Comparsa di risposta per risarcimento del danno da perdita di chanceInquadramentoCon la comparsa di costituzione e risposta in un giudizio per il risarcimento del danno intrapreso dai congiunti di un paziente deceduto in seguito ad un ricovero, l'azienda sanitaria chiede il rigetto della domanda attorea in particolare con riferimento al richiesto danno da perdita di chance di sopravvivenza. FormulaTRIBUNALE DI .... R.G....Giudice....Udienza.... COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA PER l'Azienda Sanitaria Locale di ...., C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., rappresentata e difesa, per mandato in calce/a margine del presente atto, dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in ...., via ....Si dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC.... - convenuta - CONTRO Assicurazioni .... C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ...., - convenuta - NONCHE' il Sig. .... rappresentato e difeso dall'Avv. .... - attore – FATTO Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. [1] notificato il .... (doc. 1), l'attore, nella qualità di unico erede della moglie, Sig.ra .... convenivano in giudizio la comparente, per sentirla condannare in solido con la compagnia di Assicurazioni al risarcimento dei danni iure hereditatis e iure proprio derivanti dalla morte del coniuge avvenuta in data ...., presso l'ospedale di .... In punto di fatto specificava che in data .... la Sig.ra .... accusava dolore al petto e difficoltà nel respiro, di talchè veniva trasportata al Pronto Soccorso di ...., accolta con codice giallo. I sanitari eseguivano tracciato ECGrafico, rilevavano la pressione e eseguivano prelievo di sangue; faceva seguito visita medica specialistica. Gli accertamenti clinici risultavano tutti negativi, cosicché la de cuius faceva ritorno a casa con diagnosi di "algia toracica" e con prescrizione di riposo, antinfiammatori al bisogno e "ulteriori indagini dal curante". Tornata a casa la congiunta continuava ad accusare dolori al petto, così il pomeriggio successivo veniva colta da arresto cardiaco e decedeva. Con ricorso ex art. 696-bis c.p.c.l'istante aveva adito l'intestato Tribunale al fine di ottenere la nomina di un CTU che, previo esperimento del tentativo di conciliazione, accertasse la natura e la causa della morte, il nesso di causalità con la condotta medica omissiva, e la relativa quantificazione del danno. Tuttavia il tentativo di conciliazione non aveva prodotto alcun effetto. [2] Pertanto, alla luce della omessa diagnosi della patologia e delle cure non effettuate in occasione dell'accesso in ospedale, nonché delle non opportune dimissioni, chiedeva iure successionis il risarcimento del danno da perdita di chance che quantificava in Euro ...., e iure proprio il ristoro del danno patrimoniale e da lesione del rapporto parentale, determinato in Euro .... La convenuta, costituendosi in giudizio con il presente atto, eccepisce e contesta tutto quanto riportato nel ricorso perché infondato, in fatto e in diritto, svolgendo le seguenti considerazioni in DIRITTO Nel merito si chiede rigettarsi la domanda risarcitoria, poiché infondata in fatto e diritto. Come noto, in tema di responsabilità per inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è a carico del danneggiato la prova dell'esistenza del contratto e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia con l'allegazione di qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare il danno lamentato, restando a carico dei sanitari la prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente e che il pregiudizio è stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile. Il rapporto causale sussiste quando, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si possa ritenere che l'opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto fondate possibilità di evitare il danno. Nel settore civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", sicché l'esistenza del nesso causale può affermarsi allorché sia accertato che quella diversa - e migliore - possibilità si sarebbe verificata "più probabilmente che non". Sul punto è stato affermata