Ricorso per provvedimento d'urgenza per violazione del diritto all'oblio

Maria Carolina De Falco
aggiornata da Alessia Longo

Inquadramento

La responsabilità dell'internet provider per violazione del diritto all'oblio deriva dalla lesione del diritto di un soggetto alla riservatezza ed alla reputazione, causata dal persistere del trattamento dei dati personali in rete. Infatti, la facile accessibilità delle pagine web, superiore a quella dei quotidiani cartacei, di per sé espone il soggetto alla possibilità che i dati in esse trattati siano consultabili potenzialmente per sempre. Tale possibilità viene ulteriormente amplificata dai motori di ricerca (ad es. Google), in quanto, grazie al loro preciso programma di indicizzazione dei dati personali e di ricerca, digitando il nominativo del soggetto si accede più facilmente ai link delle pagine web contenenti i dati personali, anche se non aggiornate da tempo o non facilmente raggiungibili altrimenti.

Formula

TRIBUNALE DI .... [1]

RICORSO [2] EX ART. 700 [3] C.P.C. ANTE CAUSAM

Per il Sig. [4]...., nato a .... il .... e residente a .... in via ...., C.F. ...., (oppure) [la Società ...., in persona del suo legale rappresentante pro tempore Dott. ...., con sede in ...., alla via ...., C.F. .... P.I. .... : [5] ] rappresentato e difeso per procura in calce [6] al presente atto dall'Avv. ...., C.F. .... [7], ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in .... alla via .... L'Avv. dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni di cancelleria al numero di fax ....ovvero all'indirizzo PEC .... [8]

-ricorrente-

CONTRO

La Soc. ...., C.F. .... e P.I. ...., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in ...., alla via .... n. .... (di seguito, per brevità, la “Società”),

-resistente-

La Google, C.F. .... e P.I. ...., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in ...., alla via .... n. .... (di seguito, per brevità, la “Google”),

-resistente-

PREMESSO CHE [9]

In data .... il sito internet “ .... ”, edizione online della testata giornalistica “ .... ”, pubblicava un articolo nel quale era riportato che l'odierno ricorrente era imputato del delitto ex art. .... c.p. Tale sito, inoltre, era il primo risultante dalla ricerca effettuata immettendo il nome del ricorrente nel motore di ricerca “Google”.

Successivamente, in data ...., il Sig. .... veniva assolto dal Tribunale di .... per non aver commesso il fatto; la sentenza, dal momento che non veniva impugnata nel termine prescritto dalla legge, passava in giudicato in data ....

Ottenuta la sentenza di assoluzione, il Sig. .... provvedeva ad effettuare un controllo dell'articolo suddetto, constatando che era ancora presente e non menzionava l'intervenuta assoluzione; pertanto, in data .... inviava una lettera al titolare del sito internet, chiedendo la rimozione dell'articolo o, quantomeno, la pubblicazione di una rettifica dello stesso, nella quale fosse evidenziata la sentenza di assoluzione. In pari data, inviava una richiesta alla società che gestisce il motore di ricerca “Google”, chiedendo la rimozione del sito dai risultati di ricerca e la deindicizzazione del suo nome.

Nei successivi mesi, il Sig. .... riceveva richieste di annullamento di contratti da parte di clienti, i quali giustificavano la decisione a causa “della vicenda giudiziaria che lo aveva coinvolto”.

In data .... la società che gestisce il sito internet “ .... ”, rispondeva al Sig. .... sostenendo che non vi fossero i presupposti per rimuovere l'articolo o pubblicare la rettifica, in quanto la notizia pubblicata a suo tempo era perfettamente aderente ai fatti.

In data .... la società che gestisce il motore di ricerca “Google” rispondeva all'odierno ricorrente sostenendo di non poter rimuovere il sito dai risultati di ricerca in quanto il trattamento dei dati personali è stato effettuato dal sito e non da loro.

