Atto di citazione per responsabilità del provider per diffamazione a mezzo internet

Maria Carolina De Falco

Inquadramento

La responsabilità dell'internet provider consiste nella commissione di un illecito da parte della società che offre ai propri utenti l'accesso a internet o da parte di un utente che ne utilizza i servizi. Di tale illecito ne risponde ai sensi degli artt. 2043, 2050, 2055 e 2059 c.c., secondo i criteri generali della responsabilità civile.

Formula

TRIBUNALE [1] DI .... [2]

ATTO DI CITAZIONE PER RISARCIMENTO DANNI

DA DIFFAMAZIONE A MEZZO INTERNET E VIOLAZIONE DEL DIRITTO D'AUTORE

Il Sig. [3] .... nato a .... il e residente a .... in via .... C.F. .... [4], rappresentato e difeso per procura in calce [5] al presente atto dall'avv. .... C.F. .... [6], ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in .... alla via .... L'avv. .... dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni di cancelleria al numero di fax .... ovvero all'indirizzo PEC .... [7]

PREMESSO [8]

In data .... l'attore accedeva ad internet a mezzo del suo computer e giungeva sulla pagina principale del motore di ricerca “Google”, ove inseriva nel campo di ricerca il nome della sua azienda. Avviata la ricerca, tra i risultati individuava un link, il quale rimandava ad un sito contenente, in apparenza, una pubblicità del suo marchio, nonché dei suoi prodotti. Analizzato il sito in modo più completo, l'attore notava che all'interno dello stesso erano presenti affermazioni diffamatorie nei suoi confronti, oltre che palesi e ripetute violazioni del suo diritto d'autore e di marchio.

A fronte di tale scoperta, il Sig. .... provvedeva immediatamente a contattare la Società proprietaria del motore di ricerca, attraverso il link dedicato nella loro pagina riguardante l'assistenza, raggiungibile all'indirizzo https://support.google.com/legal/answer/3110420?visit_id=1-636231811357906716-4284725887&hl=it&rd=2, chiedendo l'immediata rimozione dei contenuti illeciti.

In data .... la società proprietaria del motore di ricerca, a mezzo mail, rispondeva all'attore che, dopo un attento esame della questione e dei materiali indicati, non riteneva essere necessario rimuovere detti contenuti, in quanto non vi era la certezza che fossero effettivamente lesivi per il richiedente, il quale non aveva dato prova di essere l'effettivo titolare dei diritti lesi da tali materiali.

MOTIVI [9]

1) si rileva, in via preliminare, che quando un soggetto subisce un danno dalla condotta altrui e tra di essi manca un rapporto obbligatorio, come nella presente fattispecie, si versa nella c.d. responsabilità extracontrattuale, regolata dall'art. 2043 c.c., secondo il quale “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Infatti l'odierno attore ha subito un danno ingiusto, come innanzi specificato, dal titolare del sito “....” e tra di loro non esiste nessun tipo di rapporto obbligatorio;

2) riguardo il danno ingiusto patito dall'attore, esso consiste nella molteplice violazione di suoi diritti: il titolare del sito, infatti, ha in primo luogo posto in essere una condotta diffamatoria, offendendo la reputazione del Sig. .... ed integrando un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone. In secondo luogo, il titolare del sito, ha violato il diritto d'autore dell'attore, disciplinato dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di "Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio," e dall'art. 2577 ss. del codice civile. Infine, ha violato anche il marchio del Sig. .... il cui diritto è disciplinato dagli articoli da 7 a 28 del Codice della proprietà industriale (d.lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005);

3) si osserva, inoltre, che qualora il fatto dannoso sia imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno, come previsto dall'art 2055 c.c. Pertanto, dal momento che pur avendo un terzo immesso in rete dei contenuti che violavano i diritti precedentemente specificati, il provider in questione è venuto a conoscenza dell'accaduto, tramite la diffida inviata dal titolare dei diritti lesi e in virtù di ciò, da quel momento, l'intermediario è stato posto a conoscenza della illiceità dei contenuti di quei siti e in condizione di esercitare un controllo successivo, che non ha effettuato.

