Ricorso ex art. 702-bis c.p.c. risarcimento danno ritardo diagnostico

Emanuela Musi

Inquadramento

Con il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. i congiunti di una paziente deceduta a causa della tardiva diagnosi di una patologia tumorale chiedono il risarcimento dei danni iure hereditario ed iure proprio nei confronti del medico privato e dell'assicurazione dello stesso.

Formula

TRIBUNALE DI .... [1]

RICORSO EX ART. 702 BIS C.P.C. [2] [3]

PER

La Sig.ra .... nata a...., il ...., C.F. ... [4], residente in ...., via ...., e la Sig.ra .... nata a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., nella qualità di eredi della Sig.ra .... nata a ...., il ...., C.F. ...., deceduta in ...., il ...., rappresentate e difese, per mandato in calce/a margine del presente atto, dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in ...., via.... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC .... [5]

CONTRO

il dott. Sempronio, nato a ...., il ...., C.F...., residente in ....,

NONCHE'

Assicurazioni .... C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ....;

PREMESSO CHE

- le odierne attrici sono le uniche eredi della Sig.ra .... (documento 1), nata a ...., il .... e deceduta in ...., il .... (doc. 2), a causa di un carcinoma all'utero, non diagnosticato;

- in particolare, la de cuius a causa e nonostante le continue perdite ematiche, si recava in data .... presso lo studio medico del dott. Sempronio, noto ginecologo, per sottoporsi a visita, al fine di scoprire le relative cause (doc. 3);

- il medico, dopo averla visitata, non ravvisava alcuna anomalia, ritenendo le perdite normali conseguenze del ciclo mestruale (doc. 4);

- nelle settimane successive, persistendo la sintomatologia, la Sig.ra .... si recava nuovamente presso il citato studio medico; in tale circostanza, il Dott. .... nel ribadire la sua precedente diagnosi, consigliava l'espletamento di analisi e di accertamenti strumentali (doc. 5);

- la Sig.ra .... avendo espletato tutto quanto prescritto dal medico, si recava ulteriormente presso lo studio di quest'ultimo, il quale non si accorgeva della presenza di un grosso carcinoma all'utero (doc. 6), tanto che dopo solo cinque mesi dalla prima visita, la paziente decedeva in data ....;

- con ricorso ex art. 696 bis c.p.c. [6] (doc. 7) l'istante adiva l'intestato Tribunale al fine di ottenere la nomina di un C.T.U. che, previo esperimento del tentativo di conciliazione, accertasse la causa della morte nonché il nesso di causalità tra l'evento e la condotta (omissiva) tenuta dallo specialista, nonché la quantificazione degli eventuali danni.

- Fallito il tentativo di conciliazione il CTU depositava la consulenza medico legale che si produce (doc. 8);

- alla luce di tutto quanto sopra esposto appare in modo del tutto manifesto il diritto delle odierne attrici ad ottenere il risarcimento dei gravi danni illegittimamente patiti a seguito del decesso del loro dante causa per la mancata/tardiva diagnosi della patologia tumorale da parte del Dott. ....

Invero, in considerazione che la misura della perizia nell'attività esercitata muta in relazione alla qualifica professionale del debitore ed alla specializzazione nello specifico settore di attività, va evidenziato che al professionista è richiesta una diligenza particolarmente qualificata, nonché il rispetto degli obblighi di buona fede oggettiva e correttezza, osservando obblighi di informazione e di solidarietà sociale.

In particolare, in tema di danno alla persona conseguente a responsabilità medica, l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, determinando un ritardo nell'esecuzione anche solo di un intervento c.d. palliativo, determina al paziente un danno per non aver potuto alleviargli il dolore, nonostante l'ineluttabilità della malattia. A ciò si aggiunge che  la perdita per il paziente della chance di vivere per un (anche breve) periodo di tempo in più rispetto a quello, poi, effettivamente vissuto, ovvero anche solo della chance di conservare durante il decorso una "migliore qualità della vita". Il paziente tempestivamente informato, avrebbe anche potuto scegliere cosa fare per fruire della salute residua, anche rinunciando alle cure per limitarsi ad esplicare le proprie attitudini psico-fisiche [7].

