Comparsa di risposta del danneggiante in caso di concorso del fatto colposo del minore incapace.

Giovanna Nozzetti
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

Con la comparsa di costituzione e risposta, il convenuto contesta la domanda risarcitoria attorea, deducendo il concorso del fatto colposo del danneggiato, sia pur incapace di intendere e di volere al momento del fatto illecito, chiedendo ridursi il risarcimento dovuto in proporzione alla colpa di lui

Formula

TRIBUNALE DI...

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA 1

del Sig. ... (C.F. ...) 2 , nato a ... il .../.../..., residente in ... alla via ... n. __, rappresentato e difeso dall'Avv. ... 3 (C.F. ...) 4 , con domicilio eletto in ... alla Via ... n. ... presso il suo studio ..., fax ... 5 , PEC: ...@..., giusta procura ... 6

-convenuto

CONTRO

La Sig.ra ..., C.F. ..., nata a ... e residente in ..., alla via ... n. ..., e il Sig. ..., C.F. ..., nato a ... e residente in ..., alla via ..., n. ..., n.q. di genitori esercenti la potestà genitoriale sulla minore ..., rappresentati e difesi dall'Avv. ... ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in ...;

-attori

FATTO

In data ..., alle ore ... circa, la minore ... scendeva dalla bicicletta del padre ... e, svincolatasi dalle sue mani, attraversava in maniera repentina la strada ..., nel centro abitato di ..., per andare incontro al cugino che si trovava dall'altro lato della carreggiata.

In tali circostanze di tempo e luogo la bambina, trovandosi improvvisamente nel mezzo della corsia di marcia, veniva investita dall'auto del Sig. ..., che procedeva a velocità sostenuta, riportando delle lesioni del tipo ..., come da documentazione versata in atti.

Con atto di citazione notificato il ..., i Sig.ri ..., nella qualità di genitori della minore ..., citavano in giudizio il conducente ..., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivanti dal sinistro.

Con il presente atto si costituisce in giudizio il Sig. ..., chiedendo il rigetto della domanda per i seguenti motivi di

DIRITTO

1) SUL CONCORSO DEL FATTO COLPOSO DEL CREDITORE

La domanda di parte attrice si fonda sull'erronea premessa secondo la quale la responsabilità sarebbe interamente da ascrivere al Sig. ..., il quale non avrebbe tenuto una condotta di guida idonea a evitare l'evento lesivo.

Tale ricostruzione non appare condivisibile, in quanto la fattispecie in esame rientra nel campo di applicazione dell'art. 1227 c.c., che disciplina il 'concorso del fatto colposo del creditore'.

L'art. 1227 c.c. è previsto allo scopo di non far gravare sul debitore le conseguenze dell'illecito che non sono a lui imputabili. Il debitore, infatti, non deve rispondere quando la condotta del creditore genera danni o aggrava quelli già prodotti.

In particolare, la norma prevede, al primo comma, la diminuzione del risarcimento dovuto, secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze derivatene, nel caso in cui il fatto colposo del creditore abbia concorso a cagionare il danno.

La giurisprudenza ha escluso che l'art. 1227 c.c., comma 1, non debba essere applicato ogni qual volta non si possa parlare di colpa, come nel caso dell'incapace.

È stato in proposito osservato che l'espressione non va intesa come riferentesi all'elemento psicologico della colpa che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l'imputabilità. Per fatto colposo, ai fini che qui rilevano, deve intendersi il comportamento umano, obiettivamente in contrasto con norme positive o di comune prudenza tenuto dal soggetto, come se esso fosse capace (Cass. n. 14548/2009).

Sulla scorta di tale ricostruzione della nozione di 'fatto colposo del creditore' la giurisprudenza ha riconosciuto che «anche un bambino può concorrere colposamente (ex art. 1227, comma 1, c.c.) alla causazione del danno, indipendentemente se tale comportamento anomalo sia ascrivibile alla omessa vigilanza di un genitore o di altro soggetto deputato al controllo nell'ambito del distinto rapporto tra questi ed il minore» (Cass. III, n. 3542/2013).