Per tutto quanto innanzi detto, l'attore come sopra rappresentato, difeso e domiciliato

CITA

La società Google .... con sede in .... alla via .... C.F. .... in persona del legale rappresentante pro tempore, a comparire innanzi al Tribunale di .... [10], all'udienza del .... [11], luogo ed ora di rito, sezione e giudice a designarsi, con l'invito a costituirsi nei modi e termini di legge secondo le modalità sancite dall'art. 166 c.p.c. [12] e con avvertenza che, in mancanza, si incorrerà nelle preclusioni e decadenze ex artt. 38 e 167 c.p.c. e si procederà in sua contumacia, per ivi sentir accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

accertare e dichiarare la responsabilità solidale del titolare del sito e del provider ai sensi dell'art. 2055 c.c.;

per l'effetto, condannare il convenuto alla rimozione dei contenuti lesivi del diritto all'onore, del diritto d'autore e del diritto di marchio dell'attore;

condannare il convenuto al pagamento della somma, a titolo di risarcimento danni, che si quantificano essere nella misura di Euro .... a titolo di danni patrimoniali, e di Euro .... a titolo di danni non patrimoniali, ovvero nel maggior o minor valore che sarà determinato dal giudice;

condannare il convenuto al pagamento delle spese di lite, con distrazione a favore del sottoscritto procuratore, che si dichiara antistatario [13].

In via istruttoria [14]: (ESEMPIO)

Si chiede ammettersi ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. a .... (oppure ad un terzo) del documento .... [15] nonché l'ispezione di ....

Si chiede, altresì, che venga disposta apposita CTU [16] .... al fine di ....

Si chiede, inoltre, di essere ammesso alla prova per testimoni sulle circostanze indicate (in premessa/in punto di fatto) ovvero sulle seguenti circostanze: [17] .... A tal fine si indicano come testimoni i Sig.ri: 1) il Sig.... residente in ....; 2) il Sig..... residente in .... [18]

Si deposita copia dei seguenti documenti, con riserva di ulteriori produzioni ed articolazioni di richieste istruttorie: 1) ....; 2) ....; 3) ....

Si dichiara che il valore del presente ricorso è di Euro .... [19] per il quale è previsto il pagamento del contributo unificato pari a Euro .... [20]

Luogo e data....

Firma Avv.....

PROCURA AD LITEM [21]

AVV. ....

Io sottoscritto .... nato a .... il .... C.F. .... residente a .... in via .... informato, ai sensi del d.lgs. n. 28/2010 e successive modifiche, della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi previsto e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto, nonché dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, oltre che ai sensi del d.l. n. 134/2014 – conv. nella l. n. 162/2014 e successive modifiche, della possibilità di ricorrere alla procedura di negoziazione assistito da uno o più avvocati, nonché in ordine alla normativa antiriciclaggio ex d.lgs. n. 56/2004 e successive modifiche, nonché in ordine al trattamento dei propri dati personali e sensibili, dei propri diritti, ai sensi e per gli effetti del d.lgs. n. 196/2003 e successive modifiche, La delego a rappresentarmi, assistermi e difendermi, sia in fase stragiudiziale che in ogni fase e grado del presente giudizio, anche di suo eventuale appello, riassunzione, nonché per l'esecuzione ed eventuale opposizione alla stessa, concedendole le più ampie facoltà di legge, comprese quelle di conciliare e transigere, incassare e quietanziare, rinunziare sia agli atti del giudizio che all'azione, farla sostituire ed anche chiamare in causa e/o garanzia eventuali terzi responsabili, e di svolgere, nei loro confronti, domanda di garanzia, domanda riconvenzionale ed anche di risarcimento, nonché a conferire altresì, in proprio nome e per proprio conto, incarichi di consulenze, dichiarando, sin da ora, rato e fermo il Suo operato.

Dichiara, infine, di essere stato edotto circa il grado di complessità dell'incarico che con la presente conferisce e circa tutti gli oneri ipotizzabili dal momento del suo conferimento sino alla conclusione.

