Atto di citazione per indennizzo danni da invalidità permanenteInquadramentoIl contratto di assicurazione contro i danni ha natura discussa in dottrina ed in giurisprudenza, anche se, allo stato, esso tende ad essere accostato per disciplina all'assicurazione sulla vita, ove ad essere garantito sia un infortunio mortale, e viceversa al contratto di assicurazione contro i danni, nel caso di tutela di infortuni non mortali. Nel caso di specie, tenendo conto del rischio garantito in polizza (invalidità permanente e temporanea da sinistro non mortale) l'assicurato agisce in giudizio contro la compagnia assicuratrice al fine di ottenere l'indennizzo spettantegli secondo la disciplina dell'assicurazione contro i danni. FormulaTRIBUNALE DI .... [1] ATTO DI CITAZIONE Per il Sig. ...., nato a .... il ...., residente in .... alla via .... n. ...., C.F. .... [2], elettivamente domiciliato in .... alla via .... n. .... presso lo studio dell'Avv. ...., C.F. .... che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce del presente atto, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni al n. di fax .... [3]. o all'indirizzo di posta elettronica .... [4] espongono quanto segue. PREMESSO CHE [5] 1. In data ...., il Sig. ...., ha stipulato polizza n ...., con la ...., con validità dal .... al ...., al fine di garantire la propria persona dai rischi di infortunio durante il periodo di vigenza dell'assicurazione; 2. Sulla scorta delle condizioni generali di assicurazione, la polizza in discorso ha previsto: un capitale pari a ...., per l'evento morte; un capitale massimo di .... per invalidità permanente; rimborso spese sanitarie fino a ....; 3. La polizza stipulata dall'odierno attore, come da previsione di cui alla pag. ...., prevede per l'evento infortunio uno scoperto pari a ....dell'invalidità residuale e ....a ristoro per ciascun giorno di inabilità temporanea; 4. In virtù delle condizioni generali e particolari della polizza di cui alle pag. ...., .... della stessa, per l'eventuale verificazione dell'evento infortunio è prevista, preliminarmente, la denuncia del sinistro da eseguirsi all'assicuratore e all'agenzia presso la quale era stata stipulata la polizza entro .... giorni dalla verificazione della stessa, con successiva produzione di tutta la documentazione medica attestante la riconducibilità dell'infortunio ad uno degli eventi previsti in polizza; 5. In data ...., alle ore ...., .... circa, in via ...., mentre ...., l'attore ha subito uno ...., cui è seguita la ....; 6. all'infortunio ha assistito il Sig. ...., che ....; 7. In data ...., l'istante ha provveduto a denunciare il sinistro all'assicurazione ...., secondo i tempi e le modalità previste dal contratto; 8. Sulla scorta della perizia medico legale versata in atti, si evince che il Sig. ...., ha maturato un'invalidità permanente pari a ...., consolidata allo spirare di ....inabilità; 9. All'attore, quindi, spettano ....per inabilità temporanea ed ....per invalidità permanente in punto capitale; 10. poiché l'attore ha sempre corrisposto con regolarità i ratei del premio a suo carico gravante, la convenuta società .... è obbligata a corrispondere l'indennizzo per l'evento infortunistico verificatosi; 11. in data .... l'istante, a mezzo del procuratore costituito, depositava presso l'Organismo di mediazione territorialmente competente l'istanza di mediazione, ma il tentativo di conciliazione non andava a buon fine; DIRITTO Il contratto di assicurazione contro gli infortuni è un contratto socialmente tipico, la cui disciplina è stata oggetto di ampio dibattito. Ed invero, l'individuazione della disciplina normativa applicabile è operazione ermeneutica particolarmente complessa, ove si consideri che l'evento “infortunio” presenta affinità sia con l'istituto dell'assicurazione contro i danni ex art. 1882 c.c., sia con l'istituto dell'assicurazione sulla vita ex art. 1919 c.c. Per un primo orientamento, infatti, l'infortunio, attenendo alla persona umana, e non ad una cosa suscettibile di valutazione economica, rientra tra gli eventi attinenti alla vita umana, con la conseguenza che la disciplina applicabile non