Nel caso di specie, la condotta della minore ... ha costituito elemento di causa esclusiva dell'evento, o, a tutto voler concedere, elemento decisivo per la causazione del danno.

Nella denegata ipotesi in cui il Giudicante ritenga di non condividere le su indicate argomentazioni giuridiche, non può escludersi che sussista, almeno, un concorso di colpa della minore, la quale ha attraversato la strada a notevole distanza dalle strisce pedonali, in corsa e senza prestare le cautele del caso.

Per tali ragioni, si chiede che l'Ecc.mo Tribunale adìto Voglia, respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa, accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

- accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità dell'evento dannoso da parte di..., rigettando la domanda attorea;

- in subordine, accertare e dichiarare la corresponsabilità di ... nella causazione dell'evento lesivo a seguito del sinistro e, per l'effetto, ridurre in maniera proporzionale a tale acclarata corresponsabilità, il quantum della domanda risarcitoria formulata dagli attori nei confronti del convenuto.

Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, oltre IVA e CPA come per legge.

In via istruttoria, in caso di ammissione di prova testimoniale dedotta da parte attrice, senza alcuna inversione dell'onere della prova, chiede prova contraria sui capitoli formulati da controparte.

Indica a testi i sig.ri... residenti in ...

Si allega:

atto di citazione notificato il...

Luogo e data...

Firma Avv. ......

PROCURA AD LITEM

(Se non a margine o su documento informatico separato)

[1] ·       La comparsa di risposta deve contenere l'indicazione dei mezzi di prova di cui il convenuto intende valersi e i documenti che offre in comunicazione. Tuttavia, l'onere di indicare i mezzi di prova e i documenti non è sancito a pena di decadenza, in ragione della previsione di cui all'art. 184 c.p.c.Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge [82, 86 c.p.c.], almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[2] Ai sensi dell'art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., nella l. 15 luglio 2011, n. 111, in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio.

[3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. 115/2002 modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., nella legge n. 114/2014.

[4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c..

[5] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c.. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata,«Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale ... il contributo unificato è aumentato della metà».

[6] La procura può essere apposta in calce o a margine della citazione (art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura. La procura speciale, invece, può essere apposta in calce o a margine della citazione. Nell'ipotesi di scelta di deposito telematico della citazione (art. 16-bis comma 1-bis d.l. n. 179/2012) occorrerà indicare la seguente dicitura: 'giusta procura allegata mediante strumenti informatici e apposta in calce al presente atto di citazione ai sensi dell'art. 83 comma 3 c.p.c.'.

Commento

Fatto colposo del creditore - danneggiato incapace. Riduzione del risarcimento

Il disposto dell'art. 1227 comma 1 c.c.- applicabile anche alle ipotesi di responsabilità aquiliana stante il rinvio dell'art. 2056 c.c. - impone di valutare il fatto colposo del creditore, che abbia concorso causalmente a cagionare il danno, ai fini di una riduzione del risarcimento dovuto secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.

La ratio della norma in esame va individuata nell'esigenza di non far gravare sul debitore le conseguenze dell'illecito a lui non imputabili. Secondo la giurisprudenza più recente, la regola di cui all'art. 1227, comma 1, c.c. non è, infatti, espressione del principio di autoresponsabilità, ravvisandosi piuttosto un corollario del principio della causalità, per cui al danneggiante non può far carico quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile. Pertanto la colpa, cui fa riferimento l'art. 1227 c.c., va intesa non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perché il soggetto che danneggia se stesso non compie un atto illecito di cui all'art. 2043 c.c.), bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato (Cass. S.U., n. 24406/2011).

Il secondo comma della disposizione in esame prevede, poi, l'esclusione della risarcibilità di quei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, ma, in questo caso, quanto alla ripartizione del relativo onere probatorio, grava sul danneggiante l'onere di provare la violazione, da parte del danneggiato, del dovere di correttezza impostogli dal citato art. 1227 c.c. e l'evitabilità delle conseguenze dannose prodottesi, trattandosi di una circostanza impeditiva della pretesa risarcitoria, integrante un'eccezione in senso stretto (così Cass. n. 9137/2013).

