Atto di appello sulla valenza esplorativa della consulenza medico-legale d'ufficio

Andrea Penta
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

La società assicuratrice di un asserito danneggiante, nel costituirsi in appello, chiede il rigetto del gravame, deducendo che la CTU viene dal giudice correttamente negata quando la parte tenda con la stessa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero a far compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.

Formula

CORTE D'APPELLO DI ...

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA [1]

Nel procedimento di appello n. ...R.G. promosso da:

Sig. .... (C.F. n. ... [2]), residente in ...., alla via .... n. ...., rappresentata e difesa dall'Avv. ....;

- appellante

CONTRO

Soc. .... (C.F. n. ....; P.I. n. ...), con sede in ...., alla via .... n. ...., in persona del legale rappresentante p.t. (C.F. n. ...), elettivamente domiciliato in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., che lo rappresenta e difende giusta procura a margine/in calce al presente atto, con dichiarazione di voler ricevere le comunicazioni al numero di Fax .... ovvero all'indirizzo di PEC ... [3];

- appellato

* * *

PREMESSA

- con atto di appello, notificato in data ...., il sig. .... impugnava la sentenza n. .... emessa dal Tribunale di .... in data .... e pubblicata in data ...., con la quale veniva rigettata la domanda di parte attrice perché infondata, con compensazione delle spese di lite;

- l'appellato, nel costituirsi in giudizio, contesta integralmente la fondatezza del gravame, osservando quanto segue:

.... convenne in giudizio la deducente e chiese il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, conseguenti al grave errore nella diagnosi di .... e al grave errore chirurgico di .... in cui erano incorsi i medici dipendenti;

- con l'unico motivo l'appellante lamenta la violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c., nonché degli artt. 112 e 116 c.p.c., con riferimento alla quantificazione del danno;

- in sintesi, l'appellante lamenta il mancato accoglimento da parte del primo giudice della richiesta di consulenza psichiatrica, in collegamento con il conseguente mancato riconoscimento del danno psichico che la perizia specialistica avrebbe potuto accertare e che la controparte assume ammontante ad euro ....;

- l'appellante mette in evidenza che proprio il consulente d'ufficio, dopo aver qualificato i sintomi da lui lamentati come soggettivi, aver riferito di crisi umorali nel corso delle visite ed aver messo in evidenza che il danneggiato non aveva allegato di essere in cura per patologia psichica, aveva suggerito l'opportunità di consulenza specialistica.

DIRITTO

Il motivo di gravame non merita accoglimento.

Il giudice ha ritenuto esplorativa la consulenza specialistica, richiesta per l'accertamento della patologia psichica, argomentando nel senso che, secondo quanto riferito dal consulente, i sintomi soggettivi di disturbi psichici addotti dal danneggiato non avevano trovato riscontro nella allegazione, da parte dello stesso, di cure specifiche in corso al momento della consulenza.

La decisione del giudice è conforme alla costante giurisprudenza di legittimità.

E' noto che la consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è, quindi, legittimamente negato qualora la parte tenda, con la consulenza, a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero a far compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (cfr. Cass. n. 3130/ 2011 e Cass. n. 212/ 2006).

Invero, in mancanza di elementi di prova allegati dalla parte (quali, per esempio, certificati di cure mediche in corso per la sofferenza psichica), la mera prospettazione di sintomatologia soggettiva rendeva la consulenza richiesta meramente perlustrativa e non rispettosa del principio dell'onere della prova gravante sul danneggiato.

Tutto ciò premesso, la Soc. ...., come sopra rappresentato e difeso, rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l'Ecc.ma Corte d'Appello adita, dichiarare l'appello infondato e confermare, per l'effetto, la gravata sentenza.

Con vittoria di spese e dei compensi del doppio grado di giudizio.

Si producono:

1. Copia notificata atto di appello;

2. Fascicolo di primo grado;

Luogo e data....

Firma Avv. ...

(PROCURA ALLE LITI, SE NON APPOSTA A MARGINE)

[1] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111).

[2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010.

[3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. 90/2014 conv., con modif., dalla legge 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

Commento

Premessa

Per quanto concerne l'aspetto probatorio, le Sezioni Unite del 2008 hanno rimarcato che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato (laddove in precedenza, in forza del criterio del cd. danno-evento, era sufficiente la violazione del diritto costituzionalmente protetto perché sorgesse, automaticamente, il diritto al risarcimento del danno). Solo in casi eccezionali sussiste un danno in re ipsa (si veda, a tal riguardo, la specifica formula).