può che essere quella ex art. 1919 c.c. e ss. [6]. Per altro orientamento, invece, l'infortunio rientra negli eventi di danno ex art. 1882 c.c., i quali possono ben ricomprendere non solo danni a cose o a patrimonio, ma anche danni alla persona dell'assicurato [7]. Le Sez. Unite della Corte di Cassazione [8], hanno ritenuto che, più che interrogarsi sulla disciplina astrattamente applicabile al contratto di assicurazione contro gli infortuni occorre individuare, di volta in volta, nell'ambito di quale dei due tipi di assicurazione legislativamente disciplinati debba essere sussunto il caso concreto. Il contratto di assicurazione contro gli infortuni, infatti, si caratterizza per l' idoneità ad assumere funzione di garanzia con riguardo a due diversi rischi, con la conseguenza di poter giustificare, a seconda del tipo di rischio coperto, una diversa disciplina. Ciò posto, alla luce di tali coordinate, la Corte ha distinto tra infortuni mortali e infortuni non mortali, prevedendo che ai primi si applichi la disciplina prevista per l'assicurazione sulla vita, mentre ai secondi si applichi la disciplina dell'assicurazione contro i danni. Nel caso di specie, il rischio di infortunio descritto nella polizza assicurativa n. .... e verificatosi in data .... è un infortunio non mortale, di tal che al caso concreto si applica la disciplina prevista per il contratto di assicurazione contro i danni. Ai sensi del primo inciso dell'art. 1882 c.c., poiché l'attore ha sempre provveduto al regolare pagamento dei premi, grava sulla convenuta, .... s.p.a., il pagamento dell'indennizzo previsto dal contratto a fronte della verificazione dell'evento dedotto nel contratto. In forza del contratto stipulato tra l'attore e l'odierna convenuta, pertanto, il sig. ...., richiede il pagamento della somma di euro ...., oltre interessi dal giorno del dovuto sino all'integrale soddisfo, corrispondente alla quantificazione del danno subito secondo il paradigma contrattuale. Tutto ciò premesso l'attore, come in epigrafe rappresentato, difeso e domiciliato CITA La .... Ass.ni (C.F./P.I.), in persona del suo legale rappresentante p.t., con sede in ...., via .... n ...., a comparire innanzi al Tribunale di < .... >, nell'udienza del < .... >, ora di rito, dinanzi al Giudice Istruttore che sarà designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., con l'invito a costituirsi nel termine di almeno venti giorni prima della suddetta udienza ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli artt. 167 e 38 c.p.c. e che, in difetto di costituzione, si procederà in sua contumacia, per sentir accogliere le seguenti CONCLUSIONI Voglia il Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, condannare la .... Ass.ni, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento della somma di ...., a titolo di indennizzo dovuto per la realizzazione del rischio di infortunio coperto dalla polizza n. .... Con vittoria di spese, competenze e onorari del giudizio. Con sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege. IN VIA ISTRUTTORIA Chiede ammettersi prova testimoniale sui seguenti capitoli di prova e per i testi a fianco di ciascuno indicati: 1) «Vero che il Sig. ...., in data ...., alle ore ....,» - Sig. .... 2) «Vero che ....» - Sig. .... 3) «Vero che ....» - Sig. .... Si allegano: 1. contratto di polizza n. .... 2. racc. a/r di denuncia sinistro all'assicurazione 3. verbale negativo di mediazione 4. perizia medico legale Ai sensi dell'art. 14, co. 2, d.P.R. n. 115/2002 si dichiara che il valore del presente procedimento è di Euro .... Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA AD LITEM Nella qualità, conferisco il potere di rappresentanza e difesa, in ogni fase, stato e grado del giudizio ed atti inerenti, conseguenti e successivi, ivi compresa l'eventuale fase esecutiva ed il giudizio di opposizione, all'Avv. ...., ivi compreso il potere di proporre domande riconvenzionali, chiedere provvedimenti cautelari, chiamare terzi in causa, farsi sostituire, transigere, conciliare, abbandonare il giudizio e rilasciare quietanze. L'autorizzo, ai sensi dell'art. 13 d.l. n. 196/2003, ad utilizzare i dati personali per la difesa dei miei diritti e per il perseguimento delle finalità di cui al mandato, nonché a comunicare ai Colleghi i dati con l'obbligo di rispettare il segreto professionale e di diffonderli esclusivamente nei limiti strettamente pertinenti all'incarico conferitoLe. Ratifico sin d'ora il Suo operato e quello di eventuali Suoi sostituti. Eleggo domicilio presso il Suo studio in ....