 1948 ( secondo alcuni essa uno dei pilastri su cui si regge nel nostro paese dal 1948 la libertà di informazione, tanto che con essa si sarebbe creata la cd. «l'area di tolleranza costituzionalmente imposta dalla libertà di espressione»), e il carattere precettivo della norma sul diritto di libertà di manifestazione del pensiero. La libertà di stampa, e più in generale la libertà di manifestazione del pensiero, garantita costituzionalmente dall' art. 21 Cost., deve però conciliarsi con l'esigenza, che trova altrettanta tutela costituzionale, di rispettare l'utenza cui si rivolge e che essa prende in considerazione, e ciò al fine di evitare la lesione del diritto all'immagine ed al decoro delle persone fisiche e giuridiche. Con l'atto di citazione in commento, è richiesto un risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p., per effetto di una condotta diffamatoria pluriaggravata di cui all' art. 595 c.p. cagionata con il mezzo della stampa, che ha leso l'integrità psicofisica del soggetto offeso, consistente nel grave turbamento e stress psicologico ragionevolmente patiti nel veder compromessa la propria immagine, il proprio onere e la propria reputazione. FormulaTRIBUNALE DI .... [1] ATTO DI CITAZIONE Per il Sig. .... , nato a .... il .... , residente in .... alla via .... n. .... [2], C.F. ...., elettivamente domiciliato in .... alla via .... n. .... presso lo studio dell'Avv. .... [3], C.F. .... [4] che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce del presente atto, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni al n. di fax .... [5] o all'indirizzo di posta elettronica .... @ .... [6] espone quanto segue FATTO [7] In data .... , il quotidiano .... , edito da .... s.p.a. di .... e diretto da .... ha pubblicato un articolo a firma di ....riguardante il Sig. ....(All. 1). L'articolo è stato lanciato in prima pagina a caratteri cubitali con il titolo suggestivo di .... ed è stato poi sviluppato nelle pagine interne del quotidiano, anche qui con grande risalto. Il messaggio diffamatorio che si è voluto diffondere è evidente dal titolo in grassetto presente nella prima pagina: “ .... ”. Alla pagina n. ...., poi, tale messaggio veniva ribadito nel titolo dell'articolo a firma di ....: “ ....”. Da entrambi i titoli è chiara l'intenzione di far credere che il Sig. ....abbia .... L'articolo, poi, riporta la descrizione di fatti assolutamente non rispondenti al vero e artificiosamente ricostruiti al fine di arrecare un danno ingiusto al Sig. ....Invero, nell'articolo si legge che .... La ricostruzione dei suddetti fatti è nel complesso del tutto inveritiera e maliziosamente offerta al lettore in modo da fargli passare per vero ciò che è falso, in maniera volutamente diffamatorio. La prima falsità sta nel fatto che .... Al riguardo basterebbe rilevare che .... Ugualmente falsa, offensiva e diffamatoria è l'altra affermazione secondo la quale il Sig. ....avrebbe .... Anche tale assunto può facilmente essere smentito se si considera che .... Ne deriva, pertanto, che l'istante ha subito, per effetto della diffamazione nei suoi confronti perpetrata dal Sig. .... , un danno morale consistente nel grave turbamento e stress psicologico ragionevolmente patiti nel veder lesa la propria immagine, il proprio onere e la propria reputazione. Ed infatti, come sarà dimostrato nel corso del presente giudizio, a seguito della diffamazione l'istante cominciava a soffrire di insonnia, di frequenti innalzamenti di pressione e di agitazione tipici di una condizione di forte stress psicologico. In data .... l'istante, a mezzo del procuratore costituito, depositava presso l'Organismo di mediazione territorialmente competente istanza di mediazione [8], ma il tentativo di conciliazione non andava a buon fine. DIRITTO 1) Sulla sussistenza dell'illecito diffamatorio Vi è la prova che il giornalista e il Direttore responsabile hanno volutamente e scientemente deciso di raccontare fatti contrari alla realtà allo specifico scopo di denigrare e diffamare. Al giornalista e al Direttore di .... non interessava conoscere i fatti e informare l'opinione pubblica, mediante un articolo che fosse rispettoso dei canoni di verità, pertinenza e continenza. Essi avevano l'evidente scopo esclusivo di denigrare il Sig. .... ledendone l'immagine personale, proseguendo una campagna denigratoria che risale ormai nel tempo. Pertanto, le affermazioni di .... contenute nel richiamato articolo ed i titoli con cui lo stesso veniva segnalato in copertina e nelle pagine interne dal Direttore .... si caratterizzano per la loro faziosità dell'esposizione, nonché per la loro documentata parzialità e falsità intrinseca. In tale prospettiva, le loro condotte integrano la fattispecie astratta del reato di diffamazione di cui all' art. 595 c.p., aggravato ai sensi dei commi 2 e 3 della citata disposizione, sussistendone i requisiti oggettivi e soggettivi. Inoltre, per quanto riguarda la posizione del Direttore responsabile del contenuto degli articoli, sussistono altresì gli estremi del reato di cui all' art. 57 c.p. per omesso controllo colposo. Sotto il profilo oggettivo, infatti, le espressioni contenute nell'articolo, consistenti in false ricostruzioni dei fatti e false accuse, si traducono in una grave offesa all'onore, al decoro, alla reputazione personale e all'immagine del Sig. .... Sotto il profilo soggettivo, inoltre, sussiste il dolo generico sufficiente alla configurabilità della fattispecie criminosa, in quanto sussiste la consapevolezza dell'attitudine offensiva della condotta. Ai fini della valutazione della gravità della condotta tenuta dall'odierno convenuto, il fatto deve