Ricorso exart. 281 decies c.p.c.per risarcimento danni da mancato servizio di trasferimento in autoambulanza

Emanuela Musi

Inquadramento

Con il ricorso ex art. 281 decies c.p.c. una paziente che ha subito danni alla salute in conseguenza della disorganizzazione di un ospedale, consistita nella mancanza del servizio di trasferimento autoambulanza, evoca in giudizio la struttura per ottenere il ristoro dei pregiudizi patrimoniali e non derivati dall'inadempimento imputabile alla stessa.

Formula

TRIBUNALE DI ....

RICORSO exart. 281 decies c.p.c.

PER

La Sig.ra .... nata a...., il ...., C.F. ...., residente in ...., via ...., rappresentata e difesa, per mandato in calce/a margine del presente atto, dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in ...., via.... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax...., ovvero all'indirizzo PEC ....

CONTRO

l'Azienda Ospedaliera di ...., C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ....,

NONCHE'

Assicurazioni .... C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ....;

PREMESSO CHE

- in data ...., la ricorrente veniva trasportata d'urgenza presso l'Ospedale di .... In quanto vittima di una crisi asmatica che le rendeva assai difficoltosa la respirazione (documento 1);

- giunta al pronto soccorso, il medico le praticava una tracheotomia, senza provvedere contestualmente a sedare la paziente (documento 2);

- vista la gravità della crisi asmatica e la mancanza di adeguata struttura e strumentazione presso il detto presidio ospedaliero, il medico di pronto soccorso, ordinava il trasferimento della ricorrente presso una diverso ospedale (documento 3);

- tuttavia, il presidio dove la ricorrente era arrivata in preda alla crisi asmatica, mancava di un servizio di pronto ed assistito trasferimento dei malati verso strutture ospedaliere maggiormente attrezzate. In particolare, il detto ospedale non aveva a disposizione un'ambulanza, tanto da doverla richiedere altrove (documento 4);

- la Sig.ra .... giungeva al diverso ospedale con grande ritardo, tanto che riportava gravi lesioni ai polmoni ed alle corde vocali (documento 5);

- con ricorso ex art. 696 bis c.p.c.1 (documento 6) l'istante adiva l'intestato Tribunale al fine di ottenere la nomina di un C.T.U. che, previo esperimento del tentativo di conciliazione, accertasse la causa delle lesioni, nonché il nesso di causalità tra l'evento e la carenza/disorganizzazione della struttura ospedaliera, nonché la quantificazione degli eventuali danni;

- fallito il tentativo di conciliazione il CTU depositava la consulenza medico legale che si produce (documento 7);

- alla luce di tutto quanto sopra esposto appare in modo del tutto manifesto il diritto dell'odierna attrice ad ottenere il risarcimento dei gravi danni illegittimamente patiti a seguito del notevole ritardo del trasferimento a diverso presidio ospedaliero dovuto alla mancanza di servizio di pronto ed assistito trasferimento dei malati.

Invero, secondo unanime orientamento giurisprudenziale, la struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 c.c., ove tali danni siano dipesi dall'inadeguatezza della struttura. 2

In particolare, tra la struttura ed il paziente viene a crearsi un legame giuridico di natura contrattuale definito “contratto di spedalità”. Di tal guisa, la struttura sanitaria è tenuta a fornire al paziente un insieme di prestazioni che vanno da spazi veri e propri (il posto letto, la struttura di pronto soccorso) alla tempestività d'azione e dunque nel disporre di personale sufficiente e tecnicamente efficiente, a macchinari in linea con la tecnologia che un determinato momento storico è in grado di fornire.

In buona sostanza, la struttura sanitaria si impegna a fornire al paziente una serie di prestazioni aggiuntive, il cui inadempimento può costituire la fonte di una responsabilità dell'ente per "fatto proprio", autonoma e distinta rispetto alla responsabilità vicaria per il fatto illecito commesso dal medico suo dipendente.

Configurare una responsabilità dell'ospedale per inadempimento di queste prestazioni ha il pregio di apprestare una più adeguata tutela risarcitoria per il paziente insoddisfatto, nonché – nelle ipotesi in cui venga in rilievo la responsabilità dell'ente sanitario pubblico – il pregio di offrire uno strumento di controllo dell'efficienza della p.a..