la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi al processo civile e penale. Invero, se in materia penale il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., per i quali un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del più probabile che non [3]. In relazione al caso di specie, i medici del Pronto Soccorso hanno posto in essere tutto quanto necessario per la causa della Sig.ra .... secondo la diligenza richiesta. Invero, come si evince dalla documentazione allegata (doc. 2), i sanitari effettuarono tutte le indagini diagnostiche opportune ed eseguirono gli accertamenti clinici che il caso in questione imponeva per lo studio di patologie gravi afferenti il distretto cardio-vascolare e respiratorio. Inoltre, come evidenziato anche da controparte, era la stessa vittima a decidere di rientrare a casa nonostante i sanitari l'avessero più volte invitata a fermarsi. Per di più i medici riferivano alla paziente di ritornare la mattina seguente per il secondo prelievo del sangue e per la visita cardiologica già programmata; tuttavia, la paziente non si presentava di tal chè l'iter diagnostico programmato non poteva ritenersi completato. Pertanto, è possibile affermare, secondo il criterio della preponderanza dell'evidenza (cd. "più probabile che non"), che una diversa condotta dei sanitari, così come prospettata da controparte e consistente nella prescrizione di ulteriori e non necessari esami diagnostici, non avrebbe portato ad una diversa diagnosi della patologia e non avrebbe aumentato le chances di sopravvivenza della paziente. Di talchè l'infondatezza della richiesta risarcitoria in ordine sia al danno da perdita di chance, da perdita del rapporto parentale e dei danni patrimoniali. Tutto ciò premesso il convenuto, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato, rassegna le seguenti CONCLUSIONI Voglia l'Ecc.mo Tribunale adito, rigettata ogni avversa istanza, domanda ed eccezione, così provvedere: - nel merito rigettare la domanda attrice perché priva di ogni fondamento sia in fatto che in diritto; - nel merito ed in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attrice, dichiarare la compagnia assicurativa tenuta a rimanere indenne la convenuta del risarcimento del danno da corrispondere. Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario. IN VIA ISTRUTTORIA Si chiede di essere ammessi alla prova contraria sulle circostanze di fatto ex adverso articolate con gli stessi testi indicati da controparte e con i seguenti propri testi: 1) Sig. .... residente in ....; 2) Sig. .... residente in .... Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta. Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA [1] Ai sensi della l. n. 24/2017, art. 8, comma 3: “Ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, e' depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all'articolo 702-bis del codice di procedura civile. In tal caso il giudice fissa l'udienza di comparizione delle parti; si applicano gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile”. [2] Ai sensi della l. n. 24/2017, art. 8, comma 1: “Chi intende esercitare un'azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilita' sanitaria e' tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell'articolo 696-bis del codice di procedura civile dinanzi al giudice competente”. [3] Cass. III, n. 3847/2011. CommentoNozione e fondamento. Nell'ambito della colpa medica, la teorica della perdita di chance consente di assicurare tutela risarcitoria in tutte quelle situazioni di causalità incerta, nelle quali, cioè, ricorrano oggettive difficoltà di valutazione dell'apporto causale dell'asserito responsabile. Posto che sono svariate le categorie concettuali in cui viene inquadrata la figura in esame (per cui v. formula danno patrimoniale e non patrimoniale da perdita di chance), nell'ambito della responsabilità medica la dimostrazione, anche in via presuntiva e di calcolo probabilistico, dell'esistenza della chance consente di ammettere il ristoro di un danno conseguente ad un errore medico senza la prova che la chance perduta abbia concretamente inciso sulla salute del paziente: il danno sarà, dunque, configurabile