Comparsa di risposta del medico convenuto dal paziente-danneggiatoInquadramentoCon la comparsa di costituzione e risposta, l'operatore sanitario convenuto contesta la domanda risarcitoria del paziente, deducendo, in via principale, l'assenza di nesso causale tra la propria condotta o e il danno cagionato all'attore, e, in subordine, l'esistenza di fattori causali concorrenti rilevante al fine della riduzione del risarcimento richiesto. FormulaTRIBUNALE DI .... COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA Per il Dott. ...., nato a ...., il ...., C.F. ...., residente in .... alla via .... n. ...., rappresentato e difeso dall'Avv. .... C.F. .... ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in .... alla via .... n. ...., giusta procura in calce al presente atto. L'Avv. dichiara di voler ricevere le comunicazioni al numero fax .... e all'indirizzo di posta elettronica certificata ....@ .... -convenuto- CONTRO la Sig.ra. ...., nata a .... il .... C.F. .... residente in .... alla via .... n. .... rappresentata e difesa dall'Avv. .... -attrice- PREMESSO CHE: Con atto di citazione notificato in data ...., la Sig.ra .... conveniva in giudizio l'odierno esponente al fine di sentire accogliere la domanda di condanna di costui al risarcimento dei danni che ella assumeva di aver patito. A tal fine l'attrice deduceva che in data .... si era recata presso l'Ospedale .... di .... per eseguire un intervento di .... All'esito dell'intervento in questione, la Sig.ra .... avrebbe subito delle lesioni da mal practice medica, consistenti in .... In ragione di ciò, la Sig.ra .... instaurava l'attuale giudizio, sostenendo di aver visto leso il proprio diritto alla salute, nonché di aver subito un danno patrimoniale e non patrimoniale in conseguenza della condotta erronea del medico. Conseguentemente, chiedeva la condanna del convenuto al risarcimento dei danni quantificati, in via equitativa e per equivalente, nella complessiva somma di Euro .... Con il presente atto, il Dott. .... si costituisce in giudizio e chiede l'integrale rigetto della domanda attorea per i seguenti motivi in DIRITTO 1) Sul nesso causale. La domanda di parte attrice è infondata in fatto e in diritto e non merita accoglimento. E invero, della presunta fattispecie di responsabilità medica manca in primo luogo il nesso eziologico tra la condotta e l'evento verificatosi. Secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità «in tema di responsabilità civile, il nesso causale tra la condotta illecita e il danno è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., in base al quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla scorta del quale, all'interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione “ex ante” - del tutto inverosimili. Ne consegue che, ai fini della riconducibilità dell'evento dannoso ad un determinato fatto o comportamento, non è sufficiente che tra l'antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza temporale, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, per cui l'evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell'antecedente» (Cass. III, n. 12923/2015). Nel caso di specie non vi è dubbio che la condotta del Dott. .... sia cronologicamente antecedente rispetto all'evento dedotto in giudizio, ma ciò non basta per ritenere sussistente il nesso eziologico tra la condotta e l'evento. Di converso, l'attrice omette di rappresentare il precedente stato di salute in cui versava, di per sé certamente idoneo a cagionare l'infarto e le conseguenti lesioni personali subite. E invero, l'errore medico intervenuto durante l'intervento non ha influito sulla determinazione dell'evento, il quale ha come antecedente necessario e sufficiente la pregressa patologia diagnosticata in ...., che aveva già provocato un infarto alla Sig.ra ....in data .... Il pregresso stato di salute, caratterizzato da ...., era talmente compromesso da rappresentare l'unica causa dell'evento lesivo verificatosi. In tale prospettiva, il presunto errore medico non può rappresentare una concausa sopravvenuta idonea di per sè a cagionare l'evento e, quindi, a interrompere il nesso causale tra la malattia e il verificarsi dell'evento. Nella denegata ipotesi in cui questo Giudice ritenga sussistente un nesso eziologico tra la condotta del Dott. .... e l'evento verificatosi, non si può certo escludere la rilevanza della pregressa malattia della Sig.ra .... quale concausa, in assenza della quale l'evento non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore. In tema di patologie preesistenti