Ricorso per cassazione per contestare la valutazione equitativa del danno operata dalla Corte d'appelloInquadramentoI congiunti di un soggetto deceduto durante l'esecuzione di lavori edili commissionati da una ASL, propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello con la quale era stato ridotto significativamente l'importo del danno loro riconosciuto in primo grado, deducendo che la valutazione equitativa del danno, per quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, è pur tuttavia suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), allorquando la giustificazione sulla quale quella valutazione si basi difetti totalmente, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria. FormulaSUPREMA CORTE DI CASSAZIONE RICORSO PER CASSAZIONE [1] avverso la sentenza n. .... emessa dal .... di .... in data .... e notificata in data .... oppure, se la sentenza non è stata notificata, pubblicata in data ....proposto dal Sig. ...., C.F. n. ...., dal Sig. ...., C.F. [2] n. ...., e dal Sig. ...., C.F. n. ...., elettivamente domiciliato in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., C.F. ...., che li rappresenta e difende in virtù di procura apposta a margine/in calce del presente atto, con dichiarazione di voler ricevere le comunicazioni al fax n. .... o all'indirizzo di PEC .... [3], CONTRO l'A.S.L. di ...., con sede in .... via .... n. .... C.F. ...., in persona del legale rappresentante p.t., con sede in ...., alla via ....n. ...., rappresentata e difesa dall'Avv. ....; - intimato- PREMESSO CHE — Con atto di citazione notificato in data ...., ...., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sul figlio minore ...., nonché .... e ...., convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di ...., la ASL n. .... di ...., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni tutti conseguenti alla morte, in data ...., del loro congiunto .... (rispettivamente, marito e fratello) durante l'esecuzione di lavori edili commissionati dall'Azienda convenuta; — la convenuta società, con comparsa di risposta depositata in data ...., deduceva genericamente l'infondatezza della domanda; — con sentenza n. ..../ .... l'adito Tribunale di .... dichiarava quest'ultima responsabile dell'infortunio sul lavoro e, conseguentemente, la condannava al risarcimento dei danni in favore sia della .... (nella suddetta duplice qualità), sia di .... e di ...., liquidando, a titolo di danno morale, la somma di euro .... a favore della prima (per ciascuna qualità), e di euro ....a favore dei secondi; Su gravame della ASL, veniva emessa in data sentenza n. ..../ ...., con la quale la corte di appello di ...., in parziale riforma della prima decisione, riduceva l'importo dovuto a titolo di risarcimento del danno morale, rispettivamente, in euro ....per la ...., ed in Euro ....per ....e.... IN DIRITTO 1. Il presente ricorso è fondato sui seguenti motivi: con il primo motivo di doglianza i ricorrenti lamentano violazione o falsa applicazione dell'art. 1226 c.c., per avere la corte di appello ridotto il quantum del danno morale ad essi spettante senza indicare in alcun modo i criteri concretamente utilizzati per la minor determinazione equitativa di tale componente di danno; con il secondo motivo di doglianza si deduce - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) - la motivazione apparente della decisione impugnata [4], per aver la corte territoriale, senza esplicitarne le ragioni ed i parametri, drasticamente ridotto il quantum in oggetto, pur dopo aver riconosciuto che si trattava di danni “molto gravi” e derivanti dalla lesione di “valori della persona costituzionalmente garantiti”. 2. Dopo avere correttamente riaffermato il diritto degli stretti congiunti del defunto ad ottenere il risarcimento dei danni morali, trattandosi “di una lesione di valori della persona, costituzionalmente garantiti, per cui non si pone neppure il problema di accertare la sussistenza di un fatto illecito costituente reato, ai sensi dell'art. 2059 cod. civ.”, la corte di appello ha poi ritenuto di (drasticamente) ridurre il quantum di tale componente di danno, come già riconosciuto dal tribunale, sulla base di questa motivazione testuale (pag. ....della sentenza): ” ....”