Inoltre, l'art. 7, comma 1 della recente legge n. 24 dell'8 marzo 2017, stabilisce che la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., dei danni cagionati a terzi.

In relazione al caso in esame, è dunque mancato il rispetto di standard doverosi e regole basilari di diligenza nella predisposizione e nella fruibilità in concreto dei mezzi necessari e di strutture idonee ad evitare il ritardo nell'accoglienza della paziente e nell'arrivo dell'ambulanza presso il pronto soccorso.

Invero, come evidenziato dalla consulenza depositata all'esito del procedimento ex art. 696 bis c.p.c., ove vi fosse stato un corretto servizio di trasporto “assistito e tempestivo” si sarebbe, in termini di certezza, garantita la continuità delle cure ed assicurato, con elevata credibilità razionale, la sopravvivenza della paziente dovendosi ritenere, in ragione di un giudizio “contro fattuale”, che l'epilogo della vicenda sarebbe stato certamente diverso.

Di tal che il diritto della ricorrente ad ottenere il risarcimento dei danni biologici sofferti, quantificati dalla citata consulenza in complessivi Euro ...., oltre interessi e rivalutazione come per legge.

- ai sensi dell'art. 12, comma 1 l. n. 24/2017, il soggetto danneggiato ha diritto di agire direttamente, entro i limiti delle somme per le quali è stato stipulato il contratto di assicurazione, nei confronti dell'impresa di assicurazione che presta la copertura assicurativa alle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private.

Per i motivi sovraesposti, l'istante come sopra rappresentata, difesa e domiciliata,

CHIEDE 3

che codesto Ill.mo Tribunale voglia fissare, ai sensi dell'  art. 281 undecies, comma 2, c.p.c. con decreto l'udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione dei convenuti che deve avvenire non oltre 10 giorni prima dell'udienza, con l'avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all'art. 281 undecies, commi 3-4  c.p.c. e che, in difetto di costituzione, si procederà in loro contumacia, per sentir accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, provvedere come appresso:

- accertare e dichiarare la esclusiva responsabilità ex artt. 1218 e 1228 c.c. delle convenute in ordine ai danni sofferti dalla Sig.ra .... a seguito del notevole ritardo del trasferimento a diverso presidio ospedaliero dovuto alla mancanza di servizio di pronto ed assistito trasferimento dei malati e per l'effetto condannarli in via solidale al risarcimento del danno biologico, determinato in complessivi Euro ...., o nella diversa somma minore e/o maggiore che il Giudice dovesse ritenere, oltre interessi e rivalutazione come per legge.

Con vittoria di spese, diritti ed onorari ed attribuzione.

IN VIA ISTRUTTORIA

Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta.

Ai sensi dell'art. 14 del d.P.R. n. 115/2002 si dichiara che il valore del presente procedimento, secondo le norme del codice di procedura civile, è pari ad Euro .... ed è assoggettato a contributo unificato pari ad Euro ....

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA

4

[1] [2] Ai sensi dell'art. 8, comma 1 l. n. 24/2017 “Chi intende esercitare un'azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell'articolo 696-bis del codice di procedura civile dinanzi al giudice competente”.

[2] [3] Cass. III, n. 27285/2013

[3] [4] Ai sensi dell'art. 8, comma 3 l. n. 24/2017: “Ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, e' depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all'art. 281 undecies c.p.c. In tal caso il giudice fissa l'udienza di comparizione delle parti; si applicano gli art. 281 decies c.p.c. e seguenti del codice di procedura civile”.

[4] [1] Giova evidenziare che la S.C., anche di recente, ha escluso l'applicabilità del foro esclusivo del consumatore nel caso di contratto tra paziente e struttura pubblica o privata convenzionata (Cass. VI – III ord., n 18356/2016 secondo cui “la disciplina di cui all'art. 33, comma 2, lettera u), del d.lgs. n. 206/2005, concernente il foro del luogo di residenza del consumatore, è inapplicabile ai rapporti tra pazienti e strutture ospedaliere pubbliche o private operanti in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale: sia perché, pur essendo l'organizzazione sanitaria imperniata sul principio di territorialità, l'assistito può rivolgersi a qualsiasi azienda sanitaria presente sul territorio nazionale, sicché se il rapporto si è svolto al di fuori del luogo di residenza del paziente tale circostanza è frutto di una sua libera scelta, che fa venir meno la "ratio" dell'art. 33 cit.; sia perché la struttura sanitaria non opera per fini di profitto, e non può quindi essere qualificata come "imprenditore" o "professionista"; conf. Cass. III, n. 8093/2009).