Dichiaro, ai sensi e per gli effetti del d.lgs. n. 196/2003 e s.m.i., di essere stato informato che i miei dati personali, anche sensibili, verranno utilizzati in conformità al predetto decreto e limitatamente alle finalità connesse all'esecuzione del mandato, autorizzando sin d'ora il loro trattamento.

Eleggo domicilio presso il Suo studio in .... via .... n. ....

Ratifico sin d'ora il Suo operato e quello di eventuali Suoi sostituti.

La presente procura alle liti è da intendersi apposta in calce all'atto, anche ai sensi dell'art. 18, comma 5, d.m. Giustizia n. 44/2011, così come sostituito dal d.m. Giustizia n. 48/2013.

Luogo e data....

Sig. ....

È autentica

Firma Avv. ....

[1] O Giudice di Pace, secondo le ordinarie regole sulla competenza previste dal c.p.c.

[2] Per quanto riguarda il foro, si applica l'art. 19 c.p.c., riguardante il foro generale delle persone giuridiche, secondo cui «salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica, è competente il giudice del luogo dove essa ha sede. È competente altresì il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l'oggetto della domanda. Ai fini della competenza, le società non aventi personalità giuridica, le associazioni non riconosciute e i comitati di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile hanno sede dove svolgono attività in modo continuativo».

[3] Se si tratta di persona giuridica occorre indicare il nome del legale rappresentante pro tempore, la sede legale e il codice fiscale e/o il numero di partita IVA.

[4] Dati previsti a pena di nullità dal combinato disposto degli artt. 163 e 164 c.p.c.

[5] Oppure a margine.

[6] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c.

[7] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore, è sufficiente l'indicazione del numero di fax, poiché l'indirizzo PEC è un dato ormai acquisito nei rapporti con la cancelleria (v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, conv. con mod. dalla l. n. 114/2014.

[8] Ai sensi degli artt. 125 e 163 c.p.c. la citazione deve contenere, inter alia, le ragioni della domanda, cioè l'esposizione analitica dei fatti posti a fondamento della stessa.

[9] Ai sensi degli artt. 125 e 163 c.p.c. la citazione deve contenere l'indicazione del tipo di provvedimento richiesto (petitum) nonché l'esposizione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere con il ricorso (causa petendi).

[10] V. n. 1.

[11] Il termine a comparire deve essere non inferiore a 90 giorni se il convenuto è residente in Italia e non inferiore a 150 giorni se è residente all'estero, come previsto dall'art. 163 bis.

[12] Nel caso di citazione innanzi al Tribunale, mentre nel caso del Giudice di Pace, l'art. sarà il 319 c.p.c.

[13] Ex art. 93 c.p.c.

[14] Indicazione dei mezzi istruttori di cui si intende valere.

[15] Oppure di ogni altra cosa di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo.

[16] Consulenza tecnica d'ufficio.

[17] Formulare i capi di prova preceduti dalla locuzione “Vero che...”.

[18] Le richieste istruttorie possono essere fatte anche in sede di memorie ex art. 183, termine 2, c.p.c.

[19] Determinabile in base agli artt. 10 ss. c.p.c.

[20] Determinabile in base al d.P.R. n. 115/2002 e successive modificazioni. La dichiarazione di valore è prevista dall'art. 14, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 secondo cui «il valore dei processi, determinato ai sensi del codice di procedura civile, senza tener conto degli interessi, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell'atto introduttivo, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito». Orbene, l'art. 13, co. 6 del medesimo decreto prevede la conseguenza dell'omissione della predetta dichiarazione di valore affermando che «se manca la dichiarazione di cui all'articolo 14, il processo si presume del valore indicato al comma 1, lettera g)»; pertanto, si presume che il valore del procedimento sia quello dello scaglione più elevato (i.e. superiore a 520.000,00 Euro) con obbligo di versamento di un contributo unificato più elevato. L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione sopra citata. Ai sensi del citato art. 13, comma 3-bis: «ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[21] La procura può essere generale o speciale (art. 83 c.p.c.). Nel caso di procura generale alle liti, redatta per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, dovranno esserne indicati gli estremi. La procura speciale, invece, può essere apposta in calce o a margine del ricorso. Nell'ipotesi di scelta di deposito telematico del ricorso (art. 16 bis comma 1 bis d.l. n. 179/2012) occorrerà indicare la seguente dicitura: «giusta procura allegata mediante strumenti informatici e apposta in calce al presente ricorso ai sensi dell'art. 83 comma 3 c.p.c.».

