Ricorso al giudice di pace in tema di risarcimento danni lesione del diritto al domicilioInquadramentoCon l'atto di citazione il proprietario di un appartamento chiede il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, subìti in conseguenza delle reiterate rotture delle tubature presenti nell'abitazione del vicino, tali da aver determinato per un periodo significativo la precarietà della propria situazione abitativa. FormulaUFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI .... RICORSO EX ART. 316,318 e 281-undecies c.p.c. Sig. ...., nato a .... il ...., C.F. .... 1, residente in ...., alla via .... n. ...., domiciliato in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., C.F. ...., che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce/a margine del presente atto, con dichiarazione di voler ricevere ogni comunicazione ai sensi dell'art. 125 comma 1 c.p.c. e dell'art. 136 comma 3 c.p.c. al seguente numero di fax ...., oppure tramite PEC .... 2; PREMESSO CHE - l'attore vive, unitamente al proprio nucleo familiare (composto da ....), in un appartamento situato al .... piano dell'edificio ubicato in .... alla via .... n. ....; - a partire dal mese di ..... del .... si sono verificate ripetute rotture delle tubature del vicino .... proprietario dell'unità immobiliare situata .....; - nonostante le reiterate sollecitazioni, verbali e scritte (doc. n. 1), ad un intervento risolutivo, i fenomeni si sono ripresentati in altre .... occasioni, determinando l'assoluta inutilizzabilità del vano destinato a camera da letto delle due figlie, a causa della formazione di muffa ....; - i vari eventi l'hanno costretto a rivedere la propria organizzazione familiare, tra l'altro, trasferendo le due figlie nella propria camera matrimoniale per circa .... mesi. Secondo l'ultimo orientamento delle Sezioni Unite in materia di danno non patrimoniale, tra i casi previsti dalla legge legittimanti il risarcimento exartt. 2043 e 2059 c.c., rientra la violazione dei diritti costituzionali, ove per gli stessi non sia prevista tutela legale tipica. Per la proprietà è naturalmente approntata l'ampia tutela del risarcimento del danno patrimoniale, ma quando nella specie risulta coinvolto un ulteriore valore costituzionale ovvero quello della inviolabilità del domicilio e della tutela della privata dimora, e cioè si perviene ad una interdizione significativa dell'abitazione dovuta a colpa altrui, viene leso un nucleo di diritti della persona di rilievo costituzionale (artt. 2,12,47 Cost.), con conseguente necessità di risarcimento del danno morale. Pertanto, deve essere ristorato il danno non patrimoniale-esistenziale subito a causa della difficile situazione creatasi nella propria abitazione e nella vita quotidiana in seguito alle infiltrazioni d'acqua provenienti dalle tubazioni di proprietà del vicino. Ne deriva, infatti, il mancato pieno godimento della propria abitazione, nonchè la lesione di valori costituzionalmente garantiti e protetti, quali il domicilio, l'esistenza dignitosa, il rispetto della vita privata. In definitiva, la precarietà della situazione abitativa in cui l'interessato, unitamente alla propria famiglia, è stato costretto a vivere per alcuni mesi, a causa dell'illegittimo comportamento omissivo altrui, incide negativamente sulle condizioni di esistenza e di abitazione e, quindi, su valori riconosciuti anche a livello comunitario (cfr. art. 8 della convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo). In data .... è stato esperito con esito negativo il procedimento di negoziazione assistita di cui all'art. 3 del d.l. n. 132/2014, convertito in l. n. 162/2014, come risulta dalla diffida inviata in data .... con raccomandata a/r n. ...., in cui l'attore ha espressamente invitato la controparte a stipulare una convenzione di negoziazione con le seguenti modalità ... 