Comparsa di risposta per danno da nascita indesiderata

Andrea Penta
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

A fronte della citazione notificata dalla madre di un bambino nato con gravi malformazioni, al fine di ottenere la condanna di un medico ginecologo e dell'ente ospedaliero al risarcimento, in solido, dei danni asseritamente patiti in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sul minore, il professionista si costituisce deducendo che, anche quando il medico ometta di diagnosticare la malformazione del feto, impedendo alla gestante di esercitare la propria libertà di autodeterminazione in ordine alla scelta di abortire, il nato malforme non è titolare di un diritto al risarcimento del danno autonomo (rispetto a quello di cui è titolare la madre) per essere stato condannato a vivere una vita di sofferenze a causa dell'omessa diagnosi e che, ai fini della ristorabilità del danno da nascita indesiderata, la gestante dovrebbe provare che, secondo il criterio del "più probabile che non", avrebbe deciso di abortire ove correttamente informata.

Formula

TRIBUNALE DI....

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA [1]

Per il Dott.... [2], nato a.... il.... C.F.... residente in....alla via....n., rappresentato e difeso dall'Avv.... C.F.... [3] ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in.... alla via.... n.... [4], giusta procura in calce al presente atto [5].

L'Avv. dichiara di voler ricevere le comunicazioni al numero fax [6].... e all'indirizzo di posta elettronica certificata [7] ....già comunicato al Consiglio dell'ordine ....

-convenuto

CONTRO

la Sig.ra.... nata a.... il....C.F....residente in....alla via ....n.... rappresentata e difesa dall'Avv....

-attore

NONCHE' CONTRO

l'Ospedale.... Società.... P.I. .... in persona del proprio legale rappresentante pro tempore, rappresenta e difesa dall'Avv....

-convenuto

PREMESSO CHE

Con atto di citazione notificato in data.... la Sig.ra.... conveniva in giudizio l'odierno esponente e l'Ospedale .... al fine di sentire accogliere la domanda di condanna di costoro al risarcimento, in solido, dei danni che ella assumeva di aver patito in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sul minore.... nato affetto da ....

A tal fine l'attrice deduceva che in data.... si era recata presso l'Ospedale... per eseguire degli esami sul feto, onde accertare la sussistenza di patologie [8].

All'esito degli accertamenti svolti dal Dott.... medico specialista, non era stata diagnosticata alcuna malformazione, e la gestante veniva invitata a ritornare per partorire al termine della gestazione.

Alla nascita del piccolo.... tuttavia, veniva riscontrato che lo stesso era affetto da....

In ragione di ciò, la Sig.ra .... in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul minore, ha instaurato l'attuale giudizio, sostenendo di aver visto leso il proprio diritto ad abortire riconosciutole dall'art. 6 legge 2 maggio 1978 n. 194 e che, inoltre, sarebbe stato leso il diritto del proprio figlio a non nascere se non sano, condannandolo a vivere una vita disagiata in seguito all'omessa diagnosi.

Conseguentemente, ha chiesto la condanna in solido di entrambi i convenuti al risarcimento dei danni....

Con il presente atto, il Dott.... si costituisce in giudizio e chiede l'integrale rigetto della domanda attorea per i seguenti motivi in

DIRITTO [9]

1) SULLA LESIONE DELLA LIBERTA' DI AUTODETERMINAZIONE DELLA GESTANTE [10]

Quanto alla presunta lesione della libertà della madre di esercitare il proprio diritto ad abortire riconosciutole dall'art. 6 della legge 22 maggio 1978 n. 194, giova in primo luogo premettere che non si tratta di un diritto esercitabile sempre e comunque.

Tale disposizione, infatti, trova applicazione con riferimento alle gestanti che abbiano superato il novantesimo giorno dal concepimento e concede il diritto ad abortire laddove sussistano delle condizioni espressamente ivi indicate, ovvero: "a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna".

Il tenore letterale della norma induce, quindi, a ritenere che la mancata diagnosi di patologie del feto è fonte di responsabilità civile nei soli casi di pericolo per l'integrità psico-fisica della donna.