(indicare la città), via ....n. .... Dichiaro di essere stato informato ai sensi dell'art. 4, 3° comma, del d.lgs. n. 28/2010 della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi previsto e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto, come da specifico atto separato. Luogo e data .... Firma .... La firma è autografa Firma Avv. .... [1] In materia assicurativa la competenza per territorio segue i criteri ordinari dettati dagli artt. 18, 19, 20 e 28 c.p.c. con la concorrenza- salvo diversi accordi tra le parti - del foro del convenuto (sede della persona giuridica), della conclusione del contratto o della esecuzione della prestazione. Nel caso in cui, però, la controversia venga instaurata o sia diretta verso una persona fisica che rivesta la qualità di consumatore, prevale il foro individuato sulla scorta della residenza di quest'ultimo, di natura inderogabile (c.f.r. Cass. III, n. 9922/2010 per cui «Nelle controversie tra consumatore e assicurazione, la competenza è del giudice del luogo in cui il cittadino risiede o ha eletto domicilio nelle controversie. È vessatoria, quindi, la clausola che prevede una diversa località come sede del foro competente, anche se coincidente con uno di quelli individuabili sulla base del funzionamento dei vari criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile per le controversie che hanno origine da un contratto»). [2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. [3] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c.. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». [4] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge n. 114/2014. L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. [5] L'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragione della domanda dell'attore rappresenta un elemento essenziale della citazione. L'indicazione della causa petendi, e cioè del titolo della domanda, è richiesto dall'art. 163 comma 3, n. 4 c.p.c. Tuttavia solo la mancanza dell'indicazione dei fatti posti a fondamento della domanda produce la nullità della citazione a norma dell'art. 164, comma 4, c.p.c. [6] Cass. n. 2915/1968; Cass. n. 1205/1975; Cass. n. 5775/1979; Cass. n. 4851/1980; Cass. n. 3207/1994; Cass. n. 9388/1997; Cass. n. 6062/1998. [7] Cass. n. 1078/1978. [8] Sul punto si veda la pronuncia Cass. n. 2119/2002. CommentoPremessa Uno tra gli istituti più travagliati dell'intera materia delle assicurazioni è l'assicurazione contro gli infortuni, non oggetto di alcuna disposizione normativa ma piuttosto di un faticoso e lungo lavoro giurisprudenziale e dottrinale volto a delinearne i tratti essenziali e distintivi rispetto alle ipotesi codicistiche, l'assicurazione contro i danni e l'assicurazione sulla vita. Se, infatti, la riconducibilità degli “infortuni” agli eventi della vita umana (art. 1882 c.c.) costituiva il principale elemento di contatto tra l'istituto in commento e le assicurazioni sulla vita, in uno alla affinità per contenuti e finalità, l'art. 1916 comma 4, c.c. che estende all‘assicurazione contro gli infortuni e le disgrazie accidentali il diritto dell'assicuratore a surrogarsi nei diritti dell'assicurato contro i terzi responsabili, costituiva un punto di riferimento imprescindibile per l'avvicinamento dell'istituto all'assicurazione contro i danni. La soluzione giurisprudenziale ormai maggioritaria ha consentito, invero, di rivelare la natura complessa dell'istituto e di sdoppiarne la causa a seconda che sia tutelato l'evento infortunio mortale o non mortale.