ritenersi pluriaggravato, in quanto cagionato con il mezzo stampa, in ragione della particolare consistenza dell'offesa, della rilevanza nazionale del quotidiano, nonché in ragione del fatto che la prima pagina del quotidiano è stata oggetto di comunicazione anche attraverso i maggiori mezzi radiovisivi. Inoltre, la notizia è stata ripresa dalla rete internet, provocando un effetto diffamatorio di carattere permanente, come sarà ampiamente dimostrato con documenti e testimonianze in corso di causa. Né può ritenersi sussistente nel caso di specie l'esimente di cui all' art. 51 c.p., cioè l'esercizio del diritto di critica, per la cui sussistenza, come è noto, è richiesto il requisito della verità della notizia, la continenza, cioè la correttezza dell'esposizione dei fatti, e la pertinenza, cioè la corrispondenza rigorosa tra il fatto accaduto e i fatti narrati. Nel caso di specie, infatti, le dichiarazioni contenute nell'articolo non corrispondono a fatti accaduti e riguardano comunque fatti ricostruiti maliziosamente in danno dell'attore. Tale condotta risulta, quindi, priva dei caratteri di verità e correttezza espositiva, nonché caratterizzata dall'unico intento di aggredire gratuitamente e gravemente la reputazione del Sig. ....- 2) Sul diritto al risarcimento dei danni Alla luce di quanto esposto è evidente che la condotta posta in essere dai convenuti ha cagionato al Sig. .... un danno ingiusto che dovrà essere integralmente risarcito. Sussistendo nella fattispecie concreta gli estremi di reato, come ampiamente illustrato, l'attore ha diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p. Ed infatti, per orientamento costante dalla giurisprudenza di legittimità, è principio informatore della materia risarcitoria che il danno morale derivante da un fatto integrante reato è per ciò solo meritevole di tutela da parte dell'ordinamento [9]. In particolare l'istante, per effetto della diffamazione nei suoi confronti perpetrata dal Sig. .... , ha subito un grave turbamento e stress psicologico ragionevolmente patiti nel veder lesa la propria immagine, il proprio onere e la propria reputazione. Come sarà dimostrato nel corso del presente giudizio, a seguito della diffamazione l'istante cominciava a soffrire di insonnia, di frequenti innalzamenti di pressione e di agitazione tipici di una condizione di forte stress psicologico. Tale danno dovrà essere determinato tenendo conto le condizioni sociali del danneggiato, l'entità del patema d'animo sofferto in relazione al contesto sociale e alla sua professione, l'utile ricavato dalla pubblicazione, l'intensità dell'animus nocendi, la diffusione della pubblicazione e le modalità di esposizione dei fatti. La giurisprudenza pronunciatasi sul punto ha affermato che nella liquidazione del danno esistenziale da lesione della reputazione occorre aver riguardo ai riflessi dell'illecito sulla vita di relazione del danneggiato, alla notorietà della persona offesa ed alla diffusività del mezzo diffamatorio” [10]. Nel caso di specie la pubblicazione è avvenuta su un quotidiano la cui diffusione avviene a livello nazionale, successivamente richiamato in internet e dalle rassegne stampe delle maggiori reti televisive nazionali. Pertanto, la divulgazione di tali dichiarazioni diffamatorie è avvenuta nei confronti di un numero elevatissimo di soggetti. Pertanto, il Sig. .... dovrà essere risarcito di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, morali e all'immagine subiti e subendi in conseguenza dei fatti esposti, in misura non inferiore a Euro .... ovvero della diversa misura che risulterà determinata in corso di causa, oltre rivalutazione monetaria ed interessi di legge sulla somma rivalutata. Tutto ciò premesso e ritenuto, il Sig. ...., come sopra rappresentato e difeso, CITA ...., residente in ...., alla Via ...., n. ...., ...., residente in ...., alla Via ...., n. ...., ....spa, in persona del legale rappresentante p.t., sita in .... a comparire dinanzi al Tribunale di Civile di .... , nella nota sede, Sez. e Giudice designandi, all'udienza che ivi sarà tenuta il giorno .... , ore di rito, con l'invito a costituirsi, ai sensi e nelle forme stabilite dall' art. 166 c.p.c., nel termine di 20 giorni prima dell'udienza indicata nel presente atto oppure di quella fissata, ai sensi dell' art. 168-bis, ultimo comma, c.p.c. dal Giudice designato, con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui all' art. 167 c.p.c. e, inoltre, con avviso che in caso di mancata costituzione si procederà in sua contumacia per ivi sentir accogliere le seguenti CONCLUSIONI Voglia l'On.le Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza: 1. dichiarare non corrispondenti al vero le affermazioni in epigrafe riportate fatte dal convenuto .... nel citato articolo; 2. dichiarare diffamatori i titoli apposti o fatti apporre dal Direttore ....; 3. dichiarare responsabile di diffamazione aggravata ex art. 595 comma 2 e 3 c.p. il contenuto ....; 4. dichiarare il Direttore .... responsabile sia della diffamazione aggravata ex art. 595 comma 2 e 3 c.p. in relazione ai titoli degli articoli, sia di omesso controllo ex art. 57 c.p. in relazione al contenuto degli articoli; 5. conseguentemente, condannare i predetti, anche in solido tra loro, a risarcire al Sig. .... i danni dal medesimo subiti e subendi in relazione ai fatti per cui è causa, nella misura di Euro .... , ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta equa; 6. ordinare la pubblicazione della sentenza ex art. 120 c.p.c.; 7. con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio. IN VIA ISTRUTTORIA A) ammettersi interrogatorio formale delle parti convenute; B) ammettersi prova per testi sui seguenti capitoli di prova e per i testi a fianco di ciascuno indicati: 1) «Vero che il Sig. ....dopo la diffamazione cominciava a soffrire d'insonnia» - Sig. .... 