In tali limitati casi, inoltre, pur inquadrando la responsabilità del medico nella particolare tipologia nota come "contatto sociale", l'omessa diagnosi del medico non assurge a danno-evento, il che significa che non è sufficiente allegare l'inadempimento del medico da parte del paziente per generare l'obbligo di risarcimento della parte inadempiente. Rimane, infatti, fermo l'obbligo generale di chi si affermi leso di dimostrare di aver patito un nocumento di tipo patrimoniale o personale e che esso sia eziologicamente riconducibile a una condotta negligente del debitore.

Nel caso di specie, quindi, non rileva la mera omessa diagnosi del medico, quanto la mancata possibilità, per la gestante, di autodeterminarsi liberamente in ordine alla scelta di abortire.

In base al principio di vicinanza della prova, la prova della volontà della gestante di accedere a tale trattamento, qualora correttamente informata sullo stato di salute del feto, non può che spettare alla gestante stessa.

Trattandosi di provare un ipotetico stato psicologico, è pertanto necessario allegare e dimostrare circostanze che possano considerarsi sintomatiche del quadro di convinzioni della madre, quali, ad esempio, la scelta di ricorrere ad esami finalizzati all'accertamento di eventuali anomalie del concepito con lo scopo di interrompere, in caso di esito negativo, la gravidanza, o pregresse manifestazioni di pensiero o condizioni psicofisiche della gestante.

Sussistendo tali circostanze, è, poi, necessario verificare che, secondo il criterio del "più probabile che non", adottato dalla giurisprudenza per delineare la causalità in ambito civile (cfr. Cass. III, n. 23933/2013), la gestante avrebbe deciso di abortire ove correttamente informata.

Nel caso di specie non vi è prova di tale volontà della gestante.

E invero, come ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, "in mancanza di una preventiva espressa ed inequivoca dichiarazione della volontà di interrompere la gravidanza in caso di malattia genetica, la mera richiesta di un accertamento diagnostico costituisce un indizio isolato del fatto da provare (l'interruzione di gravidanza). In mancanza di qualsivoglia elemento che colori processualmente la presunzione de qua, il principio di vicinanza della prova e quella della estrema difficoltà (ai confini della materiale impossibilità) di fornire la prova negativa di un fatto induce a ritenere che sia onere di parte attrice integrare il contenuto di quella presunzione con elementi ulteriori da sottoporre all'esame del giudice per una valutazione finale circa la corrispondenza della presunzione stessa all'asserto illustrato in citazione" (Cass. III, n. 7269/2013).

Altrettanto esclusa è la possibilità di ritenere che la gravità di alcune malattie sia sicura fonte di scelta di aborto da parte delle gestanti.

Ambiguo è, infine, l'indice consistente nella domanda formulata in giudizio dalla Sig.ra .... nella qualità di esercente la potestà sul proprio figlio minore. Tale elemento potrebbe essere ritenuto sintomatico della volontà della gestante di abortire qualora fosse stata informata della malformazione del feto, ma si tratterebbe di una deduzione basata su un comportamento posteriore ai fatti e sintomatico del solo tentativo di dimostrare la fondatezza della domanda giudiziale.

2) SULLA IRRISARCIBILITA' DEL DANNO DA NACITA INDESIDERATA

Quanto alla richiesta di risarcimento danni formulata dalla Sig.ra .... in nome e per conto del proprio figlio minore, la stessa è altrettanto priva di ogni pregio giuridico.

Tale richiesta di risarcimento si fonda sulla lesione di un presunto diritto a non nascere se non sani, la quale posizione è priva di logica prima ancora che di rilevanza giuridica.

Il danno da nascita indesiderata consisterebbe nella lesione della situazione giuridica soggettiva consistente nella non vita, cioè nella morte. Da tale punto di vista, il diritto a non nascere se non sano sottende una evidente contraddizione in termini; se fosse configurabile, sarebbe un diritto adespota, cioè privo di titolare: è una posizione che può assumere rilievo nella sola ipotesi in cui venga violato, in quanto la sua soddisfazione comporta la non nascita.

