Comparsa di costituzione a seguito di atto di citazione di risarcimento danni per infortunio durante una partita di calcio

Andrea Penta
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

A fronte di un atto di citazione, con il quale un calciatore ha chiesto la declaratoria di responsabilità, e la conseguente condanna al risarcimento dei danni, di un avversario che, durante una partita di calcio fra amici su un campo parrocchiale e dopo che egli lo aveva appena dribblato, gli aveva fatto uno sgambetto, provocandogli la frattura biossea del braccio, il convenuto, nel costituirsi in giudizio, pur non contestando la dinamica, deduce di essere esente da responsabilità civile, essendo le lesioni la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell'attività e non avendo egli impiegato un grado di violenza o irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l'attività sportiva si svolgeva in concreto, ovvero con la qualità delle persone che vi partecipavano.

Formula

GIUDICE DI PACE / TRIBUNALE ORDINARIO DI ....

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA [1]

Nell'interesse di:

..., C.F. ...., [2], residente in ...., alla via .... n. ...., elettivamente domiciliato in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., C.F. ...., che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine/in calce al presente atto, con dichiarazione di voler ricevere le comunicazioni, ai sensi dell'art. 125, comma 1, c.p.c. e dell'art. 136, comma 3, c.p.c., al seguente numero di fax ...., oppure tramite PEC ... [3];

- convenuto

CONTRO

Sig. ...., nato a .... il ...., C.F. ...., e Sig. .... nata a .... il ...., C.F. ...., quali genitori esercenti la potestà sul figlio minorenne ...., nato a .... il ...., C.F. ...., entrambi residenti in ...., alla via .... n. ...., ed elettivamente domiciliati in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., che li rappresenta e difende, in virtù di procura in calce/a margine dell'atto di citazione;

- attori

* * *

PREMESSO CHE

Con atto di citazione ritualmente notificato .... e .... hanno convenuto in giudizio il deducente, al fine di veder accertare la sua responsabilità per le lesioni subite dal loro figlio minorenne in occasione di una partita di calcio amatoriale e di sentirlo condannare al risarcimento dei danni dal medesimo subiti, esponendo che:

nel corso di una partita tra conoscenti svoltasi sul campo sportivo .... sito in .... il giocatore della squadra avversaria .... dopo essere stato superato in dribbling da .... lo aveva rincorso e "falciato", benché quello avesse già passato la palla ad un compagno di squadra;

il minore .... era caduto riportando la frattura biossea del braccio con esiti permanenti;

il comportamento tenuto dal convenuto era stato negligente ed imperito, essendo stato posto in essere in violazione delle regole che disciplinano il gioco del calcio.

Con il presente atto, si costituisce il convenuto, il quale preliminarmente chiede il differimento della data della prima udienza di comparizione, al fine di consentire la chiamata in causa a titolo di garanzia della .... (con la quale il padre aveva stipulato un'assicurazione per danni cagionati anche dai familiari conviventi), nel rispetto dei termini a comparire.

Nel merito, contesta integralmente l'avversa domanda, poiché infondata in fatto e in diritto per i seguenti:

MOTIVI

1) Si esclude categoricamente che il .... abbia "voluto colpire volontariamente il suo avversario". Il fatto, invero, si verificò nel corso di un'azione di giuoco e non per una proditoria e volontaria aggressione del .... anche a voler ammettere in astratto (ma lo si contesta) che il suo intervento abbia costituito violazione del regolamento del giuoco, sanzionabile con l'ammonimento, se non con l'espulsione.

Non appare revocabile in dubbio che il gioco del calcio, come ogni attività sportiva connotata da competitività e da un certo grado di contrasto fisico tra i partecipanti, in funzione del raggiungimento di un risultato favorevole nella disputa, comporti un rischio per l'incolumità dei giocatori, insito nello stesso espletamento dell'attività, che è certamente consentita dall'ordinamento e, anzi, promossa e favorita dallo Stato.