In termini generali, le circostanze relative alle quattro componenti (fisica, psichica, interrelazionale interna e relazionale sociale) del danno biologico devono essere provate, le prime due con valutazione medica o medico-legale e le seconde due con prova libera, se del caso anche in via di presunzione.

Al di là delle prove testimoniale e per presunzione (quanto a quest'ultima, si rinvia all'apposita formula) e del ricorso alle nozioni di comune esperienza (art. 115 c.p.c.), frequente è l'utilizzo, ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale, della consulenza tecnica d'ufficio.

La CTU cd. esplorativa

Ovviamente, la CTU medico-legale sulla persona dell'asserito danneggiato, in difetto di allegazione, non può essere disposta ed espletata dall'istruttore, poiché avrebbe un'inammissibile portata esplorativa. Tale mezzo di indagine non può, infatti, essere utilizzato: a) al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume; b) qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerta di prove; c) quando sia tesa a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. A tali limiti è consentito derogare e la consulenza può costituire fonte oggettiva di prova unicamente quando (consulenza cd. percipiente) l'accertamento di determinate situazioni di fatto, allegate dalle parti, possa effettuarsi soltanto con il ricorso a specifiche cognizioni tecniche (su tali profili, cfr. Cass. n. 2205/1996 e Cass. n. 342/1997), nella quale ipotesi, peraltro, la parte che denunzia la mancata ammissione della consulenza ha l'onere di precisare, sotto il profilo causale, come l'espletamento del detto mezzo avrebbe potuto influire sulla decisione impugnata.

Il giudice può discrezionalmente scegliere di nominare un professionista che lo coadiuvi nella valutazione tecnica dei fatti di causa; in tal caso l'attività del consulente tecnico non può essere considerata quale mezzo di prova in senso proprio, in quanto rimane uno strumento conoscitivo di cui il giudice può servirsi per interpretare elementi già allegati dalle parti. Da ciò deriva che la perizia non può essere utilizzata per acquisire prove mancanti, perché andrebbe altrimenti a sostituirsi alla parte nell'assolvimento dell'onere probatorio che su di essa incombe ai sensi dell' art. 2967 c.c. . (App. Lecce, 5 aprile 2023, n. 344).

L'accertamento peritale del danno da lesione all'integrità psico-fisica

Partendo da quello che ormai dovrebbe rappresentare il danno paradigmatico, la lesione all'integrità psico-fisica (cd. danno biologico) può essere dimostrata attraverso un accertamento medico-legale (salvi i casi in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile, perché deceduta o per altre cause) o (e questa rappresenta una significativa novità), se sufficienti, sulla base degli elementi acquisiti al processo (documenti, testimonianze), oltre che delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Le Sezioni Unite del 2008, affermando che l'accertamento medico-legale non è “strumento esclusivo e necessario” per concedere il danno biologico, pare aver infranto il connubio storico fra diritto ed accertamento medico-legale che ha da sempre costituito l'essenza del pregiudizio in esame. Infatti, come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice può non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga superfluo.

D'altra parte, come si è visto, la consulenza tecnica d'ufficio può costituire fonte autonoma di prova solo quando si risolva in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili esclusivamente con ricorso a determinate cognizioni tecniche. Viceversa, l'esistenza, ad esempio, di un danno da distorsione del rachide cervicale (cd. colpo di frusta) non è "strumentalmente" accertabile (cd. ascientificità nelle valutazioni); invero, la distorsione (senza fratture) del rachide cervicale integra una menomazione micropermanente cui residuano essenzialmente solo disturbi soggettivi, come tali sfuggenti a sicuri controlli medici ed accertamenti clinici; pertanto, stante l'estrema difficoltà a tradurre in percentuale tale tipo di danno, nella liquidazione dello stesso deve trovare applicazione il criterio equitativo.

Altra ipotesi nella quale l'accertamento medico-legale può essere evitato, perché superfluo, è quella in cui il danneggiato si limiti a richiedere il ristoro del danno da invalidità temporanea di pochi giorni, e questo risulti documentato ampiamente dalla documentazione medica, della cui attendibilità non è dato discutere (ad es., referto di pronto soccorso che indica in dieci i giorni di guarigione).