MOTIVI [10]

1) Si rileva, in via preliminare, che quando una notizia già resa di dominio pubblico, trascorso un certo lasso di tempo o a seguito di un accadimento, non risulta più attuale o, peggio, risulta smentita, come nella presente fattispecie, deve essere cancellata o rettificata da colui che l'ha pubblicata, su richiesta dell'avente diritto. Tale diritto, c.d. all'oblio, che ha il suo fondamento normativo nel Codice della Privacy, è stato elaborato dalla giurisprudenza nazionale (v. Cass. n. 3679/1998; Cass. n. 11864/2004 e da ultimo Cass. n. 5525/2012) e dalle Autorità Garanti europee, fino ad ottenere il suo recepimento nell'art. 17 del Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali n. 2016/679, dove viene sancito che l'interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l'obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali.

A seguito di tale riconoscimento, la Corte di Cassazione, con la sentenza del 24 giugno 2016, n. 13161 ha stabilito che in caso di violazione del suo diritto all'oblio, il soggetto leso può chiedere al titolare del contenuto, come chiesto dal Sig. ...., di operare in uno dei seguenti modi:

1) rimuovere la pagina;

2) eliminare i tag che ne consentono l'indicizzazione;

3) rimuovere il nome del soggetto citato (con i relativi tag).

Ottenuta dal sito internet “ .... ” e da “Google” una risposta negativa, l'unico rimedio esperibile appare essere il ricorso all'autorità giudiziaria, al fine di far cessare il pregiudizio subito dal Sig. ....

Si osserva, infine, che nel caso in cui a violare il diritto all'oblio sia l'edizione online di una rivista giornalistica, si applica la legge 8 febbraio 1948, n. 47, recante le disposizioni sulla stampa il quale, all'art. 8, dispone che “il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale.”

2) Fumus boni iuris [11] .

Si osserva, riguardo la probabile esistenza del diritto da cautelare, che in tal proposito la Corte di Cassazione, nella sentenza del 5 aprile 2012, n. 5525, ha deciso che l'editore di un quotidiano che memorizzi nel proprio archivio storico della rete internet le notizie di cronaca, mettendole così a disposizione di un numero potenzialmente illimitato di persone, è tenuto ad evitare che, attraverso la diffusione di fatti anche remoti, possa essere leso il diritto all'oblio delle persone che vi furono coinvolte. Pertanto, quando siano diffuse sul web notizie di cronaca giudiziaria, concernenti provvedimenti limitativi della libertà personale, l'editore è tenuto garantire contestualmente agli utenti un'informazione aggiornata sullo sviluppo della vicenda, a nulla rilevando che essa possa essere reperita in altro modo.

Si rileva, inoltre, a proposito della probabile fondatezza della domanda di risarcimento danni, la quale verrà proposta dall'odierno ricorrente nel successivo giudizio di merito, che una sentenza della Corte di Giustizia del 2014 (CGUE, causa C-134/12, pubblicata il 13 maggio 2014 dalla Grande sezione), ha riconosciuto la responsabilità del provider in quanto, trattando i dati degli utenti (indicizzando i relativi nomi presenti sulle pagine web), ne deve anche rispondere, rimuovendo, cioè, la pagina lesiva dai risultati di ricerca. Pertanto, si possono applicare a tale soggetto, nel caso di violazione del diritto all'oblio, i criteri generali di responsabilità civile, previsti nell'art. 2043 c.c., o, quantomeno, l'art. 2055 c.c., riguardante la responsabilità solidale, in quanto il materiale lesivo si trova su uno specifico sito web, dal quale il gestore avrà il compito di rimuoverlo, mentre al provider, spetterà la rimozione del nome del soggetto leso dall'indicizzazione.

3) Periculum in mora [12].

Il provvedimento d'urgenza che oggi si richiede, inoltre, risulta necessario in quanto unico strumento per far cessare il pregiudizio che l'odierno ricorrente ha subito e continua a subire. Infatti, il Sig. ...., a seguito delle richieste di annullamento di contratti da parte di clienti a causa del sito riportante ancora la notizia non più corretta, ha immediatamente contattato il titolare del sito internet e del motore di ricerca, ottenendo, però, risposte negative circa la cancellazione o la correzione di detto articolo e del suo nome.

4) Strumentalità [13].