D'altra parte, la violazione di regole dettate per la salvaguardia dell'incolumità dei partecipanti non comporta automaticamente la responsabilità ex art. 2043 c.c., atteso che il partecipante al giuoco ha accettato previamente il rischio generico del fallo nella consapevolezza della possibilità di venire atterrato con uno sgambetto o con una spinta che superino i limiti regolamentari del giuoco. Insomma, partecipando al giuoco, ha tacitamente accettato il rischio di subire, in relazione a ciò, lesioni anche gravi.

2) Conviene allora, al fine di valutare se l'attività sia o meno scriminata, far leva su un dato il più possibile obiettivo che, muovendo dal rilievo che la lesione dell'integrità fisica del giocatore ad opera di altro partecipante costituisce un'eventualità contemplata e che un gioco si caratterizza per le sue connotazioni tipiche, per le sue regole e per il contesto nel quale si svolge, discrimini il comportamento dell'agente in relazione allo stretto collegamento funzionale tra giuoco ed evento lesivo; collegamento funzionale che va escluso solo se l'atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco.

Non qualsiasi violazione di una regola di gioco si pone, infatti, "al di fuori" del gioco stesso, che non può essere efficacemente svolto senza energia, aggressività, velocità, rapidità di decisioni, istintività di reazioni, generalmente considerate incompatibili con un elevato grado di considerazione della altrui incolumità e con il costante rispetto delle regole proprie del gioco; il quale mira ad un risultato alla cui realizzazione sono del resto indispensabili anche un certo grado "di audacia e di spericolatezza".

3) Non la volontarietà del fallo, dunque, rileva nè che violazione della regola di gioco vi sia stata o non, ma lo stretto rapporto di collegamento funzionale tra giuoco ed evento lesivo. Se l'atto è posto in essere allo scopo di provocare lesioni, quella relazione viene senz'altro a mancare pur se l'azione non integri un fallo di gioco, per l'ovvia ragione che non rientra fra le sue caratteristiche che un partecipante volontariamente provochi lesioni ad altro giocatore. E viene del pari meno se il giocatore, pur non volendo provocare lesioni, faccia tuttavia ricorso ad una violenza di tipo tale da non essere compatibile con le caratteristiche proprie del giuoco nel contesto nel quale esso si svolge. Sicché in entrambi i casi sarà civilmente responsabile del danno provocato, rispettivamente a titolo di dolo o di colpa.

4) La decisione sulla sussistenza della colpa dipende, quindi, dal risultato dell'indagine sul comportamento dell'agente in relazione alle connotazioni proprie del giuoco ed al contesto nel quale esso concretamente si svolge, che finiscono inevitabilmente col costituire gli unici, autentici parametri valutativi di riferimento.

In particolare, la responsabilità aquiliana è configurabile solo quando il rischio consentito viene travalicato. In particolare, il superamento del rischio accettato si verifica quando viene posta a repentaglio, volontariamente e coscientemente, l'incolumità del giocatore, il quale legittimamente si attende dall'avversario un comportamento agonistico anche rude, purché non sia di tale durezza da comportare la prevedibilità di un pericolo serio dell'evento lesivo a carico dell'avversario che trasmodi nel disprezzo per l'altrui integrità fisica.

Il che non è accaduto nel caso di specie, posto che, se l'intervento fosse stato di particolare durezza, il .... avrebbe riportato lesioni alle gambe e non al braccio, a seguito della caduta.

5) L'incidente si è verificato in un contesto connotato da un doppio contrasto tra i due giocatori che si contendevano la palla. .... non ha inseguito l'avversario e non ne ha provocato la caduta dopo che questi aveva passato il pallone.

Nella specie, pacificamente difettava la volontà di ledere e l'intervento non è stato di particolare durezza nel descritto, concitato contesto di giuoco.