e nesso causale, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto che «qualora la morte del paziente risalga, come a sua causa, alla concomitanza di un'azione del medico e di altri fattori naturali (i quali ultimi non siano legali alla prima da un nesso di dipendenza causale) non si può accogliere la soluzione della irrilevanza di tali fattori». A parte l'applicazione del principio di equità, ricorrono ragioni logico-giuridiche le quali consentono di procedere a una valutazione della diversa efficienza delle varie concause e di escludere che l'autore della condotta umana debba necessariamente sopportare nella loro integralità le conseguenze dell'evento dannoso (Cass. III, n. 975/2009). Facendo applicazione di tali coordinate, qualora l'indagine sul profilo causale dovesse consentire di dimostrare che l'evento morte non si sarebbe verificato secondo la regola del «più probabile che non» in assenza della condotta umana, sarà compito del giudice procedere alla specifica identificazione della parte di danno rapportabile alla causa umana o alla concausa naturale, eventualmente con criterio equitativo. Come già affermato da risalente giurisprudenza, infatti, «deve ritenersi legittimo il ricorso alla applicazione della norma di cui all'art. 1226 c.c., ogni qualvolta si sia in presenza di uguale necessità, rispondendo l'interpretazione estensiva della norma anche a ragioni di giustizia sostanziale, che impediscono di addossare tutto il risarcimento del danno al responsabile di una sola porzione di esso» (Cass. n. 2732/1951 e Cass. n. 3256/1955). A tutto voler concedere, anche aderendo alla teoria della non frazionabilità del nesso causale tra la condotta e il danno, non si può negare che lo stato patologico pregresso debba assumere rilievo sul successivo piano della causalità giuridica, cioè sul piano della delimitazione del danno risarcibile e sulla determinazione del quantum del risarcimento dovuto in base a una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. Tale valutazione va effettuata con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, e in particolare della reale entità del danno riferibile all'agente. Va quindi confutata in toto l'argomentazione giuridica di parte attrice, la quale ha sostenuto che .... In ogni caso eccessiva è la pretesa risarcitoria avanzata dall'attrice, sulla scorta di una relazione di parte che ha esageratamente stimato i postumi permanenti residuati all'asserito errore sanitario, senza tener conto della riduzione della validità psico-fisica che sarebbe comunque conseguita alla patologia da cui la paziente era affetta e al trattamento chirurgico richiesto per il suo trattamento. È onere del danneggiato che invochi il risarcimento allegare e dimostrare precisamente il nesso di derivazione causale tra i pregiudizi lamentati e l'evento lesivo. Tanto premesso e considerato, Il Dott. ...., rappresentato e difeso come in epigrafe, rassegna le seguenti CONCLUSIONI Voglia l'On.le Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione, richiesta e conclusione, — rigettare la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla Sig.ra ...., nei confronti del Dott. .... per le motivazioni tutte di cui al presente atto; — in subordine, accertarne l'addebitabilità dell'evento al convenuto nella sola misura di ....; — limitare la condanna ai soli danni effettivamente risarcibili e ridurne l'ammontare ai sensi dell'art. 1226 c.c. Con vittoria di spese e compensi. IN VIA ISTRUTTORIA Formulando sin d'ora ogni più ampia riserva di articolazione dei mezzi istruttori [1], nei termini di cui all'art. 183, comma 6, nn. 2 e 3, c.p.c., si offrono in comunicazione, mediante deposito, i seguenti documenti: 1. atto di citazione notificato il ....; 2. consulenza medico legale a firma del Dott. ....; 3. copia della cartella clinica n. .... Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA Io sottoscritto Dott. ...., nato .... a ...., il ...., conferisco procura all'Avv. ...., affinché mi rappresenti e difenda nel giudizio di imputazione di cui al presente atto. Dichiaro altresì di avere ricevuto informativa exd.lgs. n. 28/2010, così come novellato a seguito della conversione del d.l. 69/2013, relativamente ai procedimenti per i quali è obbligatorio esperire il tentativo di mediazione e relativamente ai benefici fiscali connessi con tale procedimento, nonché di aver ricevuto l'informativa ai sensi degli artt. 2 e segg. del d.l. 13 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla l. 10 novembre 2014 n. 162, della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati disciplinata dagli artt. 2 e ss. del suddetto d.l. Eleggo domicilio, ai fini del presente giudizio, presso il suo studio professionale in .... alla via ...., e gli conferisco, altresì, ogni più ampia facoltà di legge. Acconsento, infine, al trattamento dei dati personali per l'espletamento del mandato conferito, ai sensi del d.lgs. n. 196/2003. Luogo e data .... Dott. .... È vera ed autentica la firma del Dott. .... Firma Avv. .... [1] · La comparsa di risposta deve contenere l'indicazione dei mezzi di prova di cui il convenuto intende valersi e i documenti che offre in comunicazione. Tuttavia, l'onere di indicare i mezzi di prova e i documenti non è sancito a pena di decadenza, in ragione della previsione di cui all'art. 184 c.p.c.Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge [82, 86 c.p.c.], almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". CommentoIl nesso causale nella responsabilità sanitaria: criterio di accertamento nel giudizio civile, differenze rispetto al processo penale Il tema dell'accertamento del nesso eziologico tra la condotta colposa dell'operatore sanitario e il danno alla salute lamentato dal paziente presenta profili peculiari, non foss'altro che per la frequente discordanza che sul punto si registra tra gli esiti del procedimento penale e di quello civile scaturiti dai medesimi fatti. In linea generale, in presenza di un fatto illecito, il tema del nesso di causalità viene affrontato sotto il duplice profilo della causalità materiale e della causalità giuridica. Il primo attiene al collegamento materiale tra la condotta commissiva od omissiva del soggetto agente e l'evento dannoso; il secondo concerne invece il nesso tra il fatto illecito e le conseguenze che, alla stregua dell'ordinamento, possono qualificarsi come giuridicamente rilevanti. La verifica della sussistenza del nesso causale accomuna tutte le forme di illecito giuridicamente rilevanti e anche nell'ambito della responsabilità civile, aquiliana e contrattuale, il relativo giudizio è regolato innanzitutto dal principio espresso negli artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo. La giurisprudenza civilistica, tuttavia, al fine di attenuare i difetti della teoria condizionalistica, mitigandone il rigore e l'inevitabile estensione del novero delle cause dell'evento e, conseguentemente, della responsabilità, afferma che tale relazione materiale non è sufficiente a determinare una causalità giuridicamente rilevante occorrendo selezionare, tra i diversi antecedenti dell'evento dannoso, solo quelli che, nel momento in cui questo si produce, non appaiono - ad una valutazione “ex ante” - del tutto inverosimili (c.d. teoria della causalità adeguata o della regolarità causale) (Cass. III, n. 21619/2007; Cass. S.U., n. 576/2008). Se dunque comune è il canone valido per l'accertamento del nesso eziologico tra condotta ed evento dannoso, le divergenze profonde tra l'accertamento in sede penale e in sede civile attengono al regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori in gioco nella responsabilità civile e in quella penale: «nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che non” (Cass. pen. S.U., n. 30328/2002, Franzese), mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” ovvero il criterio dell'elevato grado di credibilità razionale che è prossimo alla certezza» (si veda sul punto Cass. III, n. 16123/2010). Dunque, in sede civile «il nesso di causalità (materiale) consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il menzionato criterio, ispirato alla regola della normalità causale; esso si distingue dall'indagine diretta all'individuazione delle singole conseguenze dannose (finalizzata a delimitare, a valle, i confini della già accertata responsabilità risarcitoria), la quale presuppone già risolto in modo positivo il problema dell'imputazione dell'evento dannoso, e prescinde da ogni valutazione di prevedibilità o previsione da parte dell'autore, la quale va compiuta soltanto in una fase successiva ai fini dell'accertamento dell'elemento soggettivo (colpevolezza)» così Cass. III, n. 21619/2007. Con specifico riguardo alla causalità omissiva - rilevante riguardo ai sempre più frequenti casi di responsabilità sanitaria derivante da omessa o intempestiva diagnosi, mancata adozione del trattamento terapeutico appropriato, ritardato intervento chirurgico «nell'imputazione di un evento dannoso per omissione colposa il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta omissiva del comportamento dovuto; il