Ciò non priva di valore l'orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. n. 20188/2008) secondo cui il danno biologico (ad esempio, subìto dai prossimi congiunti della vittima) deve accertarsi sulla scorta di elementi oggettivi, quali la documentazione sanitaria ed altre precise allegazioni, ma non può consistere nella deduzione di una generica lesione alla salute da accertare mediante consulenza tecnica di ufficio con finalità meramente esplorative, tenuto conto che la consulenza non è mezzo di prova né può sollevare la parte dal relativo onere. Invero, normalmente non può essere direttamente apprezzata dal giudice la natura e la durata delle lesioni né l'entità della conseguente diminuzione dell'integrità psico-fisica del danneggiato.

Trattasi di valutazioni di competenza della medicina legale, che già da tempo considera le menomazioni sotto due aspetti: quello cd. “statico”, attinente ai profili anatomici e funzionali della lesione in sé e per sé considerata (il danno biologico propriamente detto); quello “dinamico”, che considera l'incidente delle lesioni sulle abitudini di vita, sulle attività extra-lavorative, familiari e sociali (è il danno ‘alla salute').

Pertanto, prova principale resta la documentazione medica (rilevando a tal fine referti di diagnosi, certificati di ricovero, cartelle cliniche, relazioni di medici di parte, ecc.), attestante le lesioni psico-fisiche subìte, la loro evoluzione (recte, l'evoluzione della malattia che né è seguita), sulla quale evidentemente si innesterà la valutazione del giudice, che nella stragrande maggioranza dei casi passa attraverso l'esame medico-legale operato tramite la consulenza tecnica d'ufficio.

Con riferimento al danno all'integrità psico-fisica, è opportuno che il c.t.u. venga invitato, in sede di formulazione dei quesiti, a valutare l'incidenza della lesione su tutti gli aspetti, anche extra-lavorativi (di natura familiare, sociale, culturale, ricreativa), della vita del leso, a considerare quale fosse lo stato di salute pregresso (descrivendo tutti gli eventuali precedenti morbosi interessanti la salute del periziando) del soggetto, a prevedere se lo stato del danneggiato sia suscettibile di miglioramento (ad es., attraverso il ricorso a protesi, a terapie o ad interventi, i cui costi, la cui natura e le cui difficoltà andrebbero precisati) o di aggravamento e ad esprimere un giudizio sulla compatibilità tra il sinistro e le lesioni (stabilendo se le lesioni refertate e/o successivamente certificate siano in rapporto causale, secondo i criteri medico-legali, con il fatto lesivo).

Inoltre, occorre tener presente, ai fini della quantificazione, che, in caso di lesioni plurime, le relative percentuali non si sommano aritmeticamente, dovendosi applicare metodi riduzionistici.

Nel caso in cui la vittima abbia invocato il ristoro altresì del danno patrimoniale, è inevitabile che il perito dovrà chiarire se ed in che percentuale gli esiti di carattere permanente siano tali da incidere sulla capacità produttiva del periziato, a tal fine tenendo presente l'effettiva attività lavorativa eventualmente esercitata all'epoca del sinistro (chiarendo se dopo quest'ultimo il lavoro possa essere diventato usurante), nonché quelle diverse con essa compatibili e coerenti (avuto altresì riguardo alla età della vittima, alle sue condizioni psico-fisiche ed alle sue attitudini professionali). A tal ultimo riguardo, il perito dovrà specificare in quali settori di probabile attività il danneggiato potrebbe impiegare le energie residue.

L'accertamento peritale delle ripercussioni sul piano relazionale delle lesioni

Anche avuto riguardo alle ripercussioni sul piano relazionali di lesioni di una certa entità, va sottolineato che ad oggi, nonostante la continua evoluzione giuridica e sociale del sistema risarcitorio italiano, persiste una concezione esclusivamente medico-legale del danno alla persona, mentre, ai fini di un completo ed esauriente accertamento del danno non patrimoniale, sarebbe necessaria anche una indagine diagnostico-valutativa a carattere specialistico psicologico forense e, soltanto in caso di accertata patologia psichica, anche psichiatrico forense. Infatti, mentre il medico legale e lo psichiatra forense sono competenti per l'accertamento a carattere clinico-medico (e non psicologico) del danno alla persona, lo psicologo forense è lo specialista più idoneo per la valutazione del danno psichico e da pregiudizio esistenziale, avendo fra le sue competenze la possibilità di effettuare diagnosi con strumenti di indagine, quali il colloquio clinico e i test appropriati, ai fini dell'accertamento e la valutazione del danno (come consentito e disposto dall'art. 1 della legge n. 56/1989). Una consulenza tecnica interdisciplinare è in grado di individuare le conseguenze psichiche ed esistenziali che il danno, in qualità di conseguenze traumatiche, ha causato sia alle vittime sia ai familiari, con particolare indagine valutativa estesa al nucleo familiare, sia sugli eventuali aspetti patologici psichici, sia sempre sulle alterazioni della personalità e dell'assetto psicologico, sulle alterazioni nelle relazioni familiari e affettive e sulle attività realizzatrici.