3 ; - tale invito non è stato seguito da adesione (oppure) è stato seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione (oppure) è decorso il periodo di tempo di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a) del d.l. n. 132/2014, cit., come risulta da .... Per quanto sopra, il Sig. ...., come sopra rappresentato, difeso e domiciliato, CHIEDE che l'Ill.mo Giudice di Pace adito voglia fissare, ai sensi dell'art. 2814 undecies comma 2 c.p.c., con decreto emesso entro cinque giorni dalla designazione del Giudice, l'udienza di comparizione delle parti, con concessione del termine per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza e assegnazione del termine per la costituzione dei convenuti che dovrà avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza, con avvertimento che la mancata costituzione o la costituzione oltre i termini comporterà le decadenze di cui agli artt. 38,167 e 281 undecies, comma 3 e 4 c.p.c., che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi speciali, e che esso convenuto, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che in caso di mancata costituzione si procederà in sua legittima e dichiaranda contumacia, per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni Voglia l'Ill.mo Giudice di Pace adito, previa ogni più utile declaratoria del caso o di legge, ogni diversa e contraria istanza ed eccezione disattesa anche in via istruttoria ed incidentale, in accoglimento della domanda attrice, condannare parte resistente a pagare all'esponente la somma di Euro .... a titolo di risarcimento danni, patrimoniali e non, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Con vittoria di spese e compensi del giudizio ex D.M. 10 marzo 2014 n. 55. In via istruttoria chiede ammettersi prova testimoniale sui seguenti capitoli: 1) “Vero che ...”; Indica a testi: - Sig. .... residente in .... via .... n. ....; - Sig. .... residente in .... via .... n. ....; Con riserva di replicare, produrre e dedurre a prova contraria in esito al contegno processuale avversario ex art. 281 duodecies comma 4 cpc. Il valore della presente procedura è di €…, pertanto il contributo unificato ammonta ad €….. 4 Si offrono in comunicazione i documenti citati. Ai fini del versamento del contributo unificato, si dichiara che il valore della causa è di Euro .... Luogo, data (Avv. ....) Ai sensi dell'art. 14 d.P.R. n. 115/2002 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia»), si dichiara che il valore del presente procedimento è pari a Euro .... Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA ALLE LITI, SE NON A MARGINE [1] [2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla l. n. 24/2010. [2] [3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014. L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla l. n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». [3] [4] E' obbligatorio il ricorso alla procedura di negoziazione assistita (che costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale) nelle ipotesi in cui la somma pretesa non superi l'importo di 50.000 Euro (art. 3 d.l. n. 132/2014, conv. con modif. in l. n. 162/2014) e dovrà essere prodotta la relativa documentazione. Va, in proposito, ricordato che la negoziazione è prescritta, quando si intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 Euro, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria (in altri termini, la procedura di negoziazione assistita non opera quando è prevista la mediazione obbligatoria). Ebbene, quest'ultima non è prescritta in subiecta materia. [4] E' obbligatorio il ricorso alla procedura di negoziazione assistita (che costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale) nelle ipotesi in cui la somma pretesa non superi l'importo di 50.000 Euro (art. 3 d.l. n. 132/2014, conv. con modif. in l. n. 162/2014) e dovrà essere prodotta la relativa documentazione. Va, in proposito, ricordato che la negoziazione è prescritta, quando si intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 Euro, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria (in altri termini, la procedura di negoziazione assistita non opera quando è prevista la mediazione obbligatoria). Ebbene, quest'ultima non è prescritta in subiecta materia. CommentoIn base a Cass. S.U., n. 26972/2008, che si inserisce nell'ambito delle pronunce meglio note come “sentenze di San martino”, il danno non patrimoniale è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da (un evento di danno consistente ne)la lesione di specifici diritti inviolabili della persona costituzionalmente protetti (es.: diritto all'integrità psico-fisica - art. 32 Cost. -; diritto alla personalità morale - artt. 1, 2, 4 e 35 Cost. -; del lavoratore – artt. 35-38 Cost.). I casi previsti dalla legge si dividono in due gruppi: quelli in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (dal codice penale, quale fatto illecito integrante reato, e dalle leggi speciali) e quelli in cui la risarcibilità, pur non essendo