giudice, pertanto, è tenuto ad accertare se l'evento sia ricollegabile all'omissione nel senso che esso non si sarebbe verificato se (causalità ipotetica) l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi. L'accertamento del rapporto di causalità ipotetica passa attraverso l'enunciato “controfattuale”, che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato» (cfr. Cass. III, n. 15709/2011), il tutto secondo un criterio di “credibilità razionale” o “probabilità logica”, in base alle effettive circostanze fattuali (cfr. sul punto Cass. pen. IV, n. 8073/2013). Si tratta di uno standard di “certezza probabilistica” non ancorato «esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente», ma che deve essere “verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va verificata l'attendibilità dell'ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (sulla valorizzazione del criterio dell' alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica quale regola che presiede il giudizio qualificatorio del nesso eziologico cfr., tra le tante, Cass. III, n. 21619/2007; Cass. S.U., n. 576/2008; Cass. S.U., n. 582/2008; Cass. S.U., n. 584/2008; Cass. n. 10741/2009, cit.; Cass. III, n. 16123/2010). Conseguentemente, con specifico riguardo alla responsabilità del medico, essendo quest'ultimo tenuto ad espletare l'attività professionale secondo canoni di diligenza e perizia scientifica, il giudice, accertata l'omissione di tale attività e ritenutala idonea a cagionare il danno lamentato dal paziente avuto riguardo alle condizioni del medesimo, nella loro irripetibile singolarità, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell'evento stesso (cfr. Cass. III, n. 16123/2010; Cass. III, n. 3390/2015). L'accertamento del nesso causale tra condotta ed evento dannoso va poi “individualizzato”, rapportandolo alle condizioni del danneggiato nella loro irripetibile singolarità (alla stregua degli esposti principi si è affermata la responsabilità di una struttura sanitaria, in relazione alla paralisi degli arti inferiori subita da un paziente sottoposto ad un intervento di trombectomia, per essere stato omesso un trattamento preventivo a base di eparina, sebbene lo stesso non fosse previsto da alcun protocollo, ma solo raccomandato in via precauzionale nella letteratura scientifica perché in astratto idoneo a prevenire tale complicanza, attesa l'oggettiva gravità del rischio, sul piano causale, a carico del paziente per le sue particolari condizioni personali, trattandosi di soggetto fumatore, affetto da diabete e, verosimilmente, da vascolopatia; Cass. III, n. 3390/2015). La prova del nesso causale Quanto alla ripartizione dell'onere probatorio in materia di nesso causale nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno causato da un errore del medico o della struttura sanitaria, l'orientamento finora nettamente prevalente della giurisprudenza (pur nella vigenza della legge n. 189/2012, c.d. legge Balduzzi) è nel senso che al danneggiato competa il solo onere - ex art. 1218 c.c. - di allegare e provare l'esistenza del contratto (avente ad oggetto la prestazione sanitaria), e di allegare l'esistenza d'un valido nesso causale tra l'errore del medico e l'aggravamento delle proprie condizioni di salute, spettando invece al convenuto dimostrare o che inadempimento non vi è stato, ovvero che esso pur essendo sussistente non è stato la causa efficiente dei danni lamentati dall'attore. Le Sezioni Unite del gennaio 2008 (Cass. S.U., n. 576/2008, Cass. S.U., n. 577/2008Cass. S.U., n. 582/2008) hanno, infatti, superato l'indirizzo giurisprudenziale successivo al 2001, che aveva ritenuto gravare sull'attore (il paziente danneggiato), oltre alla prova del contratto, anche quella «dell'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie, nonché la prova del nesso di causalità tra l'azione o l'omissione del debitore e tale evento dannoso», e che lasciava a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento, cioè di aver tenuto un comportamento diligente. Siffatta impostazione, infatti, ad avviso del Supremo Collegio risentiva implicitamente della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, che, se può avere una funzione descrittiva, è dogmaticamente superata, quanto meno in tema di riparto dell'onere probatorio dalla sentenza della Cass. S.U. n. 13533/2001. Anche per la giurisprudenza più recente (Cass. n. 8989/2015), in caso di “insuccesso” incombe sul medico o sulla struttura provare che il risultato “anomalo” o anormale, rispetto al convenuto esito dell'intervento o della cura, dipende da fatto a sé non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità alla diligenza dovuta, rimanendo in caso contrario soccombente, in applicazione della regola generale exartt. 