Nel caso in esame, il comportamento tenuto dal medico non è stato improntato alla dovuta diligenza, in quanto il professionista ha attuato un approccio diagnostico insufficiente in relazione ad un quadro patologico che andava approfondito con esami diagnostici specifici. 

Per tali ragioni, l'eventuale rilievo secondo cui il morbo avrebbe nel caso avuto una progressione con modalità particolarmente rapida ed inconsuetamente tumultuosa, per cui poco o nulla sarebbe comunque cambiato circa il decorso clinico, e la conclusione di insussistenza del nesso causale tra l'aggravamento della malattia e il comportamento omissivo del sanitario non tiene in considerazione che anche in presenza di una situazione deponente per un prossimo ed ineluttabile exitus l'intervento medico può essere comunque volto a consentire al paziente di poter eventualmente fruire di un intervento anche solo meramente palliativo idoneo, se non a risolvere il processo morboso o ad evitarne l'aggravamento, quantomeno ad alleviarne le sofferenze. A tale stregua, l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale assume allora rilievo causale non solo in relazione alla chance di vivere per un (anche breve) periodo di tempo in più rispetto a quello poi effettivamente vissuto ma anche per la perdita da parte del paziente della chance di conservare, durante quel decorso, una "migliore qualità della vita”;

- l'art. 7, comma 3 l. n. 24/2017 stabilisce che l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi del c.c. art. 2043;

- ai sensi dell'art. 12, comma 1 l. n. 24/2017, il soggetto danneggiato ha diritto di agire direttamente, entro i limiti delle somme per le quali è stato stipulato il contratto di assicurazione, nei confronti dell'impresa di assicurazione che presta la copertura assicurativa alle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private.

Per i motivi sovraesposti, risultando accertato che il danno subito dalle ricorrenti è dovuto ad una condotta omissiva del sanitario, gli istanti come sopra rappresentati, difesi e domiciliati,

CHIEDONO [8]

che codesto Ill.mo Tribunale voglia fissare, ai sensi dell'art. 702 bis, comma 3 c.p.c., con decreto l'udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione dei convenuti che deve avvenire non oltre 10 giorni prima dell'udienza, con l'avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. e che, in difetto di costituzione, si procederà in loro contumacia, per sentir accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, provvedere come appresso:

- accertare e dichiarare la esclusiva responsabilità ex art. 2043 c.c. delle convenute in ordine al decesso della loro dante causa in virtù della mancata/tardiva diagnosi della patologia tumorale e per l'effetto condannarli in via solidale al risarcimento del danno morale terminale ad essi dovuto a seguito della morte della congiunta, da determinarsi in via equitativa, oltre interessi e rivalutazione come per legge.

Con vittoria di spese, diritti ed onorari ed attribuzione.

IN VIA ISTRUTTORIA

Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta.

Si nomina C.T. di parte il Dott. ....

Ai sensi dell'art. 14 del d.P.R. n. 115/2002 si dichiara che il valore del presente procedimento, secondo le norme del codice di procedura civile, è pari ad Euro .... ed è assoggettato a contributo unificato pari ad Euro ....

Luogo e data....

Firma Avv. ....