Si precisa, infine, che, dati i danni subiti dal Sig. .... a causa della violazione del suo diritto all'oblio, verrà esperita, in un successivo giudizio di merito, un'azione di condanna nei confronti degli odierni resistenti, volta ad accertare i danni patrimoniali e non patrimoniali causati dalla loro condotta ed a condannarli al risarcimento degli stessi, ai sensi degli artt. 2043 e 2055 c.c.

Per tutto quanto innanzi detto, il Sig. ....come sopra rappresentato, difeso e domiciliato

RICORRE

All' Ill.mo Tribunale di .... [14], affinché, rigettata ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, previa fissazione dell'udienza per la comparizione delle parti in contraddittorio, procedere nel modo ritenuto opportuno agli atti di istruzione ritenuti indispensabili, Voglia [15]:

ordinare al titolare del sito internet “ .... ” di rimuovere l'articolo de quo o, in alternativa, di pubblicare una rettifica redatta dal Sig. ...., come previsto dall'art. 8 della l. n. 47/1948;

ordinare al titolare del motore di ricerca “Google” di rimuovere il sito internet dai risultati di ricerca ed il nome del ricorrente dall'indicizzazione;

condannare il convenuto al pagamento delle spese di lite [16], con distrazione a favore del sottoscritto procuratore, che si dichiara antistatario [17].

IN VIA ISTRUTTORIA [18]

(Esempio)

si chiede, inoltre, di essere ammesso alla prova per testimoni sulle circostanze indicate (in premessa/in punto di fatto) ovvero sulle seguenti circostanze: [19]. .... A tal fine si indicano come testimoni i Sig.ri: 1) Sig. ...., residente in .... ; 2) Sig. ...., residente in .... [20]

si deposita copia dei seguenti documenti, con riserva di ulteriori produzioni ed articolazioni di richieste istruttorie: 1) .... ; 2) ....; 3) ....

si dichiara che il valore del presente ricorso è di Euro .... [21] per il quale è previsto il pagamento del contributo unificato pari a Euro .... [22]

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA AD LITEM [23]

Io sottoscritto ...., nato a .... il ...., C.F. ...., residente a ...., in via ...., informato, ai sensi del d.lgs. n. 28/2010 e successive modifiche, della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi previsto e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto, nonché dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, oltre che ai sensi del d.l. n. 134/2014 - conv. nella l. n. 162/2014 e successive modifiche, della possibilità di ricorrere alla procedura di negoziazione assistito da uno o più avvocati, nonché in ordine alla normativa antiriciclaggio ex d.lgs. n. 56/2004 e successive modifiche, nonché in ordine al trattamento dei propri dati personali e sensibili, dei propri diritti, ai sensi e per gli effetti del d.lgs. n. 196/2003 e successive modifiche, La delego a rappresentarmi, assistermi e difendermi, sia in fase stragiudiziale che in ogni fase e grado del presente giudizio, anche di suo eventuale appello, riassunzione, nonché per l'esecuzione ed eventuale opposizione alla stessa, concedendole le più ampie facoltà di legge, comprese quelle di conciliare e transigere, incassare e quietanziare, rinunziare sia agli atti del giudizio che all'azione, farla sostituire ed anche chiamare in causa e/o garanzia eventuali terzi responsabili, e di svolgere, nei loro confronti, domanda di garanzia, domanda riconvenzionale ed anche di risarcimento, nonché a conferire altresì, in proprio nome e per proprio conto, incarichi di consulenze, dichiarando, sin da ora, rato e fermo il Suo operato.

Dichiara, infine, di essere stato edotto circa il grado di complessità dell'incarico che con la presente conferisce e circa tutti gli oneri ipotizzabili dal momento del suo conferimento sino alla conclusione.

Dichiaro, ai sensi e per gli effetti del d.lgs. n. 196/2003 e s.m.i., di essere stato informato che i miei dati personali, anche sensibili, verranno utilizzati in conformità al predetto decreto e limitatamente alle finalità connesse all'esecuzione del mandato, autorizzando sin d'ora il loro trattamento.

Eleggo domicilio presso il Suo studio in ...., via ....n. ....