Commento

Fondamento

Il termine anglosassone provider indica quella società od organizzazione che offre ai propri utenti accesso alla rete internet e servizi connessi all'utilizzo della stessa: pertanto, vengono chiamati ISP, Internet Service Provider.

Tra i Provider si possono distinguere le seguenti tipologie: Content Provider, fornitore di contenuti, autore quindi anche dei contenuti pubblicati sui propri server; Network Provider, fornitore di accesso alla rete attraverso la dorsale internet; Access Provider, che fornisce alla clientela l'accesso a internet attraverso modem o connessioni dedicate; Host Provider, che fornisce ospitalità ai siti internet; Cache Provider, che immagazzina dati provenienti dall'esterno in un'area di allocazione temporanea, la cache, al fine di velocizzare la navigazione in internet.

A tali soggetti, nel caso di compimento di atti illeciti, sono stati applicati in un primo momento i criteri generali di responsabilità civile (e penale): in particolare, oltre all'art. 2043 c.c., si è ritenuto applicabile l'art. 2050 c.c., che prevedeva la responsabilità unica del fornitore per tutte le informazioni che metteva a disposizione del pubblico in quanto attività pericolosa (cfr. Trib. Milano VIII, 10 luglio 2006; cfr. Trib. Napoli, 8 luglio 2002).

Tale disciplina è stata, poi, integrata da un ampio corpus di norme speciali presenti nel decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, emanato in attuazione della Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno (c.d. Direttiva sul Commercio Elettronico).

Ad oggi, pertanto, possiamo distinguere tre fattispecie differenti:

1)la responsabilità unica del provider ex art. 2043 c.c.;

2)la responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. per l'illecito commesso materialmente dall'utente aiutato o non adeguatamente controllato dal provider;

3)la responsabilità unica dell'utente, e quindi l'esenzione del provider, qualora i controlli stabiliti dalla legge siano stati adeguatamente rispettati dal provider ma l'utente sia riuscito ugualmente a commettere l'illecito.

La responsabilità unica del provider

In questa prima ipotesi è il provider medesimo a porre in essere un fatto illecito, rendendo indiscussa la sua responsabilità ex art. 2043 c.c.

Pertanto, il soggetto danneggiato potrà adire l'autorità giudiziaria al fine di accertare e dichiarare il danno patrimoniale e non patrimoniale subito e, una volta provato il nesso di causalità tra azione del provider e danno subito dall'attore, chiedere al Giudice di condannare il provider stesso al risarcimento del danno (cfr. ad esempio, Trib. Milano, 31 marzo 2011 per cui «Se - come è pacifico - l'associazione tra il nome del ricorrente e le parole truffa e truffatore è opera del software messo a punto appositamente e adottato da Google per ottimizzare l'accesso alla sua banca-dati operando con le modalità ora descritte e volutamente individuate e prescelte per consentirne l'operatività allo scopo voluto (quello appunto di agevolare l'utilizzo del motore di ricerca Google), non può che conseguirne la diretta addebitabilità alla società, a titolo di responsabilità extracontrattuale, degli eventuali effetti negativi che l'applicazione di tale sistema può determinare. Inconferente è l'obiezione mossa dalla società che sostiene di non essere un content provider, di non avere alcun ruolo rispetto al trattamento dei dati presenti sulle pagine dei siti Internet gestiti e di proprietà di terzi e che l'abbinamento dei termini non è frutto di una "scelta" del motore di ricerca o dei suoi gestori, bensì "è la semplice rappresentazione di quello che soggetti terzi - gli utenti di Internet che accedono al motore di ricerca - hanno ricercato con maggiore frequenza di recente". (...) È la scelta a monte e l'utilizzo di tale sistema e dei suoi particolari meccanismi di operatività a determinare - a valle - l'addebitabilità a Google dei risultati che il meccanismo così ideato produce; con la sua conseguente responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) per i risultati eventualmente lesivi determinati dal meccanismo di funzionamento di questo particolare sistema di ricerca»).