Tanto premesso ed esposto, il Sig. ...., come in epigrafe rappresentato e difeso, rassegna le seguenti:

CONCLUSIONI

Voglia l'Ill.mo Giudice adito rigettare la domanda attrice.

Con vittoria di spese, diritti e compensi del giudizio.

In via istruttoria [4] chiede ammettersi prova testimoniale sulle circostanze dedotte al n. 5) della narrativa che precede, preceduta dalla locuzione “Vero che ...”.

Indica a testi i Sigg.: .... .

Offre in comunicazione e deposita in Cancelleria i seguenti documenti:

1) ....;

2) ....;

Luogo, data....

Firma Avv. ....

PROCURA ALLE LITI, SE NON APPOSTA A MARGINE [5]

Il contenuto della comparsa di costituzione e di risposta è disciplinato dall'art. 167 c.p.c. Per le indicazioni da effettuare nel corpo della comparsa deve farsi riferimento all'art. 125 c.p.c. Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Per la disciplina transitoria v.  art. 35 d.lgs. n. 149/2022,  come sostituito dall' art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197 ,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti" .. In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111).

[2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla legge 24/2010.

[3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[4] Le richieste istruttorie possono essere fatte anche in sede di memorie ex art. 183, co. 6, n. 2), c.p.c.

[5] La procura può essere generale o speciale (art. 83 c.p.c.). Nel caso di procura generale alle liti, redatta per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, dovranno esserne indicati gli estremi. La procura speciale, invece, può essere apposta in calce o a margine del ricorso. Nell'ipotesi di scelta di deposito telematico del ricorso (art. 16-bis, comma 1-bis, d.l. n. 179/2012) occorrerà indicare la seguente dicitura: «giusta procura allegata mediante strumenti informatici e apposta in calce al presente ricorso ai sensi dell'art. 83, comma 3, c.p.c.».

Commento

Premesse

In termini generali, in materia di risarcimento dei danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo, qualora siano derivate lesioni personali ad un partecipante all'attività a seguito di un fatto posto in essere da un altro atleta, occorre verificare se l'azione sia stata caratterizzata da una precisa volontà di far male all'avversario o alternativamente se l'azione non fosse funzionalmente connessa all'attività di gioco, o ancora, pur se connessa al gioco, sia stata caratterizzata da una violenza e irruenza incompatibile con le caratteristiche concrete dello sport esercitato in quel momento, mentre la connessione funzionale di un'azione lesiva all'attività di gioco va esclusa sia nel caso in cui l'atto è compiuto allo scopo di ledere, sia quando è esercitato con una violenza incompatibile con le caratteristiche del gioco. In quest'ottica, posto che la responsabilità del sorvegliante per fatto dell'incapace presuppone che il danno venga da quest'ultimo inferto in assenza di una causa giustificativa e si risolva nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento, l'organizzatore di un torneo di calcio non risponde delle lesioni riportate da un minore durante una partita a seguito di uno scontro con altro atleta minorenne, che sia collegato allo svolgimento del gioco e presenti un grado di irruenza compatibile con lo sport praticato (Cass. III, n. 7247/2011).