. Dopo aver rimarcato la gravità dei danni, anche perché conseguenti alla lesione della persona e di diritti costituzionalmente garantiti, la corte di merito non ha, in sostanza, esplicitato alcunché in ordine tanto ai presupposti della disposta riduzione, quanto ai parametri della sua entità. È vero che tale riduzione è derivata dall'applicazione del criterio equitativo ex art. 1226 c.c. (di per sè certamente legittimo in materia), e tuttavia ha fatto difetto qualsivoglia motivazione sui criteri di riduzione adottati; mediante, segnatamente, l'indicazione degli elementi della fattispecie concreta che, secondo la corte di merito, giustificavano, ed anzi imponevano (pur nell'ambito dell'esercizio dell'equità giudiziale) la riduzione del quantum già riconosciuto dal primo giudice. A ben vedere, gli unici parametri esplicitati in sentenza - quelli della obiettiva consistenza del danno morale subito, e della rilevanza costituzionale della lesione - parrebbero, secondo logica, semmai deporre (in assenza di qualsivoglia altro elemento di contrasto) per l'esclusione della richiesta riduzione. Nè la corte di appello ha ritenuto di meglio descrivere ed argomentare - con riguardo alla concretezza del caso - perché la disposta riduzione rispondesse ad una più “realistica” valutazione. Non viene indicata una sola circostanza fattuale concreta capace di “riempire” l'apodittica, e solo apparente, motivazione posta a base della minor quantificazione [5]. Ci si trova, in definitiva, di fronte all'esercizio di un potere di riduzione che, per quanto nominalmente ancorato all'equità correttiva ed integrativa di cui all'art. 1226 c.c., non risulta in alcun modo motivato nelle modalità e nei limiti del suo esercizio; così da risultare del tutto avulso dalla possibilità di controllo e quindi, in definitiva, arbitrario. Si è in proposito affermato che la liquidazione equitativa del danno morale che non si riferisca, nè tenga conto, della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della sofferenza e del turbamento d'animo, si pone al di fuori del fondamento e dei limiti di cui all'art. 1226 cod. civ., rendendo impossibile il controllo dell'iter logico seguito dal giudice di merito nella relativa quantificazione (Cass. n. 3582/2013); e, inoltre, che la valutazione equitativa del danno, per quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, è pur tuttavia suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), allorquando la giustificazione sulla quale quella valutazione si basi difetti totalmente, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria (Cass. n. 1529/2010; Cass. n. 12318/2010). Il ricorso è altresì fondato sui seguenti atti processuali (oppure) sui seguenti documenti: ....che si allegano. Tutto ciò premesso, nell'interesse del Sig. ....si CONCLUDE affinché la Suprema Corte di Cassazione voglia cassare la sentenza impugnata, rinviando la causa al .... di .... (oppure) senza rinvio e condannare il Sig. .... alle spese del giudizio di cassazione (oppure) alle spese del giudizio di cassazione e dei precedenti giudizi. Si depositano i seguenti documenti: 1) copia autentica della sentenza impugnata; 2) richiesta di trasmissione alla Corte di Cassazione del fascicolo d'ufficio; 3) documenti ....; 4) ..... Si depositano inoltre quattro copie in carta libera del presente ricorso e della predetta sentenza. Ai fini del versamento del contributo unificato per le spese di giustizia dichiara che il valore della causa è di Euro.... Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA ALLE LITI Il presente modello di ricorso in Cassazione è corrispondente al modello predisposto dalla Corte Suprema di Cassazione, dalla Procura Generale della Corte di Cassazione, dall'Avvocatura Generale dello Stato e dal Consiglio Nazionale Forense che il 1° marzo 2023 hanno sottoscritto un nuovo “Protocollo d'intesa sul processo civile in Cassazione", fornendo indicazioni sulle regole di redazione e sul nuovo schema di ricorso in Cassazione. Il ricorso deve strutturarsi nei seguenti paragrafi: --a) sentenza impugnata, estremi del provvedimento impugnato (Autorità giudiziaria che lo ha emesso, codice ufficio, Sezione, numero del provvedimento, data della decisione, data della pubblicazione, data della notifica se notificato); --b) codice materia correlato al codice-oggetto del giudizio di merito (ad eccezione del giudizio tributario), secondo le disposizioni riportate sul sito della Corte di cassazione ed allegate al presente protocollo (v., All. n. I), al fine della corretta assegnazione del ricorso alla