PROCURA

[1] In tema di competenza per territorio, ai fini della determinazione dei fori facoltativi alternativamente previsti dall'art. 20 c.p.c. (forum contractus e forum destinatae solutionis), va intesa come 'obbligazione dedotta in giudizio' l'obbligazione nascente dal controverso contratto, sia che di essa si chieda l'adempimento o l'accertamento, quale petitum della domanda giudiziale, sia che di essa venga prospettato l'inadempimento come causa petendi della domanda, mirante a conseguire, per effetto dell'inadempimento stesso, la risoluzione contrattuale ed il risarcimento dei danni. Parimenti, nell'ipotesi di sola richiesta di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, per la determinazione del foro competente deve farsi riferimento non già al luogo ove si è verificato l'inadempimento, ma a quello in cui si sarebbe dovuta eseguire la prestazione rimasta inadempiuta o non esattamente adempiuta, della quale il risarcimento è sostitutivo (vale a dire, quella originaria e primaria rimasta inadempiuta, non quella derivata e sostitutiva), e ciò anche quando il convenuto contesti in radice l'esistenza della obbligazione stessa. Pertanto, per giudice del luogo dove è sorta l'obbligazione non deve intendersi quello del luogo in cui, verificandosi il danno, è sorto il relativo diritto al risarcimento. Il foro stabilito dall'art. 20 c.p.c., per le cause relative a diritti di obbligazione concorre con i fori generali di cui agli art. 18 e 19 c.p.c. e l'attore può liberamente scegliere di adire uno dei due fori generali, oppure il foro facoltativo dell'art. 20 c.p.c. La norma - infatti - stabilisce che per le cause relative a diritti di obbligazione (tra le quali rientrano anche le obbligazioni scaturenti da responsabilità extracontrattuale) è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi la obbligazione. In particolare, in tema di obbligazioni nascenti da fatto illecito, l'azione di risarcimento sorge nel luogo in cui l'agente ha posto in essere l'azione produttiva del danno (forum commissi delicti) e in relazione a tale luogo deve essere determinata la competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (Cass. II, n. 13223/2014).

[2] Premesso che la nuova disciplina normativa sulla responsabilità sanitaria ha previsto che dopo l'espletamento dell'ATP le cause di merito debbano essere introdotte con il rito sommario di cognizione, si potrebbe sensatamente ritenere che, instaurando ai fini della procedibilità della domanda il procedimento di mediazione, allora non vi sia più l'obbligo di introduzione della lite ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c. (ben potendo optare l'attore per il rito ordinario di cognizione). Ed effettivamente, il legislatore ha previsto il ricorso al rito sommario di cognizione dopo l'ATP in quanto l'atto istruttorio fondamentale è stato già effettuato. E che il necessario impiego della procedura di cui agli artt. 702 bis ss. c.p.c. sia da limitare al solo caso dell'ATP (e non della mediazione), lo si ricava pure dal fatto che l'art. 8, comma 3, del nuovo testo normativo prevede che il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. debba essere depositato entro il termine di 90 giorni dal deposito della relazione medica o dalla scadenza del termine perentorio di 6 mesi per l'ultimazione dell'ATP (e ciò a pena di perdita di efficacia della domanda). Tra le materie per le quali è prevista la mediazione obbligatoria vi è, infatti, anche il risarcimento del danno derivante da responsabilità medica. E' stata inserita, con la l. n. 98/2013, accanto alla “responsabilità medica” (ossia, tecnicamente, quella afferente il rapporto medico-paziente) anche la “responsabilità sanitaria” (vale a dire, quella della struttura sanitaria indipendente dalle responsabilità del personale medico, come nel caso di insufficienza delle apparecchiature). Il previo accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, in alternativa al procedimento di mediazione di cui al d.lgs. n. 28/2010. Per munire di procedibilità la sua domanda l'attore potrà, quindi, scegliere tra ATP e mediazione.

[3] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., dalla l. n. 111/2011)

[4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. 193/2009 conv. con modif. dalla legge 24/2010. A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014.

[5] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla l. n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[6] Cfr. art. 8, comma 1, l. n. 24/2017

[7] Cass. III, n. 16993/2015.

[8] Cfr. art. 8, comma 3 l. n. 24/2017

Commento

Inquadramento.