2) «Vero che il Sig. ....dopo la diffamazione soffriva spesso di innalzamenti di pressione» - Sig. .... 3) «Vero che ....» - Sig. .... C) Ulteriori mezzi di prova riservati con salvezza dei termini e delle deduzioni di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c., compresa la richiesta di documenti ex art. 210 c.p.c. ed informazioni ex art. 213 c.p.c. DEPOSITA 1) articolo del giornale ....del ....; 2) verbale negativo di mediazione; 3) schermate quotidiani on line. Ai sensi della l. n. 488/1999 e successive modifiche, dichiarano che il valore della presente domanda è di valore indeterminato. Luogo e data .... Firma Avv. .... MANDATO Delego l'Avv. .... a rappresentarmi e difendermi in ogni fase e grado del presente giudizio, compresa la facoltà di esecuzione degli emanandi provvedimenti. Conferisco al suindicato procuratore ogni facoltà di legge, compresa quella di transigere, rinunciare agli atti, farsi sostituire. Presa visione della Informativa al trattamento dati personali, definita in conformità al d.lgs. 196/03, autorizzo al trattamento dei miei dati personali, nell'ambito dell'incarico professionale conferito. Eleggo domicilio in ...., Via ...., presso lo studio dell'Avv. .... Luogo e data .... Sig. .... È autentica Firma Avv. .... [1] Il foro stabilito dall' art. 20 c.p.c., per le cause relative a diritti di obbligazione concorre con i fori generali di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c. e l'attore può liberamente scegliere di adire uno dei due fori generali, oppure il foro facoltativo dell' art. 20 c.p.c. La norma - infatti - stabilisce che per le cause relative a diritti di obbligazione (tra le quali rientrano anche le obbligazioni scaturenti da responsabilità extracontrattuale) è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi la obbligazione. In particolare, in tema di obbligazioni nascenti da fatto illecito, l'azione di risarcimento sorge nel luogo in cui l'agente ha posto in essere l'azione produttiva del danno (forum commissi delicti) e in relazione a tale luogo deve essere determinata la competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (Cass. II, n. 13223/2014). [2] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio ( art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., dalla l. n. 111/2011). [3] L'elezione di domicilio nel Comune in cui ha sede il Tribunale adito è obbligatoria: essa individua il luogo legale ove effettuare le comunicazioni e notificazioni inerenti al processo: artt. 165 e 170 c.p.c. [4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall' art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione sopra citata. [5] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall' art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione citata sub nota 2. Ai sensi dell' art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». [6] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014. [7] L'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragione della domanda dell'attore rappresenta un elemento essenziale della citazione. L'indicazione della causa petendi, e cioè del titolo della domanda, è richiesto dall' art. 163 comma 3, n. 4 c.p.c. Tuttavia solo la mancanza dell'indicazione dei fatti posti a fondamento della domanda produce la nullità della citazione a norma dell' art. 164, comma 4, c.p.c. [8] Il d.lgs. n. 28/2010 istituisce un procedimento obbligatorio di mediazione. Chi intende esercitare un'azione in giudizio in certe aree del diritto deve necessariamente prima esperire un tentativo di conciliazione. L' art. 5 d.lgs.. n. 28/2010, di attuazione della direttiva comunitaria, prevede uno spettro molto ampio di contenzioso, che va dalle controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, sino alla responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, nonché ai contratti assicurativi, bancari e finanziari. Nel contesto bancario l' art. 5, comma 1, d.lgs.. n. 28/2010 prevede, più in particolare, che il potenziale attore debba preliminarmente esperire il procedimento di mediazione disciplinato da tale decreto oppure, in alternativa, il procedimento istituito in attuazione dell' art. 128-bis t.u.b. [9] Cfr. Cass. n. 5109/2007. [10] Cfr. Trib. Roma, 6 settembre 2005. CommentoLibertà di stampa e dignità della persona Il vero grande limite, dunque, che incontra la libertà di stampa è posto dalla dignità della persona. Se, infatti, l'art. 21 sancisce la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero, l'art. 13 della stessa Carta Fondamentale tutela l'inviolabilità della libertà personale, e letto con l'art. 3 e il principio di eguaglianza sostanziale, questa serie di articoli fornisce un primo ed invalicabile limite nell'espletare liberamente la propria libertà di pensiero a mezzo stampa. È, perciò, evidente che non è esercizio della libertà di stampa la diffusione di notizie che offendano la reputazione e l'onore della persona che di esse sono oggetto, o la stima che un individuo gode nella collettività dal punto di vista morale, sociale e professionale. Quindi, l'ordinamento giuridico non limita la libertà di stampa configurando come reato la diffusione a mezzo della stampa di notizie che offendono l'onorabilità privata ( art. 595 c.p.). La tutela dalle ingiurie che «offendono l'onore o il decoro di una persona» ( art. 594 c.p.), la tutela dalla diffamazione che «offende l'altrui reputazione» ( art. 595 c.p.) e, così pure la tutela della riservatezza, riguardano una sfera di libertà giuridicamente protetta nella quale non ha diritto di penetrare non solo la stampa, ma neppure l'autorità giudiziaria, se non sia richiesta da necessità di giustizia, e, comunque, sempre e solo nei modi stabiliti dalla legge (cfr. Cass. pen. V, n. 41671/2016).