L'attività agonistica implica l'accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano (inteso come consapevolezza e accettazione da parte dell'atleta delle possibili conseguenze, anche lesive, che rientrano nell' attività della disciplina praticata; cd. “rischio sportivo” o “rischio consentito”), sicché i danni eventualmente sofferti ad opera di un competitore, rientranti nell'alea normale, ricadono sugli stessi ed è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi. Così, non dà luogo a responsabilità civile l'intervento commesso da un calciatore ai danni di un avversario, se è finalizzato all'attuazione del gioco e non è di durezza tale da comportare la prevedibilità di un serio pericolo all'altrui incolumità (cfr. Trib. Piacenza 1 giugno 2010, in un caso in cui l'attore era stato colpito con un calcio al volto dal convenuto che cercava di intercettare un lungo spiovente, intervento non sanzionato dall'arbitro). Parimenti, il giocatore che, praticando il gioco del calcio, provochi la caduta di un avversario attraverso una azione che, pur non conforme al regolamento, possa ritenersi normale nello svolgimento del gioco stesso, non può essere chiamato a rispondere, per difetto di nesso di causalità, dei danni patiti dall'avversario nel cadere (in applicazione di tale principio, Cass. III, n. 22811/2009, ha confermato la sentenza di merito che aveva, in presenza di uno sgambetto inferto da un calciatore all'avversario, escluso la sussistenza di un valido nesso causale tra un fallo di gioco ritenuto "normale" e la frattura della mandibola, patita da uno dei giocatori nel cadere in terra; cfr., per un analogo incidente avvenuto in un contesto amatoriale, Cass. III, n. 12012/2002). Ovviamente, non si giunge certo al punto di parlare di un rischio illimitato o incondizionato: il discrimen si rinviene, infatti, proprio nel rispetto delle regole tecniche previste dalle Federazioni per ogni disciplina sportiva: come enunciato dal Cass. pen., n. 19473/2005, “deve ritenersi coincidente con il rispetto delle regole tecniche, che individuano, secondo una preventiva valutazione fatta dalla normazione secondaria (cioè dal regolamento sportivo), il limite della ragionevole componente di rischio di cui ciascun praticante deve avere piena consapevolezza sin dal momento in cui decide di praticare, in forma agonistica, un determinato sport”.

Il criterio della decisione è comunque connesso, a ben vedere, al tipo di violenza esercitato in relazione al contesto: così, lo sgambetto in un incontro tra giocatori professionisti sarà senz'altro discriminato agli effetti civili, mentre l'intervento a gamba tesa sul ginocchio del quattordicenne in una partita tra amici comporterà certamente l'affermazione della responsabilità civile.

In definitiva:

a) il giudice, accertate le caratteristiche del fatto produttivo di lesioni personali ad un partecipante ad attività sportiva posto in essere da altro partecipante, affermerà la responsabilità dell'agente nel caso di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione della regola dell'attività svolta;

b) escluderà la responsabilità, se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza violazione delle regole dell'attività e se, pur in presenza di violazione della regola propria dell'attività sportiva specificamente svolta, l'atto sia a questa funzionalmente connesso, considerando che, in entrambi i casi, il nesso funzionale è escluso dall'impiego di un grado di violenza o di irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l'attività si svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano.

Sul piano soggettivo, nella responsabilità sportiva il concetto di “colpa” si deve valutare alla stregua dei criteri caratterizzanti l'attività sportiva e, in particolare, al rispetto delle c.d. regole tecniche e al rischio sportivo: una responsabilità colposa si ha quando la condotta lesiva superi il rischio consentito e trasmodi nel disprezzo per l'altrui integrità fisica, mentre una responsabilità per dolo sarà rilevata quando la gara sia soltanto l'occasione dell'azione lesiva, in realtà avulsa dalle esigenze di svolgimento della gara e solo determinata dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica lesivo della altrui incolumità personale (si veda Cass. pen. I, 20 novembre 1973).