La diagnosi intempestiva può essere causa di danni allorché sia dimostrato che, laddove la malattia fosse stata tempestivamente accertata, gli esiti sarebbero stati differenti; analogamente, sussiste il diritto al risarcimento del danno in capo al paziente (ovvero agli eredi dello stesso) laddove sia derivato un aggravamento della patologia ovvero il decesso in conseguenza dell'erronea diagnosi da parte del sanitario (si parla, in particolare, di diagnosi differenziale nel caso in cui medesimi sintomi e medesimi esami possano condurre ad una diversa diagnosi; in tale ipotesi, la responsabilità del sanitario sussiste ogni qualvolta sia dimostrato che approfondimenti diagnostici ed esami specifici avrebbero consentito a medico di formulare una diagnosi alternativa che, nel caso concreto, sarebbe stata salvifica o risolutiva per il paziente).

Fattispecie di responsabilità: casistica. 

Di particolare rilievo è la casistica in tema di tempestiva diagnosi delle patologie tumorali. Sussiste, ad es., responsabilità del sanitario (e della struttura ove lo stesso opera) per i danni derivati ad una paziente da una mastectomia allorché il medico abbia disatteso le linee guida ed abbia omesso di effettuare ulteriori e necessari accertamenti in presenza di fibromi (resi evidenti da un'ecografia): al riguardo, Trib. Milano 23.8.2016 riconosce, innanzitutto, la responsabilità del radiologo, per non aver prescritto ulteriori accertamenti che avrebbero consentito, secondo un criterio di preponderanza dell'evidenza, di intervenire tempestivamente sul tumore, e tanto sul presupposto che “la progressione del tumore rappresenta il prodotto di un equilibrio tra l'aggressività delle cellule neoplastiche e la risposta dell'ospite. Il volume del tumore e la velocità di crescita presentano una certa correlazione probabilistica con la sua aggressività e metastatizzazione”, sicché il ritardo diagnostico aveva comportato una progressione della malattia, con ricaduta negativa in termini di trattamento chirurgico mentre una corretta e tempestiva diagnosi, eseguita in occasione del controllo “avrebbe consentito di intervenire tempestivamente, così evitando il progressivo aumento di dimensioni del tumore”. La responsabilità viene poi estesa anche all'ospedale, per non aver garantito le necessarie prestazioni idonee ad evitare le lesioni subite dalla donna, violando quindi il dovere di diligenza ex art. 1176 c.c..

Con particolare riferimento alla dimostrazione del nesso di causalità (tra omessa o intempestiva diagnosi e danno lamentato), si veda poi Tribunale Frosinone 7 aprile 2017 che, richiamando un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, richiede la prova, sulla base di un giudizio contro fattuale, che, con alta probabilità logica- una condotta alternativa corretta avrebbe scongiurato l'evento danno così come verificatosi (Cass. III, n. 22894/2005, Cass. III, n. 4400/2004): in particolare, ivi viene riconosciuta la responsabilità del sanitario per non aver richiesto l'esecuzione di una TAC che sarebbe stata risolutiva per il paziente, evitandogli un intervento chirurgico inutile; il ritardo diagnostico, nel caso di specie, aveva influito sul decorso della malattia ritardando l'inizio del trattamento chemioterapico, incidendo sulla qualità di vita del paziente (la corretta prestazione medica con la tempestiva diagnosi non avrebbe evitato l'evento morte, ma avrebbe potuto ridurre o allungare il rischio relativo).