I soggetti del reato di diffamazione a mezzo stampa Il soggetto attivo del reato in questione può essere praticamente chiunque, non essendo previsti particolari requisiti. Ciò salvo che per il direttore responsabile di un giornale, visto che “In tema di diffamazione a mezzo stampa, l' art. 57 c.p. prevede un reato colposo proprio del direttore responsabile; pertanto, a tale titolo, non è configurabile la responsabilità del soggetto che “di fatto” eserciti il controllo sul contenuto del giornale, dovendosi escludere qualsivoglia rilevanza anche all'effettiva organizzazione interna dell'azienda giornalistica in virtù della quale siano conferite ad altri soggetti funzioni di coordinamento e di controllo” ( Cass. pen. V, n. 42309/2016). Tale responsabilità non si estende al direttore editoriale visto che “In tema di diffamazione a mezzo stampa, il direttore responsabile, assumendo la paternità di ciò che viene pubblicato, si pone, ex art. 57 c.p., in una posizione di garanzia, in virtù dell'obbligo di controllo diretto ad impedire che, con la pubblicazione, siano commessi reati, mentre il direttore editoriale detta le linee di impostazione programmatica e politica del quotidiano - in rappresentanza dell'azienda editrice del giornale - successivamente elaborate e realizzate dal direttore responsabile, senza, tuttavia, condividerne la responsabilità di cui all' art. 57 c.p., prevista espressamente solo per il direttore responsabile. Ne deriva che un'estensione al direttore editoriale dei doveri di controllo e di siffatta responsabilità comporterebbe l'applicazione dell'analogia in “malam partem”, vietata dalla legge penale” ( Cass. pen. V, n. 42309/2016). Quanto al soggetto passivo non è necessaria l'identificazione espressa, bastando che l'individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione a mezzo stampa dipenda da riferimenti palesi a fatti e circostanza di notoria conoscenza, che siano attribuibili ad un soggetto determinato, a prescindere del motivo della notorietà. (Cass. pen. V, n. 215476/1999). Ai fini della integrazione del reato di diffamazione, anche a mezzo di Internet «è sufficiente che il soggetto, la cui reputazione è lesa, sia individuabile da parte di un numero limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa» ( Cass. pen. I, n. 2784/2014). Come pure, «Non osta all'integrazione del reato di diffamazione l'assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione è lesa, se lo stesso sia ugualmente individuabile sia pure da parte di un numero limitato di persone» ( Cass. pen. V, n. 7410/2010). L'individuazione di una persona fisica come destinataria della lesione non è problematica come nelle persone giuridiche, ormai ritenute, però, pacificamente come possibili soggetti passivi del reato in questione. Ad esempio, agli enti collettivi è ormai pacifico che possa concedersi la possibilità di costituirsi come parti civili nei procedimenti per diffamazione, a patto che si accerti in concreto il carattere diffusivo dell'offesa, cioè che sia tale da rimarcarsi sulla collettività ( Cass. pen. I, n. 1188/2001). La stessa Cass., n. 3769/1985, si esprimeva sul punto affermando che: “Occorre precisare che al diritto alla tutela della propria identità personale spetta, oltre che alle persone fisiche, anche alle persone giuridiche (secondo una parte della dottrina pure agli enti non aventi personalità giuridica) ..... Difatti, anche le persone giuridiche sono portatrici di una propria immagine sociale nell'ambito della realtà sociale nel cui contesto operano”. Ciò vale anche per gli enti pubblici. Invero, “Il diritto all'identità personale quale diritto alla fedele e completa rappresentazione della personalità individuale di un soggetto nell'ambito della comunità, generale e particolare, in cui detta personalità è venuta svolgendovi e solidificandosi, è configurabile anche in capo agli enti pubblici e deve ammettersene la tutela risarcitoria ove sia leso da false rappresentazioni che alternano e distaccano la percezione sociale e pubblica dello stesso ancorché non siano lesive dell'onere e della reputazione in quanto non diffamanti” ( Trib. Alessandria, 27 ottobre 2011, n. 262).
Elementi della condotta illecita La diffamazione, ovvero la lesione della reputazione altrui, si ha in tutti i casi in cui, in assenza dell'offeso, viene offesa la sua reputazione dinanzi a più persone. Il primo requisito quindi non è l'assenza del soggetto passivo in se, quanto l'impossibilità fisica che questi possa percepire la portata dell'offesa fatta nei suoi confronti. Nel momento in cui i terzi percepiscono la diffamazione o l'espressione diffamatoria, abbiamo la vera e propria consumazione del reato. Se la notizia è diffusa sui mass-media la diffusione (e quindi la consumazione) si presume fino a prova contraria ( Cass. pen. V, n. 25875/2006). Sarà, pertanto, l'immissione della notizia nei canali canonici e non (tv, radio, internet, giornali) a rendere già di per sè l'atto idoneo a creare una lesione della reputazione. Fa chiaramente eccezione il mezzo cartaceo che può anche non essere venduto e quindi divulgato. Per configurare correttamente il reato di diffamazione occorre ci siano più persone alle quali la comunicazione lesiva viene rivolta/trasmessa/comunicata: viene logico affermare che, qualora solo una persona fosse a conoscenza