In definitiva, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l'atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco; con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità dell'agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole dell'attività svolta; la responsabilità non sussiste, invece, se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell'attività (potendosi escludere la responsabilità dell'atleta che agisca nell'ambito di una condotta corrispondente al rispetto delle regole tecniche – sportive previste per l'attività di riferimento e dei principi generali dell'ordinamento - correttezza e prudenza- e che, pur producendo un danno all'avversario, si pone nell'alveo della c.d. “scriminante sportiva”), e non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione delle regole proprie dell'attività sportiva specificamente svolta, l'atto sia a questa funzionalmente connesso (il collegamento funzionale deve essere, in particolare, tra l'azione e la finalità del gioco o dello sport). In entrambi i casi, tuttavia il nesso funzionale con l'attività sportiva non è idoneo ad escludere la responsabilità tutte le volte che venga impiegato un grado di violenza o irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero con il contesto ambientale nel quale l'attività sportiva si svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano (Cass. n. 12012/2002, cit.). Dunque, se il rispetto delle regole del gioco è indice di non punibilità della condotta, essendo la stessa coerente con il grado normale di rischio insito in una specifica disciplina sportiva, non sempre la violazione comporta la punibilità, se essa si configura come involontaria, finalizzata all'azione e mantenuta nei limiti del rischio consentito. Diversamente, quando la condotta agonistica crea, per la sua violenza o durezza, una situazione di pericolo trasmodante e incompatibile con le finalità e la tecnica del gioco o, in altri termini, con il rischio consentito e, quindi, tale da mettere coscientemente a repentaglio l'incolumità dell'avversario, tale condotta deve essere sanzionata (cfr., nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma 21 maggio 2011; Trib. Bologna 20 luglio 2010).

La Suprema Corte ha precisato, in materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo, ove siano derivate lesioni personali ad un partecipante all'attività a seguito di un fatto posto in essere da un altro partecipante, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso allorquando l'atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco, con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità dell'agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole dell'attività svolta, mentre la responsabilità non sussiste se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell'attività, nonché nell'ipotesi in cui pur in presenza di violazione delle regole proprie dell'attività sportiva specificamente svolta l'atto sia a questa funzionalmente connesso (v. Cass. n. 12012/2002), rientrando cioè nell'alea normale della medesima (v. Cass. n. 20908/2005).

Si è altresì sottolineato che, in caso di infortunio sportivo subito da uno studente all'interno della struttura scolastica durante le ore di educazione fisica, incombe al medesimo dare la prova dell'illecito commesso da altro studente, quale fatto costitutivo della sua pretesa, laddove è a carico della scuola la prova del fatto impeditivo, cioè l'inevitabilità del danno nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee a evitare il fatto ( v. Cass. n. 6844/2016), ivi ricompresa l'illustrazione della difficoltà dell'attività o del relativo passaggio e predisporre cautele adeguate affinché gli stessi, se affrontati, possano essere svolti da tutti i partecipanti in condizioni di sicurezza ( v. Cass. n. 18903/2017).

La responsabilità nell'attività sciistica

Come si è visto già per l'attività calcistica, la responsabilità per i danni causati a sportivi (e anche a terzi) durante una competizione, potrebbe, però, essere da attribuire alla condotta di persone che non prendono direttamente parte alla competizione, ma la organizzano, la dirigono, la controllano o svolgono altre mansioni per consentirne il corretto svolgimento. Questi soggetti, infatti, nonostante le clausole di esonero da responsabilità che di sovente inseriscono nei regolamenti sportivi o fanno firmare agli atleti, non risultano esenti da ogni responsabilità, essendo tali clausole nulle e per ciò prive del potere derogatorio ai principi di ordine pubblico in caso di comportamento colposo dell'organizzatore.

Il gestore di un impianto sportivo, essendo colui che mette a disposizione, a soggetti terzi, gli spazi per lo svolgimento di una manifestazione sportiva, ha il compito di garantire la sicurezza delle persone, nonché l'idoneità dei luoghi, ed ha, pertanto, l'obbligo di controllare tutte le attrezzature e di adottare le misure di sicurezza utili per evitare eventuali danni.

In termini generali, considerata la natura intrinsecamente pericolosa dell'attività sportiva esercitata sulle piste da sci, nonché l'estensione delle stesse e la loro possibile intrinseca anomalia, anche per fattori naturali, affinché si possa pervenire all'individuazione di un comportamento colposo in capo al gestore, ex art. 2043 c.c., con conseguente obbligo di risarcimento del danno, è necessario che il danneggiato provi l'esistenza di condizioni di pericolo della pista che rendano esigibile la protezione da possibili incidenti, condizioni in presenza delle quali risulta configurabile un comportamento colposo del gestore per la mancata predisposizione di protezioni e segnalazioni, ricadendo, invece, sul gestore l'onere di provare fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità per l'utente di percepire e prevedere, con l'ordinaria diligenza, la suddetta situazione di pericolo (Cass. III, n. 4018/2013).