prevista da norme di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., «per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla legge». Fatta eccezione per il caso in cui il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato (nella quale evenienza la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale), deve, in definitiva, sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata, da individuarsi sulla base dell'interesse leso e non del pregiudizio sofferto (Cass. S.U., n. 18356/2009). Invero la Cassazione distingue, nell'ambito dei diritti fondamentali, i diritti (beni o interessi) inviolabili dell'uomo (che devono pur sempre essere di rilievo costituzionale), statuendo che dalla lesione di questi soltanto origina il danno non patrimoniale. Non è, pertanto, sufficiente che questi beni o interessi siano tutelati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, poiché la Convenzione, pur essendo dotata di una natura che la distingue dagli obblighi nascenti da altri trattati internazionali, non assume, in forza dell'art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale. La menzionata distinzione ha rilevanza pratica, atteso che vi sono diritti che, pur essendo fondamentali (come, ad es., la libera circolazione), non sono inviolabili. D'altra parte, vi sono diritti che, pur riconosciuti dalla Costituzione, ma dalla stessa non qualificati espressamente con l'attributo dell'inviolabilità, debbono essere considerati, invece, tali (il diritto alla salute – art. 32 -, la reputazione, l'immagine, il nome e la riservatezza – artt. 2 e 3 -, il diritto a professare liberamente la fede religiosa che si intenda scegliere – art. 19 -, il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero – art. 21 -, i diritti della famiglia – artt. 2, 29 e 30 -, tra i quali ultimi rientra il danno da perdita o da grave compromissione del rapporto parentale, nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto). Gli interessi della persona costituzionalmente protetti E' importante chiarire quali sono in astratto gli interessi della persona costituzionalmente protetti (non reddituali) la cui lesione o menomazione legittima la richiesta di una eventuale ulteriore voce di danno non patrimoniale. Le Sezioni Unite hanno precisato che quelli inviolabili non sono un numerus clausus (essendo il relativo catalogo soggetto al “fluire del tempo” ed al manifestarsi nel corso di esso di un diverso sentire sociale), fermo restando che, quando il rinvio ai casi determinati dalla legge è pieno, l'interprete non è chiamato a svolgere nessun altra indagine. La tutela non è, cioè, ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana. In tal modo, tuttavia, il tratto di atipicità appare marcato. Quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale, la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che non sono individuati ex ante dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice; sicché, quest'ultimo è chiamato a verificare innanzitutto se sussista nel caso di volta in volta prospettato l'interesse costituzionalmente tutelato attinente ai valori inviolabili della persona che legittimi la richiesta risarcitoria, laddove non ricorra una ipotesi di risarcimento del danno non patrimoniale prevista dalla legge. In questi contesto si comprendono le ragioni per le quali Cass. II, n. 5564/2010, abbia escluso il diritto al risarcimento a titolo di danno morale in favore di un vicino che aveva visto disturbata la propria tranquillità domestica a causa dei rumori provenienti da un ristorante attiguo alla sua abitazione. Invero, affinché ricorra l'ipotesi di cui all'art. 2059 c.c. occorre, come si è visto, dimostrare la sussistenza di un fatto illecito che costituisce reato o la lesione di un valore della persona tutelato dalla Costituzione. Nella specie sottoposta all'esame della Suprema Corte, invece, il superamento della soglia per le immissioni acustiche imposta dalla l. n. 447/1995 configurava solo un illecito amministrativo e, da solo, non integrava di per sé il reato ex art. 659 c.p. ("Disturbo del riposo delle persone"); né l'ipotesi risarcitoria poteva trovare fondamento nell'art. 2 Cost., atteso che il diritto alla tranquillità domestica non rientra in tale norma. Viceversa, T.A.R. Puglia (Bari), III, 13 maggio 2009, n. 1139, ha rilevato, in presenza di una revoca illegittima di una concessione edilizia che aveva comportato il ritardo di