Oltre che illogica, la domanda attrice volta a ottenere il risarcimento per la lesione di un presunto diritto a non nascere se non sani è chiaramente contrastante con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico.

L'attrice, infatti, sostiene che la negligenza del medico avrebbe cagionato un danno al figlio minore, in quanto costretto a vivere una vita disagiata, cioè per il non essere morto a seguito dell'aborto che la madre avrebbe scelto.

In una siffatta richiesta manca lo stesso concetto di danno ingiusto: poichè la non vita non è qualificabile come bene della vita, la nascita indesiderata non è qualificabile come danno risarcibile.

Non essendovi alcun danno ingiusto da risarcire, riconoscere la risarcibilità della lesione del diritto a non nascere se non sano vorrebbe dire contraddire, altresì, la finalità esclusivamente riparatoria e non meramente sanzionatoria del sistema della responsabilità civile, come delineato dagli artt. 2043,2056 e 1223 c.c.

Per vero, la condotta negligente del medico non solo non è essa stessa la causa della malformazione, mancando il nesso causale tra la condotta omissiva del medico e la malformazione del concepito, ma, dal punto di vista del figlio, tale condotta non ha cagionato una riduzione del patrimonio, bensì un arricchimento, in quanto paradossalmente ha consentito al concepito di nascere.

Diversamente opinando, si giungerebbe al risultato paradossale di riconoscere la medesima responsabilità addebitata all'esponente anche in capo a quelle madri che decidano di portare a termine la gravidanza nonostante la diagnosi correttamente ricevuta, rendendo il genitore debitore del proprio figlio per avergli cagionato un danno mettendolo al mondo.

Tali argomentazioni logiche e giuridiche sono state recentemente recepite dalla Cass. S.U. n. 25767/2015, nella quale la Corte afferma espressamente “che l'ipotetica situazione soggettiva del diritto a non nascere se non sano non è riconosciuta nè riconoscibile dall'ordinamento, per evidente contrasto logico-giuridico con i principi basilari in tema di beni della vita e lesioni risarcibili”.

Tanto premesso e considerato, .... rappresentato e difeso come in epigrafe, rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l'On.le Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione, richiesta e conclusione, rigettare la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla Sig.ra .... in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sul minore.... nei confronti di .... [11]

Con vittoria di spese e compensi.

IN VIA ISTRUTTORIA

Formulando sin d'ora ogni più ampia riserva di articolazione dei mezzi istruttori [12], nei termini di cui all'art. 183, comma 6, nn 2 e 3, c.p.c., si offrono in comunicazione, mediante deposito, i seguenti documenti:

1. atto di citazione notificato il....

2. perizia medico legale del Dott. [13]....

3. ....

PROCURA [14]

Io sottoscritto.... nato a.... il.... conferisco procura all'Avv. .... affichè mi rappresenti e difenda nel giudizio di imputazione di cui al presente atto.

Dichiaro altresì di avere ricevuto informativa ex d.lgs. n. 28/2010, così come novellato a seguito della conversione del d.l. n. 69/2013, relativamente ai procedimenti per i quali è obbligatorio esperire il tentativo di mediazione e relativamente ai benefici fiscali connessi con tale procedimento, nonché di aver ricevuto l'informativa ai sensi degli artt. 2 e ss. del d.l. 13 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla l. 10 novembre 2014 n. 162, della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati disciplinata dagli art. 2 e ss. del suddetto d.l.

Eleggo domicilio, ai fini del presente giudizio, presso il suo studio professionale in.... alla via.... e gli conferisco, altresì, ogni più ampia facoltà di legge.

Acconsento, infine, al trattamento dei dati personali per l'espletamento del mandato conferito, ai sensi del d.lgs. n. 196/2003.

Luogo e data....

Il Sig. ....

E' vera ed autentica la firma del Sig. ....