Nel caso di danno subito dall'allievo di una scuola di sci a seguito di caduta, la responsabilità della scuola ha natura contrattuale (in virtù dell'iscrizione e dell'ammissione del medesimo al corso) e, pertanto, grava sulla scuola (sulla quale grava l'obbligo di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo per il tempo in cui questi usufruisce della prestazione scolastica, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a sè stesso; cfr. Cass. III, n. 9437/2012), ai sensi dell'art. 1218 c.c., l'onere di dimostrare che le lesioni sono dipese da circostanze a essa non imputabili, con la precisazione che tale prova può essere data a mezzo di presunzioni e che solo se la causa resti ignota le conseguenze pregiudizievoli debbono rimanere a carico della scuola (Cass. III, n. 8044/2016). Viceversa, il creditore danneggiato è tenuto esclusivamente ad allegare l'inesatto adempimento, già risultante dalle lesioni subite, ma non a fornire la prova dell'evento specifico produttivo del danno (Cass. n. 2559/2011). Potendosi verificare situazioni nelle quali, in ragione dei principi di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost., sorgono a carico dei soggetti che vi sono coinvolti doveri e regole di azione la cui inosservanza integra estremi dell'omissione imputabile, ove uno sciatore, infortunatosi in esito a uno scontro dovuto all'imprudenza di un altro sciatore, alleghi e provi che tale condotta imprudente era stata segnalata al gestore, quest'ultimo risponde, per averla colposamente ignorata, del danno occorso allo sciatore in base all'art. 2043 c.c. (Cass. III, n. 22344/2014, in assenza di tale prova, è stata respinta la domanda risarcitoria promossa da una sciatrice travolta da uno sciatore proveniente da monte, che, con grave imprudenza, impegnava a grande velocità un percorso da slalom predisposto al lato della pista stessa). Invero, in tema di responsabilità da illecito omissivo del gestore di impianto sciistico, l'omittente risponde del danno derivato a terzi non solo quando debba attivarsi per impedire l'evento in base ad una norma specifica o ad un rapporto contrattuale, ma anche quando, secondo le circostanze del caso concreto, insorgano a suo carico, per i detti principi, doveri e regole di azione la cui inosservanza integri un'omissione imputabile. Ne consegue che il medesimo non é tenuto, di norma, a vigilare sulla condotta dei singoli utenti, attesa la natura intrinsecamente pericolosa dell'attività sportiva esercitata sulle piste da sci, le dimensioni solitamente ragguardevoli di queste ultime, nonché la normale imprevedibilità, anche per la contestuale incidenza di "fattori" naturali non governabili dal gestore, delle condotte degli utenti, salvo che alleghi e provi, appunto, l'intervenuta segnalazione dell'anomalo comportamento dello sciatore, ovvero la diretta percezione di tale comportamento da parte degli addetti all'impianto (che avrebbero dovuto allertare un accorto titolare della struttura), la cui mancata considerazione costituisce omissione inescusabile (Cass. n. 22344/2014, cit.).

Altre fattispecie.