Ratifico sin d'ora il Suo operato e quello di eventuali Suoi sostituti.

La presente procura alle liti è da intendersi apposta in calce all'atto, anche ai sensi dell'art. 18, comma 5, d.m. Giustizia n. 44/2011, così come sostituito dal d.m. Giustizia n. 48/2013.

Luogo e data ....

Sig. ....

È autentica

Firma Avv. ....

[1] Per quanto riguarda il foro, si applica l'art. 19 c.p.c., riguardante il foro generale delle persone giuridiche, secondo cui «salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica, è competente il giudice del luogo dove essa ha sede. È competente altresì il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l'oggetto della domanda. Ai fini della competenza, le società non aventi personalità giuridica, le associazioni non riconosciute e i comitati di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile hanno sede dove svolgono attività in modo continuativo».

[2] Ai sensi dell'art. 669-bis la domanda si propone con ricorso.

[3] La norma recita: «Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria; questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito ».

[4] L'art. 669-bis c.p.c. dispone che “L'istanza si propone con ricorso...” richiamando, per il contenuto dello stesso, quanto disposto dall'art. 125 c.p.c., ove è tra l'altro stabilito che l'atto deve contenere l'indicazione delle parti.

[5] Se si tratta di persona giuridica occorre indicare il nome del legale rappresentante pro tempore, la sede legale e il codice fiscale e/o il numero di partita IVA.

[6] Oppure a margine.

[7] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c.

[8] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore, è sufficiente l'indicazione del numero di fax, poiché l'indirizzo PEC è un dato ormai acquisito nei rapporti con la cancelleria: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002 modificati dalla l. n. 114/2014.

[9] Ai sensi dell'artt. 125 c.p.c. il ricorso deve contenere, inter alia, le ragioni della domanda, cioè l'esposizione analitica dei fatti posti a fondamento della stessa.

[10] Ai sensi dell'art. 125 c.p.c. il ricorso deve contenere l'indicazione del tipo di provvedimento richiesto (petitum) nonché l'esposizione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere con il ricorso (causa petendi). La domanda deve contenere, altresì, l'indicazione delle condizioni dell'azione cautelare (fumus boni iuris e periculum in mora), degli elementi che consentano di individuare la futura (eventuale) domanda di merito (strumentalità).

[11] Costituisce uno dei presupposti per l'accesso alla tutela in via d'urgenza. Esso si concreta nella probabile esistenza del diritto da cautelare o nella probabile fondatezza della domanda che il ricorrente intende proporre nel successivo (eventuale) giudizio di merito (Cass. n. 5925/1999).

[12] Costituisce un ulteriore presupposto della tutela ex art. 700 c.p.c.. il periculum (ossia il pericolo attuale che il diritto del ricorrente possa subire un pregiudizio) nel procedimento d'urgenza si caratterizza e specifica attraverso i due requisiti dell'imminenza e dell'irreparabilità. Il requisito dell'imminenza impone che l'evento dannoso paventato da chi domanda il provvedimento d'urgenza debba non essere di remota possibilità, ma incombere con vicina probabilità; mentre, l'irreparabilità va intesa come ragionevole pericolo del determinarsi di una lesione di un proprio diritto, non altrimenti risarcibile (né in forma specifica ex art. 2058 c.c. né per equivalente), se non con l'adozione dello specifico provvedimento invocato.

[13] La strumentalità consiste nell'indicazione del diritto soggettivo da far valere nel successivo (eventuale) giudizio di merito; pertanto, non possono essere tutelati, con i provvedimenti d'urgenza, gli interessi di mero fatto o gli interessi legittimi. L'indicazione di tale requisito è indispensabile anche nel caso di richiesta di provvedimenti anticipatori (come l'quello di cui all'art. 700 c.p.c.) per i quali la l. n. 80/2005 ha eliminato l'onere di instaurare il successivo giudizio di merito (strumentalità attenuata).

[14] V. n. 1.