Natura del contratto. I contrasti e l'approccio prevalente dopo la sentenza n. 2119/2002 della Suprema Corte a Sezioni Unite La principale posizione di coloro che accostavano l'istituto in commento all'assicurazione sulla vita era oltre - in ipotesi- all'affinità di finalità e contenuti (cfr. supra), soprattutto il disposto dell'art. 1882 c.c. e l'impossibilità di ricondurre l'essere umano (cui lo stesso si rivolge in termini di “bene tutelato”) ad una “cosa” suscettibile di stretta valutazione economica, tanto da escludere che l'infortunio che a questi dovesse capitare, potesse essere qualificabile come pregiudizio economicamente stimabile. Ne discendeva l'inquadramento dell'infortunio tra gli eventi attinenti alla vita umana, rispetto ai quali, però, come è noto non si applica il vincolo indennitario. Anche la previsione dell'art. 1916 comma 4, c.c. supra menzionata, costituiva per la dottrina prevalente antecedente al 2002, volontà del legislatore di applicare una disposizione tipica dell'assicurazione contro i danni ad un istituto che non ne condivideva la natura. Argomento principale, invece, a favore dell'inquadramento dell'istituto nell'ambito proprio di quest'ultima tipologia contrattuale era la funzione propria del contratto di assicurazione contro gli infortuni, ovvero quella di riparare le conseguenze sfavorevoli di un evento dannoso diversamente dalla finalità meramente previdenziale del contratto regolato dagli art. 1919 c.c. e seguenti. D'altronde, non era neanche possibile assimilare l'infortunio non mortale, che costituisce un danno in relazione al quale sorge l'obbligazione dell'assicuratore di rivalere l'assicurato, alla morte che, invece, si costituisce l'”evento attinente alla vita umana” menzionato dalla norma spartiacque dell'art. 1882 c.c. In tale prospettiva la specificazione dell'art. 1916 comma 4 c.c., che estende il diritto di surroga dell'assicuratore verso il terzo responsabile del sinistro, non sarebbe allora norma derogatoria alla disciplina principale quanto, piuttosto, mera specificazione che anche questa tipologia contrattuale è soggetta al principio indennitario che pervade di sé l'intera materia dell'assicurazione contro i danni, e che impedisce lo scopo lucrativo nella condotta dell'assicurato che potrebbe, altrimenti, essere interessato alla verificazione del sinistro. Infine, sosteneva la tesi in parola, la preventiva quantificazione ad opera delle parti dell'interesse dell'assicurato e della misura della sua lesione, non ostava al predetto inquadramento se solo si osservava che nella disciplina dell'assicurazione contro i danni esisteva una disposizione che ammetteva la predeterminazione dei danni (cfr. art. 1918 c.c. sulla polizza stimata). In dottrina, poi, si fecero spazio, altresì, le tesi del cd. tertium genus rispetto ai due tipi legali o del contratto misto. La rivisitazione delle impostazioni tradizionali e contrapposte è giunta con la sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 2119/2002 che, recependo gli insegnamenti di una costante giurisprudenza di legittimità che aveva ammesso delle deroghe all'inquadramento dell'istituto nella regolamentazione del contratto di assicurazione sulla vita nei casi di polizze infortuni parziali (cfr. Cass. I, n. 2915/1968; Cass. I, n. 1205/1975; Cass. I, n. 6205/1979; Cass. I, n. 1883/1977), consentì il passaggio ad una diversa prospettiva. La Corte, sulla premessa che nella nozione di “danno” così come presentata dall'art. 1882 c.c., in carenza di ulteriori precisazioni, possono essere ricondotti non solo i danni alle cose o al patrimonio, ma anche i danni derivati per effetto di un infortunio alla persona dell'assicurato, ha dovuto preliminarmente risolvere il dubbio relativo alla natura della particolare garanzia. La risposta nel senso di inserire l'assicurazione contro gli infortuni non mortali nell'alveo delle assicurazioni contro i danni ha trovato conferma, a parere delle Sezioni Unite, anzitutto nell'appiglio normativo offerto dall'art. 1916, comma 4, c.c., nel quale viene espressamente esteso l'istituto della surrogazione alle assicurazioni contro le disgrazie accidentali. La possibilità prevista in favore dell'assicuratore di surrogarsi nei diritti dell'assicurato verso il responsabile del danno fino a concorrenza dell'ammontare dell'indennità corrisposta si