Commento

Premessa.

La tematica della responsabilità nosocomiale rappresenta il settore più inciso dall'evoluzione dell'illecito sanitario. La specificità della responsabilità della struttura, pubblica o privata, va individuata nel fatto che, in essa, si coniugano la dimensione strettamente terapeutica con il momento propriamente organizzativo, derivandone conseguenze rilevanti anche in punto di responsabilità del medico operante all'interno dell'ente. Ci si è chiesti, infatti, se il sanitario che si trovi ad operare in una situazione di "consapevole" carenza della compagine ospedaliera possa, al verificarsi di un danno interamente e certamente ascrivibile ad omissioni organizzativo-strutturali, andare esente da responsabilità (ovviamente, la questione non si pone, o comunque non può essere affrontata negli stessi termini, quando il professionista abbia contribuito al verificarsi del danno, lo abbia aggravato o non ne abbia evitato il propagarsi; rileva, invece, là dove il sanitario non abbia neutralizzato il danno o non ne abbia impedito l'insorgenza, rendendo ad es. edotto il paziente dell'indisponibilità presso il nosocomio delle apparecchiature idonee alla corretta esecuzione dell'intervento, sì da permettergli di esercitare il diritto di scegliere con quale struttura concludere il contratto di spedalità - cfr., da ultimo, Cass. III, n. 21782/2015, nonché Cass. III, n. 18304/2014 - ovvero trasferendolo presso altro nosocomio "più idoneo", ove il trasporto sia possibile senza nocumento per il paziente e il trattamento non sia indifferibile – Cass. III, n. 15386/2011 – ovvero, ancora, adottando soluzioni terapeutiche diverse rispetto a quelle astrattamente suggerite dalle linee guida e dalle buone prassi).

Vale precisare che, a partire dalla cd. riforma della riforma sanitaria (d.lgs. n. 502/1992), la responsabilità nosocomiale è considerata la stessa a prescindere dalla natura pubblica o privata della struttura che eroga il servizio. In particolare, attraverso l'istituto dell'accreditamento si è introdotta una sorta di concorrenza amministrata tra nosocomi pubblici e privati convenzionati, attuando, anche nel sistema sanitario, l'obiettivo dell'erogazione pluralistica dei servizi, votata astrattamente a consentire la libertà di scelta dell'utente. Invero, pubblico e privato convenzionato, accreditato previo accertamento del possesso di precisi standard di qualificazione, si pongono tendenzialmente sullo stesso piano quanto agli obblighi di prestazione e di raggiungimento di standard di efficienza e di organizzazione.

Natura complessa della prestazione sanitaria: le tappe dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale.

Il d.lgs. n. 502/1992 (cd. riforma della riforma sanitaria), imponendo l'obbligo di controllo della qualità delle prestazioni, in relazione ai diritti degli utenti, ha contribuito, in uno all'evoluzione giurisprudenziale, a riempire la prestazione sanitaria di un contenuto complesso e articolato, che va oltre la prestazione terapeutica e che ha evidenti e immediate ricadute sul versante della responsabilità. L'ente (sia esso pubblico o privato o, ancora, privato convenzionato) risponderà in via diretta, per fatto proprio (v. così Cass. III, n. 19277/2010) di cattiva organizzazione - cioè del verificarsi di un danno, ascrivibile all'assenza di presidi terapeutici o a carenze organizzative, oltre che per i fatti colposi e dolosi di coloro di cui si avvale per svolgere le proprie prestazioni (così Cass. III, n. 10616/2012).