1218 e 2697 c.c. di ripartizione dell'onere probatorio fondata sul noto principio della vicinanza della prova (Cass. n. 21177/2015; Cass. III, n. 11488/2004; Cass. S.U., n. 13533/2001); o, ancor più propriamente (come sottolineato anche in dottrina), «sul criterio della maggiore possibilità per il debitore onerato di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in misura tanto più marcata quanto più l'esecuzione della prestazione consista nell'applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore, specializzato nell'esecuzione di una professione protetta» (così in motivazione, Cass. III, n. 8989/2015). Questo principio è stato spesso ribadito rispetto agli interventi di routine o comunque caratterizzati da alte probabilità di successo, ritenendosi l'insuccesso o il parziale successo di per sé sintomatici della sussistenza del nesso causale tra l'errata pratica sanitaria e l'evento indesiderato, per cui in tal caso è onere del professionista o della struttura sanitaria «superare la presunzione che le complicanze siano state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale o da imperizia, dimostrando che siano state, invece, prodotte da un evento imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento» (così, in motivazione Cass. III, n. 12516/2016). L'accertamento medico - legale d'ufficio (eventualmente preventivo, come previsto oggi dall'art. 8 della legge Gelli - Bianco) circa la reale sussistenza di un danno causalmente riconducibile all'errore dell'operatore sanitario, sollecitato dalle allegazioni delle parti, rimane, allora, momento imprescindibile nel giudizio, sebbene tale mezzo istruttorio non possa essere impiegato per supplire a lacune assertive e probatorie imputabili alle parti. Si è dato rilievo anche all'eventuale incompletezza della cartella clinica, per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido legame causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente, purché tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione (Cass. III, n. 12218/2015), come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato. La diversa qualificazione a titolo extracontrattuale della responsabilità del medico e dell'operatore sanitario dipendente da struttura sanitaria pubblica o privata, in assenza di un rapporto contrattuale da costui stipulato direttamente col paziente danneggiato, recentemente introdotta dall'art. 7 della legge 8 marzo 2017 n. 24 non è priva di di flessi in punto di ripartizione dell'onere probatorio, gravando in tal caso sul danneggiato l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano, ivi compreso il nesso eziologico tra l'errore medico e l'evento lesivo. Anche in tal caso, in considerazione della particolare natura dei fatti oggetto di accertamento, sarà per lo più imprescindibile la nomina di un consulente tecnico d'ufficio con il compito non solo di valutare i fatti accertati (consulente deducente), ma anche di accertare i fatti stessi (consulente percipiente). La consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova e per la sua ammissione è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (tra le tante, Cass. n. 6155/2009). E però, vertendosi nell'ambito della responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.), la situazione di incertezza circa la causa del danno, che dovesse permanere all'esito del giudizio, ridonderà a sfavore del creditore danneggiato ai sensi dell'art. 2697 c.c. Quanto alla regolarità della tenuta della cartella clinica, la S.C. ha osservato che la incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può e deve utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno, ciò per una ragione prima logica che giuridica, oltre che per il principio di vicinanza della prova. In particolare, quando la mancata prova derivi dalle carenze colpose della condotta del medico, tipicamente omissive, e astrattamente idonee a causare il pregiudizio lamentato, quel deficit rileva non solo in punto di accertamento della colpa ma anche di quello del nesso eziologico, non potendo logicamente riflettersi a danno della vittima, sia pur in generale onerata della dimostrazione del rapporto causale (Cass. n. 34427/2023). Concause e premorbosità: incidenza Il fenomeno delle concause è disciplinato dall'art. 41 c.p. che, oltre a sancire il principio dell'equivalenza delle cause