Sempre in punto di nesso causale, con sentenza Cass. III, n. 8461/2019 la Terza Sezione della S.C. ha riconosciuto come fondati due dei motivi proposti dai figli di una donna cui era stato diagnosticato in ritardo un carcinoma mammario in conseguenza del quale era deceduta: il primo riguarda l'errore in cui è incorso il giudice di secondo grado che aveva valutato l'errore soltanto con riferimento all'evento morte senza considerare le maggiori percentuali di sopravvivenza indicate nell'accertamento del CTU, mentre il secondo riguarda il mancato rispetto del principio "del più probabile che non", dato che dopo aver ritenuto sussistente la colpa del medico la Corte Territoriale aveva omesso di verificare se la morte dovesse essere ascritta alla condotta negligente del medico. La Corte ribadisce quanto già enunciato dalle Sezioni Unite nel 2008 (Cass. S.U., n. 576/2008), ovvero che "in tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., Per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova " oltre il ragionevole dubbio"; precisa altresì quanto affermato nella sentenza Cass. n. 20996/2012 ove era stato affermato il principio per cui "anticipare il decesso di una persona già destinata a morire perché afflitta da una patologia, costituisce pur sempre una condotta legata da nesso di causalità rispetto all'evento morte, ed obbliga chi attenuta al risarcimento del danno". Nel caso di specie è stata ritenuta erronea la decisione della corte d'appello che aveva valutato esclusivamente la sopravvivenza ulteriore della donna, laddove il carcinoma fosse stato tempestivamente diagnosticato, omettendo, invece la valutazione della parte dell'accertamento peritale da cui era desumibile la possibilità di sopravvivenza della donna, ove la diagnosi fosse stata tempestiva, a prescindere dalla durata della vita stessa.

Ancora si segnala, Cass. III, n. 21530/2021 che, rimarcando la necessità di procedere all'accertamento del nesso causale in caso di diagnosi tardiva secondo la regola del "più probabile che non" ovvero della "evidenza del probabile", verificando l'eziologia dell'omissione, e dunque se il comportamento doveroso sarebbe stato in grado di impedire o meno, l'evento lesivo, tenendo conto di tutte le risultanze del caso concreto, giudizio da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma anche all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica), ha riconosciuto la responsabilità di una struttura sanitaria per il decesso di una paziente derivato dal ritardo diagnostico di un solo giorno della cd. "sindrome di Lyell", non soltanto sul dato statistico delle percentuali di sopravvivenza dei pazienti affetti da detta sindrome, oltre che sul giudizio controfattuale a fronte di una condotta omissiva, ma anche sulla scorta degli elementi concreti risultanti dalle espletate c.t.u. e dalle prove acquisite riguardo alla superficialità dell'anamnesi effettuata sin dal ricovero, da cui era derivata l'errata diagnosi e le conseguenti dimissioni della paziente, nonostante l'elevata temperatura corporea, per di più, previa somministrazione di un farmaco tale da abbatterne del 70% le probabilità di sopravvivenza.

Risarcimento del danno: an debeatur e criteri di liquidazione.

Per escludere la sussistenza del danno quale conseguenza del ritardo diagnostico non è sufficiente affermare che, quale che fosse stata l'epoca di accertamento della patologia, il paziente avrebbe comunque dovuto subire il medesimo intervento, dovendosi valutare gli effetti che un'anticipazione della diagnosi avrebbe potuto avere sul decorso della malattia. Invero, ove non si affermi la totale inutilità dell'intervento, non è sostenibile che la relativa anticipazione non potesse modificare in nulla, anche solo in termini di qualità della vita, la storia clinica del paziente (si pensi alla possibilità dell'adozione di terapie palliative, ovvero al paziente che, una volta appreso della patologia allo stadio terminale decida di intraprendere un percorso di vita finalizzato a godere quanto più possibile del tempo residuo).