Il contenuto (più esteso), ma soprattutto il criterio di imputazione (oggettivo), diversificano la responsabilità dell'ente da quella del singolo professionista: ne consegue che, alla struttura, è preclusa la possibilità di liberarsi provando di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, ricadendo su di essa anche l'obbligo di intervenire per correggere l'errore professionale del singolo medico; inoltre, la relativa responsabilità andrà accertata con criteri particolarmente rigorosi, dal momento che, tra i suoi compiti, rientra (anche) quello di provvedere agli investimenti adeguati, in termini di conoscenze ed apparati tecnologici strumentali allo svolgimento dell'attività professionale.

L'autonomizzazione della responsabilità della struttura rispetto a quella del professionista in essa operante è il frutto dell'evoluzione giurisprudenziale; prima della sentenza Cass. S.U. n. 577/2008 (più volte citata), in ordine alla natura della responsabilità, si profilavano due tesi: a) la responsabilità della struttura partecipa della natura "professionale" della responsabilità medica e, ad essa, si applicano analogicamente le regole proprie della responsabilità del professionista (Cass. III, n. 31/1979; nella giurisprudenza di merito v. Trib. Vicenza 27 gennaio 1990; Trib. Verona 4 marzo 1991); b) la struttura sanitaria ed il medico dipendente rispondono dei danni occorsi al paziente a titolo diverso, rispettivamente contrattuale ed extracontrattuale (tesi, questa, tornata in auge dopo la riforma Balduzzi, ed oggi confermata dal legislatore del 2017, come dianzi vedremo).

Vale evidenziare che, proprio in virtù della affermata autonomia della struttura rispetto a quella del medico in essa operante, la sentenza di condanna penale a carico del medico non può avere influenza diretta e automatica nei confronti della struttura sanitaria, non rilevando essa nell'ambito del giudizio civile promosso contro quest'ultima per il risarcimento del danno (cfr. Cass. III, n. 1603/2012).

Discusso era anche il criterio di imputazione della responsabilità. In particolare, la tesi che riconosce in capo alla struttura una colpa professionale, al pari di quella del medico, reca con sé la persistente valenza della distinzione obbligazioni di mezzo/obbligazioni di risultato, impiegata, soprattutto, in tema di ripartizione dell'onus probandi, per spostare, sul paziente che assumeva di essere stato danneggiato, buona parte del carico probatorio, nonché la dubbia qualificazione del contratto tra paziente e struttura, talvolta ricondotto allo schema generale della locatio operis, più spesso al contratto di prestazione d'opera intellettuale, rispettivamente a seconda che vi si riconoscesse o meno la ricorrenza dell' intuitus personae (discendendone l'impiego dell'art. 2236 c.c. per distinguere gli interventi di facile da quelli di difficile esecuzione, ricorrendo i quali la responsabilità, secondo il convincimento tradizionale, si ritiene possa essere invocata solo in caso di dolo o colpa grave, nonché la conseguenza che la responsabilità della struttura non poteva essere affermata indipendentemente da quella concorrente del sanitario - v. Cass. III, n. 6386/2001).

La S.C., con la sentenza a Sezioni Unite n. 9556 dell'1 luglio 2002, sposa l'orientamento che si fonda sulla natura complessa della prestazione contrattuale gravante sulla struttura - comprendente la fornitura di alloggio e di vitto, la disponibilità di attrezzature adeguate, la sicurezza degli impianti, l'organizzazione di turni di assistenza adeguati, la custodia del paziente, la vigilanza del reparto - riconducibile al contratto atipico di spedalità, ponendo le premesse per l'affermazione della responsabilità autonoma dell'ente, ex artt. 1218 e 1176 c.c., a prescindere da quella terapeutica in senso stretto (conforme anche la prevalente giurisprudenza di merito: “l'accettazione del paziente in una struttura, pubblica o privata, deputata a fornire assistenza sanitaria-ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d'opera atipico di spedalità, essendo essa tenuta ad una prestazione complessa che non si esaurisce nella prestazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche generali e specialistiche, ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, e di tutte le attrezzature tecniche necessarie, nonché di quelle lato sensu alberghiere. Ne consegue, a tale stregua, che la responsabilità dell'ente ospedaliero ha natura contrattuale sia in relazione a propri fatti d'inadempimento, sia per quanto concerne il comportamento in particolare dei medici dipendenti, trovando nel caso applicazione la regola posta dall'art. 1228 c.c., secondo cui il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale dell'opera di ferri risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro, ancorché non siano alle sue dipendenze”; cfr., tra le molte, Trib. Milano 23 marzo 2015).