[15] Depositato il ricorso il giudice può decidere dopo aver instaurato il contraddittorio (art. 101 c.p.c.) tra le parti (art. 669-sexies, comma 1, c.p.c.). In tal caso il giudice, depositato il ricorso ante causam, fissa la data dell'udienza in cui le parti dovranno comparire e dispone la notifica alla controparte del ricorso e del decreto.

[16] Il giudizio di merito nei procedimenti ex art. 700 c.p.c., a seguito della riforma di cui alla l. n. 80/2005, non rappresenta un esito necessario (cfr. art. 669-octies, comma 6, c.p.c.). Per tale ragione la l. n. 69/2009 ha modificato l'art. 669-octies c.p.c., aggiungendo il comma 7, che consente al giudice, quando emette uno dei provvedimenti cautelari di cui al comma 6, di provvedere sulle spese del procedimento che, in aderenza all'art. 91 c.p.c., vanno poste a carico della parte soccombente e a favore della parte vittoriosa.

[17] Ex art. 93 c.p.c.

[18] Indicazione dei mezzi istruttori di cui ci si intende avvalere.

[19] Formulare i capi di prova preceduti dalla locuzione “Vero che....”.

[20] Le richieste istruttorie possono essere fatte anche in sede di memorie ex art. 183, II termine, c.p.c.

[21] Determinabile in base agli artt. 10 ss. c.p.c.

[22] Determinabile in base al d.P.R. n. 115/2002 e successive modificazioni. La dichiarazione di valore è prevista dall'art. 14, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 secondo cui «il valore dei processi, determinato ai sensi del codice di procedura civile, senza tener conto degli interessi, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell'atto introduttivo, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito». Orbene, l'art. 13, comma 6 del medesimo decreto prevede la conseguenza dell'omissione della predetta dichiarazione di valore affermando che «se manca la dichiarazione di cui all'articolo 14, il processo si presume del valore indicato al comma 1, lettera g)»; pertanto, si presume che il valore del procedimento sia quello dello scaglione più elevato (i.e. superiore a 520.000,00 Euro) con obbligo di versamento di un contributo unificato più elevato. L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione sopra citata. Ai sensi del citato art. 13, comma 3-bis: «ove il difensore non indichi il proprio numero di fax .... ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[23] La procura può essere generale o speciale (art. 83 c.p.c.). Nel caso di procura generale alle liti, redatta per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, dovranno esserne indicati gli estremi. La procura speciale, invece, può essere apposta in calce o a margine del ricorso. Nell'ipotesi di scelta di deposito telematico del ricorso (art. 16-bis comma 1-bis d.l. n. 179/2012) occorrerà indicare la seguente dicitura: «giusta procura allegata mediante strumenti informatici e apposta in calce al presente ricorso ai sensi dell'art. 83 comma 3 c.p.c.».

Commento

Fondamento

Il diritto all'oblio è da intendersi quale diritto dell'individuo ad essere dimenticato: il diritto, cioè, che mira a salvaguardare il riserbo imposto dal tempo ad una notizia già resa di dominio pubblico. Il fondamento normativo di tale diritto è da individuarsi nel Codice della Privacy, il quale prevede che il trattamento dei dati personali non sia legittimo qualora gli stessi siano conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi per i quali sono stati raccolti o trattati (art. 11 d.lgs. n. 196/2003). Lo stesso interessato ha il diritto di conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonché di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l'aggiornamento, l'integrazione (art. 7 d.lgs. n. 196/2003).

Partendo da questo dato normativo, la giurisprudenza nazionale (v. Cass. n. 3679/1998; Cass., n. 11864/2004 e da ultimo Cass. n. 5525/2012) e le Autorità Garanti europee, hanno elaborato il diritto all'oblio, quale «manifestazione del diritto alla riservatezza, intesa quale giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata» ( c.f.r. Cass. I, n. 3679/1998).

Il diritto all'oblio nel corso degli anni è stato definito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, quindi, come il diritto a non essere esposti a tempo indeterminato ai danni che può arrecare la reiterata pubblicazione di una notizia; si tratta, in sostanza, del diritto a non vedere più associato il proprio nome a vicende che, pur avendo avuto una rilevanza “pubblicistica” in un certo momento, non ne hanno più poiché è trascorso un lasso di tempo significativo dalla divulgazione iniziale, cioè tale da far ritenere che l'interesse alla conoscenza della notizia sia venuto meno.