La responsabilità solidale ex art. 2055 c.c.

Una situazione più complessa si ha, invece, in questa seconda ipotesi, nella quale appare preliminare la risoluzione di due questioni: la prima consistente nella possibilità tecnica del provider di conoscere tutti i contenuti immessi dai propri utenti; la seconda, consistente nel definire quale sia la concreta possibilità del provider di censurare il contenuto dei dati immessi dai propri utenti, in quanto potrebbe non avere l'autorità di eliminare qualcosa che non gli appartiene, visto che il contratto di hosting tutela la proprietà intellettuale dell'utente.

Per questo motivo, sarebbe auspicabile che il legislatore definisse i caratteri di illiceità di un certo contenuto, dal momento che tali requisiti non possono certo essere stabiliti dal provider. Nel frattempo, il danneggiato può convenire in giudizio il provider insieme con l'autore del giudizio, in quanto obbligati in solido ex art. 2055 c.c. al risarcimento dei danni; sarà il Giudice, all'esito del giudizio, a determinare la gravità della rispettiva colpa.

Si tratta di responsabilità autonome e concorrenti (cfr. Trib. Milano, 24 settembre 2016 per cui «Il rapporto tra interessato e motore di ricerca è del tutto autonomo rispetto ai rapporti tra interessato e titolare del sito sorgente, ove l'informazione è contenuta: la richiesta rivolta al motore di ricerca prescinde dalla differente istanza di cancellazione eventualmente proposta al soggetto che ha caricato l'informazione on line»).

In particolare, è stato messo a fuoco dalla giurisprudenza di merito anche di recente (cfr. Trib. Roma, Sez. spec. Impresa, 5 maggio 2016) che «Ai fini dell'affermazione della responsabilità del provider, occorre dimostrare che questi fosse a conoscenza o potesse essere a conoscenza dell'illiceità commessa dall'utente mediante l'immissione sul sito/server del materiale in violazione dei diritti di sfruttamento economico detenuti da terzi; nel valutare la condotta esigibile dal provider, inoltre, si deve tener conto dell'impossibilità per quest'ultimo di procedere ad una verifica preventiva del materiale immesso quotidianamente dagli utenti, avuto riguardo alla complessità tecnica che un controllo del genere richiederebbe e al divieto, previsto dall'art. 15 della direttiva 2000/31/CE, di un obbligo generale di sorveglianza a suo carico sulle informazioni che trasmettono o memorizzano e di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite»; al pari, dell'inesistenza di un obbligo preventivo di verifica anche sul social network cfr. Trib. Napoli Nord, sez. II, 4 novembre 2016).

Determinante, allora, per rintracciare il profilo di colpa dell'internet provider è la conoscenza del fatto illecito che questi abbia e della riconoscibilità dell'illecito, visto che le società d'informazioni svolgono  attività di “semplice trasporto dati” – mere conduit – o di memorizzazione delle informazioni – hosting – e non è quindi ravvisabile un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano, né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti che rivelino la presenza di attività illecite, tale  obbligazione essendo  incompatibile con le misure cautelari che ontologicamente devono essere proporzionate e non inutilmente costose (Trib. Milano, 18 giugno 2018).