quando vi sia la probabilità o anche solo la possibilità di conseguire il risultato. Non a caso, in materia sanitaria il terreno di più frequente applicazione della chance è quello delle condotte mediche omissive, ove è particolarmente difficoltosa la valutazione del nesso causale (che passa per il cd. giudizio controfattuale; v. formula su nesso di causa). Si parla, in particolare, di chance oppositiva (a fronte della chance pretensiva operante nel settore dei rapporti di lavoro), ove ciò che si è perso sarebbe costituito dalle possibilità venute meno derivanti dall'intervento/cure/terapia corrette che sono mancate e che non si sono potute opporre al progredire della malattia, interrompendo o migliorando in tal modo il processo patologico in atto: il giudizio causale, in tal caso, dovrà essere particolarmente articolato dovendosi provare lo stesso fatto oppositivo, o meglio la sua mancanza (provando cioè che laddove fosse stato posto in essere avrebbe impedito una certa evoluzione peggiorativa della patologia). Al fine di evitare la costruzione di figure risarcitorie in re ipsa, la perdita di chance dovrà essere ancorata non solo ad un inadempimento medico realmente colposo ma anche ad uno standard probatorio che non poggi su di una nozione di mera possibilità di conseguire il risultato, bensì sulla probabilità concreta e ragionevole che ciò si sarebbe verificato. Il panorama giurisprudenziale. Svariate le ipotesi risarcitorie configurabili in relazione alle quali si impone il ricorso alla figura della perdita di chance: si pensi ai frequenti casi di dedotta ridotta sopravvivenza per effetto di diagnosi/interventi omessi o tardivamente effettuati, ovvero di mancate guarigioni provocate da varie inadempienze professionali, ovvero di aggravamenti ed altre compromissioni della salute che non siano riconducibili alle fattispecie penali tipiche dell'omicidio colposo o delle lesioni personali colpose. A fronte di tale quadro variegato, diverse sono le soluzioni offerte dalla giurisprudenza di merito e di legittimità ai fini dell'individuazione dello standard di probabilità suscettibile di risarcimento. Per Cass. III, n. 28993/2019, conf. Cass. III, n. 12906/2020, la perdita di chance a carattere non patrimoniale consiste nella privazione della possibilità di un miglior risultato sperato, incerto ed eventuale - la maggiore durata della vita o la sopportazione di minori sofferenze - conseguente alla condotta colposa del sanitario ed integra evento di danno risarcibile (da liquidare in via equitativa) soltanto ove la perduta possibilità sia apprezzabile, seria e consistente (nel caso scrutinato dalla Suprema Corte veniva esclusa la sussistenza di una perdita di chance rilevando che, anche in caso di corretta esecuzione della prestazione sanitaria, la possibilità di sopravvivenza della paziente era talmente labile e teorica da non poter essere determinata neppure in termini probabilistici). Per Trib. Taranto sent. 23 ottobre 2015, la chance di raggiungere il risultato deve essere seria e non simbolica o comunque apprezzabile, per evitare di effettuare futili risarcimenti (ivi, in particolare, il Tribunale non riconosce un danno da perdita di chance richiesto in ordine al mancato trasferimento di un paziente colto da ictus cerebri ad una struttura ospedaliera specializzata nel trattamento dell'ictus, in quanto la sopravvivenza in una stroke unit è migliore solo del 3% rispetto ai reparti di medicina); secondo la S.C., da un lato le possibilità di salvezza pari al 10% non raggiungono una soglia apprezzabile da consentire di addebitare alla struttura ospedaliera la responsabilità per il decesso di un paziente in conseguenza della mancata diagnosi di una patologia che, dopo due ore dall'insorgenza dei sintomi, lo aveva condotto a morte (Cass., n. 21245/2012), dall'altro, l'omessa diagnosi di un processo morboso terminale che abbia fatto perdere la chance di vivere alcune settimane od alcuni mesi in più, rispetto a quelli poi effettivamente vissuti, configura un danno alla persona risarcibile (Cass., n. 23846/2008, nonché Cass., n. 5962/2000 ove si sottolinea che “del bene della vita