Sezione tabellarmente competente; --c) valore della controversia, specificazione del valore della controversia ai fini della determinazione del contributo unificato; d) parole chiave, massimo 10 ( dieci) parole, che descrivano sinteticamente la materia oggetto del giudizio; --e) sintesi dei motivi del ricorso (in non più di alcune righe per ciascuno di essi e contrassegnandoli numericamente), mediante la specifica indicazione, per ciascun motivo, delle norme di legge che la parte ricorrente ritenga siano state violate dal provvedimento impugnato e delle questioni trattate. Nella sintesi dovrà essere indicato per ciascun motivo anche il numero della pagina ove inizia lo svolgimento delle relative argomentazioni a sostegno nel prosieguo del ricorso, eventualmente inserendo il link di invio diretto alla pagina di riferimento; --f) svolgimento del processo, esposizione, di regola, in massimo 5 pagine, del fatto processuale in modo funzionale alla chiara percepibilità delle ragioni poste a fondamento delle censure sviluppate nella parte motiva; --g) motivi di impugnazione, argomenti a sostegno delle censure già sinteticamente indicate nella parte denominata “sintesi dei motivi”. L'esposizione deve rispondere al criterio di specificità e di concentrazione dei motivi e deve essere contenuta, di regola, nel limite massimo di 30 pagine. Per ciascuno dei motivi devono essere indicati gli atti processuali, i documenti, i contratti o gli accordi collettivi sui quali il motivo si fonda, illustrandone il contenuto rilevante (eventualmente inserendo apposito link); --h) conclusioni, provvedimento richiesto (ad esempio: cassazione con rinvio, cassazione senza rinvio con decisione di merito, ecc.). Sono state dettate disposizione in tema di: documenti da depositare ai sensi dell'art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. Atti e/o documenti espressamente indicati in relazione a ciascun motivo, elencati secondo un ordine numerico progressivo .I relativi file vanno denominati utilizzando la stessa nomenclatura e numerazione utilizzate nell'elenco caratteri. Per facilitare la lettura, si raccomanda di utilizzare caratteri di tipo corrente e di dimensioni di almeno 12 pt nel testo, con interlinea 1,5 e margini orizzontali e verticali di almeno cm. 2,5; regole di redazione dei controricorsi e ricorsi incidentali. Tutte le indicazioni relative al ricorso, comprese quelle sulle misure dimensionali e i caratteri, si estendono, per quanto compatibili, ai controricorsi. In particolare, per quanto attiene alla sintesi dei motivi, sarà opportuna una sintesi degli argomenti difensivi correlati ai singoli motivi di ricorso (“contromotivi”). Analogamente, sarà opportuno indicare, in relazione a ciascun motivo del ricorso avversario, gli eventuali atti, documenti o contratti collettivi su cui si fonda la difesa. Qualora il controricorso contenga anche un ricorso incidentale, si applicano integralmente le previsioni dettate per i ricorsi; di memorie illustrative. Le memorie non devono superare, di regola, le 15 pagine, con l'osservanza delle raccomandazioni sull'uso dei caratteri previsti per i ricorsi. Sono stati anche forniti chiarimenti sulla presentazione del ricorso in Cassazione. Il mancato rispetto dei limiti dimensionali e delle ulteriori indicazioni sin qui previste non comporta l'inammissibilità o l'improcedibilità del ricorso (e degli altri atti difensivi or ora citati), salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge. Nel caso che per la loro particolare complessità le questioni da trattare non appaiano ragionevolmente comprimibili negli spazi dimensionali indicati, dovranno essere esposte specificamente, nell'ambito del medesimo ricorso (o atto difensivo), le ragioni per le quali sia risultato necessario scrivere di più. La presentazione di un ricorso incidentale, nel contesto del controricorso, costituisce di per sé ragione giustificatrice di un ragionevole superamento dei limiti dimensionali fissati. L'eventuale riscontrata e motivata infondatezza delle motivazioni addotte per il superamento dei limiti dimensionali indicati, pur non comportando inammissibilità del ricorso (o atto difensivo), può essere valutata ai fini della liquidazione delle spese. Dai limiti dimensionali sono esclusi: a) l'intestazione; b) l'indicazione delle parti processuali, del provvedimento impugnato, dell'oggetto del giudizio, del valore della