In ordine alla fonte dell'obbligo, nettamente prevalente è la tesi del contratto sociale: v. in tal senso Cass. III, n. 8826/2006 secondo cui la struttura risponde a titolo contrattuale come il medico dipendente, in virtù della ricorrenza di un contatto sociale; v., però, anche Cass. III, n. 8093/2009 ove si afferma che il cittadino che chiede una prestazione in esenzione da ticket al Servizio Sanitario Nazionale, esercita un diritto soggettivo pubblico riconosciutogli direttamente dalla legge e che la legge stessa prevede debba essere soddisfatto a richiesta dall'organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale o direttamente o attraverso la struttura in convenzione, imponendo essa stessa la relativa prestazione. Il rapporto che si instaura con la struttura sanitaria pubblica o convenzionata rappresenta l'attuazione di questo obbligo di prestazione e non implica la stipula, nemmeno tacita, di un contratto. In altri termini, quando il cittadino-utente si rivolge alla struttura sanitaria pubblica o in convenzione, "la ricezione della sua richiesta e la conseguente attivazione della struttura non danno luogo alla conclusione, nemmeno per fatto concludente, di un contratto, ma realizzano l'attuazione dell'obbligazione della mano pubblica di fornire il servizio. Tale attuazione non avviene mediante la riconduzione del rapporto allo schema del contratto, del quale non solo non vi sono i presupposti giustificativi a livello normativo (...), ma neppure vi sono i presupposti fattuali che potrebbero comunque fare emergere la figura del contratto (...)". L'assenza del contratto non impedisce, dunque, l'applicazione della responsabilità contrattuale, posto che tale responsabilità significa che l'inadempimento discende da un obbligo preesistente o dalla sua cattiva esecuzione. L'espressione "responsabilità contrattuale" viene usata, cioè, per designare non la responsabilità che presuppone un contratto, ma la responsabilità che nasce dall'inadempimento di un rapporto preesistente a carico del SSN.

Sul piano dell'onere probatorio, le Sezioni Unite del 2008 (sentenza n. 577 dell'11 gennaio 2008), aderendo all'opzione contrattualistica della responsabilità sanitaria, ne fanno derivare la coerente applicazione della regola per cui il paziente deve solo allegare l'inadempimento, causa del danno; si precisa, tuttavia, che l'allegazione dovrà riguardare non un generico inadempimento, bensì un inadempimento qualificato, cioè avente, sulla base di un giudizio prognostico astratto, apporto causale efficiente al verificarsi proprio del danno lamentato. Occorre, perciò, "calibrare l'esatta definizione del concetto di inadempimento", giacché gli aspetti legati ai caratteri strutturali dell'ente in quanto tali non presuppongono, ma neppure escludono, la responsabilità del professionista, del cui operato l'ente stesso sarà chiamato a rispondere ex art. 1228 c.c., laddove lo si consideri inadempiente per fatto dei suoi ausiliari, ovvero ex art. 2049 c.c., ove venga condannato in quanto committente (cfr. Cass. III n. 2670/2018Cass. III, n. 11363/2014 secondo cui “ai fini del riparto dell'onere probatorio in materia di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, il paziente danneggiato deve provare il contratto o il contatto sociale dunque l'aggravamento o l'insorgenza della patologia. Sarà invece onere del debitore dimostrare l'inesistenza dell'inadempimento o la sua oggettiva ed eziologica irrilevanza”). In ordine alla misura della diligenza richiesta, quale parametro di valutazione dell'inadempimento, si segnala la recente Cass. III, n. 21090/2015, secondo cui l'osservanza da parte di un nosocomio - pubblico o privato - delle dotazioni ed istruzioni previste dalla normativa vigente per le prestazioni di emergenza non è sufficiente ad escludere la responsabilità per i danni subiti da un paziente in conseguenza della loro esecuzione, essendo comunque necessaria - in forza del concluso contratto di "spedalità" - l'osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza, che impongono a quelle strutture di tenere, in concreto e per il tramite dei propri operatori, condotte comunque adeguate alle condizioni del paziente, adottando di volta in volta le determinazioni più idonee a scongiurare l'esito infausto.