l'elemento tempo costituisce una componente essenziale, con la conseguenza che ogni fatto imputabile che ne determini l'anticipata cessazione, influenzando un fattore patogenetico già esistente e costituente la causa clinica del decesso, non può considerarsi mera occasione, ma concausa, rompendo quell'equilibrio precario nella salute del soggetto, che, per quanto con prognosi infausta per il futuro, si era generato. In siffatte fattispecie, quindi, il nesso di causalità va esaminato, secondo i principi della regolarità causale, non solo fra fatto ed evento letale, ma anche tra fatto e accelerazione dell'evento morte" ). Si è, talora, affermato che dà luogo a danno risarcibile l'errata esecuzione di un intervento chirurgico praticabile per rallentare l'esito certamente infausto di una malattia, che abbia comportato la perdita per il paziente della "chance" di vivere per un periodo di tempo più lungo rispetto a quello poi effettivamente vissuto. In tale eventualità, le possibilità di sopravvivenza, misurate in astratto secondo criteri percentuali, rilevano ai soli fini della liquidazione equitativa del danno, che dovrà altresì tenere conto dello scarto temporale tra la durata della sopravvivenza effettiva e quella della sopravvivenza possibile in caso di intervento chirurgico corretto (così v. Cass. n. 7195/2014). Dalla disamina dei precedenti giurisprudenziali in argomento si ricava pertanto che il risarcimento del danno è configurabile allorché: 1) il ritardo diagnostico non abbia inciso sull'esito infausto del decorso della patologia, che si sarebbe comunque verificato, ma sulla possibilità di scelta e programmazione della persona; 2) vi sia stato un peggioramento della qualità di vita che i benefici terapeutici, anche se minimi, avrebbero potuto assicurarle; 3) a causa dell'omissione o condotta commissiva del medico, vi sia stata un'ingiusta sofferenza causata dal diverso rapporto con la malattia e dall'indebolimento delle risorse naturali della persona. In particolare, la liquidazione del danno. La chance viene alternativamente ricostruita in termini di danno emergente (interpretandosi il concetto in chiave ontologica come bene attuale, posta attiva del patrimonio, consistente nella perdita attuale della possibilità, irrimediabilmente compromessa, di raggiungere il risultato favorevole sperato), ovvero di lucro cessante (in un'ottica eziologica come mancata realizzazione del risultato finale favorevole, il quale, in assenza dell'evento lesivo, si sarebbe sicuramente verificato) – per approfondimenti v. formula su danno patrimoniale e non patrimoniale da perdita di chance. La tesi ontologica è quella largamente preferita nella giurisprudenza di legittimità (v. tra le molte Cass. n. 4400/2004). La liquidazione del danno viene, dai sostenitori della tesi ontologica, basata su di un criterio prognostico, valutandosi le concrete e ragionevoli probabilità che avrebbe avuto il danneggiato di raggiungere un certo risultato utile: viene preso, quale parametro base, il vantaggio economico globale che il danneggiato avrebbe potuto raggiungere, per poi diminuirlo, proporzionalmente, in ragione delle concrete chance di realizzarlo (così Cass. n. 7745/2002); trattasi della tecnica del c.d. "coefficiente di riduzione" (secondo Cass. n. 23846/2008 da privilegiarsi rispetto alla liquidazione equitativa pura). Nondimeno, oltre ad avvalersi della detta tecnica, la giurisprudenza di merito opta talvolta anche per una liquidazione puramente equitativa del danno (criterio liquidatorio che viene applicato quanto non sia possibile individuare l'entità della chance persa) ovvero per l'utilizzazione delle Tabelle Milanesi. Nelle ipotesi di perdita di chance di sopravvivenza, in cui, cioè, a seguito di un errore o di un ritardo diagnostico, il danneggiato veda sensibilmente accorciata la propria aspettativa di vita, vi è un'evidente difficoltà a fare applicazione della menzionata teoria, stante l'impossibilità di stabilire con sufficiente certezza la percentuale di chances perdute (ovvero gli anni di vita perduti). In detti casi, i giudici di merito liquidano in via equitativa un risarcimento a titolo di danno non