controversia, della sintesi dei motivi e delle conclusioni; c) l'elenco degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso; d) la procura in calce; e) la relazione di notificazione. L'uso di particolari tecniche di redazione degli atti (in particolare, quando consentano la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all'interno dell'atto), tali da agevolarne la consultazione e la fruizione al magistrato e alle altre parti del processo, comporta l‘aumento del compenso professionale, ai sensi dell'art. 4, comma 1-bis, del d.m. 10 marzo 2014, n. 55. In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il C.F., oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111). L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010. A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., della legge n. 114/2014. L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». Ormai le figure della “mancanza assoluta della motivazione sotto l'aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e della “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” circoscrivono l'ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. operata dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134. A tal fine deve essere dedotto l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo) e, dunque, la parte ricorrente ha l'onere di indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato” (testuale o extratestuale) da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti, nonché la sua “decisività”, fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U., n. 8053 /2014). È, invero, principio pacifico e risalente nella giurisprudenza di legittimità (a partire almeno da Cass. III, n. 357 del 13/01/1993) quello secondo cui il giudice chiamato a liquidare il danno non patrimoniale alla salute deve adottare un criterio in grado di garantire due principi: (a) da un lato, assicurare la parità di trattamento a parità di danno, attraverso l'adozione di un criterio standard uniforme; (b) dall'altro, garantire adeguata considerazione alle specificità del caso concreto, attraverso la variazione in più od in meno del parametro standard. Nel motivare le ragioni della propria decisione, pertanto, il giudice di merito deve: (a) indicare quale sia il parametro standard adottato; come sia stato individuato e quali ne siano i criteri ispiratori e le modalità di calcolo; (b) indicare se nel caso di specie, per quanto dedotto e provato dalle parti, sussista la necessità di variare in più od in meno il criterio standard. La motivazione con la quale il giudice di merito giustifica la liquidazione del danno alla salute deve, dunque, essere tale da rendere comprensibile l'iter logico, giuridico e matematico seguito dal giudice (ex permultis, Cass. III, n. 6088/2006). CommentoPremessa Il danno non patrimoniale è valutabile, per sua stessa natura, trattandosi di danno areddituale, in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c., con la sola eccezione, per quanto concerne le responsabilità da sinistri stradali e da colpa medica, del danno biologico “base” delle micropermanenti (in relazione alle quali si rinvia alle apposite formule), siccome ancorato a tabelle normativamente previste. Nel giudizio di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, costituisce violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c. , il prescindere dalla specifica quantificazione formulata dalla parte in ordine a ciascuna delle voci di danno oggetto della domanda, salvo che tali indicazioni non siano da ritenere - in base ad apprezzamento di fatto concernente l'interpretazione della domanda e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione - meramente indicative. In quest'ottica, Cass. III, n. 12159 /2021 ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva ritenuto, all'esito delle risultanze peritali, come mera "emendatio" l'ampliamento dell'originaria domanda attrice, così trascurando di considerare la limitazione posta dalla stessa danneggiata alla propria domanda risarcitoria manifestata attraverso la quantificazione analitica di ogni singola voce di danno e il relativo ammontare espresso in una somma complessiva certa e determinata, tale da escludere un'ulteriore richiesta di liquidazione del danno secondo giustizia ed equità ( conf . Cass., Sez. L, n. 16450/2012, secondo cui le indicazioni quantitative della parte devono considerarsi