In definitiva, l'attuale stato dell'arte attribuisce natura contrattuale alla responsabilità dell'ente ospedaliero ovvero della casa di cura privata, potendo conseguire, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell'art. 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto (v. così Cass. III, n. 18610/2015).

In particolare, la recente giurisprudenza ha fatto applicazione del principio testè affermato anche con riguardo a fattispecie di acquisizione del consenso informato dal paziente, evidenziando come la struttura sanitaria risponda a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 c.c., ove tali danni siano dipesi dall'inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 c.c., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l'ospedale si avvale, e ciò anche quando l'operatore non sia un suo dipendente (così v. Cass.  III n. 1042/2019).

La responsabilità della struttura nella l. n. 24/2017.

Il comma 1 dell'art. 7 della l. n. 24/2017 consacra la regola coniata dalla giurisprudenza secondo cui la struttura (pubblica o privata) che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvale dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti, risponde ai sensi degli articoli 1218 e 1228 delle loro condotte dolose o colpose. Con il richiamo all'art. 1218 c.c., la novella legislativa conferma che il rapporto tra ente di cura e utente si iscrive all'interno del paradigma contrattuale, soggiacendo alle regole proprie di tale sistema. Va rilevato che l'art. 7 si limita a fare riferimento all'adempimento della obbligazione, senza specificare quale sia la fonte da cui essa deriva; tuttavia, la norma non può che essere letta, alla luce della copiosa giurisprudenza di cui sopra si è dato conto, nel senso della ricostruzione del rapporto tra paziente e struttura in termini di contratto di spedalità (obbligazione da contatto sociale ovvero recante la propria fonte direttamente nella legge).

Nella logica della riforma, la posizione del singolo operatore è destinata ad alleggerirsi a fronte di un deciso rafforzamento della responsabilità della struttura: l'esercente la professione sanitaria, che è inserito in un'organizzazione complessa si colloca in secondo piano, in quanto agisce in un sistema in cui la componente individuale recede rispetto al facere collettivo. La ratio che ispira la novella è quella della prevenzione e neutralizzazione dei possibili eventi avversi come compito che, istituzionalmente, spetta alla struttura nell'interesse dell'individuo e della collettività (art. 1 l. n. 24/2017). Per quanto concerne l'ambito di applicazione ai fini della individuazione delle strutture sanitarie e socio sanitarie un parametro di sicura utilità parrebbe essere quello dell'autorizzazione (presupposto indefettibile per l'esercizio dell'attività): il riferimento è al terzo comma dell'art. 8 bis del d.lgs. n. 502/1992.

Di particolare rilievo, poi, la disposizione del comma 2 dell'art. 7, la quale stabilisce che “la struttura risponde contrattualmente verso il paziente anche quando si tratti di prestazioni svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il SSN nonché attraverso la telemedicina”. La norma sembra recepire l'orientamento della dottrina secondo cui l'ente è obbligato in solido al risarcimento del danno perché trae, esso stesso, un utile economico dalla attività libero professionale (essendo i relativi proventi ripartiti, sia pure in percentuali variabili, tra il sanitario e l'azienda di appartenenza) – v. Trib. Torino n. 3816/2003 secondo la quale “il paziente che opti a proprie spese e con i conseguenti benefici per il conseguimento di prestazioni in intramoenia non è soggetto estraneo alla sfera del SSN ma fruitore del medesimo in un regime alternativo a quello ordinario”.

L'art. 7 comma 2 stabilisce che “la disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di convenzione con il SSN”: non è chiaro se la previsione sia riferita alla struttura ovvero all'esercente stesse che operi in regime di convenzione. Nel primo caso, la disposizione normativa non aggiungerebbe nulla a quanto già affermato in virtù dell'opinione giurisprudenziale prevalente che individua negli artt. 1218 e 1228 il titolo della responsabilità della casa di cura privata, sia essa accreditata o meno con il SSN; diversamente, laddove la previsione fosse riferita all'esercente in regime di convenzione, dovrebbe affermarsi che la struttura è obbligata al risarcimento del danno anche quanto l'evento lesivo sia dipeso dalla condotta di un sanitario convenzionato (v. formula su responsabilità dell'ASL per il fatto del medico di base).