Il tenore letterale della norma, che sembra ancorare la diminuzione del risarcimento non semplicemente alla condotta oggettiva del creditore bensì alla colpa di questi, con un chiaro riferimento al profilo soggettivo, ha suscitato alcuni dubbi circa l'applicabilità della fattispecie anche al caso in cui il danneggiato sia soggetto incapace di intendere e di volere.

In effetti, il richiamo all'elemento soggettivo della colpa, sia pur nella sua nozione normativa, quale violazione di una regola cautelare, specifica o generica, volta a evitare lo specifico evento verificatosi, ha suscitato dubbi circa l'operatività della disposizione ai soggetti non imputabili, in quanto privi di capacità di intendere e di volere.

La questione si è più frequentemente posta nell'ambito della responsabilità aquiliana e, in particolare, con riguardo alle fattispecie di danno da circolazione stradale, terreno elettivo del concorso di colpa del danneggiato, essendo parso discutibile il riferimento alla gravità della colpa del danneggiato incapace quale criterio per la commisurazione dell'entità del risarcimento dovutogli.

La giurisprudenza nettamente prevalente ha dato soluzione positiva al quesito ritenendo che il comportamento del danneggiato, incapace di intendere e di volere, concorrente nella produzione dell'evento dannoso, possa rilevare agli effetti previsti dall'art. 1227 c.c., comma 1, applicabile in tema di responsabilità extracontrattuale per il richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c., e che il giudice debba accertarlo e valutarlo anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio- al fine di stabilire il concorso delle colpe e la proporzionale riduzione del risarcimento dovuto dall'autore dell'illecito (Cass. III, n. 6529/2011; Cass. III, n. 23734/2009).

Per la Corte l'espressione "fatto colposo" contenuta nell'art. 1227 c.c. deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, e non nel significato letterale di comportamento colposo (così specificamente, Cass. III,14548/2009).

Solo un'isolata e ormai remota sentenza della Cassazione (Cass. n. 1650/1959) ha affermato il principio contrario per cui non si sarebbe potuto addivenire a una riduzione del risarcimento a causa della condotta del danneggiato incapace, per minore età o per altra causa, di intendere e di volere.

Ma a partire dalle Sezioni Unite Cass. S.U., n. 351/1964, la giurisprudenza di legittimità è rimasta granitica nell'affermare che «quando un soggetto incapace per minore età o per altra causa subisce un evento di danno in conseguenza di fatto illecito altrui in concorso col proprio fatto colposo, l'indagine deve essere limitata all'esistenza della causa concorrente, prescindendo dall'imputabilità del fatto all'incapace e dalla responsabilità di chi era tenuto a sorvegliarlo, ed il risarcimento è dovuto dal terzo danneggiato solo nella misura in cui l'evento possa farsi risalire a colpa di lui» (Cass. III, n. 23214/2016; Cass. III, n. 3542/2013; Cass. III, n. 3242/2012; Cass. III,n. 2704/2005).

Questo orientamento è ormai consolidato ed è coerente col principio che non può attribuirsi al colpevole una responsabilità maggiore di quella derivante dalla oggettiva efficienza causale del suo comportamento allorché questo concorra con quello egualmente eziologicamente efficiente del danneggiato.

La tesi ha trovato già in tempi non recenti l'avallo della Corte Costituzionale, che ha dichiarato «manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1227, comma 1 c.c., nella parte in cui, nei confronti dell'incapace di intendere e di volere, che con la sua condotta abbia concorso a causare il danno complessivamente da lui subito, esclude la risarcibilità di quella parte del danno stesso che sia stata causata dal comportamento di esso danneggiato, nemmeno in via equitativa e in misura parziale» (Corte cost. n. 14/1985).

Deve, dunque, escludersi che l'art. 1227 c.c. non possa applicarsi in assenza di una condotta connotata da colpa in senso psicologico, come nel caso dell'incapace e accedersi invece ad un'accezione di 'condotta colposa' che non presuppone l'imputabilità e che è sinonimo di comportamento umano, obiettivamente in contrasto con norme positive o di comune prudenza (indipendentemente dallo stato di capacità di intendere e volere) (Cass. n. 14548/2009, cit).