porrebbe, dunque, quale presidio della funzione esclusivamente indennitaria attribuita al contratto di assicurazione contro i danni, in quanto tende ad evitare il possibile cumulo in un unico soggetto di diritti derivanti da diversi titoli; se, pertanto, la surroga rappresenta sicura applicazione del principio indennitario, l'esplicita estensione della relativa disciplina all'assicurazione contro gli infortuni consente di affermare che anche questo tipo di assicurazione si caratterizza per proprio per tale funzione. Non osta, poi, il fatto che la misura dell'indennizzo nella polizza infortuni possa esser predeterminata nelle condizioni di polizza, atteso che anche nel contratto di assicurazione contro i danni - ove il principio indennitario opera come fondamento assoluto - le parti possono liberamente stimare il valore delle cose assicurate, così come stabilito dall'art. 1908. Di qui la conclusione sistematica della Corte: nell'alveo dell'assicurazione contro i danni, si inquadrano, così, i soli infortuni non mortali, e si inseriscono, invece di diritto gli infortuni mortali - quali eventi ritenuti attinenti alla vita umana, ancorché collegati ad una specifica causa dedotta nel rischio accettato - nelle assicurazioni sulla vita, con conseguente applicazione della relativa disciplina (cfr. a conferma recente del principio Cass. III, n. 10602/2018 per cui “L'assicurazione contro l'invalidità permanente da malattia - al pari di quella per l'infortunio non mortale, dalla quale si differenzia solo perché il danno alla persona deriva da un processo morboso "interno" alla stessa e non da un fattore causale "esterno" ad essa - rientra nell'ambito dell'assicurazione contro i danni, che non è solo assicurazione di cose o patrimoni, ma si caratterizza anche come assicurazione di persone, e, pertanto, ricade nell'ambito di applicazione del principio indennitario, in virtù del quale l'indennizzo non può mai eccedere il danno effettivamente patito. (In applicazione di tale principio la S.C., con riferimento ad un caso in cui erano state stipulate due polizze contro l'invalidità permanente da malattia, prive di collegamento negoziale o di previsioni specifiche sulla loro cumulabilità, ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto trattarsi di due assicurazioni relative al medesimo rischio ma con diversa quantificazione predeterminata del danno, sicché, in forza del principio indennitario, l'importo complessivamente liquidabile non poteva quantificarsi in misura pari alla sommatoria degli importi assicurati con le due polizze, ma doveva necessariamente corrispondere al danno effettivo, da individuarsi nella misura predeterminata dalla polizza che assicurava l'importo maggiore”). La conclusione, dunque, è che nell'assicurazione contro gli infortuni spesso ci si trova di fronte alla cosiddetta duplicità del rischio, ovvero all'assunzione in garanzia nello stesso contratto, complesso, sia dell'infortunio produttivo di invalidità permanente o temporanea sia dell'infortunio mortale, con la conseguenza di poter giustificare, stante la sostanziale differenza dei rischi assunti e secondo la prospettiva della Corte, una diversificazione di disciplina a seconda del tipo di rischio coperto.
Tratti distintivi Di qui una serie di pronunce da cui discende la diretta applicazione dei principi supra delineati e che hanno consentito la identificazione dell'istituto. Intanto, in materia di polizza contro gli infortuni, «il debito indennitario dell'assicuratore, allorché sia previsto un procedimento di liquidazione convenzionale per il tramite di una perizia contrattuale, si caratterizza come debito di valore e solo successivamente alla liquidazione diviene obbligazione di valuta; ciò in considerazione del fatto che il debito di indennizzo gravante sull'assicuratore, ancorché venga convenzionalmente contenuto, nella sua espressione monetaria, nei limiti di un massimale, assolve una funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell'assicurato, ed è pertanto suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione della moneta» (Cass. III, n. 25046/2013) per cui, in definitiva, il debito