patrimoniale ove fanno confluire ogni sofferenza ricollegabile alla ritardata diagnosi (ad es. di una neoplasia, v. Trib. Bari 11 gennaio 2010), che abbia ridotto la vita del paziente di anni ovvero di mesi (v. Trib. Firenze 31 marzo 2014, ove il giudice riconosce un risarcimento di Euro 30.000,00 optando per la stima equitativa tenuto conto "del relativamente breve lasso di tempo, della bassa percentuale di sopravvivenza - omissis- e della progressivamente in ogni caso deteriorata condizione esistenziale del paziente terminale”). Nella giurisprudenza di merito si rinvengono, poi, soluzioni diverse di liquidazione che ancorano la quantificazione alle Tabelle del Tribunale di Milano allorché l'aspettativa di vita non sia quantificata in percentuale, bensì in settimane, mesi o anni: la diminuzione dell'aspettativa di vita viene in tal caso parametrata all'invalidità temporanea totale, aumentata del 100 e poi moltiplicata per i giorni di vita "perduti" (v. ad es. Trib. Arezzo 12 gennaio 2012, nonché Trib. Bologna Ancora il risarcimento alla Tabella Milanese pure il Tribunale di Bologna 4 aprile 2012, ove l giudice accertata una riduzione delle chance di sopravvivenza del 21% a cinque anni, "volendo orientare in qualche misura l'esercizio del potere equitativo" commisura il valore della lesione all'invalidità permanente totale per il paziente di quell'età, ridotta di un terzo). Quanto poi alla perdita di chance di cura e di guarigione, in fattispecie nelle quali una corretta diagnosi ed una terapia adeguata avrebbero determinato, per un certo lasso di tempo, un'attenuazione del quadro sintomatologico, ritardando il verificarsi dei sintomi invalidanti e quindi un rallentamento della malattia che, ad ogni modo, si sarebbe comunque manifestata, ciò che si risarcisce non è la chance di vita persa, ma una chance di "qualità della vita" persa. Il danno, infatti, consiste nella privazione di una migliore qualità della vita per un certo periodo di tempo, pur in presenza di un inevitabile esito infausto della malattia. In dette ipotesi, il giudice è chiamato determinare quanto valga la qualità della vita e cioè la possibilità, per la vittima, di vivere, non di più, quanto meglio, per un certo periodo di tempo. In argomento, si veda Trib. Arezzo 3 aprile 2012 (il caso era quello di un paziente che, a seguito di una ritardata diagnosi della patologia renale, veniva sottoposto a trapianto): nell'impossibilità di stabilire se la diagnosi tempestiva avrebbe evitato il trapianto con probabilità superiore a quella inversa, viene risarcita la sola chance persa che viene individuata nella misura del 30%, con una liquidazione operata in via puramente equitativa, tenendo conto dell'entità della chance, dell'attinenza della lesione a valori costituzionalmente garantiti (vita e salute) e della sofferenza riconnessa all'aver perso una chance di cura. Anche in un caso di richiesta risarcitoria avanzata da un malato terminale per il quale la diagnosi tempestiva avrebbe consentito la completa guarigione nel 90% dei casi, il criterio adoperato dal giudice è puramente equitativo posto che "non è possibile con certezza determinare il danno nel suo preciso ammontare e, quindi, utilizzare il criterio della riduzione percentuale" (Trib. Aquila 22 giugno 2011). Si segnala in materia, sebbene espressasi in una vicenda avulsa dal campo della responsabilità medico chirurgica, la pronuncia n. 13514/2022, per il seguente principio di diritto ivi enucleato “la vittima deve scegliere di dimostrare di aver perduto un reddito che verosimilmente avrebbe realizzato, e allora le spetta il risarcimento del danno da lucro cessante oppure di non addurre quella prova ed in tal caso, le spetterebbe il risarcimento del danno da perdita di chance”. Il caso traeva origine dalla pubblicazione di un articolo diffamatorio della reputazione di due calciatori che agivano in giudizio contro gli autori degli articoli in questione, nonché contro la casa editrice, chiedendo il riconoscimento dei danni patrimoniali e non, allegando che in considerazione della diffusione di tali notizie infanganti si erano interrotte le trattative con due squadre italiane. |