Firma Avv....

 Il contenuto della comparsa di costituzione e di risposta è disciplinato dall'art. 167 c.p.c. Per le indicazioni da effettuare nel corpo della comparsa deve farsi riferimento all'art. 125 c.p.c. Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Per la disciplina transitoria v.  art. 35 d.lgs. n. 149/2022,  come sostituito dall' art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197 ,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti" .

[2] Indicare il nome del medico citato in giudizio quale responsabile dell'omessa diagnosi.

[3] L'indicazione del CF dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c.

[4] Ai sensi dell'art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., nella l. 15 luglio 2011, n. 111, in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio.

[5] La procura può essere apposta in calce o a margine del ricorso (art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura.

[6] L'art. 125 c.p.c.. prevede che il difensore deve indicare in epigrafe il numero di fax. L'omessa indicazione, come previsto dalla legge n. 111/2011, modificata dalla legge n. 114/2014, comporta l'aumento del contributo unificato della metà.

[7] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002 modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., nella legge n. 114/2014.

[8] Trattasi, di regola, dell'amniocentesi, la quale è una procedura che consente il prelievo transaddominale di liquido amniotico dalla cavità uterina e rappresenta la metodica più diffusa per ottenere campioni biologici utili al fine di effettuare una diagnosi prenatale.

[9] Nella comparsa di costituzione e risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda ex art. 167 c.p.c.

[10] Ove ne sussista la necessità, il convenuto può sollevare eccezioni di rito. Nel caso di specie, ad es., poiché il risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria rientra tra le materie per le quali è obbligatoria la mediazione exd.lgs. n. 28/2010, si potrebbe rilevare il mancato esperimento della mediazione che, come noto, costituisce condizione di procedibilità

[11] Indicare il nome del convenuto

[12] La comparsa di risposta deve contenere l'indicazione dei mezzi di prova di cui il convenuto intende valersi e i documenti che offre in comunicazione. Tuttavia, l'onere di indicare i mezzi di prova e i documenti non è sancito a pena di decadenza, in ragione della previsione di cui all'art. 184 c.p.c.

[13] Attraverso la documentazione medica è possibile provare che la malformazione di cui era affetto il feto non era accertabile mediante gli esami chiesti dalla gestante, nel qual caso viene a mancare la condotta negligente del medico. Il tipo di indagine richiesta ante causam dalla gestante è, invece, utile per ricostruire la presunzione di volontà della stessa di abortire in caso di malformazioni più o meno gravi del feto.

[14] La procura può essere apposta in calce o a margine del ricorso (art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati.

Commento

I presupposti

Il danno da nascita indesiderata ricorre quando, a causa del mancato rilievo dell'esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di interrompere la gravidanza. Le questioni che erano controverse prima dell'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite erano due: quella relativa all'onere probatorio (in ordine alla correlazione causale fra l'inadempimento dei sanitari ed il mancato ricorso all'aborto ed in ordine alle condizioni necessarie in base alla legge per procedere all'interruzione della gravidanza dopo il novantesimo giorno di gestazione) e quella concernente la legittimazione del nato alla richiesta risarcitoria.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza Cass. S.U. n. 25767/2015, hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

1) nel risarcimento del danno da nascita indesiderata, la prova che la gestante, se adeguatamente informata dai sanitari delle malformazioni del feto, avrebbe interrotto la gravidanza, può essere data per presunzioni;

2) il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l'onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d'interrompere la gravidanza - ricorrendone le condizioni di legge - ove fosse stata tempestivamente informata dell'anomalia fetale; quest'onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all'opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all'aborto per qualsivoglia ragione personale.