del fatto oggetto di “diffamazione”, non ci sarebbero gli estremi di reato in quanto ne mancherebbe un requisito fondamentale. Tuttavia, se la notizia è comunicata ad una persona per poi divulgarla ad altre, il reato sarà perfettamente consumato ed integro nei suoi elementi basilari. E questo vale anche nel caso di notizia riferita ad una persona la quale, a sua volta, la riferisce ad un'altra, senza per forza riferirsi ad una collettività di soggetti. Si parlerà, infatti, di “comunicazione” con più persone se il fatto lesivo venga riferito ad almeno due estranei rispetto al reato. Siccome le parole possiedono un significato linguistico che spesso e volentieri varia a seconda del soggetto che le pronuncia o che le scrive, o ancora che le ascolta e del contesto sociale in cui vengono pronunciate, la giurisprudenza ha cercato di circoscrivere i confini del reato e della condotta illecita ( connessa ad un potenziale di offensività), e ciò operando un bilanciamento tra interessi in gioco, ovvero tra interesse alla diffusione della notizia o della dichiarazione e tutela dell'identità personale e del proprio patrimonio soggettivo che deve rimanere integro. La condotta diffamatoria può assumere le caratteristiche di “progressività”. La distinzione tra diffamazione a mezzo stampa classica e quella in oggetto è legata alla presenza, in quest'ultima, del nesso teleologico che lega le notizie col profilo temporale. Nel caso di tale seconda ipotesi, le notizie si collocano in un progetto denigratorio più ampio che l'autore intende perseguire, ovvero quello di una diffamazione articolata e prolungata nel tempo (da tenere comunque distinto dalle cd. campagne diffamatorie che si materializzano quando l'autore pubblica notizie in serie di carattere diffamatorie inserite in un vero e proprio attacco alla persona). Se dalla lettura complessiva degli articoli, tornando al profilo che ci interessa, emergerà una realizzazione del progetto diffamatorio, non avremo una diffamazione immediata (cioè completa non appena percepibile a terzi) ma progressiva. L'unico carattere che differenzia e caratterizza questa seconda tipologia diffamatoria è, dunque, il tempo. Una volta che emerge, mettendo assieme i pezzi del “puzzle”, il suo carattere denigratorio complessivo, si potrà parlare di offensività della condotta e di reato consumato. In questo caso, il termine per proporre querela inizierà a decorrere da quando il denigrato avrà cognizione dell'offesa ( Cass. pen. V, n. 5944/2005) Ai fini della contestazione del reato, poi, e della punibilità della condotta è sufficiente che questa sia individuabile tramite la data dell'articolo (cartaceo o web) incriminato, compreso titolo e testata a cui riferimento, nonché pezzi più rappresentativi in modo da offrire diritto di difesa all'imputato. Non occorre, dunque, trascrivere per intero il testo o che siano riprodotte per intero tutte le espressioni usate ( Cass. pen. V, n. 12028/1999).
La querela La querela è lo strumento per mezzo del quale il soggetto passivo può far valere le proprie ragioni in sede penale. Individuare il soggetto passivo della diffamazione a mezzo stampa, che di converso è il soggetto attivo al diritto di querela, non è semplice e ci si serve di elementi di fattispecie di concreta, come natura e portata dell'offesa, circostanze narrate oggettive e soggettive, riferimenti personali o temporali. Tutti elementi che vanno valutati nel complesso per individuare, in modo probabilistico, il soggetto offeso sia a livello pre-processuale che processuale. Per dare ad un'offesa una rilevanza giuridica penale e, quindi, offensiva serve individuare il destinatario effettivo della stessa. Nella diffamazione a mezzo stampa il soggetto si deduce dalla prospettazione stessa dell'offesa fatta ( Cass. pen. V, n. 1188/2001). Si afferma, infatti, come supra già rammentato che la diffamazione di una persona può considerarsi esistente anche se il nome di quest'ultima non è esplicitamente menzionato nell'articolo: saranno gli elementi della fattispecie concreta e le circostanze narrate che, valutati nel complesso, porteranno a individuare il soggetto offeso (Cass. III, n. 17180/2007).
Elemento soggettivo Non è richiesto il dolo specifico, essendo sufficiente la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell'altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due. La diffamazione non richiede un dolo intenzionale, “essendo sufficiente un dolo generico ovvero la consapevolezza di porre in atto una condotta offensiva” (Cass. V, n. 178532/1987; Cass. pen. V, n. 16323/2006). Può, tuttavia, trattarsi anche di un dolo eventuale, ovvero che il soggetto agente si rappresenti dinanzi a se il fatto che le sue parole andranno ad assumere una portata offensiva in quanto destinate ad aggredire l'altrui reputazione. Non basterà, però, un'idoneità solo astratta delle parole ad offendere ma servirà che queste siano usate nel loro significato offensivo così come convenzionalmente conosciuto (Cass. pen. V, n. 935/1988). Ciò che conta non sempre deve esserci legame tra intenzione/scopo del soggetto agente e valenza offensiva delle parole che usa. Piuttosto, basta che egli le adoperi consapevolmente come offensive (Cass. pen. V, n. 935/1988). Non così, ovviamente, nel caso di parole che hanno notoriamente un carattere offensivo e diffamatorio, per le quali non serviranno indagini particolari sulla presenza del dolo (Cass. pen. V, n. 5941/2000) . Il risarcimento del danno alla reputazione provocato dai mezzi di comunicazione di massa La violazione del diritto alla reputazione si ha quando la notizia diffusa attinente al soggetto non è vera