L'accertamento della preesistenza o meno di disturbi psichici rappresenta un punto importante delle indagini, perché consente di verificare se vi siano o meno concause in riferimento al disturbo, oltre all'evento traumatico. A tal fine è necessario valutare il livello di integrazione sociale, relazionale e individuale del soggetto in esame prima dell'evento "traumatizzante" e descrivere lo stato attuale dell'esaminato, il livello di compensazione e i meccanismi di difesa messi in atto dopo l'evento.

Sempre in relazione alle ripercussioni di tipo esistenziale, al consulente tecnico d'ufficio è possibile delegare una valutazione meramente descrittiva di eventuali impedimenti a compiere determinate attività extralavorative, già previamente allegate, in quanto potrà specificare se la lesione subìta abbia ripercussioni, ad esempio, su attività sportive non professionali svolte in precedenza dalla vittima, consentendo così al giudice di personalizzare la liquidazione inserendo anche la componente esistenziale.

A livello medico, sono state individuate cinque diverse fasce di gravità corrispondenti ad altrettanti intervalli percentuali: a) danno lieve (6-15%): lieve alterazione dell'assetto psicologico, delle relazioni familiari-affettive e delle attività realizzatrici; b) danno moderato (16-30%): moderata alterazione; c) danno medio (31-50%): media alterazione; d) danno grave (51-75%): grave alterazione; e) danno gravissimo: (76-100%): gravissima alterazione.

Le valutazioni possono concernere tre ambiti: 1) la personalità e l'assetto psicologico (si va da un funzionamento psicologico non alterato e funzionale, ad un funzionamento sconvolto e modificato rispetto al periodo precedente all'evento traumatico – sotto forma di isolamento, pessimismo, apatia e chiusura o, in senso inverso, di stati di eccitabilità, reattività ed esaltazione; rilevano altresì l'eccessiva vulnerabilità, la fragilità, l'irritabilità, la rabbia, l'insicurezza e le reazioni emotive incontrollate -); 2) le relazioni familiari e affettive (sotto forma di totale mancanza di coesione, di gravi vissuti di colpa e/o rabbia nei confronti di uno o più membri, di gravi dissidi e/o interruzione dei rapporti, di grave chiusura, isolamento e ritiro dalla vita familiare con mancanza di partecipazione e attenzione alle esigenze di sviluppo della famiglia, di alta e patologica conflittualità con instabilità e possibilità di perdita di controllo, di grave disinteresse rispetto alle esigenze affettive degli altri membri); 3) le attività realizzatrici (si pensi alle alterazioni che impediscono lo svolgimento delle abituali attività di riposo in tempi sufficienti per potersi riposare o, in senso contrario, all'eccessivo bisogno di riposare o all'eccessiva sonnolenza, tenendo presente che per attività di riposo non si intende soltanto il sonno, ma anche quei passatempi che richiedono un basso livello di attivazione fisica e mentale, come la visione di un film o la lettura di un libro; si può pervenire anche alla cessazione di ogni impegno o attività sportive o ludiche in atto, alla rinuncia a programmare qualsiasi attività ricreativa, alla rinuncia e/o all'interruzione dei progetti in fase di realizzazione, al rifiuto ad accettare proposte di attività ricreative – hobbies o interessi culturali -; rileva altresì una eventuale interruzione totale delle relazioni amicali, che può essere accompagnata dal rifiuto di vedere gli amici, dall'elusione dei contatti telefonici e da possibili frequenti e aggressivi litigi con gli amici; senza tralasciare l'eventuale interruzione dell'attività sessuale, la perdita del posto di lavoro, l'abbandono dell'attività e grave perdita di opportunità lavorative e professionali – l'ambito lavorativo ovviamente non riguarda il danno dal punto di vista della perdita economica, ma da quello della realizzazione dell'individuo -).