Peraltro, quanto al profilo probatorio, è onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe interrotto la gravidanza, poiché tale prova non può essere desunta dal solo fatto della richiesta di sottoporsi ad esami volti ad accertare l'esistenza di eventuali anomalie del feto (Cass. III, n. 12264/2014), poiché tale richiesta è solo un indizio privo dei caratteri di gravità ed univocità. Parimenti, è onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se la gestante fosse stata informata delle malformazioni del concepito, si sarebbe determinato un grave pericolo per la sua salute ed avrebbe deciso di interrompere la gravidanza (Cass. III, n. 27528/2013). In definitiva, è onere della parte attrice allegare e dimostrare - con riguardo alla sua concreta situazione - la sussistenza delle condizioni legittimanti l'interruzione della gravidanza ai sensi dell'art. 6, lett. b), della legge 22 maggio 1978, n. 194, ovvero che la conoscibilità, da parte della stessa, dell'esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto avrebbe generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica (Cass. III, n. 27528/2013). Invero, il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, non può mai ritenersi sussistente in re ipsa, ma costituisce un danno-conseguenza, che deve essere adeguatamente allegato e provato da chi lo invoca, sia pure anche con il ricorso a presunzioni semplici.

La prova, incombente sulla danneggiata, della volontà di esercitare la facoltà di interrompere la gravidanza può essere fornita anche mediante presunzioni, le quali devono essere valutate dal giudice secondo un modello "atomistico-analitico", fondato sul rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante e sulla successiva valutazione congiunta, complessiva e globale, degli stessi, da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza. In una fattispecie in cui, al fine di accertare eventuali menomazioni del nascituro, l'attrice aveva effettuato l'esame della  translucenza  nucale, il cui esito - di ridotta probabilità statistica di malformazioni - era stato, però, falsato dall'erroneo inserimento della data di esecuzione del test nel sistema informatico; Cass. n. 18327/2023 ha cassato con rinvio la sentenza di merito, che aveva escluso la volontà di interrompere la gravidanza sulla sola base del successivo rifiuto della donna di eseguire l'amniocentesi, omettendo di contestualizzare tale decisione in rapporto alle erronee risultanze dell'esame statistico precedentemente effettuato.

D'altra parte, il rifiuto dell'attrice di sottoporsi ad esami specifici ed invasivi (nella specie 'amniocentesi') fatto valere dal sanitario a controprova, per i rischi connessi a tale tipo di esame, è indice privo dei caratteri di univocità e gravità, allorché espresso in un contesto diagnostico non allarmante, di tal che la percezione del pericolo di danneggiare inutilmente un feto sano è ragionevolmente più forte del timore di mettere al mondo un bambino gravemente malato (Cass. III, n. 7269/2013). Al contempo, il mancato ricorso all'interruzione volontaria della gravidanza non può essere considerato un concorso di colpa del danneggiato, e nemmeno consenso alla nascita di un nuovo bambino. L'aborto non è, infatti, un comportamento giuridicamente pretendibile e non costituisce un mezzo di controllo delle nascite, per cui l'interruzione di gravidanza, anche se lecita, non costituisce un comportamento del creditore che avrebbe ragionevolmente potuto evitare il danno (Trib. Venezia, 10 settembre 2002).

L'accertamento della sussistenza del grave pericolo per la salute della donna - presupposto necessario, ai sensi dell'art. 6, lett. b), della l. n. 194 del 1978, per l'interruzione della gravidanza dopo i primi 90 giorni - dev'essere compiuto con valutazione prognostica ex ante. E così, in una fattispecie, relativa all'omessa diagnosi della sindrome di Down a causa dell'erronea ricognizione degli esiti di un esame di  translucenza  nucale, Cass. n. 18327/2023 ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza del pericolo per la salute della donna, sulla base della valutazione, ex post, della solidità emotiva dalla stessa dimostrata nell'affrontare le necessità del figlio.

In tema di responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazione del feto, i danni risarcibili in conseguenza della lesione del diritto all'autodeterminazione della gestante non si limitano a quelli correlati alla nascita indesiderata, estendendosi anche a quelli connessi alla perdita della possibilità di predisporsi ad affrontare consapevolmente tale nascita (quali, ad es., il ricorso, per tempo, ad una psicoterapia o la tempestiva organizzazione della vita in modo compatibile con le future esigenze di cura del figlio; cfr. Sez. 3, Sentenza n. 2798 del 31/01/2023).