oltre che non pertinente e non connotata dalla correttezza di forma nella sua esposizione (la cd. continenza). Quello che ne deriva è un danno che trova la sua legittimazione all' art. 2 della Costituzione, offrendo tutela alla dignità della persona in quanto tale. Il soggetto leso pertanto, ha diritto di essere risarcito del danno non patrimoniale da liquidarsi equitativamente, fatto salvo quello patrimoniale se ed in quanto verificatosi e compiutamente dimostrato. Richiamando il disposto di cui all' articolo 595 del c.p., il concetto di reputazione include sia l'onore in senso oggettivo che l'onore in senso soggettivo: il primo è la stima di cui l'individuo gode nella comunità in cui vive; il secondo è il sentimento che ognuno ha della propria dignità morale. Il decoro professionale rientra pienamente in queste nozioni, intesa come immagine “lavorativa” che un soggetto ha costruito di sé. La valutazione (necessariamente equitativa ed incensurabile in Cassazione, sempre che i criteri seguiti siano enunciati in motivazione e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l'esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto: cfr. Cass. III, n. 13153/2017), deve necessariamente fare leva proprio sulla gravità e protrazione dell'offesa, sulla potenzialità diffusiva della stessa, e sulla posizione sociale, professionale e privata del soggetto leso, oltre che sui danni effettivamente recati. Invero, “In tema di risarcimento del danno causato da diffamazione a mezzo stampa, la prova del danno non patrimoniale può essere fornita con ricorso al notorio e tramite presunzioni, assumendo, come idonei parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale” ( Cass. III, n. 13153/2017; cfr. Trib. Bari, I, 3 giugno 2016, n. 3046). Si tratta, in ogni caso, di danno conseguenza, visto che “Il danno morale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge sempreché allegato e provato sicché, in mancanza di prove, va rigettata la domanda di risarcimento del danno morale che si assume conseguente al reato di diffamazione non essendo sufficiente, a tal fine, la mera potenzialità del fatto lesivo a produrre danno “ ( Trib. Roma, 18 febbraio 2010, n. 3711). Infine, «In tema di diffamazione a mezzo stampa, la violazione dell'obbligo di rettifica di cui all' art. 8 della l. n. 47/1948 integra un illecito distinto ed autonomo rispetto alla diffamazione, trovando fondamento nella lesione del diritto all'identità personale, che può sussistere indipendentemente da quella dell'onore e della reputazione, sicché l'esercizio dei rimedi ordinari e speciali previsti dall'ordinamento contro la sua inosservanza costituisce una domanda diversa, per “petitum” e ”causa petendi”, da quella afferente il risarcimento del danno e gli altri rimedi conseguenti alla diffamazione a mezzo stampa, la quale non può essere proposta per la prima volta in sede di impugnazione» (Cass. III, n. 13520/2017). In riferimento, invece, ai danni non patrimoniali derivanti da diffamazione, essi consistono nella lesione dell'onore, della reputazione e dell'immagine e il diritto al risarcimento si fonda sul combinato disposto degli artt. 595, comma 3, e 185 c.p. nonchè sulla lesione di valori costituzionalmente garantiti dall'art. 2 Cost. Quando il pregiudizio arrecato attiene ad interessi di natura non economica aventi rilevanza sociale, la prova del danno si risolve nella dimostrazione di due condizioni, cioè l'esistenza di un fatto produttivo di conseguenze pregiudizievoli e l'idoneità del medesimo ad ingenerare una ripercussione "dolorosa" nella sfera personale del soggetto leso. Tale secondo presupposto può ritenersi integrato anche sulla base di presunzioni semplici (Tribunale Palermo sez. I, 30/03/2020, n.1227). In ordine, poi, al quantum della pretesa, la Cassazione recentemente ha chiarito che “: In riferimento alla diffamazione a mezzo stampa, a norma dell'art. 12 della legge n. 47 del 1948 la persona offesa dal reato può richiedere, oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 185 del c.p., comprensivo sia del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale, una somma a titolo di riparazione che non rientra nel risarcimento del danno nè costituisce una duplicazione delle voci di danno risarcibile, ma integra una ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata prevista per legge, che come tale può aggiungersi al risarcimento del danno autonomamente liquidato in favore del danneggiato” (Cass. III, n. 29640/2017). Esimenti diritto di cronaca e di critica. Il diritto di satira. Come è noto, non può essere configurabile la condotta di diffamazione a mezzo stampa e, dunque, non vi è spazio neanche per l'illecito civile, ove sia esercitato correttamente il diritto di cronaca o di critica. Con la pronuncia n. 4897 del 14 marzo 2016, la Suprema Corte, distingue il diritto di cronaca e quello di critica, laddove «il primo si concretizza nella esposizione dei fatti che presentano interesse per la generalità, allo scopo di informare i lettori, mentre il secondo consiste nell'apprezzamento e nella valutazione di fatti, nella espressione di un consenso o dissenso rispetto ad una certa analisi”. Ancora la Cassazione Penale afferma che rispetto al diritto di cronaca, “non si può parlare negli stessi termini dell'opposto diritto di critica, il quale non concretizzandosi nella narrazione dei fatti ma nella espressione di una opinione o giudizio, non può essere rigorosamente imparziale ed oggettiva, poiché è ineludibile espressione del retroterra culturale e formativo di chi lo formula» ( Cass. pen. I, n. 6416/2004). Come previsto e definito Cassazione ha più volte affermato (ex pluribus Cass. n. 41/1997; Cass. n. 6877/2000), che per un corretto esercizio del diritto di cronaca siano necessarie 3 condizioni: a) la verità della notizia pubblicata; b) l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); c) la correttezza formale nella esposizione (c.d. continenza). La cronaca deve riferire fatti veri nel vero senso della parola e non alterati o falsificati, omettendo volutamente elementi o argomenti, in particolare, anche “quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, allusioni, insinuazioni, sofismi, obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (o ascoltatore) rappresentazioni della realtà obiettiva; il che si esprime con la formula che “il testo va letto nel contesto” ( Cass. pen. I, n. 18174/2014). Infatti, la cronaca ha come fine l'informazione e, perciò, consiste nella mera comunicazione delle notizie per cui, se il giornalista, sia pur nell'intento di dare una compiuta informazione, opera una propria ricostruzione di fatti già noti, ancorché nel sottolineare dettagli, all'evidenza propone una opinione. Si è tuttavia precisato anche che, per evitare una eccessiva estensione di tutela, a scapito di altri diritti costituzionalmente garantiti quale, in primo luogo, quello di manifestazione del pensiero, la distorsione che lede il diritto alla identità personale non può essere limitata o marginale, ma deve investire in modo rilevante la personalità del soggetto, mettendolo in falsa luce in modo significativo. A questo proposito, è utile ricordare la affermazione del giudice di legittimità penale secondo cui «il diritto all'identità personale non indica la pretesa di una costante corrispondenza tra la narrazione di fatti riferiti ad una determinata persona e l'idea che la stessa ha del proprio io, giacché altrimenti verrebbe preclusa la possibilità di esercizio del legittimo diritto di critica» (da ult. Cass. pen. V, 10724/2008) . In merito al requisito della pertinenza, «il limite, richiesto ai fini dell'operatività della scriminante del diritto di cronaca, non risulta violato quando le persone coinvolte godano di una diffusa notorietà, sia pure limitata all'ambito locale, atteso che la scriminante non impone che si tratti di persone pubbliche in chiave necessariamente nazionale, mentre la congiunta rilevanza, almeno astrattamente, penale dell'episodio conferisce allo stesso un interesse pubblico oggettivamente apprezzabile, che giustifica la proiezione non solo locale della notizia. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto pertinente la pubblicazione, in cronaca nazionale e locale, di dati personali ed immagini di una persona vittima di una violenta aggressione fisica, attuata con un coltello, cui era sottesa una relazione extraconiugale che vedeva coinvolti due imprenditori, entrambi noti a livello locale, nell'ambito di una cittadina di provincia)»( Cass. III, n. 10925/2017). La sensibilità giudiziaria connessa, poi, alla tutela dei diritti della persona a proposito di esimente del diritto di cronaca con riferimento al requisito della pertinenza o interesse pubblico alla notizia è giunta anche a discernere tra interesse alla notizia e interesse alla relativa pubblicazione dell'immagine dei protagonisti della stessa. Invero, è stato puntualizzato dalla giurisprudenza di merito che “La presenza delle condizioni legittimanti l'esercizio del diritto di cronaca non esaurisce, di per sé, l'analisi circa la legittimità della pubblicazione o diffusione anche dell'immagine delle persone coinvolte, poiché l'interesse pubblico alla conoscenza di una determinata notizia è altro rispetto all'autonomo e specifico interesse pubblico alla conoscenza delle sembianze dei protagonisti della vicenda narrata, nell'ottica della essenzialità di tale divulgazione ai fini della completezza e correttezza della informazione fornita, poiché più stringenti risultano le cautele che circondano la diffusione dell'immagine a motivo delle maggiori potenzialità offensive dello strumento visivo collegate anche all'attitudine alla circolazione incontrollata delle immagini, non infrequentemente decontestualizzate e smembrate dal servizio di cronaca all'interno del quale erano state pubblicate( cfr. Trib. Lucca, 19 gennaio 2019, n.96). Quanto, poi, al requisito della continenza, «In tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, qualora la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell'autore dello scritto, in modo da costituire, nel contempo, esercizio di critica, stabilire se lo scritto rispetti il requisito della continenza verbale è valutazione che non può essere condotta sulla base di criteri solo formali, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell'interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita ( art. 21 cost.), bilanciamento ravvisabile nella pertinenza della critica all'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto, che costituisce, assieme alla continenza, requisito per l'esimente dell'esercizio del diritto di critica» ( Trib. Grosseto, 13 ottobre 2016, n. 791). Quanto al diritto di critica, lo stesso si differenzia dal diritto di cronaca in quanto implica un'attività valutativa di fatti ed eventi rispetto ai quali esprime giudizi tendenti alla spiegazione delle cause ed alla previsione degli effetti, che presuppongono una selezione dei fatti più una rappresentazione degli stessi, orientata da un'interpretazione originale soggettiva. Nondimeno esso soggiace ai medesimi limiti del diritto di cronaca, ne garantiscano il collegamento con i principi costituzionali, posto che la libertà di diffondere valutazioni ed opinioni personali, al pari dell'attività