Comparsa di risposta per esonero da responsabilità medica in ragione della piena osservanza delle linee-guidaInquadramentoCon la comparsa di costituzione e risposta in un giudizio di risarcimento danni intentato dai congiunti di un paziente deceduto all'esito di un intervento chirurgico, il sanitario chiede di poter chiamare in causa la compagnia di assicurazione e, nel contempo, denega le proprie responsabilità in ragione della piena osservanza delle linee guida nell'esecuzione dell'intervento. FormulaTRIBUNALE DI .... R.G. ....GIUDICE ....UDIENZA .... COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA CON CHIAMATA IN CAUSA DEL TERZO la Dott.ssa ...., nata a ...., il ...., C.F. .... , rappresentata e difesa, per mandato in calce/a margine del presente atto dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in ...., via ....Si dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC ...., -convenuto- CONTRO il Sig. ...., rappresentato e difeso dall'Avv. .... -attore- NONCHÉ Azienda Ospedaliera di ...., in persona del legale rapp.te p.t., con l'Avv. .... -convenuto- FATTO Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. [1] notificato il .... (doc. 1), il Sig. ...., in proprio e nella qualità di marito ed unico erede della Sig.ra ...., conveniva in giudizio dinanzi l'intestato Tribunale l'Azienda Ospedaliera di ...., nonché la comparente Dott.ssa ...., affinché fosse accertata la loro responsabilità in ordine alla morte della coniuge avvenuta in data ...., presso l'Ospedale di .... A sostegno della domanda l'attore sosteneva che in data ...., la Sig.ra .... si recava presso il citato presidio ospedaliero lamentando forti dolori addominali. La Dott.ssa .... prendeva in cura la paziente, prescrivendo meramente una terapia del dolore, senza nemmeno procedere agli esami strumentali necessari. Dopo poche ore dal ricovero in ospedale, la Sig.ra .... veniva dichiarata morta. A seguito di autopsia, veniva accertato che la causa della morte doveva essere imputata alla rottura dell'aneurisma addominale. A seguito dell'evento morte, la Dott.ssa .... veniva accusata di omicidio colposo e tratta a giudizio innanzi al Tribunale Penale di ...., R.G. .... Tuttavia, con sentenza depositata in data ...., la Corte di Appello di ...., riformando la sentenza di primo grado, assolveva la Dott.ssa .... alla luce della scriminante di cui alla l. n. 189/2012, art. 3. [2] Sulla scorta di tali allegazioni, chiedeva l'accertamento della responsabilità contrattuale dell'Azienda Ospedaliera ed extracontrattuale della comparente e la relativa condanna al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, in iure proprio ed in iure successionis, che quantificava in complessivi Euro .... Infatti, veniva addebitato alla comparente di aver omesso, nonostante l'aggravamento della sintomatologia addominale, di attuare tempestivamente ogni possibile e specifica attività diagnostica e terapeutica, atteso che la TAC veniva eseguita solo quando il quadro di rottura dell'aneurisma dell'aorta addominale era ormai conclamato. In tal moto, il medico aveva compromesso la possibilità di guarigione cagionando la morte del paziente, nonostante l'effettuazione dell'intervento chirurgico di rimozione dell'aneurisma. Con ricorso ex art. 696-bis c.p.c. l'istante aveva adito l'intestato Tribunale al fine di ottenere la nomina di un CTU che, previo esperimento del tentativo di conciliazione, accertasse la causa della morte subite nonché il nesso di causalità tra l'evento e la condotta medica, con la relativa quantificazione del danno. Tuttavia il tentativo di conciliazione non aveva prodotto alcun effetto. [3] La convenuta, costituendosi in giudizio con il presente atto, eccepisce e contesta tutto quanto riportato nel ricorso perché infondato, in fatto e in diritto, osservando quanto segue, e dichiarando, in via preliminare, di voler chiamare in causa il terzo sotto indicato ai sensi dell'art. 106 c.p.c. DIRITTO 1. Tanto premesso al punto che precede, sempre in via preliminare e nonostante l'evidente infondatezza della domanda, si chiede di essere autorizzati alla chiamata in causa, ex art. 106 c.p.c., della compagnia di Assicurazioni “....”, con la quale aveva stipulato polizza numero ...., per la copertura dei rischi derivanti dall'espletamento dell'attività medica (doc. 2). La chiamata in garanzia della compagnia è pertanto finalizzata a far sì che, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attorea, la medesima tenga indenne la convenuta del risarcimento del danno da corrispondere. 