Invero, è stato condivisibilmente affermato che (cfr. Trib. Roma IX, 27 aprile 2016, n. 8437) «La conoscenza, acquisita “in qualsiasi modo”, della illiceità dei contenuti diffusi fa insorgere la responsabilità civile e risarcitoria dell'Internet Service Provider (ISP); perché la conoscenza sia “effettiva” è sufficiente un'indicazione specifica della denominazione dei programmi, tramite diffida o altro mezzo o comunque di un'informazione proveniente dal titolare dei diritti sui contenuti, che si qualifica quale momento dell'insorgenza della responsabilità» ( come nel caso oggetto dell'atto in esame: contra Trib. Milano, 25 marzo 2013, che per conoscenza effettiva dell'illecito richiede l'esistenza di un provvedimento di natura amministrativo- giudiziaria, notificato all'Isp).

Sul punto di recente ha fatto chiarezza la Suprema Corte di Cassazione Penale (sez. V, sentenza del 14 luglio 2016, n. 54946) con la quale è stata confermata la decisione di merito che aveva condannato, a titolo di concorso nel reato, il legale rappresentante di una società che gestiva un sito internet, nella cui community era stato pubblicato un commento di contenuto diffamatorio rilasciato da un utente ai danni dell'attuale presidente della Federcalcio .

Nella predetta decisione è stato chiarito, infatti, che «Il legale rappresentante della società che gestisce un sito Internet risponde di concorso nella diffamazione se, a conoscenza del commento lesivo, non si adopera per farlo rimuovere. La Cassazione ha così respinto il ricorso dell'amministratore della Srl gerente del sito in questione sottoposto a sequestro preventivo, per aver pubblicato un commento nel quale il presidente della Lega nazionale dilettanti della Federazione italiana Gioco Calcio, veniva definito "emerito farabutto" e "pregiudicato doc", con tanto di certificato penale allegato. L'amministratore del sito web, pur avendo ricevuto al suo indirizzo mail il certificato penale della parte lesa, ed essendo dunque a conoscenza della pubblicazione del commento, lo aveva lasciato online per due settimane, consentendo così che l'articolo "esercitasse l'efficacia diffamatoria».

Proprio recentemente anche la Cassazione Civile è tornata sull'argomento di grande attualità, delineando i profili di responsabilità dell'hosting provider per diretto di vigilanza. Secondo i Supremi Giudici, “L'hosting provider attivo è il prestatore di servizi della società dell'informazione il quale svolge un'attività che esula da un servizio di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, e pone, invece in essere una condotta attiva, concorrendo con altri nella commissione dell'illecito, onde resta sottratto al regime generale di esenzione di cui all'art. 16 d.lgs. n. 70 del 2003, dovendo la sua responsabilità civile atteggiarsi secondo le regole comuni. Nell'ambito dei servizi della società dell'informazione, la responsabilità dell'hosting provider prevista dall'art. 16 d.lgs. n. 70 del 2003 sussiste in capo al prestatore di servizi che non abbia provveduto all'immediata rimozione dei contenuti illeciti pur quando ricorrano congiuntamente tali condizioni: a) sia a conoscenza legale dell'illecito perpetrato dal destinatario del servizio, per averne avuto notizia dal titolare del diritto leso oppure aliunde; b) l'illiceità dell'altrui condotta sia ragionevolmente constatabile, onde egli sia in colpa grave per non averla positivamente riscontrata, alla stregua del grado di diligenza che è ragionevole attendersi da un operatore professionale della rete in un determinato momento storico; c) abbia la possibilità di attivarsi utilmente, in quanto reso edotto in modo sufficientemente specifico dei contenuti illecitamente immessi da rimuovere. Spetta al giudice di merito l'accertamento in fatto qualora, sotto il profilo tecnico, l'identificazione di video, diffusi in violazione del diritto altrui, sia possibile mediante l'indicazione del solo nome o titolo della trasmissione da cui provengono o, invece, sia indispensabile a tal proposito la comunicazione dell'url alla stregua delle condizioni esistenti all'epoca dei fatti” (Cass. I, n.7708/2019; Trib. Roma XVII, 10 gennaio 2019, n.693).