Ulteriore passaggio rilevante nella emersione del diritto e nella definizione della sua connotazione e delle sue modalità di tutela, è stata la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 13 maggio 2014, causa C-131/12, Caso Google Spain, pronunciata relativamente al caso di un cittadino spagnolo che nel marzo 2010, presentava dinanzi all'Agencia Española de Protección de Datos (Agenzia spagnola di protezione dei dati) un reclamo contro La Vanguardia Ediciones SL (editore di un quotidiano largamente diffuso in Spagna), nonché contro Google Spain e Google Inc., lamentando il fatto che, allorché il proprio nominativo veniva digitato nel motore di ricerca del gruppo Google, l'elenco di risultati mostrava alcuni links verso due pagine del quotidiano “La Vanguardia”, datate gennaio e marzo 1998; pagine che riportavano la notizia di una vendita all'asta di immobili organizzata a seguito di un pignoramento effettuato sedici anni prima per la riscossione coattiva di crediti previdenziali proprio ai danni del cittadino reclamante.

A fronte dell'accoglimento dell'istanza del cittadino contro Google Spain e Google Inc. di adozione delle misure necessarie a rimuovere i dati dai loro indici per rendere impossibile in futuro l'accesso ai dati in questione, queste due società proponevano reclamo all'Agenzia Nazionale di protezione dei dati personali, che coinvolgeva la Corte Europea di Giustizia sul profilo sugli obblighi incombenti sui gestori dei motori di ricerca in caso di richieste di cancellazione per cd. diritto all'oblio.

La Corte nella menzionata decisione, precisava che «il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall'elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita» sulla scorta dell'assunto per cui la tutela del diritto all'oblio è espressione dei diritti fondamentali riconosciuti dall'art. 8 della CEDU, che prevalgono sulle esigenze contrastanti.

Tale posizione soggettiva ha avuto, poi, il suo recepimento nell'art. 17 del Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali n. 2016/679, dove viene sancito che l'interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l'obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti:

a) i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;

b) l'interessato ritira il consenso su cui si basa il trattamento e non sussiste altro motivo legittimo per trattare i dati;

c) l'interessato si oppone al trattamento dei dati personali e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento;

d) i dati sono stati trattati illecitamente;

e) i dati devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell'Unione o degli Stati membri cui è soggetto il titolare del trattamento;

f) i dati sono stati raccolti relativamente all'offerta di servizi della società dell'informazione.

Inoltre sempre l'art. 17 chiarisce che il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbligato a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione prende le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i responsabili del trattamento che stanno trattando i dati della richiesta dell'interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali.

La responsabilità del provider

Con riferimento al regime di responsabilità dell'internet provider, tale profilo è stato inizialmente escluso, in particolare dagli stessi provider, i quali hanno sostenuto che, non essendo loro a trattare i dati personali degli utenti, il riconoscimento della loro responsabilità sarebbe stata un'ipotesi di responsabilità oggettiva non prevista dalla legge e, in quanto tale, non applicabile.

Questa tesi, però, è stata smentita dalla sentenza della Corte di Giustizia supra citata nella quale è stata riconosciuta la responsabilità del provider in quanto, trattando i dati degli utenti (indicizzando i relativi nomi presenti sulle pagine web), ne deve anche rispondere, rimuovendo, cioè, la pagina lesiva dai risultati di ricerca.

Muovendo da questa interpretazione, allora, pare plausibile applicare a tale soggetto, nel caso di compimento di atti illeciti, i criteri generali di responsabilità civile, previsti nell'art. 2043 c.c., o, quantomeno, l'art. 2055 c.c., riguardante la responsabilità solidale, in quanto il materiale lesivo si trova su uno specifico sito web, dal quale il gestore avrà il compito di rimuoverlo, mentre al provider, spetterà la rimozione del nome del soggetto leso dall'indicizzazione. Sarà poi il Giudice, all'esito del giudizio, a determinare la gravità della rispettiva colpa ed il conseguente risarcimento spettante.