meramente indicative allorché , pur dopo l'indicazione, chieda comunque che il danno sia liquidato secondo giustizia ed equità). Per Cass. III, n. 1361/2014, la liquidazione deve rispondere ai principi dell'integralità del ristoro, e pertanto: a) non deve essere puramente simbolica o irrisoria o comunque non correlata all'effettiva natura o entità del danno, ma tendere, in considerazione della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, alla maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento; b) deve concernere tutti gli aspetti (o voci) di cui la generale ma composita categoria del danno non patrimoniale si compendia. Il ricorso all'equità pura (la cd. giustizia del caso singolo) non assicurerebbe alcuna omogeneità di risarcimento a parità di grado di menomazione dell'integrità psico-fisica. Questa soluzione sarebbe altresì in contrasto con il principio enunciato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 184/1986), secondo cui il giudice deve adottare un criterio di liquidazione che sia, per un verso, egualitario ed uniforme, al fine di evitare che, a parità di menomazioni psicofisiche, si riconoscano importi notevolmente differenti; per altro verso, elastico e flessibile, per adeguare la liquidazione del caso di specie all'effettiva incidenza dell'accertata menomazione sulle attività della vita quotidiana del danneggiato. Nella liquidazione del danno non patrimoniale non è, pertanto, consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso ad una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi, i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto e a consentire la verifica ex post del ragionamento seguito dal giudice in ordine all'apprezzamento della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d'animo, dovendosi ritenere preferibile, per garantire l'adeguata valutazione del caso concreto e l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, l'adozione del criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, al quale la S.C. riconosce la valenza, in linea generale e nel rispetto dell'art. 3 Cost., di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., salva l'emersione di concrete circostanze che ne giustifichino l'abbandono (Cass. III, n. 20895/2015). Del resto, proprio da questo criterio direttivo, oltre che per rendere più trasparente e prevedibile quel giudizio di equità ex art. 1226 c.c. che permea l'intero danno non patrimoniale, presero le mosse la Tabella milanese e (successivamente) il legislatore, prevedendo una liquidazione “standard” ed un'altra personalizzata (v. art. 5 della l. n. 57/2001 ed ora gli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005 - Codice delle Assicurazioni). Ai fini della liquidazione equitativa di un danno non patrimoniale (nella specie, di un danno non patrimoniale subito da un ente territoriale a causa dell'infedele esercizio delle funzioni di un proprio organo), è necessario che il giudice di merito proceda, dapprima, all'individuazione di un parametro di natura quantitativa, in termini monetari, direttamente o indirettamente collegato alla natura degli interessi incisi dal fatto dannoso e, di seguito, all'adeguamento quantitativo di detto parametro monetario attraverso il riferimento a uno o più fattori oggettivi, controllabili e non manifestamente incongrui (né per eccesso, né per difetto), idonei a consentire a posteriori il controllo dell'intero percorso di specificazione dell'importo liquidato (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 28429 del 11 ottobre 2023) . Sulla liquidazione del danno non patrimoniale si segnala Cass. III, n. 13153/2017, la quale, con specifico riferimento al risarcimento del danno causato da diffamazione a mezzo stampa (alla cui specifica formula si rinvia), ha sviluppato ed approfondito principi già affermati nella giurisprudenza di legittimità, chiarendo che tale liquidazione presuppone una valutazione necessariamente equitativa, la quale non è censurabile per cassazione, sempre che i criteri seguiti siano enunciati in motivazione e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l'esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto. Premessa l'applicabilità degli artt. 1226 e 2056, non vi è dubbio, quanto alla menzionata tabella, che, comunque, si sia in presenza di una valutazione equitativa, da eseguirsi sulla base dei criteri della gravità delle sofferenze subìte