antecedenti, concomitanti e successive, afferma che le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. Per cui la causa sopravvenuta, autonoma, eccezionale ed atipica, che si pone quale fattore interruttivo della sequenza causale già in atto, impone di qualificare i fatti ad esso antecedenti come mere occasioni (Cass. III, n. 15789/2003; Cass. III, n. 484/2003). La Suprema Corte è ferma nel ritenere che una volta accertato il nesso causale tra la condotta umana e il danno lamentato, l'incertezza circa l'eventuale efficacia concausale di un fattore naturale non rende ammissibile, sul piano giuridico, l'operatività di un ragionamento probatorio “semplificato” che conduca ad un frazionamento della responsabilità, con conseguente ridimensionamento del “quantum” risarcitorio secondo criteri equitativi (Cass. III, n. 8995/2015). Qualora, infatti, fattori umani od ambientali non possano dar luogo, senza l'apporto umano, all'evento di danno, l'autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, atteso che in tal caso non può operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minor gravità della colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile e una causa naturale non imputabile (Cass. n. 5539/2003). Il principio in questione è decisivo nel caso in cui insieme alla condotta umana dell'operatore sanitario concorra a determinare l'evento dannoso (o ad aggravarne le conseguenze) un fattore naturale, quale uno stato morboso preesistente. In tale ipotesi, o il nesso eziologico risulta spezzato, con sufficienza della causa naturale a determinare l'evento lesivo, e conseguente ininfluenza del fatto imputabile al sanitario, o la responsabilità del danneggiante andrà considerata nella sua interezza, rilevando l'incidenza di un ulteriore fattore causale solo sul quantum risarcibile. Con due successive pronunce (Cass. III, n. 3893/2016; Cass. III, n. 15991/2011), la Suprema Corte ha espressamente ed accuratamente sottoposto a critica il proprio precedente (Cass. III, n. 975/2009) secondo cui ove l'indagine probabilistica sul nesso di causa tra condotta e danno non consenta di decidere la controversia per essersi l'evento prodotto per un concorso di caso fortuito (ritenuto tale la pregressa, grave situazione patologica del paziente che, di per sè sola, avrebbe potuto spiegare l'evento lesivo) e di causa umana (id est l'errore dei sanitari), sarebbe compito del giudice del merito procedere alla specifica identificazione della parte di danno rapportabile all'uno o all'altra, eventualmente con criterio equitativo, e ciò in quanto “non si potrebbe più accogliere la soluzione della irrilevanza dei fattori naturali”, onde l'eventuale incertezza della misura del concorso tra concause naturali e concause umane andrebbe superata attraverso il ricorso alla applicazione della norma di cui all'art. 1226 c.c. (senza alcuna distinzione fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale). Si è al contrario ribadito che «la valutazione equitativa attiene propriamente non già all'accertamento del nesso di causalità, bensì all'ammontare della determinazione del danno risarcibile (art. 1226 c.c.), e che, pertanto, solo all'esito dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dolosa o colposa e il danno evento lesivo, in occasione del diverso e successivo momento della delimitazione del danno risarcibile e della determinazione del quantum del risarcimento, la considerazione del pregresso stato patologico del creditore/danneggiato può invero valere a condurre ad una limitazione dell'ammontare del danno dovuto dal debitore/danneggiante». In concreto, qualora la produzione di un evento dannoso (nel caso affrontato da Cass. n. 15991/2011, una gravissima patologia neonatale -concretatasi in una invalidità permanente al 100%) possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa situazione patologica del danneggiato (non legata all'anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), il giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa come relazione tra la condotta e l'evento di danno), l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui all'art. 41 c.p. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione e l'omissione e l'evento), così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l'evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all'esito prodottesi) onde ascrivere all'autore della condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì determinate da fattori causali indipendenti dalla negligenza, imprudenza od imperizia del sanitario. |