2.1 Nel merito la domanda così come posta è infondata. Come evidenziato in punto di fatto, la Dott.ssa .... veniva assolta in sede penale, poiché la Corte di Appello accertava che la medesima, nell'espletamento della sua attività, aveva perfettamente osservato le linee guida previste per la fattispecie de qua dalla comunità scientifica. A tal riguardo, è bene ricordare che le “linee guida” mediche o, come da alcuni chiamate, le cosiddette best practice sono raccomandazioni di comportamento clinico dettate dalla comunità scientifica, che contengono indicazioni su come, in determinate situazioni, il medico deve comportarsi. Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza le linee guida finiscono per dettare un parametro di valutazione della condotta del sanitario. Su tale scorta per la Suprema Corte si può ragionevolmente parlare di colpa grave solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all'agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento, quando cioè il gesto tecnico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente; e che, all'opposto, quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca o segnata dall'impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l'addebito nei confronti del professionista che, pur essendosi uniformato ad una accreditata direttiva, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato e abbia determinato, anzi, la negativa evoluzione della patologia [4]. Solo per tuziorismo va ricordato che l'art. 5 della l. n. 24/2017, anche in tema di responsabilità civile, sancisce l'obbligo per gli operatori sanitari di attenersi alle “Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida”. Tanto evidenziato, non bisogna far altro in questa sede che mettere a confronto la condotta posta in essere dal medico ed il comportamento tecnico indicato invece dalle best practice, con la conseguenza che, in relazione al caso di specie, alcuna responsabilità potrà ravvisarsi in capo alla convenuta, la cui condotta è stata ritenuta priva di colpa dal Giudice penale, poiché conforme alle linee guida. 2.2 In subordine, qualora dovesse ritenersi accoglibile la domanda di parte attrice si fa rilevare che in virtù dell'art. 7, comma 3 l. n. 24/2017, l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c. Inoltre, sempre il comma 3, stabilisce che nella determinazione del risarcimento del danno, il Giudice deve tenere conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della succitata legge e del c.p. art. 590-sexies, come introdotto dall' art. 6l. n. 24/2017. In buona sostanza, la nuova normativa in materia di responsabilità medica, sancisce che anche ai fini della determinazione del danno il giudicante debba tenere conto del comportamento del medico e se in particolare lo stesso si sia o meno attenuto alle cosiddette “Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida”. Di tal guisa la richiesta risarcitoria, come formulata da parte avversa, non può ritenersi accoglibile nemmeno sotto questo profilo. Tutto ciò premesso la convenuta, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata, rassegna le seguenti CONCLUSIONI Voglia l'Ecc.mo Tribunale adito, rigettata ogni avversa istanza, domanda ed eccezione, così provvedere: — in via preliminare, fissarsi ai sensi dell'art. 269 c.p.c., altra udienza per consentire la chiamata in causa del terzo, compagnia Assicurativa ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ....; — nel merito rigettare la domanda attore perché priva di ogni fondamento sia in fatto che in diritto; — nel merito ed in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attrice, tenere in considerazione ai fini della quantificazione del danno il comportamento tenuto dalla Dott.ssa ...., conforme alle linee guida dettate dalla comunità scientifica in relazione al caso in esame; — nel merito ed in subordine, dichiarare il terzo chiamato in causa, tenuto a rimanere indenne la convenuta del risarcimento del danno da corrispondere. Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario. IN VIA ISTRUTTORIA Si chiede di essere ammessi alla prova contraria sulle circostanze di fatto ex adverso articolate con gli stessi testi indicati da controparte e con i seguenti propri testi: 1) Sig. ...., residente in ....; 2) Sig. ...., residente in .... Si chiede nominarsi CTU medico legale al fine di accertare la causa della morte, il nesso di causalità e la relativa quantificazione. Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta. Luogo e data .... Firma dell'Avv. .... [1] Ai sensi dell'art. 8, comma 3 l. n. 24/2017: «ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all'articolo 702-bis del codice di procedura civile. In tal caso il giudice fissa l'udienza di comparizione delle parti; si applicano gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile». [2] L. n. 189/2012, il cui art. 3, prevede che «l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve». [3] Ai sensi dell'art. 8, comma 1 l. n. 24/2017: «Chi intende esercitare un'azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell'articolo 696-bis del codice di procedura civile dinanzi al giudice competente». [4] Cass. pen. IV, n. 23283/2016. CommentoDefinizioni La definizione più accreditata di “linea guida” è quella di raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche. Quanto alle buone pratiche clinico - assistenziali o best practice, trattasi di standard internazionali di etica e qualità scientifica per progettare, condurre, registrare e relazionare gli studi clinici che coinvolgono esseri umani, ovvero di interventi strategie e approcci finalizzati a prevenire, mitigare e conseguenze inattese delle prestazioni sanitarie ed a migliorare il livello di sicurezza delle stesse. Le linee guida e le buone pratiche nella legge Balduzzi L'art. 3 d. l. n. 158/2012, convertito in l. n. 189/2012, recante “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, sancisce che “l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”. La scarna disposizione, che ha il merito di aver introdotto il distinguo tra colpa lieve e grave in ambito penale, non chiarisce, invece, quale rilevanza giuridica possano assumere le linee guida nella valutazione civilistica della responsabilità professionale. Occorre, pertanto, chiedersi quando e con quali limiti le linee guida possano divenire “parametro di giudizio” dell'attività del medico, al fine di individuare tanto la disciplina applicabile ai casi di colpa lieve, quanto quella regolante le fattispecie nelle quali vi sia colpa grave del medico, nonostante il rispetto delle suddette linee guida e delle pratiche accreditate dalla comunità scientifica, anche alla luce del disposto normativo dell'art. 2236 c.c. Secondo la dottrina, la disposizione di cui all'art. 3 l. n. 189/2012 riguarderebbe le sole regole di perizia, sicché all'esercente la professione sanitaria non potrebbe estendersi alcuna limitazione di responsabilità laddove gli fosse ascritta, a titolo di colpa, una condotta semplicemente negligente o imprudente (analogamente a quanto ritenuto con riguardo al dolo e alla colpa grave dall'art. 2236 c.c.). Nel silenzio della norma ed in ragione della necessità di ricostruire la colpa medica in funzione delle concrete esigenze terapeutiche e delle connesse difficoltà risolutive, va escluso che le linee guida possano assumere carattere di regole cautelari specifiche: invero, l'attività medica non è retta da prescrizioni aventi natura cautelare, risultando, per contro, fortemente orientata dal sapere scientifico, sicché, secondo l'orientamento dottrinale prevalente, le linee guida identificano forme codificate del sapere scientifico, aventi mera funzione orientativa sul comportamento dei destinatari. Trattasi di disposizioni che possono integrare il precetto della norma primaria, quindi il dovere di diligenza, prudenza e perizia e che godono di un'elevata autorevolezza per via della fonte da cui provengono. Delle linee guida occorrerà, previamente, valutare il fine per il quale sono predisposte ed accertarne l'aggiornamento costante: ed invero, laddove