Peculiare è la fattispecie affrontata da Cass. III, n. 9251/2017, la quale ha affermato che la mancanza della mano sinistra del nascituro non è una malformazione idonea a determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, requisito imposto dall'art. 6, lett. b), della legge 22 maggio 1978, n. 194, per far luogo all'interruzione della gravidanza dopo i primi 90 giorni dal suo inizio, sicché, non potendosi legittimamente ricorrere all'aborto, dall'omessa diagnosi dell'anomalia fetale non può derivare un danno risarcibile.

Si segnala anche Cass. III, n. 243/2017, che si è occupata di un caso in cui il medico ginecologo, al quale una gestante si era rivolta per accertamenti sull'andamento della gravidanza e sulle condizioni del feto, aveva omesso di prescrivere l'amniocentesi, esame che avrebbe evidenziato la peculiare condizione dello stesso ("sindrome di down"): in proposito, la S.C. ha affermato che, avendo la gestante lamentato di aver subito un danno alla propria salute psico-fisica, per aver scoperto la condizione del figlio solo al termine della gravidanza, la perdita della chance (alla cui specifica formula si rinvia)di conoscere lo stato del feto sin dal momento in cui si era verificato l'inadempimento del medico doveva essere considerata parte del danno ascrivibile a quell'inadempimento, la cui efficacia causale non poteva ritenersi elisa dalla mera circostanza che, due mesi dopo quella prestazione, la gestante aveva rifiutato di sottoporsi ad ulteriori accertamenti prenatali.

E' opportuno in proposito chiarire che l'obbligo di una completa informazione da parte del medico non è soltanto preventivo, ma anche successivo ad esami diagnostici il cui esito abbia manifestato un'alterazione cromosomica o altre anomalie del feto: pertanto, il ginecologo di fiducia della gestante non può limitarsi a comunicare il risultato degli accertamenti, ma è tenuto a comunicare tutti gli elementi idonei a consentire una scelta, informata e consapevole, sulla prosecuzione o sull'interruzione della gravidanza; del pari, in caso di specifica richiesta, devono soddisfare le esigenze di informazione (relative alle conseguenze delle anomalie riscontrate) anche il laboratorio di analisi e il genetista, il cui compito, in tal caso, non si esaurisce nell'indirizzare la paziente al ginecologo (Cass. III, n. 5004/2017).

Di recente, Cass. III, n. 4738/2019, ha ribadito che il danno subito dalla coppia di genitori, derivante dalla nascita indesiderata, rientra nel concetto di lesione personale, perché tale è la gravidanza indesiderata rispetto al diritto sul proprio corpo. La gravidanza è un procedimento fisiologico, ma - se causata da un terzo contro la volontà della donna - costituisce una lesione personale in quanto incidente sull'integrità del corpo e sul diritto della personalità (art. 2 Cost.), violando anche l'art. 1, l. n. 194/1978 che tutela il diritto alla procreazione libera e responsabile. Una volta riconosciuto agli attori il danno per prescrizione medica, quindi, la gravidanza contro la volontà della donna e la nascita sono lesioni personali subite da quest'ultima, per il cui risarcimento da parte del medico l'assicurazione è tenuta alla manleva.

Sotto il profilo probatorio si è osservato che In tema di risarcimento del "danno da nascita indesiderata", la prova, incombente sulla danneggiata, della volontà di esercitare la facoltà di interrompere la gravidanza può essere fornita anche mediante presunzioni, le quali devono essere valutate dal giudice secondo un modello "atomistico-analitico", fondato sul rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante e sulla successiva valutazione congiunta, complessiva e globale, degli stessi, da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza (Cass. n. 18327/2023, nella specie, al fine di accertare eventuali menomazioni del nascituro, l'attrice aveva effettuato l'esame della translucenza nucale, il cui esito - di ridotta probabilità statistica di malformazioni - era stato, però, falsato dall'erroneo inserimento della data di esecuzione del test nel sistema informatico; la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito, che aveva escluso la volontà di interrompere la gravidanza sulla sola base del successivo rifiuto della donna di eseguire l'amniocentesi, omettendo di contestualizzare tale decisione in rapporto alle erronee risultanze dell'esame statistico precedentemente effettuato).