dalla vittima dell'illecito e dell'età di quest'ultima. L'esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito. In applicazione di tale principio, Cass. III, n. 24070/2017, ha confermato la sentenza di merito che, con motivazione non illogica né manifestamente arbitraria, aveva esposto il criterio di liquidazione applicato, consistente nella determinazione del danno morale in misura proporzionale al solo danno biologico da invalidità permanente. Tuttavia, è censurabile in sede di legittimità l'esercizio del potere equitativo del giudice di merito ove questi si sia limitato a richiamare genericamente i criteri utilizzati nelle ipotesi di diffamazione, senza precisare in quali termini l'importo liquidato sia conforme ai criteri medesimi, anche alla luce delle peculiarità del caso concreto. Tale principio è stato enunciato da Cass. III, n. 16908/2018, in un giudizio nel quale era stato richiesto il risarcimento del danno conseguente alla lesione della reputazione determinata dalla permanenza della pubblicazione su un sito "internet" di una notizia risalente nel tempo. Nell'ambito della valutazione equitativa del danno, è consentito al giudice inglobare in un'unica somma, insieme con la prestazione principale, interessi e rivalutazione monetaria, ove anche per tali voci ricorrano le condizioni di cui all'art. 1226 c.c., dovendo egli tuttavia specificare quali vi abbia compreso, ma non anche quanto della somma totale sia da imputare a ciascuna di esse (Cass. III, n. 20889/2018). I casi di liquidazione equitativa pura Vi sono, peraltro, dei casi in cui non può farsi riferimento ad alcuna tabella e si procede a liquidazione equitativa pura, anche se a volte in misura percentuale. È il caso della perdita di chance (su cui si rimanda alla specifica formula), del danno parentale da malformazioni fetali, dell'assenza di consenso informato senza che ne derivi lesione alla salute (si pensi, quanto a quest'ultima fattispecie, a Cass. 9 febbraio 2010). Trib. Milano, V, 2 settembre 2008, n. 10796, ad esempio, ha liquidato agli attori il danno nella misura del 20% del totale, cioè nella percentuale di chances di successo non godute dal deceduto, per effetto della accertata colpa medica. Sulla stessa falsariga Trib. Arezzo 16 ottobre 2009, ha sostenuto che, in tema di responsabilità del medico, la violazione del diritto all'informazione e all'espressione di un consenso effettivamente 'informato' costituisce un pregiudizio in sé, distinto dall'eventuale lesione del diritto all'integrità psico-fisica e che il risarcimento delle due voci di danno deve seguire percorsi autonomi: quello alla salute, correlato alla non corretta esecuzione tecnica della prestazione medica, va liquidato secondo il sistema tabellare personalizzato, mentre il danno da lesione del diritto all'autodeterminazione non può che essere liquidato secondo criteri equitativi puri, alla stregua di un danno da perdita di chances; sulla base di tale premessa, il tribunale ha applicato, dunque, il criterio equitativo puro, ritenendo adeguato un ristoro economico dell'importo di Euro 10.000,00. Le fattispecie più frequenti Con riferimento al danno morale in senso stretto (o sofferenza morale), tendenzialmente la sua liquidazione, quando riconosciuto, avverrà facendo ricorso all'equità (fermo restando che, nella motivazione della sentenza, il giudice non potrà mai limitarsi ad adottare formule del tipo “si ritiene equo”, ma dovrà indicare gli elementi sulla base dei quali ha provveduto alla liquidazione; Cass. III, n. 12265/2014), trattandosi di danno che, se pur accertato nell'an, non è di semplice liquidazione nel quantum debeatur. Come insegna la giurisprudenza di Cassazione, unica possibile forma di liquidazione di ogni danno privo - come il danno morale - delle caratteristiche della patrimonialità è quella equitativa, essendo il ricorso a tale criterio insito nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento mediante la dazione di una somma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico (Cass. III, n. 20320/2005). Il parametro di valutazione equitativa del danno morale deve considerare, comunque, innanzitutto la soglia della gravità e della permanenza degli effetti del danno ingiusto (Cass. III, n. 15760/2006). Occorre ricordare che il giudice del merito ha l'obbligo di motivare la liquidazione equitativa del danno indicando i criteri adoperati e gli