indennitario nell'assicurazione contro gli infortuni si connota come debito di valore dal momento del sinistro al verificarsi della liquidazione e, solo successivamente, in tale momento diventa obbligazione di valuta. Viceversa, condividendo la natura del contratto di assicurazione sulla vita quello contro gli infortuni mortali, «Nel contratto di assicurazione contro gli infortuni a favore di terzo, la disciplina secondo cui, per effetto della designazione, il terzo acquista un proprio diritto ai vantaggi assicurativi, si interpreta nel senso che ove sia prevista, in caso di morte dello stipulante, la corresponsione dell'indennizzo agli eredi testamentari o legittimi, le parti abbiano non solo voluto individuare, con riferimento alle concrete modalità successorie, i destinatari dei diritti nascenti dal negozio, ma anche determinare l'attribuzione dell'indennizzo in misura proporzionale alla quota in cui ciascuno è succeduto, atteso che, in assenza di diverse specificazioni, lo scopo perseguito dallo stipulante è, conformemente alla natura del contratto, quello di assegnare il beneficio nella stessa misura regolata dalla successione» (Cass. III, n. 19210/2015). Per una delle ipotesi di applicazione più frequenti dell'istituto ovvero la stipulazione da parte del datore di lavoro della polizza di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (secondo la previsione della contrattazione collettiva), la individuazione del titolare (datore di lavoro o compagnia assicuratrice) della posizione debitoria nei confronti del lavoratore, o dei suoi aventi causa, in caso di infortunio, dipende dalla configurazione che il contratto di polizza assicurativa può assumere, quale “assicurazione per conto di chi spetta” ai sensi dell'art. 1891 c.c. (per il quale l'assicurazione corrisponde direttamente al lavoratore interessato la prestazione in caso di infortunio), ovvero quale “assicurazione della responsabilità civile” ai sensi dell'art. 1917 c.c. (che obbliga l'assicuratore a tenere indenne il datore di lavoro di quanto questi, in conseguenza dell'infortunio, ha corrisposto o deve corrispondere al lavoratore: cfr. Cass. III, n. 10057/2002). Quanto, all'onere della prova, poi, è stato affermato che «nel contratto di assicurazione, l'avverarsi del rischio come descritto nella polizza è il fatto costitutivo del diritto dell'assicurato all'indennizzo, mentre la sussistenza di una circostanza di fatto idonea a sussumere il rischio tra quelli esclusi dalla polizza è fatto impeditivo di quel diritto. Ne consegue che, ove un'assicurazione contro gli infortuni mortali preveda che il diritto all'indennizzo spetti nel caso di infortunio causato da sinistro stradale, mentre resti esclusa se la morte sia conseguenza di condizioni fisiche anormali della vittima, i beneficiari avranno l'onere di provare il nesso di causa tra sinistro e morte, mentre l'assicuratore avrà l'onere di provare la preesistenza di condizioni fisiche anormali» (cfr. Cass. III, n. 6548/2013). Se manca, poi, una definizione normativa di infortunio, esso ha trovato esplicazione nella dottrina prevalente per cui esso è individuato nell'evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni fisiche obiettivamente constatabili, le quali abbiano per conseguenza la morte, una invalidità permanente oppure una inabilità temporanea. Ebbene, laddove manchi tale accidentalità o causalità esterna, nelle polizze contro gli infortuni non possono esserne indennizzate le conseguenze (si pensi al caso del suicidio dell'assicurato: cfr. Trib. Vicenza del 25 marzo 2010 che in un caso in cui era mancata la prova che la morte dell'assicurato potesse ricondursi ad un evento imprevedibile ed occasionale, il giudice ha escluso la configurabilità dell'evento fortuito, in quanto l'evento morte dell'assicurato era riconducibile piuttosto ad un gesto deliberato e volontario dello stesso, deciso a togliersi la vita, con la conseguenza che l'assicurazione non avrebbe dovuto versare alcun tipo di indennizzo) e ciò, dunque, in aperto contrasto con disciplina del suicidio nell'ambito delle assicurazioni sulla vita.