Legittimati al risarcimento

L'inadempimento del medico determina il diritto al risarcimento del danno anche in capo al partner della donna, che, in conseguenza della condotta del medico, diventa genitore senza essersi autodeterminato in tal senso. In particolare, il risarcimento dei danni, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del ginecologo all'obbligazione di natura contrattuale gravante su di lui, spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l'ordinamento, si incentrano sul fatto della procreazione, non rilevando, in contrario, che sia consentito solo alla madre (e non al padre) la scelta in ordine all'interruzione della gravidanza, atteso che, agli effetti negativi del comportamento del medico, non può ritenersi estraneo il padre, che deve perciò considerarsi tra i soggetti protetti dal contratto con il medico e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti (Cass. III, n. 13/2010).

Nel senso che il risarcimento del danno cd. da nascita indesiderata, scaturente dall'errore del medico che, non rilevando malformazioni congenite del concepito, impedisca alla madre l'esercizio del diritto di interruzione della gravidanza, spetta sia ai genitori del soggetto nato malformato, sia ai suoi fratelli, cfr. Cass. III, n. 16754/2012 (in virtù del principio di propagazione intersoggettiva degli effetti dell'illecito). Si deve presumere, infatti, l'attitudine di detti soggetti a subire un serio danno non patrimoniale da tale evento, consistente nella inevitabile minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap, nonché nella diminuita possibilità di godere di un rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione.

Invero, la responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria è configurabile, oltre che nei confronti del paziente, anche relativamente a soggetti terzi cui si estendono gli effetti protettivi del contratto, ed in particolare al padre, anche qualora il contratto, avente ad oggetto la prestazione di cure finalizzate a garantire il corretto decorso della gravidanza, sia stato stipulato tra una gestante, una struttura sanitaria ed un medico (Cass. III n. 10812/2019).

Di recente, Cass. n. 4738/2019, ha chiarito che il danno subito dalla coppia di genitori, derivante dalla nascita indesiderata, rientra nel concetto di lesione personale, perché tale è la gravidanza indesiderata rispetto al diritto sul proprio corpo. La gravidanza è un procedimento fisiologico, ma - se causata da un terzo contro la volontà della donna - costituisce una lesione personale in quanto incidente sull'integrità del corpo e sul diritto della personalità (art. 2 Cost.), violando anche l'art. 1, l. n. 194/1978 che tutela il diritto alla procreazione libera e responsabile. Una volta riconosciuto agli attori il danno per prescrizione medica, quindi, la gravidanza contro la volontà della donna e la nascita sono lesioni personali subite da quest'ultima, per il cui risarcimento da parte del medico l'assicurazione è tenuta alla manleva.

Quantificazione del danno

Ritenuto che la nascita di un figlio comporta delle spese che è necessario affrontare per il suo mantenimento e la sua educazione, fino al raggiungimento della sua indipendenza economica, ne consegue che costituisce danno risarcibile l'ammontare delle spese che i due genitori devono accollarsi per il suo mantenimento e la sua educazione, fino alla sua indipendenza economica, dovendosi, al tempo stesso, ritenere escluso che il nato avrà modo di iscriversi all'Università (Trib. Milano I, 31 marzo 2014, n. 3477). In particolare, il danno al cui risarcimento il debitore è tenuto è anche il danno economico che sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento in termini di causalità adeguata, quale il danno consistito nelle ulteriori spese di mantenimento della persona nata con malformazioni, pari al differenziale tra la spesa necessaria per il mantenimento di un figlio sano e la spesa per il mantenimento di un figlio affetto da gravi patologie (Cass. III, n. 8984/2012; Cass. III, n. 13/2010). Va dato, peraltro, contezza di un indirizzo giurisprudenziale di merito, a mente del quale il danno patrimoniale risarcibile, nel caso di intervento fallace, sarebbe costituito, non già dagli oneri del mantenimento del figlio sino al raggiungimento dell'autosufficienza da parte di questi, gravando tale obbligo ai sensi dell'art. 147 c.c. esclusivamente sui genitori, bensì dall'apporto economico necessario per rimuovere le difficoltà economiche e quindi eliminare la causa del pregiudizio per la salute fisio-psichica della donna; con la conseguenza che un danno patrimoniale potrebbe dedursi ed ottenersi nel caso di nascita indesiderata solo allorquando fosse provata l'insorgenza di stati depressivi od altre forme di alterazione della condizione mentale o fisica, integranti vera e propria malattia, che non possono presumersi quale conseguenza certa ed automatica della nascita indesiderata (Trib. Bari II, 13 ottobre 2009, n. 3032).