Dalla giurisprudenza che, in particolar modo di recente, ha puntualizzato le forme di tutela di tale diritto è emerso che i fattori di valutazione della colpa dipenderanno dalla considerazione del lasso di tempo trascorso tra la attualità della notizia e la persistenza della stessa in rete, dalla facilità di accesso alla stessa (archivi in rete di immediata consultazione rispetto agli archivi cartacei di qualunque testata giornalistica) e dalla esistenza o meno dell'interesse alla conoscenza della notizia scaturente dal ruolo pubblico ricoperto dalla persona o dalla particolare rilevanza della vicenda, nel qual caso il decorso del tempo potrebbe non giustificare la prevalenza del diritto all'oblio.

E ciò al pari dell'ipotesi in cui una notizia risalente nel tempo può ritornare ad essere attuale per eventi sopravvenuti, quali, ad esempio, il sopraggiungere di sviluppi nella vicenda giudiziaria inizialmente riportata come notizia, che ne giustifichi la ripresa (Cass. n. 23168/2014; Cass. n. 23366/2004).

I rimedi esperibili

In caso di violazione del suo diritto all'oblio, il soggetto leso può, per prima cosa, chiedere al titolare del contenuto, come stabilito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza del 24 giugno 2016, n. 13161, di operare in uno dei seguenti modi:

1) rimuovere la pagina;

2) eliminare i tag che ne consentono l'indicizzazione;

3) rimuovere il nome del soggetto citato (con i relativi tag).

Nel caso in cui il titolare del contenuto non adempia, il soggetto leso potrà adire l'autorità giudiziaria proponendo un ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c., al fine di ottenere la rimozione del materiale lesivo. Per poter ottenere il risarcimento dei danni, però, occorrerà proporre una separata azione ordinaria.

Vista la rilevanza del fattore tempo nella tutela di diritti della personalità “classici”, come il diritto alla riservatezza, all'immagine, al decoro ed alla reputazione, con riguardo al diritto all'oblio si è anzi precisato che, stante la rapidità e facilità dei mezzi di comunicazione di massa moderni e diffusi, la tutela cautelare è fondamentale, quasi l'unica tutela possibile per evitare la detonazione delle conseguenze negative connesse alla diffusione di una notizia lesiva non più attuale.

Oltre all'azione civile, inoltre, è possibile anche proporre ricorso all'Autorità Garante della Privacy.

Di recente la Suprema Corte, Cass  I, n. 9147/2020, ha individuato quale ulteriore rimedio di bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e quello di cronaca il rimedio della deindicizzazione, consistente non nel rimuovere il contenuto potenzialmente offensivo, quanto nel renderlo non direttamente accessibile tramite motori di ricerca esterni all’archivio in cui quel contenuto si trova. Così si esprime la Suprema Corte: “In materia di diritto all'oblio là dove il suo titolare lamenti la presenza sul web di una informazione che lo riguardi - appartenente al passato e che egli voglia tenere per sè a tutela della sua identità e riservatezza - e la sua riemersione senza limiti di tempo all'esito della consultazione di un motore di ricerca avviata tramite la digitazione sulla relativa query del proprio nome e cognome, la tutela del menzionato diritto va posta in bilanciamento con l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico -sociale e documentaristica, e può trovare soddisfazione, fermo il carattere lecito della prima pubblicazione, nella deindicizzazione dell'articolo sui motori di ricerca generali, o in quelli predisposti dall'editore”.

Il Gruppo di lavoro “Articolo 29” (WP29 - organismo indipendente con funzioni consultive, oggi sostituito dal Comitato europeo per la protezione dei dati - EDPB), il 26 novembre 2014 ha pubblicato delle Linee guida  (disponibili solo in lingua inglese), nelle quali sono elencati una serie di criteri orientativi per le autorità garanti nazionali chiamate a gestire i reclami riguardanti richieste di deindicizzazione; fra questi criteri (in tutto sono 13), il fatto che il richiedente sia o meno un personaggio pubblico, la minore età dell’interessato, il riferimento alla vita professionale o personale, il collegamento del risultato di ricerca con informazioni che recano pregiudizio o alla persona o alla sua sicurezza ecc.