La cd. “polizza malattia” Diffuse sono le polizze che tutelano il rischio di malattia da cui discenda l'invalidità temporanea o permanente dell'assicurato. Nelle stesse, ha rilievo quale evento tutelato uno stato menomativo che può essere transeunte (invalidità temporanea) o permanente (invalidità permanente), con la precisazione che l'espressione «invalidità temporanea» designa lo stato menomativo causato da una malattia, durante il decorso di questa, mentre l'espressione «invalidità permanente» designa lo stato menomativo che residua dopo la cessazione di una malattia. Da qui la conseguenza - decisiva ai fini interpretativi - che l'esistenza di una malattia in atto e l'esistenza di uno stato di invalidità permanente non sono compatibili, dato che sino a quanto dura la malattia permane una situazione di invalidità temporanea, senza che vi possa essere invalidità permanente: se poi la malattia guarisce con postumi permanenti si avrà uno stato di invalidità permanente, senza che si abbia più invalidità temporanea. Ulteriore conseguenza interpretativa è che se la malattia dovesse condurre a morte vorrà dire che essa avrà causato esclusivamente un periodo di invalidità temporanea. Il caso è stato analizzato dalla Suprema Corte di Cassazione (decisione della sezione III - Cass. III, n. 5197/2015), nella quale a tal proposito si è affermato che «L'espressione “invalidità permanente” designa uno stato menomativo divenuto stabile ed irremissibile, consolidatosi all'esito di un periodo di malattia: pertanto, prima della cessazione di questa, non può esistere alcuna “invalidità permanente”. Ne consegue che, ove in un contratto di assicurazione contro i rischi da malattia, sia previsto il pagamento di un indennizzo nel caso di invalidità permanente conseguente a malattia, alcun indennizzo è dovuto nel caso in cui la malattia patita dall'assicurato, senza mai pervenire a guarigione clinica, abbia esito letale». D'altronde, era stato già affermato che (cfr. Cass. n. 7632/2003) il consolidarsi di postumi permanenti (id est «invalidità permanente») possa mancare in due casi: o quando, cessata la malattia, questa risulti guarita senza reliquati; oppure quando la malattia si risolva con esito letale (per un altro riferimento giurisprudenziale in cui si è negato, a vari fini -ad esempio in tema di decorso del termine di prescrizione o della quantificazione del risarcimento-, che invalidità permanente e temporanea possano sovrapporsi si veda Cass. n. 3806/2004). In questa stessa ottica è stata definita valida ed efficace e non vessatoria (cfr. Cass. III, n. 15756/2016), in quanto attinente all'oggetto del contratto e non alla responsabilità dell'assicuratore, la clausola di una polizza infortuni mortali la quale preveda il pagamento dell'indennizzo nei soli casi in cui l'infortunio costituisca la causa esclusiva della morte.
Divieto di cumulo tra indennità e risarcimento del danno Se, infine, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite del 2002 l'assicurazione contro il rischio di infortuni non mortali va inquadrata nelle assicurazioni contro i danni, con la conseguente applicazione della disciplina codicistica per tale ramo assicurativo, ne consegue che essa è soggetta al principio indennitario, in virtù del quale l'indennizzo non può mai eccedere il danno effettivamente patito, sicché il risarcimento dovuto alla vittima di lesioni personali deve essere diminuito dell'importo percepito a titolo di indennizzo da parte del proprio assicuratore privato contro gli infortuni. È la tematica del divieto di cumulo per l'assicurato di indennizzo e risarcimento a carico del terzo responsabile, che con una decisione motivata e completa la Suprema Corte di Cassazione di recente ha ribadito (cfr. Cass. III, n. 13233/2014). Secondo la pronuncia, infatti, l'art. 1916 c.c., mirando ad impedire il cumulo di indennizzo e risarcimento, costituisce espressione tipica del principio indennitario, applicabile - per effetto dell'estensione attuata dal comma 4 di tale norma - anche all'assicurazione infortuni, alla quale deve pertanto attribuirsi natura indennitaria: deve negarsi, dunque, la possibilità per l'assicurato-danneggiato di