di divulgazione di conoscenze oggettive, è strumentale alla costruzione della coscienza sociale e della pubblica opinione. Ciò ha consentito di affermare che “se è vero che il diritto di critica comprende anche la facoltà di rappresentare in una luce negativa un personaggio di spicco nell'attualità sociale, quando ciò sia frutto di una ricostruzione di fatti finalizzata ad esprimere un giudizio di valore, è altrettanto vero che non può esaurirsi in un attacco personale ed immotivato, dovendo mantenersi nei limiti di una ragionata ponderazione di situazioni e personaggi di pubblico interesse. I suesposti criteri della veridicità, pertinenza e continenza, dunque, seppur sempre necessari anche in riferimento al diritto di critica, in tale ambito devono necessariamente essere valutati in maniera meno rigorosa atteso che in tal caso la narrazione dei fatti mira ad esprimere un giudizio di valore, per sua natura necessariamente soggettivo e spesso tagliente” (Trib. Nola I, 18 gennaio 2019, n.161). Il diritto di satira, poi, costituisce una manifestazione del diritto di critica che è sottratta all'obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito, per cui possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvono in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato ( cfr. Trib. Roma I, 8 novembre 2018, n.21512). Internet e la nuova libertà d'espressione Quanto alle modalità di diffusione della notizia, come è noto la giurisprudenza è stata costretta dall'evoluzione e diffusione dei mezzi di comunicazione di massa che sfruttano la rete internet ad adeguare il vecchio dettato normativo a situazioni prima imprevedibili. Per ragioni storiche e di mercato, radio e televisione hanno inciso poco su quell'impostazione, ma internet ha travolto e sottratto senso all'intero impianto costituzionale. Oggi l'art. 21 della nostra Carta fondamentale è forse quanto di più inadatto ed obsoleto sia offerto al giurista per difender la libera manifestazione del pensiero. Grazie alle reti di comunicazione elettronica il concetto stesso di libertà d'espressione è cambiato. Non è più solo «il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» ( art. 21 Cost.), ma, secondo alcuni, è diventato il diritto di ciascuno di noi di ricercare e accedere all'informazione, di informare ed esser informato; che poi, in concreto, vuol dire il diritto di accesso ad internet. La libertà d'espressione è oggi il diritto di fruire, a parità di condizioni, di ogni servizio sia reso disponibile per veicolare e condividere contenuti. Ed a ben guardare, su internet, la libertà di espressione trascina con sé la tutela della neutralità della rete. Perché come più volte affermato dalla Corte di Giustizia Europea, ogni nuovo servizio della società dell'informazione (un aggregatore, un motore di ricerca, una piattaforma di condivisione o una qualsiasi nuova modalità di fruizione dei contenuti) è esso stesso esercizio di libertà di espressione, e come tale va tutelato da discriminazioni, filtri, blocchi e oscuramenti vari: va difeso dalle ingerenze dello Stato e del potere. Sono necessarie modalità nuove rispetto alle riproduzioni tipografiche, ma le ragioni che generarono la libertà di stampa nel secolo scorso valgono oggi per il web. Quell'area di tolleranza costituzionalmente imposta dalla libertà di espressione, creata nel lontano 1948, non può più esser confinata alla stampa tipografica: bisogna ricostruirne il perimetro, ritracciarne i confini. Solo dopo aver ridisegnato le tutele e le garanzie della libera manifestazione del pensiero nel nostro tempo, distinguendo le diverse forme di comunicazione, in rete e non, si potrà valutare con cognizione di causa come allocare le responsabilità, quali sanzioni siano efficaci e proporzionate, e quali misure di prevenzione e “censura” siano ammissibili in una società democratica. Anche, ma non solo, per la diffamazione. Una recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione ha equiparato blog e bacheche dei social network all'editoria tradizionale, facendo leva sulla seconda parte dell'aggravante contenuta nell'art. 595 del c.p., che individua idoneo allo scopo diffamatorio “qualsiasi altro mezzo di pubblicità” (cfr. Cass. pen. I, n. 16712/2014). E ciò in quanto “...il reato tipizzato al terzo comma... ...trova il suo fondamento nella potenzialità, nella idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorché non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa”.E integra la motivazione specificando che “...lo strumento principe della fattispecie criminosa in esame è quello della stampa...” al quale il Legislatore ha giustamente affiancato qualunque altro mezzo di pubblicità che è in grado di determinare analoga “...diffusione dell'offesa... Detti arresti risultano infatti argomentati con il rilievo che, sia un comizio che la posta elettronica vanno considerati mezzi di pubblicità, giacché idonei a provocare una ampia e indiscriminata diffusione della notizia tra un numero indeterminato di persone” ( cfr. Cass. pen. V, n. 4873/2016). Dunque, come recentemente precisato, “La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca facebook con l'attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all' art. 595, commi 2 e 3, c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l'area dell'informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall'ambito - più vasto ed eterogeneo - della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l'utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47/1948, ed in particolare, l'aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 13” ( Cass. pen. V, n. 8482/2017). |