Si tende a sostenere che, quando i disturbi psichici restano al di sotto della soglia del 5%, nessun pregiudizio si verifica per le attività quotidiane, quanto al comportamento sociale adeguato, alle capacità di concentrazione normale, all'adattamento normale, non comportando tale condizione alcun danno alla persona; in siffatta evenienza non è presente alcuna sintomatologia ed alcun disagio nel funzionamento sociale o familiare o lavorativo.

In sede di formulazione dei quesiti, è opportuno, pertanto, invitare il c.t.u. a valutare se e in che modo il fatto in esame abbia prodotto dei pregiudizi esistenziali che interessino: a) l'assetto psicologico e la personalità; b) le relazioni familiari e affettive; c) le attività realizzatrici (riposo, ricreative, sociali, autorealizzatrici), precisando, in caso affermativo, lo stato di tali pregiudizi ed esprimendo un valore che va da: assente (0-5%), lieve (6-15%), moderato (16-30%), medio (31-50%), grave (51-75%), gravissimo (>76). In quest'ottica, l'alterazione del benessere psicofisico e dei normali ritmi di vita può essere accertata anche attraverso una consulenza medica volta a provare la presenza di sintomi, quali ansia, irritazione e depressione.

L'accertamento peritale del danno morale

Quanto al danno morale, il quesito concernente il pregiudizio morale potrebbe essere del seguente tenore: “Valuti la consistenza effettiva della sofferenza soggettiva psicofisica e del dolore con adeguato parametro descrittivo e motivate indicazioni del grado di intensità (lieve, moderata, marcata, severa, grave) e durata, tenuto conto della natura ed entità del complesso lesivo-menomativo, dell'iter clinico e delle terapie effettuate.”.

Il CTU, sulla base delle allegazioni e delle prove acquisite al processo relativamente alle specifiche condizioni ed abitudini di vita della vittima, dovrà accertare se i peculiari pregiudizi siano conseguenza delle menomazioni e se queste ultime abbiano cagionato particolari sofferenze soggettive, sia durante l'inabilità temporanea che in conseguenza di postumi permanenti. Il CTU potrebbe, ad esempio, accertare che, per il modesto grado di resilienza della vittima, la degenza ospedaliera o la terapia riabilitativa siano state particolarmente dolorose. Ogni soggetto, infatti, ha un tasso di "risilienza" diverso connotato dalla capacità di reagire agli stress ed alla situazioni negative in generale e il danno morale dovrà essere rapportato alla effettiva incidenza dell'illecito nella sfera interna della vittima, poiché di fronte ad avvenimenti psico-stressanti non tutti i soggetti hanno le stesse reazioni e la stessa resistenza, con conseguenze diverse anche sul grado di patema d'animo e di sofferenza.

Fermo restando che la percezione del dolore varia da soggetto a soggetto, particolare rilevanza va attribuita ai trattamenti medico-chirurgici cui la vittima si è sottoposta. Può essere prassi virtuosa chiedere, in ogni caso, al CTU quale sia il grado delle sofferenze soggettive conseguenti alle menomazioni accertate: irrilevante, scarso, medio, elevato, massimo.

Quando venga in rilievo solo il dolore (o, meglio, la sofferenza) non accompagnato da vera e propria malattia (ad es., stato di frustrazione continuo in caso di morte di prossimo congiunto), è preferibile demandare, come si è già detto, l'accertamento ad uno psicologo.

Al fine di valutare la presenza e la consistenza del danno psichico, può essere opportuno adottare una metodologia che comporti non solo colloqui clinici, ma altresì la somministrazione di test di livello, di personalità e proiettivi, anche nell'ottica di accertare se i disturbi psichici fossero o meno preesistenti (purché tale ultimo aspetto da indagare venga adeguatamente indicato nella formulazione dei quesiti).

