Accertamento tecnico preventivo ex legge Gelli (l. n. 24/2017)

Emanuela Musi

Inquadramento

In seguito ad un intervento di applicazione di protesi mammaria, la paziente contrae un'infezione e propone ricorso ex art. 696-bis c.p.c. finalizzato all'accertamento delle cause dell'infezione e dei danni dalla stessa provocati, evocando in giudizio, quali contraddittori necessari, tanto la struttura presso la quale aveva subito l'intervento, quanto la relativa compagnia di assicurazione.

Formula

TRIBUNALE DI ....

RICORSO EX ART. 696-BIS C.P.C.[1]

PER

la Sig.ra ...., nata a ...., il ...., C.F. ...., rappresentata e difesa, per procura a margine/in calce al presente atto, dall'Avv. ...., C.F. ...., con cui elett. te domiciliano in .... Si dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax n ...., ovvero all'indirizzo PEC ....

PREMESSO CHE

— in data ...., l'istante si sottoponeva ad intervento di mastectomia radicale per neoplasia mammaria presso l'ospedale di ....(doc. 1);

— a seguito dell'esportazione del tessuto, in data .... le veniva applicata una protesi mammaria di fabbricazione della Società ....(doc. 2);

— in data .... ella aveva notato una certa asimmetria dei seni e, sottopostasi a visita, era stato accertato che la protesi, costituita in sostanza da un involucro contenente soluzione salina, si era inspiegabilmente svuotata e la soluzione si era diffusa nei tessuti circostanti (doc. 3);

— pertanto, in data .... veniva sottoposta ad altro intervento chirurgico sempre presso l'ospedale di .... (doc. 4), per la rimozione dell'involucro e il drenaggio dei tessuti, operazione cui erano seguite altre terapie e previsione di altra operazione di alta specializzazione e di corrispondente costo (doc. 5);

— pertanto, l'istante alla luce di tutto quanto sopra descritto è costretto a promuovere, nei confronti di:

1) Azienda Ospedaliera di ...., C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ....;

2) Compagnia Assicurazioni ...., C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ...., quale compagnia di assicurazioni dell'Azienda Ospedaliera;

3) il Dott. ...., nato a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., via ....;

4) Compagnia Assicurazioni ...., C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ...., quale compagnia di assicurazioni del Dott. ...., consulenza tecnica preventiva al fine di accertare i danni derivanti dalla rottura della protesi mammaria, il nesso di causalità rispetto alla pratica sanitaria e vedere determinato il relativo ammontare, in vista di una composizione bonaria della lite.

— la nuova disciplina sulla responsabilità medica (art. 7, comma 1, l. n. 24/2017), prevede una netta bipartizione delle responsabilità dell'ente ospedaliero e dell'operatore sanitario per i danni occorsi ai pazienti.

— ai sensi dell'art. 7, comma 1, la struttura sanitaria, infatti, assume una responsabilità di natura contrattuale ex art. 1218 c.c., mentre il medico, salvo il caso di obbligazione contrattuale assunta con il paziente, risponde in via extracontrattuale ex art. 2043.

— Il successivo comma 3 invece configura una responsabilità ex art. 2043 c.c. nei confronti dell'esercente la professione sanitaria.

— In relazione al caso in esame, sussiste la responsabilità dei convenuti, così come rilevato dalla prevalente giurisprudenza, secondo cui in tema di domanda di risarcimento dei danni conseguenti ad un intervento di innesto di protesi, responsabili dell'accaduto sono la struttura sanitaria ed il chirurgo che non ha verificato la protesi prima della sua applicazione [2].

— Inoltre, gli artt. 10 e 11 della nuova disciplina sulla responsabilità medica introducono precisi obblighi assicurativi in capo alle strutture sanitarie ed agli esercenti la professione sanitaria.

— L'art. 11 infine prevede l'azione diretta del danneggiato nei confronti delle compagnie di assicurazioni.

— L'art. 696-bis c.p.c., introdotto dalla novella del 2006, consente di chiedere l'espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell'art. 696 c.p.c. (vale a dire al di fuori dei casi di urgenza), ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. L'espletamento della consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c., pertanto, prescinde dal presupposto del periculum in mora. In particolare, secondo la più recente giurisprudenza, ricorrono i presupposti per ritenere ammissibile la consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c. purché siano rispettati i limiti oggettivi richiesti dalla norma - accertamento e determinazione di crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito - e quando la consulenza sia in astratto idonea a comporre la lite, con il solo limite che non risulti assolutamente esplorativa. Sarebbe estremamente riduttiva un'interpretazione della portata di detto istituto che ne limitasse l'ammissibilità ai soli casi in cui tra le parti non vi siano contestazioni in merito all' an della pretesa e si controverta esclusivamente in merito al quantum dell'importo dovuto a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale [3].