Casistica su responsabilità della struttura privata

Premesso che quanto sinora affermato circa la natura della responsabilità, la fonte delle obbligazioni, la distribuzione dell'onere della prova, è destinato a valere anche nei confronti della casa di cura privata e privata convenzionata (cfr. Trib. Milano 5 marzo 2009 secondo cui “struttura sanitaria pubblica e privata, dal punto di vista della responsabilità civile, sono equivalenti. Gli obblighi a carico del paziente sono dunque i medesimi; il bene tutelato resta quello della salute, diritto fondamentale menzionato in Costituzione”), si segnalano alcune pronunce interessanti riguardanti casi di responsabilità della struttura privata.

In Cass. III, n. 24791/2008, la S.C. ha confermato la decisione della Corte di merito che aveva condannato l'università pubblica per i danni subiti da un degente in conseguenza di un intervento chirurgico, eseguito all'interno di una clinica di proprietà di una università privata, ma concessa in uso ad una università pubblica, e nella quale operavano medici dipendenti di quest'ultima, evidenziando che tenuto a rispondere è il soggetto che ha la diretta gestione dell'ospedale, e non il proprietario, in quanto è col primo e non col secondo che il paziente stipula, per il solo fatto dell'accettazione nella struttura, il contratto atipico di spedalità.

In Cass. III, n. 7768/2016 viene affermato il principio per cui anche la struttura presso la quale il paziente risulti ricoverato risponde della condotta colposa dei sanitari, a prescindere dall'esistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze della stessa, atteso che la diretta gestione della struttura sanitaria identifica il soggetto titolare del rapporto con il paziente. In particolare, la Corte ha confermato la sentenza di merito che, in relazione alla condotta di due medici, pur dipendenti di un'azienda sanitaria locale, aveva ravvisato la responsabilità del nosocomio privato presso i cui locali risultava ospitato il "presidio di aiuto materno" ove i sanitari avevano operato, e ciò sul presupposto che detta struttura - per il semplice fatto del ricovero di una gestante - era tenuta a garantire alla medesima la migliore e corretta assistenza, non solo sotto forma di prestazioni di natura alberghiera, bensì di messa a disposizione del proprio apparato organizzativo e strumentale.

Si segnala, nella giurisprudenza di merito: 1. Trib. Milano del 21 febbraio 2019 relativa a fattispecie di responsabilità della struttura disciplinata dalla legge Balduzzi: ivi si precisa che l'alleggerimento della responsabilità (anche) civile del medico "ospedaliero", che deriva dall'applicazione del criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria indicato dalla legge Balduzzi (art. 2043 c.c.), non ha alcuna incidenza sulla distinta responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata (sia essa parte del S.S.N. o una impresa privata non convenzionata), che è comunque di tipo "contrattuale" ex art. 1218 c.c. (sia che si ritenga che l'obbligo di adempiere le prestazioni per la struttura sanitaria derivi dalla legge istitutiva del S.S.N. sia che si preferisca far derivare tale obbligo dalla conclusione del contratto atipico di "spedalità" o "assistenza sanitaria" con la sola accettazione del paziente presso la struttura). Ed invero, se, oltre al medico, è convenuta dall'attore anche la struttura sanitaria presso la quale l'autore materiale del fatto illecito ha operato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quellaex art. 2043 c.c. per il medico e quellaex art. 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell'onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento, senza trascurare tuttavia che, essendo unico il "fatto dannoso" (seppur distinti i criteri di imputazione della responsabilità), qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti, essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell'art. 2055 c.c.; 2. Trib. Nola 18 gennaio 2019 secondo la quale “ anche dopo le recenti modifiche apportate dalla l. 8 marzo 2017, n. 24, c.d. legge Gelli-Bianco, è possibile affermare che il rapporto instauratosi tra il paziente e l'A. convenuta è pacificamente qualificabile come contrattuale e da valutare sulla base della normativa di cui all'art. 1218 c.c....Con la legge Gelli-Bianco nulla cambia nei confronti delle strutture, che continuano a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale ai sensi degli articoli 1218 e 1228 c.c., in merito alle condotte dolose e colpose del personale operante (anche in regime libero professionale intramurario): difatti, l'art. 7 prevede che "la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose".

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