fossero tese unicamente a creare prassi finalizzate al risparmio di spesa ovvero a seguire determinate procedure amministrative, le stesse saranno destinate a non spiegare alcun rilievo nel giudizio di responsabilità medica; per contro, qualora il loro scopo sia quello di concorrere a creare protocolli o prassi da seguire nella diagnosi, terapia, dimissioni del paziente, nella tenuta della cartella clinica, il giudice ordinario ne dovrà tener conto (v. Cass. pen. IV, n. 18430/2013). La giurisprudenza di legittimità penale ha avuto modo di soffermarsi sulla valenza delle linee guida all'indomani dell'entrata in vigore della l. Balduzzi: si è stabilito che le stesse rappresentano un valido ausilio scientifico per il medico che con queste si deve confrontare, sebbene non facciano venir meno l'autonomia del professionista nelle scelte terapeutiche, atteso che l'arte medica, non basandosi su protocolli a base matematica, è suscettibile di accogliere diverse pratiche o soluzioni efficaci nel cui alveo scegliere in relazione alle varianti del caso specifico che solo il medico può apprezzare in concreto (Cass. pen. IV, n. 35922/2012, ove si precisa anche che le linee guida svolgono una funzione meramente orientativa dell'attività del medico che è chiamato a considerare soltanto le esigenze del paziente, di tal che l'osservanza o inosservanza delle linee guida non determina né esclude automaticamente la colpa del sanitario). Dal punto di vista del giudizio sulla colpa del medico, il giudice resta libero di apprezzare se l'osservanza o il discostamento dalle linee guida avrebbero evitato il fatto che si imputa al medico e, cioè, se le circostanze del caso concreto imponessero o meno l'adeguamento alle linee guida a disposizione del medico oppure una condotta diversa da quella descritta in dette linee guida (v. Cass. pen. IV, n. 2168/2014, ove viene giudicato in colpa grave il medico che si attiene a linee guida accreditate anche quando la specificità del quadro clinico del paziente imponga un percorso terapeutico diverso rispetto a quello indicato dalle menzionate linee guida). Le linee guida, dunque, forniscono una mera indicazione astratta del comportamento che il medico deve tenere nel caso concreto e non possono essere assunte dal giudice ad esclusivo fondamento del suo giudizio in punto di responsabilità professionale. Ciò posto, una volta esclusa la natura di regola cautelare delle linee guida, è possibile configurare, seppure in via residuale, la colpa professionale anche del medico che si sia attenuto alle stesse, laddove l'errore commesso non sia di lieve entità: trattasi di tutte quelle ipotesi nelle quali dalla gravità delle condizioni cliniche del paziente consegua una valutazione di assoluta inadeguatezza degli standard fissati nei modelli comportamentali. La giurisprudenza civile di legittimità si è pronunciata in argomento, soltanto per escludere che la disposizione della norma in commento esprimesse una opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale (v. Cass. VI-III, n. 8940/2014). Le linee guida e le buone pratiche nella legge Gelli - Bianco Nel contesto della riforma, ove la responsabilità del medico operante nella struttura ospedaliera è dichiaratamente di natura extracontrattuale (per approfondimenti cfr. formula su responsabilità medica contrattuale o extracontrattuale), la norma dell'art. 5 impone a tutti gli esercenti le professioni sanitarie, e, quindi, anche ai professionisti dipendenti delle strutture ospedaliere, di attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle raccomandazioni previste dalle linee guida, salve le specifiche difficoltà del caso concreto. Il riferimento al “caso concreto” è sintomatico dell'esigenza del legislatore di salvaguardare un evidente margine di autonomia decisionale nell'esecuzione della prestazione professionale. In forza della connessione fra colpa medica e linee guida, l'inquadramento della responsabilità medica nei canoni della responsabilità aquiliana pare teso, ad avviso dei primi commentatori della riforma, a valorizzare gli obblighi di diligenza professionale di cui all'art. 1176, comma 2, c.c., che incombono sul professionista non tanto sulla base di un contatto