Tanto premesso, l'istante come sopra rappresentato, difeso e domiciliato, ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c.

CHIEDE

che l'ill.mo Presidente del Tribunale, in accoglimento del ricorso e previa fissazione della data di comparizione personale delle parti voglia nominare un consulente tecnico d'ufficio affinché tenti la conciliazione tra le parti, provveda ad accertare i danni derivanti dalla rottura della protesi mammaria, il nesso d causalità rispetto alla pratica sanitaria e quantifichi il relativo ammontare.

Si nomina sin da ora Consulente tecnico di parte il Dott. ....

Si depositano i seguenti documenti:

IN VIA ISTRUTTORIA

Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto.

Ai sensi dell'art. 14, comma 2, T.U. n. 115/2002 e successive modifiche, si dichiara che il valore della controversia è di euro (il contributo dovuto è pari a quello dovuto per la causa di merito, ridotto della metà)

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA

[1] L'art. 8 legge n. 24 dell'8 marzo 2017 prevede che chi intende esercitare un'azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c. dinanzi al giudice competente. La presentazione del ricorso costituisce condizione di procedibilità della domanda di risarcimento. È fatta salva la possibilità di esperire in alternativa il procedimento di mediazione ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 1-bis.

[2] Trib. Firenze II, 11 febbraio 2015, n. 452Trib, Verona 26 aprile 2021 che esclude l’applicabilità di una delle due condizioni di procedibilità di cui all’art. 8 legge Gelli con riferimento alla domanda di mero  accertamento della responsabilità medica, non potendo tale previsione essere interpretata in modo estensivo trattandosi di disposizione che prescrive limiti di accesso alla giurisdizione.

[3] Trib. Forlì, ord., 7 marzo 2014.

Commento

Inquadramento

Una infezione contratta da un paziente durante la sua degenza ovvero in conseguenza di un intervento praticato presso una determinata struttura può essere fonte di responsabilità sia per il medico che ha disposto il ricovero, o che, in ogni caso sia venuto in contatto con il paziente (fermo restando quanto argomentato nella formula su responsabilità contrattuale ed extracontrattuale del medico, in virtù della recente evoluzione legislativa, cui in questa sede si rinvia), sia per la struttura sanitaria in cui si è verificato l'episodio. L'accertamento di responsabilità è, ovviamente, subordinato alla sussistenza del nesso eziologico tra l'infezione ed il ricovero.

I soggetti responsabili

Sovente (stando alla disamina della casistica di cui in seguito si darà conto), la responsabilità per i danni derivanti da infezioni contratte durante la degenza ospedaliera viene attribuita esclusivamente alla struttura sanitaria (e non anche al medico che abbia praticato l'intervento): invero, tra le varie obbligazioni della struttura sanitaria, vi è, oltre a quella di controllo sulla sufficienza e qualificazione del personale medico, paramedico ed ausiliario, proprio quella di assicurare la presenza di locali idonei, in particolare sotto il profilo igienico, dovendo in mancanza l'ente essere ritenuto responsabile per le infezioni nosocomiali prodotte da microbi e batteri presenti al loro interno. Si segnalano, al riguardo, le due circolari in tema di lotta contro le infezioni ospedaliere emanate dal Ministero della Salute (la n. 52/1985 e la n. 8/1988), contenenti la raccomandazione ad istituire presso ogni Azienda Ospedaliera una Commissione tecnica responsabile della lotta contro le infezioni ospedaliere (CIO), con il compito di definire la strategia di lotta contro dette infezioni, di utilizzare una metodologia per la definizione delle infezioni secondo criteri omogenei su tutto il territorio nazionale e di creare una guida alla rilevazione e diagnosi delle infezioni nosocomiali più comuni anche mediante specifici sistemi di sorveglianza. Pur trattandosi di norme di comportamento non vincolanti, in quanto sprovviste di sanzione a carico dei sanitari e delle strutture che non vi si uniformino, appare piuttosto evidente che, laddove questi non adottino una corretta profilassi per impedire l'insorgenza delle infezioni, saranno, senz'altro, tenuti a risponderne nei confronti del paziente al quale sia derivato un danno a seguito della contrazione di una infezione nosocomiale. Ben vero, la giurisprudenza di legittimità ha, più volte, statuito che il medico deve adottare tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative della struttura ospedaliera ove il paziente è ricoverato e, nel caso in cui si renda conto che tali deficienze non sono colmabili è tenuto ad avvertire il paziente ed a consigliare il ricovero in una struttura più idonea (così v. Cass. III, n. 12273/2004). In tale ipotesi, comunque, la responsabilità del medico sarà valutata insieme a quella della struttura sanitaria in cui opera: anche nell'ipotesi di profilassi dalle infezioni nosocomiali, la diligenza del professionista va valutata in concreto, rapportandola al livello della sua specializzazione ed alle strutture tecniche a sua disposizione. Inoltre, il medico deve fornire l'informazione circa la possibilità di eventuali infezioni derivanti da un intervento chirurgico, perché il paziente deve essere messo in condizione di valutare anche i rischi relativi: l'omissione di informazione comporta un vizio del consenso da parte del paziente ed è fonte di responsabilità per il medico e per la struttura ospedaliera (v. formula su consenso informato e risarcimento del danno da violazione del diritto all'autodeterminazione).