elementi di fatto valorizzati, criteri ed elementi rispetto ai quali egli deve fornire la dimostrazione della loro attinenza alla liquidazione del danno, pur senza essere tenuto a una dimostrazione minuziosa e particolareggiata degli elementi valorizzati (Cass. III, n. 3191/2006; conf. Cass. n. 16094/2005). Sono, poi, ancora, elementi di riferimento pertinenti l'attività espletata, le condizioni sociali e familiari del danneggiato (contra, tuttavia, Cass. III, n. 10024/1997, secondo cui tali condizioni sono irrilevanti, in quanto insuscettibili di incidere sull'entità della sofferenza) e la gravità delle lesioni e degli eventuali postumi permanenti ove al pregiudizio morale consegua anche una lesione dell'integrità fisica. Nel rinviare per un approfondimento alla relativa formula, quanto al danno biologico cd. terminale (ovvero quello subìto dal de cuius nell'intervallo di tempo tra la lesione del bene salute ed il sopraggiungere della morte conseguente a tale lesione), Cass. n. 870/2008, ha sostenuto che rientra nel danno da inabilità temporanea, la cui quantificazione equitativa va operata tenendo conto delle caratteristiche peculiari di questo pregiudizio e del fatto che, se pure temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita nella morte (Cass. n. 19057/2003; Cass. n. 3766/2005). A voler utilizzare tale criterio, applicando le Tabelle di Milano aggiornate al 2011, che individuano una forbice tra euro 91 ed euro 136 per ogni giorno di I.T.T. al 100%, il danno biologico terminale subìto, ad esempio, per otto giorni, risarcibile e trasmissibile agli eredi potrebbe essere individuato nella somma di euro 912,00. Fermo restando che sia il criterio di liquidazione equitativo “puro” sia il criterio di liquidazione tabellare a punto sono legittimamente utilizzabili (Cass. n. 7632/2003), nell'ottica di fornire parametri oggettivi sui quali ancorare i calcoli, sono stati indicati, per l'aspetto statico, un importo minimo fisso di base che, in considerazione dell'età della vittima (a prescindere dalla durata della sopravvivenza), varia da un massimo di euro 5.622 ad un minimo di euro 562,00, e, per l'aspetto dinamico (relativo ai giorni di sopravvivenza), la somma di euro 1.216 per ogni giorno di sopravvivenza per i primi 10 giorni ed un importo decrescente per i giorni successivi sino al trentesimo giorno, oltre il quale il risarcimento per ogni ulteriore giorno viene fissato nella misura di euro 110 (cfr., sul punto, Cass. n. 4783/2001). Per Cass. III, n. 23183/2014, il danno terminale è comprensivo di un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso), cui può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico); mentre nel primo caso la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, nel secondo caso risulta integrato un danno non patrimoniale di natura affatto peculiare che comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro - ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso - che sappia tener conto della enormità del pregiudizio. Nella necessaria personalizzazione del caso concreto occorre tener conto del vincolo familiare, dell'età della vittima, della eventuale tragica dissoluzione dell'integrità della famiglia legittima, dell'irreparabile perdita della comunione di vita e di affetti col congiunto, della drammaticità dell'evento luttuoso accaduto, se del caso, in una fase della vita che doveva ancora essere ricca di svago e spensieratezza, oltre che dell'impegno e della tensione necessari a predisporre le basi della vita futura, della obiettiva privazione dell'assistenza morale e materiale da parte della vittima, soprattutto se convivente. Con riferimento al danno morale iure hereditatis da morte del congiunto (in relazione al quale si rinvia alla formula dedicata al danno catastrofale), è chiaro che, in difetto di indicazioni normative, la liquidazione equitativa gioca un ruolo predominante (Cass. III, n. 17177/2007). Peraltro, caratterizzandosi il pregiudizio per la particolare intensità del dolore in un soggetto rimasto cosciente, va liquidato tenendo conto dell'entità del danno, in relazione alla gravità delle lesioni, alle circostanze relative alla lucida attesa della morte. Invero, nel danno psichico non è solo il fattore durata a determinare la patologia, ma è la stessa intensità della sofferenza e della disperazione (così Cass. n. 4783/2001). Per garantire il risarcimento