sociale, bensì in ragione del suo status professionale. Ciò in ossequio a quell'orientamento dottrinale in base al quale la teoria del contatto sociale non sarebbe adattabile alla responsabilità medica, posto che un'applicazione estensiva della stessa non potrebbe trovare alcuna giustificazione teorica in presenza di un espresso rinvio normativo alla disciplina di cui all'art. 2043 c.c. (rinvio, peraltro, già presente nell'art. 3 d.l. n. 158/2012, nondimeno non valorizzato dalla giurisprudenza per quanto sopra detto). Da ultimo, è dato osservare che, alla luce del quadro normativo vigente, potrebbe ascriversi al medico una colpa per adesione o una colpa per divergenza, con specifico riferimento, da un lato, al comportamento del medico che ignori o si discosti ingiustificatamente dalle linee guida, dall'altro, al comportamento del sanitario che si conformi alle linee guida con superficialità, senza avere riguardo alle specificità terapeutiche del caso concreto, avuto riguardo ai parametri di cui agli artt. 1176 e 2236 c.c. Giova segnalare che il nuovo sistema prevede si tenga conto esclusivamente delle raccomandazioni elaborate da enti/istituzioni/associazioni/società tecnico-scientifiche, le quali intendano attivarsi per ottenere l'iscrizione in un apposito elenco e che, al tal fine, siano in possesso di una serie di requisiti individuati dal legislatore, tra i quali è, ad esempio, incluso un requisito minimo di rappresentatività sul territorio nazionale, che ben potrebbe mancare in capo a talune organizzazioni pur aventi spessore internazionale. Inoltre, in sede di riforma si afferma esplicitamente che la rilevanza delle linee-guida va riconosciuta esclusivamente nei casi in cui emerga la relativa adeguatezza a governare la specificità del caso concreto (v., in tal senso, art. 5 e art. 6). Viene, pertanto, in gioco un profilo che dovrà essere rimesso alla valutazione giudiziale e, dunque, alle conclusioni raggiunte sul punto in sede di consulenza tecnica. Qualora, poi, l'esercente la professione sanitaria si trovi ad operare in un ambito rispetto al quale non siano previste linee-guida, egli sarà chiamato ad attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali. Queste ultime vengono, quindi, ad assolvere una funzione sussidiaria, in quanto considerate rilevanti esclusivamente laddove manchino raccomandazioni del primo tipo. Risarcimento del danno, linee guida e buone pratiche Il rispetto delle linee guida (o, in assenza delle stesse, delle buone pratiche) è destinato a produrre una limitazione del risarcimento dovuto alla vittima. Il rispetto delle linee guida/buone pratiche non è di per sé suscettibile di integrare lo standard di comportamento necessario a escludere la sussistenza della colpa quale elemento dell'illecito civile: dunque, il sanitario verserà in colpa nonostante si sia attenuto alle linee guida o alle best practices. La riforma Gelli, dal canto suo, sembra escludere la possibilità di collegare il trattamento di favore a un caso di quest'ultimo tipo; essa prevede, infatti, una regola di comportamento maggiormente articolata, in quanto si ricollega al rispetto delle linee guida, fatte salve le specificità del caso concreto: non sarà conforme allo standard normativo quel trattamento avvenuto nel rispetto di raccomandazioni che non fossero adeguate in ragione delle peculiarità della situazione. Il trattamento di favore, in ambito civilistico, si produce nei termini di una limitazione del risarcimento: posto che lo standard di comportamento tenuto dal danneggiante risulta preso in considerazione in una prospettiva di favore nei suoi confronti, il giudice è chiamato a tenere conto, nella determinazione del danno, della circostanza che l'esercente la professione sanitaria abbia rispettato le linee guida/ buone pratiche adeguate al caso concreto, ai fini di procedere a una riduzione del risarcimento. Nella legge Balduzzi, il risarcimento era dovuto interamente in caso di colpa grave, mentre doveva essere ridotto in presenza di colpa lieve; nella legge Gelli, viene meno ogni riferimento alla graduazione della colpa (infatti, a livello penale, si prevede la non punibilità in caso di imperizia avvenuta nel rispetto