È bene sottolineare che, nelle strutture pubbliche, la responsabilità dell'infezione nosocomiale può essere ascritta anche al direttore generale o al direttore sanitario.

La riforma del servizio sanitario nazionale ha trasformato le ASL e le Aziende ospedaliere da enti strumentali della Regione in aziende dotate di autonomia imprenditoriale: conseguenza evidente dell'affermazione di detta autonomia è la configurabilità di una responsabilità diretta del Direttore generale, del Direttore sanitario e del Direttore amministrativo, quali organi dirigenziali apicali. Gli alti dirigenti possono essere chiamati a rispondere dei danni che siano stati causati dalla mancata efficiente organizzazione aziendale e del personale sanitario o da carenze della struttura. In particolare, al Direttore generale sarà imputabile un'eventuale negligenza nell'organizzazione dell'unità sanitaria e di mancata denuncia di deficienze ad essa relative (v. Cass. pen. III, n. 22755/2010), ivi compresi i fatti - reato di cui venga a conoscenza, nonché il venir meno all'obbligo di vigilanza sulle attività interne, anche se eventualmente demandate al Direttore sanitario; al Direttore amministrativo saranno imputabili eventuali mancanze nel compimento di atti amministrativi dovuti o richiestigli dal Direttore generale e dal Direttore sanitario; al Direttore sanitario viene, infine, attribuita la responsabilità inerente all'organizzazione del personale e dei locali ove l'attività sanitaria viene svolta (ha, in particolare, una responsabilità specifica relativa all'organizzazione degli aspetti igienico-sanitari e tecnico-sanitari e il potere di vigilanza sul rispetto delle indicazioni fornite). In base all' art. 5 del d.P.R. n. 128/1969, il Direttore sanitario dirige l'ospedale ai fini igienico-sanitari, cosicché, in tale veste, è tenuto ad assicurare le migliori condizioni all'interno dello stesso: in particolare, ha l'onere di promuovere, dirigere e coordinare tutte le attività atte ad assicurare le indispensabili condizioni di asetticità dell'ospedale al quale egli è preposto, ad esempio mediante una corretta allocazione delle risorse umane e di quelle tecnico-strumentali, la direzione dei servizi sanitari ai fini organizzativi ed igienico-sanitari, la vigilanza ed organizzazione tecnico-sanitaria, la predisposizione di protocolli di sterilizzazione e sanificazione ambientale, la gestione delle cartelle cliniche e la promozione e vigilanza sulla applicazione dei consensi informati ai trattamenti sanitari.

Onere della prova e risarcimento del danno; principi e casistica

Una volta accertato che il paziente abbia contratto una infezione nosocomiale, in virtù dei principi che regolano l'onere della prova in materia contrattuale, incombe alla struttura ospedaliera provare di avere adottato tutte le misure utili e necessarie per una corretta e consapevole sanificazione al fine di evitare la contaminazione dei pazienti ad opera dei batteri c.d. nosocomiali. Vale segnalare che la soluzione più di recente elaborata dalle pronunce a Sezioni Unite del gennaio 2008 rimodella il carico probatorio gravante sul danneggiato con l'introduzione del criterio del c.d. inadempimento qualificato (v. Cass. S.U., n. 577/2008): osservano le Sezioni Unite che «l'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni così dette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno. Ciò comporta che l'allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno».