La nascita, non consapevolmente scelta, di un figlio malformato, dovuta all'inadempimento del medico all'obbligazione contrattuale su di lui gravante, determina, quale conseguenza immediata e diretta, il prodursi di danni essenzialmente, anche se non esclusivamente, esistenziali che, con formula sintetica e mutuata dalla dottrina, consistono nei "rovesciamenti dell'agenda" imposti alla vita della madre (Cass. n. 13/2010, cit.). Invero, la nascita indesiderata determina una radicale trasformazione delle prospettiva di vita dei genitori, i quali si trovano esposti a dover misurare (non i propri specifici "valori costituzionalmente protetti", ma) la propria vita quotidiana, l'esistenza concreta, con le prevalenti esigenze della figlia, con tutti gli ovvi sacrifici che ne conseguono: le conseguenze della lesione del diritto di autodeterminazione nella scelta procreativa finiscono per consistere proprio nei "rovesciamenti forzati dell'agenda" di rilievo come danno non patrimoniale, secondo la lettura costituzionale dell'art. 2059 c.c. (App. Perugia, 28 ottobre 2004).

Nel caso di partoriente di nascituro indesiderato, sottopostasi a trattamento di interruzione volontaria di gravidanza, non riuscito, non è provato il danno biologico lamentato ove il parto sia avvenuto senza complicanze, atteso che la gestazione non è considerabile uno stato di malattia ed i ricoveri successivi di pochi giorni rientrano nei disagi tollerabili e non risarcibili. È, invece, considerato biologico, come tale meritevole di risarcimento, il danno alla vita di coppia causato dalla nascita di un figlio malformato, quando la nascita di un bimbo con malformazioni per errata diagnosi prenatale determina la rottura dell'equilibrio familiare (Cass. III, n. 20320/2005).

Parimenti, in difetto di idonea documentazione di supporto, va escluso il danno psichico. Deve essere parimenti escluso il danno morale, atteso che l'intervento in sé (il parto) non può cagionare lesioni, sicché nell'operato del medico non sono ravvisabili gli eremi del reato (art. 185 c.p.). Quanto ai diritti inviolabili della persona, salvaguardati dalla Costituzione, rilevano in ambito sanitario quale ulteriore danno non patrimoniale la lesione del diritto inviolabile all'autodeterminazione (sul punto, si rinvia alla specifica formula), da cui discende il divieto di sottoposizione a trattamenti sanitari obbligatori e l'obbligo di acquisizione del consenso informato, beni salvaguardati dal comma 2 dell'art. 32 Cost.

Sez. 3, Ordinanza n. 22859 del 2020 ha ritenuto applicabili, ai fini della liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da nascita di feto morto, le tabelle milanesi, evidenziando che le stesse si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte quindi a circoscrivere la discrezionalità dell'organo giudicante, sicché costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto (Cass. III n. 1553/2019). Pertanto, la violazione di legge si riferisce alla norma codicistica in tema di liquidazione equitativa (articolo 1226 c.c.) e non alle tabelle di Milano "da considerarsi norma di diritto".

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