anni nel rilascio del certificato di abitabilità, con il rischio di demolizione e sgombero della casa di abitazione, che la precarietà della situazione abitativa in cui l'interessato era stato costretto a vivere aveva inciso negativamente sulle condizioni di esistenza e di abitazione del ricorrente e, quindi, su valori costituzionalmente protetti, ravvisando la lesione al rispetto del proprio domicilio (art. 14 Cost.) ed al diritto ad una esistenza dignitosa ex art. 2 Cost. La lesione del diritto di domicilio Gli ultimi due esempi analizzati già introducono il tema della risarcibilità della lesione del diritto di domicilio. Partendo dal presupposto per cui il diritto al rispetto della vita privata e familiare, nonché del domicilio, è qualificabile come diritto inviolabile di rilevanza costituzionale, la giurisprudenza di merito che si è occupata del tema, ha sostenuto che alla lesione del predetto diritto consegue la risarcibilità del danno non patrimoniale (si trattava, nella specie, dei danni morali - stato di angoscia, dolore, tormento e preoccupazione - conseguenti alla vissuta perdita per ben 8 mesi della propria casa), liquidando tale voce di pregiudizio in favore di un soggetto che era stato costretto a vivere per un periodo significativo fuori dalla propria abitazione in seguito al crollo della stessa addebitabile all'altrui illecito (Trib. Milano, 3 settembre 2012, n. 9733). Non è revocabile in dubbio che la Costituzione italiana, all'art. 14, riconosca il domicilio come “inviolabile”. Secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, tuttavia, tale inviolabilità riguarderebbe solamente le garanzie di tutela della libertà personale dinanzi a ispezioni, perquisizioni o sequestri, questi ultimi da condursi “nei casi e modi stabiliti dalla legge”. La Corte Costituzionale, già con la sentenza 7 aprile 1988, n. 404, collocava, invece, il diritto all'abitazione “fra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 Cost.”. Nel solco della sentenza n. 217/1988, i Giudici costituzionali affermavano che «il diritto all'abitazione rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione (...)». Ed ancora, sempre la Corte Costituzionale (con la sentenza n. 49/1987) aveva affermato "indubbiamente doveroso da parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione", alla luce del “fondamentale diritto umano all'abitazione riscontrabile nell'art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (New York, 10 dicembre 1948) e nell'art. 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali (approvato il 16 dicembre 1966 dall'Assemblea generale della Nazioni Unite é ratificato dall'Italia il 15 settembre 1978, in seguito ad autorizzazione disposta con legge 25 ottobre 1977, n. 881)”. Più incisivamente, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, sancisce, all'art. 8, «il diritto al rispetto della vita privata e familiare. 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio». La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha, in proposito, statuito nella sentenza 2 novembre 2006 (caso 59909/00) che “il domicilio è solitamente il luogo, l'area fisicamente definita, dove si sviluppa la vita privata e familiare. Il singolo ha diritto al rispetto del proprio domicilio, che include non solo il diritto all'effettivo spazio fisico, ma anche la facoltà di godimento, in piena tranquillità, di tale spazio (...) Una seria violazione può costituire lesione del diritto al rispetto della propria casa, se non permette alla persona di godere di ciò che il proprio domicilio offre (cfr. Hatton and Others v. the United Kingdom [GC], no. 36022/97, § 96, ECHR 2003-VIII)”. Tuttavia, la Cassazione S.U. (nella citata sentenza n. 26972/2008) ha affermato, come si è già in precedenza anticipato, che, ai diritti predicati dalla citata Convenzione (ratificata con la l. n. 848 del 1955) "non spetta il rango di diritti costituzionalmente protetti, poiché la Convenzione, pur essendo dotata di una natura che la distingue dagli obblighi nascenti da altri Trattati internazionali, non assume, in forza dell'art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale, né può essere parificata, a tali fini, all'efficacia del diritto comunitario nell'ordinamento interno (Corte Cost. n. 348/2007)”. Da ultimo, la “Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea” (c.d. Carta di Nizza), all'art. 7, sancisce il “Rispetto della vita privata e della vita familiare. Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio”. Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona (il 1 dicembre 2009), questa Convenzione ha assunto la forza di Trattato costituente diritto primario dell'Unione, atteso che l'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea dispone: “L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. Di conseguenza, nell'ordinamento giuridico interno, la Carta di Nizza ha assunto rango costituzionale, al pari dei Trattati che, nella sentenza “Frontini”, la Corte costituzionale indicava quali capaci di limitare la sovranità legislativa nazionale in virtù dell'art. 11 Cost., a meno che non vìolino “i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana” (Corte Cost., sent. 183/1973). In definitiva, il diritto al rispetto della vita privata e familiare, nonché del domicilio, è qualificabile come diritto inviolabile di rilevanza costituzionale, alla cui lesione consegue altresì il risarcimento del danno non patrimoniale. Orbene, se per la proprietà è naturalmente approntata l'ampia tutela del risarcimento del danno patrimoniale, quando nella specie risulta coinvolto un ulteriore valore costituzionale ovvero quello della inviolabilità del domicilio e della tutela della privata dimora, e cioè si perviene ad una interdizione completa dell'abitazione dovuta a colpa altrui (si pensi alla necessità di uno sgombero), appare leso un nucleo di diritti della persona di rilievo costituzionale (artt. 2, 12, 47 Cost.), con conseguente necessità di risarcimento del danno morale (in tal senso Trib. Genova 7 ottobre 2010). Fattispecie concrete in cui entra in gioco la lesione del domicilio Gli angoli prospettici dai quali può essere visto il fenomeno della lesione del diritto di domicilio sono numerosi. In materia tributaria, con riferimento all'acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento, la Guardia di Finanza, in quanto polizia tributaria, mentre può sempre accedere negli esercizi pubblici e in ogni locale adibito ad azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche, per assicurarsi dell'adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria (ad esempio, al fine di riscontrare eventuali evasioni ed infrazioni alla disciplina dell'IVA), non necessitando, a tal fine, di autorizzazione scritta (prevista dal d.P.R. n. 633/1972, art. 52, comma 1; Cass., n. 16017/2009 e Cass., n. 16661/2011; cfr. altresì Cass. V, n. 4066/2015), per contro, nelle ipotesi di accesso in locali adibiti anche, o esclusivamente ad abitazione, deve munirsi della previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, la cui sussistenza e ritualità condiziona la legittima acquisizione degli elementi probatori e, di conseguenza, la legittimità dell'atto impositivo emesso sulla base degli stessi (Cass., n. 19689/2004; Cass., n. 10704/2009; Cass., n. 27149/2011). Un altro settore nel quale entra in gioco la tutela del diritto di abitazione è quello della realizzazione di fotografie all'interno di luoghi di privata dimora con mezzi tecnici invasivi, sebbene lo stesso sia border line rispetto a quello della tutela della privacy. Orbene, qualora tali mezzi (si pensi all'evenienza in cui un fotografo si sia posizionato sopra un'altura posta all'esterno della proprietà privata) siano finalizzati a superare gli ostacoli alla visibilità, si è al cospetto di una condotta punibile ai sensi dell'art. 615 bis c.p., cui conseguono l'illiceità del trattamento dei dati acquisiti e l'obbligo del responsabile di risarcire il danno non patrimoniale connesso al pregiudizio all'inviolabilità del domicilio (cfr. Cass. I, n. 16649/2014, in un giudizio che aveva tratto origine da un provvedimento del Garante della privacy che aveva inibito la pubblicazione su un noto settimanale di alcune fotografie scattate all'interno del parco di una villa, che ritraevano il proprietario in compagnia di alcuni ospiti). Tuttavia, allorché le foto ritraggano un personaggio pubblico in momenti meramente colloquiali e di svago degli interessati, relativi ad una permanenza nella villa a fine di riposo o vacanza, va negato il risarcimento del danno derivante dall'alterazione dell'immagine e della reputazione pubblica della persona, nonché del vulnus alle relazioni familiari. In particolare, in siffatta evenienza va riconosciuta la sola esistenza di un danno non patrimoniale connesso al pregiudizio all'inviolabilità del