Le novità introdotte dalla legge sulla concorrenza

Alla luce del recente art. 1, comma 19, l. 4 agosto 2017, n. 124, è opportuno, in tema di CTU, formulare alcune considerazioni finali:

1) si deve ribadire che solo il professionista specializzato in medicina legale ha la competenza tecnica necessaria per accertare l'entità del danno biologico. Non a caso l'art. 15 della “Legge Gelli-Bianco” dispone che, nei procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'autorità giudiziaria debba affidare l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia (in primo luogo) ad un medico specializzato in medicina legale. Solo il medico dotato di un'elevata professionalità, che tenga congiuntamente conto degli arresti della giurisprudenza e della medicina legale, può adeguatamente accertare l'entità del danno non patrimoniale da lesione del bene salute;

2) premesso che, ai fini della personalizzazione, si richiede che la menomazione psico-fisica incida negativamente sulle attività quotidiane e sugli menzionati aspetti dinamico-relazionali “in maniera rilevante”, impedendoli del tutto o riducendoli significativamente, il relativo giudizio è, ovviamente, rimesso al giudice di merito, il quale (di regola) disporrà sulla questione in esame anche uno specifico quesito al CTU, per potersi avvalere della qualificata valutazione dello specialista in medicina legale (eventualmente coadiuvato dall'esperto nel settore in cui è esplicato l'aspetto dinamico-relazionale pregiudicato);

3) premesso che, una volta provati uno o più dei presupposti richiesti dall'attuale art. 139 Cod. Ass., «l'ammontare del risarcimento del danno (...) può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento», il giudice non dovrebbe avere alcuna discrezionalità circa l'an, e cioè l'accoglimento della domanda, e dovrebbe procedere alla liquidazione; la discrezionalità del giudice attiene, invece, al quantum, nell'ambito del range previsto fino al 20%. Una volta comprovata la condizione soggettiva rilevante, il giudice potrà eventualmente richiedere al CTU la valutazione medico-legale, al fine di acclarare se quella specifica attività esistenziale sia, in tutto o in parte, preclusa per effetto della menomazione psicofisica; con l'avvertenza che il CTU dovrà limitarsi ad esprimere una valutazione tecnica e fornire al giudice tutti gli elementi necessari per chiarire la situazione di fatto, ma non dovrà aumentare l'entità percentuale del danno biologico (eventualmente già accertato). Si evita così in radice il rischio di una inammissibile duplicazione di risarcimento del medesimo pregiudizio: da parte del CTU, prima, con l'aumento percentuale del punto biologico e, da parte del giudice, poi, con l'aumento dei valori monetari fino al 20%.

La nullità della  c.t.u.

Non possono non essere segnalate, per la loro incidenza dirompente, due pronunce adottate nel 2022 dalle Sezioni Unite della Cassazione sui limiti dei poteri  di indagine del consulente d'ufficio e sulle conseguenze processuali nell'ipotesi di violazione dei detti limiti.

In materia di consulenza tecnica d'ufficio, Cass. S.U. n. 3086/2022 ha enunciato i seguenti principi:

1)          il  consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite, il cui accertamento si renda necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio;

2)          il  consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti - non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio;

3)          ai sensi dell'art. 198  c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione  delle  parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni;

4)          l' accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice, viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d'ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi valere ai sensi dell'art. 161 c.p.c.;

5)          l' accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, o l'acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso.

A sua volta, Cass. S.U. n. 5624/2022 ha enunciato i seguenti  ulteriori  principi fondamentali:

1)          le  contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d'ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157  c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano all'attendibilità e alla valutazione delle risultanze della  c.t.u.  e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio;

2)          il  secondo termine previsto dall'ultimo comma dell'art. 195, c.p.c., così come modificato dalla l. n. 69 del 2009, ovvero l'analogo termine che, nei procedimenti cui non si applica,  ratione   temporis, il novellato art. 195 c.p.c., il giudice, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processoexart. 175 c.p.c., abbia concesso alle parti ha natura ordinatoria e funzione  acceleratoria  e svolge ed esaurisce la sua funzione nel  subprocedimento  che si conclude con il deposito della relazione da parte dell'ausiliare; pertanto, la mancata  prospettazione  al consulente tecnico di osservazioni e rilievi critici non preclude alla parte di sollevare tali osservazioni e rilievi, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157  c.p.c., nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in comparsa conclusionale o in appello;

3)          qualora  le contestazioni e i rilievi critici consulenza tecnica d'ufficio, non integranti eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157  c.p.c., siano stati proposti oltre i termini concessi all'uopo alle parti e, quindi, anche per la prima volta in comparsa conclusionale o in appello, il giudice può valutare, alla luce delle specifiche circostanze del caso, se tale comportamento sia stato o meno contrario al dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c.  e, in caso di esito positivo di tale valutazione, trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte ad una ragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 111 Cost. e, in applicazione dell'art. 92, primo comma, ultima parte  c.p.c., può tenerne conto nella regolamentazione delle spese di lite.

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