E' ormai pacifico, dunque, che «Il principio di cui all'art. 1227 c.c. (riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l'espresso richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c.) della riduzione proporzionale del danno in ragione dell'entità percentuale dell'efficienza causale del comportamento del soggetto danneggiato, si applica pur quando costui sia incapace d'intendere o di volere per minore età o per altra causa» (così Cass. III,n. 3242/2012).

Applicabilità dell'art. 1227 c.c. anche ai prossimi congiunti della persona incapace per i danni da essi subiti in conseguenza della morte della vittima.

Anche alla questione concernente l'applicabilità dell'art. 1227, comma 1, c.c. ai prossimi congiunti della persona incapace per i danni da essi subiti in conseguenza della morte della vittima deve darsi risposta affermativa, essendosi affermato che, in considerazione della generale portata della regola codicistica, la riduzione debba essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito, al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta, ma anche nei confronti dei congiunti dello stesso, i quali, in relazione agli effetti riflessi che l'evento di danno subito dalla vittima proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni "iure proprio".

La Cassazione ha infatti avuto modo di affermare che «il principio di cui all'art. 1227 c.c. (riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l'espresso richiamo contenuto nell'art. 2056 del codice) della riduzione proporzionale del danno in ragione dell'entità percentuale dell'efficienza causale del soggetto danneggiato si applica anche quando questi sia incapace di intendere o di volere per minore età o per altra causa, e tale riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta, ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l'evento di danno subito proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni iure proprio, restando, peraltro, esclusa - ove essi avessero avuto sull'incapace un potere di vigilanza - la possibilità di far luogo ad una ulteriore riduzione del danno risarcibile sulla base di un loro concorso nella sua causazione per culpa in educando o in vigilando. (Nella specie, la S.C.. ha confermato la sentenza di merito che aveva proporzionalmente ridotto l'ammontare della somma da liquidare in favore dei genitori per il risarcimento del danno subito a causa della morte della figlia minore che, attraversando imprudentemente la strada, era stata investita da un'auto, tenendo conto del concorso di colpa della stessa minore, nell'accezione sopra indicata, nel provocare il danno)» (Così Cass. III, n. 3542/2013).

Concorso di colpa del danneggiato - creditore incapace e rilievo dell'art. 2046 c.c.

Da ultimo, in un recentissimo arresto, la Cassazione ha negato che l'art. 2046 c.c. abbia portata ostativa rispetto all'applicazione ai casi di concorso di colpa del danneggiato incapace del disposto di cui all'art. 1227 c.c.

La norma di cui all'art. 2046 c.c. prevede che «non risponde delle conseguenze dal fatto dannoso chi non aveva la capacità d'intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d'incapacità derivi da sua colpa».

La disposizione in esame, come chiarito dalla Cassazione, «è norma applicabile in caso di fatto imputabile all'incapace quando le conseguenze pregiudizievoli si siano prodotte a danno di terzi, non anche quando l'incapace sia il danneggiato» (così Cass. III, n. 23214/2016).

In tale eventualità trova, invece, applicazione il principio di diritto già esaminato «per il quale quando un soggetto incapace di intendere e di volere, per minore età o per altra causa, subisca un evento di danno, in conseguenza del fatto illecito altrui in concorso causale con il proprio fatto colposo, l'indagine deve essere limitata all'esistenza della causa concorrente alla produzione dell'evento dannoso, prescindendo dall'imputabilità del fatto all'incapace e dalla responsabilità di chi era tenuto a sorvegliarlo, ed il risarcimento al danneggiato incapace è dovuto dal terzo danneggiante solo nella misura in cui l'evento possa farsi risalire a colpa di lui, con l'esclusione della parte di danno ascrivibile al comportamento dello stesso danneggiato» (Cass. III, n. 23214/2016; così già Cass. n. 14548/2009; Cass. III, n. 4332/1994).