domicilio tutelato dall'art. 14 Cost., e non anche il danno morale soggettivo e quello esistenziale conseguenti all'ampia diffusione e risonanza che le foto abbiano avuto a seguito della pubblicazione. Sotto un altro versante, è stato ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale-esistenziale subito a causa della difficile situazione creatasi nella propria abitazione e nella vita quotidiana in seguito alle infiltrazioni d'acqua dal bagno soprastante di proprietà del vicino. Ne deriva, infatti, il mancato pieno godimento della propria abitazione, nonchè la lesione di valori costituzionalmente garantiti e protetti, quali il domicilio, l'esistenza dignitosa, il rispetto della vita privata. Giudice di pace Venezia, 15 dicembre 2009, n. 502, ad esempio, ha riconosciuto all'attore un ristoro per aver dovuto rivedere la propria organizzazione familiare a causa di ripetute rotture delle tubature del vicino, smontando la cabina armadio e trasferendo le due figlie nella camera matrimoniale per circa quattro mesi. Alla stessa stregua, lo stato di malessere e disagio psicofisico derivato ad un condomino dalla presenza di altissime temperature nell'appartamento ove lo stesso risiede e imputabili al fatto illecito del condominio che trascuri per un lungo periodo di eliminarne la causa (individuata nel cattivo stato di coibentazione del sottotetto comune), è stato reputato (Trib. Milano, XIII, 11 maggio 2009, n. 6256) risarcibile quale danno non patrimoniale, dovendosi ritenere violato il diritto costituzionalmente garantito alla inviolabilità ed intangibilità del domicilio (inteso come diritto a vivere serenamente e senza illecite interferenze esterne la propria sfera familiare all'interno delle mura domestiche). Come si è visto, T.A.R. Puglia (Bari), n. 1139/2009, cit., ha riconosciuto al soggetto illegittimamente leso dall'annullamento di un permesso di costruire il diritto al risarcimento del cd. danno "esistenziale", relativo all'angoscia conseguente al non poter vivere con serenità nella casa sottoposta al continuo rischio di demolizione e sgombero, quantificabile in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c.. La giurisprudenza della Commissione e poi quella della Corte europea hanno delineato la nozione di domicilio ampliandone il significato ben oltre l'accezione comune del termine. Di conseguenza ciò che, ad una prima lettura dell'art. 8, appare un riferimento all'abitazione dell'individuo, è stato esteso a luoghi e locali ulteriori. Estendendo il concetto di domicilio a quello informatico, è stato evidenziato che la creazione di un programma "virus", avente l'unica funzione di introdursi e danneggiare sistemi informatici, e la sua conseguente diffusione in maniera occulta per mezzo di "mass mailing" e di un sito web, integra il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico. La norma, come è noto, è posta a tutela del cosiddetto domicilio informatico, inteso sia come spazio fisico in cui sono contenuti dati informatici personali, sia quale spazio ideale di pertinenza della sfera individuale e privata; la lettera della norma, tra l'altro, richiede unicamente l'abusività dell'accesso al sistema, ovvero la permanenza contro lo ius prohibendi del titolare, ma non pretende l'effettiva conoscenza, da parte dell'agente, di dati protetti (Corte appello Bologna, II, 27 marzo 2008 e 30 gennaio 2008). Va ricordato che, ai fini della tutela del reato di cui all'art. 615 ter c.p., il "domicilio informatico" deve essere salvaguardato per impedire non solo la violazione della riservatezza della vita privata, ma qualsiasi tipo di intrusione anche se relativa a profili economico-patrimoniali dei dati (Cass. pen. VI, n. 3065/1999; Cass. pen. S.U., n. 3286/2008). Peraltro, all'interno dei luoghi informatici possono svolgersi attività varie e solo alcune di esse sono direttamente riconducibili a categorie che esprimono una qualche forma di privacy domestica; al contrario, la maggior parte di esse è espressione di interessi a prevalente natura professionale o imprenditoriale che appaiono scarsamente riconducibili alla sfera squisitamente privata e personale tutelata dall'art. 14 Cost. e dall'art. 614 c.p. E' opportuno, infine, evidenziare che il concetto di domicilio di cui all'art. 8 CEDU viene a ricomprendere anche i luoghi ove una persona esercita la propria attività professionale (Corte europea diritti dell'uomo, 15 luglio 2003). |