Va segnalato che la giurisprudenza tende ad addossare la responsabilità per l'incidente sportivo anche al semplice gestore dell'impianto quando la vittima sia un principiante, sempreché lo sport presenti un certo grado di pericolo. Il fondamento di tale assunto viene ricavato direttamente dall'art. 2050 c.c. V., in proposito, Cass. n. 17216/2010, per la quale «L'attività svolta presso il maneggio è da qualificare come pericolosa ai sensi dell'art. 2050 c.c., quando si verta in tema di danni conseguenti a esercitazioni di un principiante o di allievi giovanissimi, quindi non in grado di governare le imprevedibili reazioni dell'animale. È, quindi, applicabile la presunzione prevista dalla norma di cui all'art. 2050 c.c., che prevede l'obbligo per il gestore della attività pericolosa di risarcire il danno, a meno che non provi di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno». Peraltro, presupponendo la pratica dell'equitazione il contatto con un animale vivo, le cui reazioni non sono completamente prevedibili e sono largamente determinate dalla condotta del cavaliere, non è oggettivamente possibile azzerare completamente il rischio di incidenti, specie in presenza di alunni principianti. Trattandosi, invero, di rischio necessariamente connesso con le caratteristiche proprie dell'equitazione, la sua eliminazione non è compatibile con la pratica stessa del menzionato sport. Dunque, l'obbligo del Centro ippico di predisporre tutte le misure idonee a prevenire il rischio di incidenti ed a salvaguardare l'incolumità degli allievi deve venire valutato avuto riguardo alle peculiari caratteristiche dello sport in esame ed al rischio incomprimibile ad esso collegato.

Nel caso in cui il pilota di un go-kart, durante una competizione sportiva, esca di strada e urtando la struttura rigida di recinzione si ferisca la mano e la testa, deve essere riconosciuta la responsabilità del proprietario del circuito ex art. 2043 c.c. Infatti, il fatto stesso che l'urto contro la recinzione predisposta per frenare la fuoriuscita dalla pista dei veicoli abbia causato delle lesioni al pilota comporta il conseguente giudizio di inadeguatezza della stessa, con il conseguente obbligo di risarcimento dei danni (Trib. Milano X, 22 settembre 2008, n. 11133).

Nel caso di danni causati da un pilota di rally nel corso di una competizione su un circuito interdetto al traffico veicolare, mentre deve escludersi l'invocabilità, da parte della vittima, della presunzione di cui all'art. 2054 c.c. nei confronti del pilota medesimo, la responsabilità di quest'ultimo può essere affermata soltanto ove si accerti la grave violazione di regole minime di diligenza, ovvero del regolamento di gara. Deve, di conseguenza, escludersi che la sola elevatissima velocità tenuta nel corso della gara possa costituire fonte di responsabilità per il pilota (Cass. III, n. 11040/2008). Di contrario avviso è Cass. n. 1896/1981, secondo la quale l'espressa previsione della possibilità dello svolgimento di gare di velocità su strade ed aree pubbliche posta dall'art. 9 del vecchio codice della strada non sospende né modifica, durante lo svolgimento di esse, l'obbligo di osservare le norme sulla circolazione da parte di tutti gli utenti della strada, compresi i medesimi corridori, ai quali, pertanto, si dovrebbe applicare, in caso di collisione con un autoveicolo, la presunzione di colpa prevista dall'art. 2054, comma 2, c.c.

Nel rinviare alla specifica formula, va qui evidenziato che, in tema di danni conseguenti ad un infortunio sportivo subito da uno studente durante una gara svoltasi all'interno della struttura scolastica nell'ora di educazione fisica, ai fini della configurabilità della responsabilità della scuola ai sensi dell'art. 2048 c.c., è necessario: a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente partecipante alla gara, il quale sussiste se l'atto dannoso sia posto in essere con un grado di violenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato o con il contesto ambientale nel quale l'attività sportiva si svolge o con la qualità delle persone che vi partecipano, ovvero allo specifico scopo di ledere, anche se non in violazione delle regole dell'attività svolta, e non anche quando l'atto sia compiuto senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole della disciplina sportiva, né se, pur in presenza di una violazione delle regole dell'attività sportiva specificamente svolta, l'atto lesivo sia a questa funzionalmente connesso; b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee ad evitare il fatto. Ne consegue che grava sullo studente l'onere di provare l'illecito commesso da un altro studente, mentre spetta alla scuola dimostrare l'inevitabilità del danno, nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee ad evitare il fatto (cfr., da ultimo, Cass. III n. 9983/2019).

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