delle linee-guida/buone pratiche), conseguendone che la riduzione del risarcimento non potrà essere ancorata alla gravità della colpa. Ulteriore problematica si pone con riguardo alla possibile estensione della limitazione risarcitoria alla struttura presso la quale il medico operi. Nella giurisprudenza di legittimità si segnala la recente Cass. III n. 11208/2017 secondo la quale il rispetto, da parte del sanitario, delle “linee guida” - pur costituendo un utile parametro nell'accertamento di una sua eventuale colpa, peraltro in relazione alla verifica della sola perizia del sanitario - non esime il giudice dal valutare, nella propria discrezionalità di giudizio, se le circostanze del caso concreto non esigessero una condotta diversa da quella da esse prescritta.Si segnala altresì Cass. III n. 30998/2018 ove si afferma il principio per cui le linee guida «non rappresentano un letto di Procuste insuperabile», bensì sono da considerarsi come un mero parametro di valutazione della condotta del medico. Ben vero, se una condotta conforme alle linee guida sarà sicuramente diligente, nondimeno una condotta dei sanitari che si discosti da quanto previsto dalle linee guida potrà essere negligente oppure diligente, se nella fattispecie concreta esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle; d’altro canto, una condotta conforme alle linee guida, ma inadatta alle peculiarità del caso concreto, potrà essere colposa (nel caso specifico, la Corte evidenzia come l’omesso esame delle linee guida non avrebbe portato ad esiti differenti). Linee guida e covid 19 Sebbene la comunità scientifica non abbia ancora elaborato linee guida per la diagnosi e cura delle infezioni da COVID 19, giova segnalare che nel 2008 il Servizio Nazionale per le Linee Guida (SNLG) ha pubblicato le raccomandazioni per la gestione della sindrome influenzale, le quali raccomandano la ospedalizzazione se il paziente è una donna gravida o è soggetto di età maggiore o uguale a 65 anni ed altresì in presenza di determinati dati clinici (ad esempio, quando vi sono malattie concomitanti ovvero valori alterati della frequenza respiratoria, della pressione arteriosa, del polso o della temperatura corporea) e di determinati dati di laboratorio. Queste regole di condotta sono state integrate – da quando è iniziata la emergenza sanitaria in atto – da alcune Circolari del Ministero della Salute, e cioè quelle del 22 gennaio 2020 n. 1997 e del 27 gennaio 2020 n. 2302 ma soprattutto quella del 22 febbraio 2020, n. 5443, che è anche pubblicata nel sito dell’Istituto Superiore di Sanità nella sezione SNLG – Buone pratiche - consultabile al seguente indirizzo: https://snlg.iss.it/?cat=4. In particolare, quest’ultima circolare prescrive precise regole di condotta cui debbono attenersi i medici di medicina generale quando vengono a conoscenza di un caso sospetto di COVID, stabilendo le misure precauzionali che ciascun singolo sanitario deve adottare e distinguendo il trattamento del paziente con sintomi da quello paucisintomatico ovvero positivo ma asintomatico. In presenza di sintomi (ossia temperatura > 37,5 °C, mal di gola, rinorrea, difficoltà respiratoria e sintomatologia simil-influenzale/simil Covid 19/ polmonite), il medico deve effettuare la valutazione epidemiologica per affezioni alle vie respiratorie tenendo presente le eventuali patologie preesistenti e lo stato vaccinale e deve segnalare il caso sospetto all’UO di Malattie infettive di riferimento. Sempre la medesima circolare definisce il “caso sospetto”, ossia una persona con infezione respiratoria acuta (insorgenza improvvisa di uno dei seguenti sintomi: febbre, tosse, dispnea) che nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della malattia soddisfi una delle seguenti condizioni: a) storia di viaggi o residenza in Cina; b) contatto stretto con un caso probabile o confermato di COVID; c) ha lavorato o ha frequentato una struttura sanitaria dove sono ricoverati pazienti con infezione da SARS-CoV-2. Ma la circolare include tra i casi sospetti anche le “persone che manifestano un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato, senza tenere conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica”. |