integrale occorrerebbe (pur applicando il criterio equitativo) considerare che in tal caso la sofferenza è massima, valorizzando, a mò di parametri, l'età della vittima, i giorni di agonia e l'entità delle lesioni (id est, la presumibile intensità del dolore patito). Il danno morale iure proprio dei congiunti della vittima primaria (in relazione al quale si rinvia alla formula dedicata al danno da perdita del rapporto parentale), secondo Cass. n. 20324/2005, siccome privo della caratteristica della patrimonialità, non può essere liquidato che in via equitativa (conf. Cass. III, n. 336/2016). In particolare, la Suprema Corte, III, con la sentenza n. 10107 del 9 maggio 2011, ha affermato che il danno da perdita del rapporto parentale conseguente alla morte di un prossimo congiunto dev'essere integralmente risarcito mediante l'applicazione di criteri di valutazione equitativa, rimessi alla prudente discrezionalità del giudice, i quali devono tener conto dell'irreparabilità della perdita della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia. La relativa quantificazione va operata considerando tutti gli elementi della fattispecie e, in caso di ricorso a valori tabellari, che vanno in ogni caso esplicitati, effettuandone la necessaria personalizzazione. Attualmente, le tabelle milanesi prevedono delle “forbici”, privilegiando essenzialmente il legame familiare tra la vittima primaria e quelle secondarie e tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, avuto particolare riguardo alla sopravvivenza o meno di altri congiunti, alla convivenza o meno di questi ultimi, alla qualità ed intensità della relazione affettiva familiare residua, alla qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta. Per Cass. n. 15022/2005, occorre altresì considerare la consistenza del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti, la compromissione delle esigenze di questi ultimi. Per Cass. III, n. 12717/2015, non è adeguatamente motivata la sentenza del giudice di merito che, facendo applicazione dei parametri previsti al riguardo dalle tabelle elaborate dal tribunale di Milano, abbia liquidato, per il pregiudizio subito dai genitori in ragione della nascita di un feto morto, una somma pari ai valori più elevati della forbice risarcitoria ivi contemplata, senza considerare che essa, in quanto dichiaratamente calcolata in ragione della qualità e quantità della relazione affettiva con la persona perduta, non è di per sé utilizzabile nel caso del figlio nato morto, dove tale relazione è solo potenziale. Da ultimo, avuto riguardo al danno cd. esistenziale (in relazione al quale si rimanda alla formula sul “Danno esistenziale-relazionale”), fermo restando che inevitabilmente il parametro principale sarà rappresentato da quello equitativo, si segnala che la Corte d'appello di Torino tendenzialmente liquida il danno esistenziale subito dai congiunti dell'ucciso riconoscendo alla moglie ed ai figli del de cuius una quota di quanto risarcito a titolo di danno morale (un terzo per il coniuge, un quarto per i figli); per ciò che concerne il danno esistenziale patito direttamente dal leso nel caso di gravi lesioni permanenti, la Corte piemontese riconosce alla vittima una somma pari ad un quarto di quella liquidatagli a titolo di danno biologico permanente (somma poi ridotta in proporzione al grado di colpa del medesimo); quanto ai congiunti del leso, infine, ritiene un valido metodo di liquidazione del danno esistenziale il riferimento alle somme indicate nelle tabelle torinesi nel caso di uccisione del congiunto, previa riduzione corrispondente al grado di invalidità biologica accertata. Peraltro, analogo criterio è stato seguito in numerose sentenze di merito, tra cui si segnalano Trib. Milano, 14 luglio 2005, e Trib. Casale Monferrato, 28 aprile 2004. Interessante, e per certi versi originale, è il sistema di liquidazione applicato dal Tribunale di Montepulciano (Trib. Montepulciano 9 novembre 2006), il quale ha “suddiviso” la vita di una persona in cinque grandi aree riguardanti le attività biologico-sussistenziali, le relazioni affettive di carattere familiare, le attività lavorative, le attività politico/sociali/associative e le attività di svago; poiché il 100% costituisce l'alterazione totale delle aree suddette, dividendo per cinque la somma ottenuta dall'applicazione delle tabelle si otterrà il valore massimo di ciascuna area. |