Il fatto del minore capace e applicabilità dell'art. 2048 c.c.

Questione diversa, invece, è quella relativa all'ambito di applicazione dell'art. 2048 c.c., che prevede la responsabilità di genitori e tutori in caso di danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela.

Tale norma può essere applicata anche al caso di danno auto-inflittosi dal minore, per l'affermazione della correponsabilità dei genitori che agiscano per il risarcimento del danno subito dal figlio?

La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che 'in tema di responsabilità civile, l'applicabilità dell'art. 2048 c.c. postula l'esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere, in relazione al quale soltanto sono configurabili la culpa in educando e la culpa in vigilando; ne consegue che, ove il minore incapace, con il proprio comportamento illecito, cagioni un danno a se stesso, sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 1218 o 2043 c.c., a seconda che ricorra una responsabilità contrattuale o extracontrattuale del soggetto tenuto alla vigilanza. Peraltro, a causa del richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c. all'art. 1227 c.c., il fatto del minore incapace di intendere e di volere che con il suo comportamento abbia contribuito alla produzione del danno a se stesso è valutabile dal giudice al fine di stabilire il concorso delle colpe e l'eventuale riduzione proporzionale del danno da risarcire. (Nella specie, si trattava del comportamento tenuto da un bambino di tre anni, ritenuto dal giudice di merito valutabile ai fini dell'art. 1227 c.c.)' (così Cass. Cass. III, , n. 3242/2012).

La fattispecie che la sentenza in esame si trovava ad affrontare era così sintetizzabile: i genitori di un minorenne agivano in giudizio per far valere la responsabilità della casa produttrice di un autoveicolo - di proprietà della società datrice di lavoro di uno dei due - per i danni riportati dal loro figlio minore che, pur tenuto dalla madre con la mano destra, nel passare dinanzi al veicolo, aveva infilato la mano sinistra nel muso dell'auto, non protetto da alcuna griglia, con la conseguenza che la ventola di raffreddamento, che aveva iniziato a girare a motore spento, aveva catturato la mano del minore, provocandogli gravi lesioni.

Ottenuto il risarcimento integrale in primo grado, la Corte di appello aveva riconosciuto la responsabilità concorrente dei genitori nella misura del 30 per cento, applicando il disposto dell'art. 2048 c.c.

La Cassazione prende le mosse dalla lettera dell'art. 2048 c.c. che prevede che il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati ( ...) che abitano con essi e, nel successivo comma 3, che le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.

La sentenza in commento afferma che «Dalla semplice lettura della norma anzidetta è del tutto evidente che la norma dell'art. 2048 c.c. si applica nella sola ipotesi di danni che il minore procura a terzi e che i genitori sono responsabili ex art. 2048 c.c. per illecito commesso dal figlio minore capace di intendere e di volere, quando non riescano a fornire la prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto, che si concretizza nella dimostrazione di aver impartito al minore un'educazione consona alle condizioni familiari e sociali e di aver esercitato una vigilanza adeguata all'età; non può intendersi prestata una prova liberatoria, quando dall'analisi delle modalità attraverso le quali si è realizzato l'illecito sia possibile ricavare una cattiva educazione ed una scarsa vigilanza».

L'applicazione della norma appare dunque, fuori luogo, allorché non si sia verificato alcun fatto illecito, commesso dal minore stesso nei confronti di terzi.

L'art. 2048 c.c. postula l'esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere, in relazione al quale soltanto è configurabile la culpa in educando e la culpa in vigilando (Cass. n. 8740/2001) con la conseguenza che, non potendo ravvisarsi un fatto illecito in danno di sé stesso, in ipotesi di autolesioni del minore non è applicabile la norma di cui all'art. 2048 c.c., ma quella di cui all'art. 1218 c.c. o art. 2043 c.c., a seconda se ricorra una responsabilità contrattuale o extracontrattuale del soggetto tenuto alla vigilanza (in tal senso, Cass. n. 2559/2011; Cass. n. 9325/2010; Cass. n. 5067/2010).

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