La più recente giurisprudenza di legittimità ha, infatti, evidenziato che l'omissione della diagnosi di un processo morboso, ancorché terminale, assume rilievo causale non solo in relazione alla chance di vivere per un (anche breve) periodo di tempo in più rispetto a quello poi effettivamente vissuto, ma anche per la perdita da parte del paziente della chance di conservare, durante quel decorso, una «migliore qualità della vita» (cfr. Cass. III, n. 23846/2008 secondo cui “l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, in relazione al quale si manifesti la possibilità di effettuare solo un intervento c.d. palliativo, determinando un ritardo della relativa esecuzione cagiona al paziente un danno già in ragione della circostanza  che nelle more egli non ha potuto fruirne, dovendo conseguentemente sopportare tutte le conseguenze di quel processo morboso, e in particolare il dolore che la tempestiva esecuzione dell'intervento palliativo avrebbe potuto alleviargli, sia pure senza la risoluzione del processo morboso”), intesa quale possibilità di programmare (anche all'esito di una eventuale scelta di rinunzia all'intervento o alle cure: cfr. Cass. III, n. 21748/2007) il proprio essere persona, e, quindi, in senso lato l'esplicazione delle proprie attitudini psico-fisiche in vista e fino a quell'esito (cfr. Cass. n. 23846/2008 cit.): in tal caso appare evidente che il danno risarcibile coincide prettamente con quello cd. esistenziale.

Il danno risarcibile può, dunque, coincidere anche con il pregiudizio derivante dalla perdita della chance di conservare, durante quel decorso, una migliore qualità di vita (così Cass., n. 7195/2014 cit.)

 Quanto alle voci di danno risarcibile appare evidente che, in linea teorica, sono configurabili tanto il danno biologico, quanto quello psichico, esistenziale, morale e da perdita di chance di sopravvivenza (tutti ricompresi nel globale danno non patrimoniale, unitariamente determinato). In ordine, poi, al danno patrimoniale si segnala la recente Cass. III, n. 21782/2015 secondo cui “nell'ipotesi di cure e interventi sperimentali effettuati all'estero da un paziente, all'esito della ripetuta ricomparsa di metastasi di una formazione neoplastica, le spese all'uopo sostenute dal paziente - sebbene suscettibili di parziale rimborso, ove fossero state osservate le procedure previste dall'art. 14 della l.r. Sicilia n. 27 del 1975 - non vanno ascritte alla fattispecie regolata dall'art. 1227, comma 2, c.c., giacché esse costituiscono l'ulteriore conseguenza del danno patrimoniale ascrivibile alla condotta dei medici precedentemente intervenuti e consistita nell'erronea diagnosi come "nevo a formazione benigna" di un melanoma, tanto più ove sussista l'assoluta urgentissima necessità - oltre che l'utilità - di tali cure praticate fuori del territorio nazionale”).

È appena il caso di precisare che, in base ad una certa impostazione, non sussiste danno biologico risarcibile a titolo differenziale allorché la diagnosi tempestiva non avrebbe consentito di evitare l'intervento (v. sul punto la motivazione di Corte Appello Campobasso 5 aprile 2017, ove si sottolinea altresì che va tenuto distinto il danno direttamente correlato all'omessa diagnosi da quello derivante dalla stessa malattia; si pensi in particolare alla riduzione o perdita della capacità lavorativa specifica). Opina diversamente Trib. Milano 23 agosto 2016 laddove, sul presupposto che l'intervento chirurgico resosi necessario a causa dell'intempestiva diagnosi era stato maggiormente demolitivo e più invalidante anche sotto un profilo estetico, riconosce il danno biologico in chiave differenziale concretandolo nel periodo di malattia biologico con invalidità temporanea parziale al 50% per 6 mesi ed individuando una invalidità permanente del 10%: il giudice milanese ha, in particolare, accertato l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui all'art. 41 c.p., così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita;  successivamente, ha proceduto ad una personalizzazione al fine di valutare la diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica, “onde ascrivere all'autore della condotta un obbligo risarcitorio che non comprendesse anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario”.

Sul punto, si segnala Cass. III, n. 10424/2019 secondo cui in caso di colpevole ritardo nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l'area dei danni risarcibili non si esaurisce nel pregiudizio recato alla integrità fisica del paziente, né nella perdita di "chance" di guarigione, ma include la perdita di un ventaglio di opzioni con le quali scegliere come affrontare l'ultimo tratto del proprio percorso di vita, che determina la lesione di un bene reale, certo - sul piano sostanziale - ed effettivo, apprezzabile con immediatezza, qual è il diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali.

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