cumulare indennizzo assicurativo e risarcimento del danno. Peraltro, vi sono delle ulteriori specifiche ragioni (che trovano fondamento sia nelle norme sul contratto di assicurazione, sia in quelle sulla responsabilità civile e sul risarcimento del danno) che impediscono di ritenere possibile tale cumulo: a) l'assicurato potrebbe avere in teoria un interesse positivo all'avverarsi del sinistro, venendo così a mancare la causa tipica del contratto di assicurazione (il rischio di cui all'art. 1895 c.c., inteso quale evento futuro, incerto, dannoso e non voluto); b) trasferendosi, per effetto della surrogazione, il diritto al risarcimento all'assicuratore, l'assicurato non ne sarebbe più titolare e non potrebbe pertanto esigerne il pagamento dal terzo danneggiato, che altrimenti sarebbe costretto ad un duplice pagamento, sia nelle mani del danneggiato, sia nelle mani dell'assicuratore in qualità di surrogante; c) la percezione dell'integrale risarcimento da parte del danneggiato-creditore, estinguerebbe l'obbligazione del danneggiante-debitore, di modo che l'assicuratore che avesse pagato l'indennizzo, non potrebbe più agire in surrogazione, in quanto il danneggiante potrebbe validamente eccepire l'estinzione del proprio debito; d) verrebbe violato il principio di integralità del risarcimento, in virtù del quale il danneggiato non può, dopo il risarcimento, trovarsi in una condizione patrimoniale più favorevole rispetto a quella in cui si trovava prima di restare vittima del fatto illecito. Assolvendo, dunque, indennizzo e risarcimento ad una identica funzione, la corresponsione dell'indennizzo al danneggiato-assicurato produce l'effetto di elidere in misura corrispondente il suo credito risarcitorio nei confronti del danneggiante, che pertanto si estingue, non potendo più essere preteso né azionato. E ciò accade non tanto perché sia da escludere l'applicazione dell'istituto della “compensatio lucri cum damno”, bensì in quanto non vi è più danno risarcibile per la parte già indennizzata dall'assicuratore. Diversamente, invece, va detto in tema di assicurazione contro gli infortuni mortali per la quale è stato di recente puntualizzato che non si applica il principio indennitario in base al quale l’assicurato non può locupletare dall’adempimento dell’obbligazione indennitaria dell’impresa di assicurazione, anche nell’ipotesi in cui avesse pattuito un massimale più elevato, un risultato che lo ponga in una situazione patrimoniale più vantaggiosa di quella in cui versava precedentemente alla verificazione dell’evento-rischio, “perché si è di fronte ad una forma di risparmio posta in essere dall’assicurato che sopporta l’onere dei premi mentre l’indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante”(Cass. Civ. sez. III, n.9380/2021). Ciò consentendo di concludere che in tema di assicurazione, l'art. 1910, commi 1 e 2, c.c., il cui fondamento risiede nell'esigenza di evitare che l'assicurato, nel conseguire l'indennizzo da più assicuratori, persegua fini di lucro ed ottenga un indebito arricchimento, si applica all'assicurazione contro gli infortuni non mortali, in quanto partecipe della funzione indennitaria propria dell'assicurazione contro i danni, ma non all'assicurazione contro gli infortuni mortali, essendo questa forma di assicurazione assimilabile all'assicurazione sulla vita; tale distinto regime delle due differenti categorie di assicurazioni conto gli infortuni, fondato sulla diversità della causa, trova del resto conferma nella disciplina dettata dall'art. 2, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 209 del 2005 (cd. d.lg. 7 settembre 2005 n. 209), il quale, nel porre la distinzione tra il "ramo assicurativo vita" e il "ramo assicurativo contro i danni", riconduce al primo le assicurazioni contro gli infortuni caratterizzate dall'elemento della "lunga durata" dell'esposizione al rischio che può esitare nella morte o nell'invalidità grave, cui si correla la non rescindibilità unilaterale del contratto da parte dell'assicuratore, mentre gli infortuni invalidanti privi delle suddette caratteristiche restano collocati all'interno del "ramo danni". |