L'hosting provider passivo, ovvero quello non deputato ad indicizzazione, attività di filtro o valutazione, invece, se riceve una specifica segnalazione dal titolare del diritto leso, ovvero quando sia ragionevolmente constatabile da un operatore professionale, deve rimuovere immediatamente i contenuti coperti da diritto d'autore, anche se la responsabilità da omessa rimozione deve essere verificata caso per caso dal Giudice sulla scorta della sufficienza della l'indicazione, da parte del titolare dei diritti, del solo nome della trasmissione in cui sono andati in onda oppure anche dell'indicazione dell'"url" di riferimento.

Diversa ancora è la possibile responsabilità del caching ( prevista dall'articolo 15 del d.lgs. n. 70/2003), ovvero del soggetto che realizza la ricerca, su istanza degli utenti, semplicemente cercando e poi riproponendo una serie di link a siti diversi all'interno dei quali si trovano i contenuti richiesti. In questo caso, infatti, la responsabilità del motore di ricerca non si configura sulla base di una semplice segnalazione ma è necessario, ai fini dell'obbligo di rimozione, un ordine dell'autorità amministrativa o giudiziale cui il caching abbia contravvenuto (Cass. I, n.7709/2019).

Le ipotesi di esenzione. La responsabilità unica dell'utente

Tale rimedio può essere esperito anche in base al summenzionato d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, il quale disciplina la responsabilità nella prestazione di servizi, differenziando tre figure di mera intermediazione, che sono esenti da responsabilità: il prestatore di semplice trasporto (mere conduit); il prestatore di servizi di memorizzazione temporanea (caching); il prestatore di servizi di memorizzazione di informazione (hosting).

Tuttavia, per poter beneficiare di tale esenzione, i prestatori sono obbligati ad alcune incombenze informative ed operative, pur ciò non comportando l'obbligo di esaminare preventivamente le informazioni trasmesse, al fine di valutarne la possibile lesività per i terzi.

La responsabilità dell'intermediario, quindi, viene definita in negativo, ossia solo qualora sussistessero le condizioni previste dalla direttiva, l'intermediario non sarebbe ritenuto responsabile degli illeciti commessi dagli utenti utilizzando i suoi servizi; se invece il provider non si adeguasse alle norme della direttiva diverrebbe responsabile, ai sensi dell'art. 2055 c.c., solidalmente con l'autore dell'illecito.

Si tratta, quindi, di una responsabilità per colpa specifica, ossia per violazione di legge.

Diritto all'immagine online

 

Una fattispecie di illecito particolare che l'internet provider può commettere, da solo o insieme ad altri, è la violazione del diritto all'immagine: infatti, qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni.

Questo è quanto stabilito dall'articolo 10 del c.c. (ribadito dall'articolo 96 della legge 22 aprile 1941 n. 633), che conferma quanto l'immagine costituisca, anch'essa, un segno distintivo dell'individuo, una rappresentazione visiva caratterizzante della sua personalità.

Proprio per questo motivo, ne discende che, senza il proprio consenso, l'immagine non potrà essere altrimenti utilizzata o diffusa, incorrere nel risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ai sensi dell'articolo 2059 del codice civile.

Tale diritto all'immagine risulta oggi, però, molto più difficile da salvaguardare, in quanto esistono svariare modalità di comunicazione e divulgazione, come, ad esempio, i social network, ove è possibile, non solo caricare, ma anche visualizzare, contenuti, video, e soprattutto fotografie (le quali nella maggior parte dei casi, non riprendono solamente l'autore, ma anche altri soggetti estranei) di molte persone. Attraverso di essi, infatti, viene data la possibilità, ai gestori del servizio, di usare il materiale che vi viene inserito, perdendo in questo modo, il controllo sulle informazioni immessa da parte del soggetto rappresentato.

Per gli specifici profili attinenti alla lesione del diritto all'immagine on line si rimanda alla Formula Danno dal lesione del diritto all'immagine, alla reputazione, all'onore ed al decoro della persona fisica e giuridica a mezzo della stampa o di altri mezzi di comunicazione di massa (whatApp; Facebook, internet)

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