L'allegazione di una condotta colposa idonea a generare un danno del tipo di quello realmente verificatosi esaurisce, quindi, l'onere probatorio del creditore danneggiato; l'attitudine delle circostanze a provocare il danno lamentato esonera il danneggiato dalla necessità di dover dimostrare, in altro modo, la connessione causale. Il debitore si libererà provando, alternativamente: 1) che nessun rimprovero possa essergli mosso; 2) che la sua condotta sia priva di valenza eziologica (cfr. ad es., Cass. n. 27855/2013). Così, il paziente che affermi che l'infezione causativa di danno abbia origine nosocomiale - ed alleghi la circostanza (colposa) che gli ambienti ospedalieri non erano asettici - è esonerato, avendo allegato un inadempimento qualificato, dalla prova dell'effettivo legame causale tra ricovero e patologia, essendo poi il medico e/o la struttura tenuto a fornire la prova che l'evento dannoso (contagio da batterio nosocomiale) era sì possibile e prevedibile (fatto pacifico), ma non prevenibile, rientrando in quella percentuale di casi che la scienza medica ha enucleato come eventi che possono sfuggire ai controlli di sicurezza apprestabili e di fatto apprestati dalla struttura sanitaria.

In ordine ai danni risarcibili, appare piuttosto evidente che, una volta dimostrata l'esistenza del nesso di causa tra l'infezione e l'insorgenza della patologia o del relativo aggravamento, al paziente dovrà essere riconosciuto tanto il danno biologico quanto quello morale, quanto ancora quello patrimoniale (con riferimento al danno biologico v. formula su danno iatrogeno per l'ipotesi in cui l'infezione venga ad innestarsi su condizioni di salute pregresse già invalidanti).

Esaminando la casistica al vaglio della giurisprudenza di legittimità e di merito, si segnala: a) Cass. III, n. 257/2011, ove la Corte ascrive la responsabilità ai sanitari, nonostante l'insorgenza dell'infezione non fosse dipesa da loro colpa, a causa della negligenza dagli stessi manifestata nella diagnosi di infezione (giudicata di indubbia facilità trattandosi di evento frequente in ambiente ospedaliero ed in relazione al tipo di intervento praticato), nonché nell'apprestamento delle cure del caso una volta che l'infezione si era manifestata (rilevante, in particolare, il riferimento all'inesatta compilazione della cartella clinica ed alle conseguenze in punto di inadempimento); la Corte ribadisce, in particolare, che la prova della corretta esecuzione della prestazione è a carico del personale sanitario che deve dare la dimostrazione di avere adottato tutte le misure adeguate a prevenire l'infezione od a limitarne gli effetti, con i mezzi all'epoca disponibili; b) Cass. III, n. 24401/2010 ove viene affermata la responsabilità dell'ente ospedaliero per l'emorragia cerebrale subita da una neonata in conseguenza di un'infezione nosocomiale determinata da non adeguata igiene della struttura, ribadendosi che l'onere della prova segue il criterio della vicinanza, spettando all'istituto di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per scongiurare l'insorgere della patologia; viene, invece, nel caso specifico esclusa la responsabilità dei medici, atteso che i periti avevano escluso che vi fossero state carenze nell'assistenza prestata sia durante che dopo il parto; c) Trib. Roma 22 giugno 2015: trattasi di pronuncia particolarmente interessante per le argomentazioni ivi sviluppate in punto di entità dell'onere della prova della struttura. Nel caso di specie, il nosocomio si limitava a produrre i protocolli di sterilizzazione relativi alla sala operatoria ed allo strumentario adottati: il giudice capitolino reputa insufficiente la prova fornita in quanto, da un lato, l'infezione ben poteva essere insorta in altro momento ed in altro luogo rispetto a quello di realizzazione dell'intervento chirurgico, e, dall'altro, a fronte del carattere meramente programmatico del protocollo prodotto, era mancata (non tanto la prova) quanto (a monte) l'allegazione di quali fossero state in concreto le condotte poste in essere dall'istituto per una efficace e consapevole opera di sanificazione. Il Tribunale sottolinea, in particolare, la differenza tra il caso in cui si possa affermare che l'infezione è stata contratta in un luogo e momento specifico, ad esempio nella camera operatoria, a causa della mancata (o non adeguata) sterilizzazione degli strumenti adoperati dai medici chirurghi, nel quale l'accertamento della responsabilità dell'ospedale è evidentemente agevole, da quello in cui vi sia solo la certezza che l'infezione è di natura ospedaliera ove non può affermarsi, presuntivamente o in via oggettiva, la detta responsabilità. Entra in gioco, in questo secondo caso, la prevedibilità e prevenibilità dell'infezione: possono, infatti, verificarsi infezioni nosocomiali non addebitabili all'ospedale per essere prevedibili ma non tutte e sempre prevenibili, che rientrino, cioè, in quella percentuale di casi che la scienza medica ha enucleato come eventi che possono sfuggire ai controlli di sicurezza apprestabili e, di fatto apprestati, dalla struttura sanitaria. Detta prova (negativa) va fornita tramite la dimostrazione (positiva) di aver fatto tutto quanto la scienza del settore ha finora escogitato per evitare o quanto meno ridurre al massimo il rischio di contaminazione.

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