Violazione del diritto all'oblio a mezzo stampa

La questione in esame assume un connotato particolare nel caso in cui a commettere l'illecito sia l'edizione online di una rivista giornalistica. In questo caso, infatti, si applica la legge 8 febbraio 1948, n. 47, recante le disposizioni sulla stampa il quale, all'art. 8, dispone che «il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale. Per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche di cui al comma precedente sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono. Per i periodici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce. Le rettifiche o dichiarazioni devono fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche, per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate. Qualora, trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma, la rettifica o dichiarazione non sia stata pubblicata o lo sia stata in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma, l'autore della richiesta di rettifica, se non intende procedere a norma del decimo comma dell'articolo 21, può chiedere al pretore, ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione. La mancata o incompleta ottemperanza all'obbligo di cui al presente articolo è punita con la multa da tre milioni a cinque milioni di lire. La sentenza di condanna deve essere pubblicata per estratto nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia. Essa, ove ne sia il caso, ordina che la pubblicazione omessa sia effettuata».

Tale impostazione è stata seguita anche dalla Corte di Cassazione che, con sentenza del 5 aprile 2012, n. 5525, ha disposto che l'editore di un quotidiano che memorizzi nel proprio archivio storico della rete internet le notizie di cronaca, mettendole così a disposizione di un numero potenzialmente illimitato di persone, è tenuto ad evitare che, attraverso la diffusione di fatti anche remoti, possa essere leso il diritto all'oblio delle persone che vi furono coinvolte. Pertanto, quando siano diffuse sul web notizie di cronaca giudiziaria, concernenti provvedimenti limitativi della libertà personale, l'editore è tenuto garantire contestualmente agli utenti un'informazione aggiornata sullo sviluppo della vicenda, a nulla rilevando che essa possa essere reperita in altro modo.

Applicando tale normativa, quindi, sarà più facile ottenere la rimozione o correzione del contenuto lesivo da parte del sito che lo ha caricato in rete; inoltre, ciò renderebbe meno influente un rifiuto del provider di rimuovere direttamente i contenuti o almeno le indicizzazioni, ferma restando la possibilità di agire in sede civile onde ottenere il risarcimento dei danni.

Da ultimo, la Corte di Cassazione, con sentenza del 24 giugno 2016, n. 13161, ha affermato il seguente principio: «Alla base del riconoscimento del diritto all'oblio ai fini del risarcimento del danno l'illecito trattamento di dati personali viene specificamente ravvisato non già nel contenuto e nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusione on line dell'articolo di cronaca e nemmeno nella conservazione e archiviazione informatica di esso, ma nel mantenimento del diretto ed agevole accesso a quel risalente servizio giornalistico pubblicato diverso tempo addietro e della sua diffusione sul Web con conseguente pregiudizio per i soggetti coinvolti».

Limiti della tutela del diritto all'oblio

La sempre più frequente applicazione della fattispecie in via giurisprudenziale ha concorso anche a delinearne i limiti di tutela e la interferenza con altri diritti costituzionalmente rilevanti ( quali il diritto di cronaca e di manifestazione del pensiero).

Da ultimo, infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha tracciato alcune linee di confine per la reciproca convivenza di tali diritto affermando che “In tema di diritto alla riservatezza, dal quadro normativo e giurisprudenziale nazionale (artt. 2 Cost., 10 c.c. e 97 della l. n. 633 del 1941) ed europeo (artt. 8 e 10, comma 2, della CEDU e 7 e 8 della c.d. "Carta di Nizza"), si ricava che il diritto fondamentale all'oblio può subire una compressione, a favore dell'ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza dei seguenti specifici presupposti: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell'immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l'interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell'immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali); 3) l'elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l'informazione, che deve essere veritiera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell'interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell'immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all'interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al pubblico. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte d'appello che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno avanzata da un noto cantautore, a seguito della trasmissione su una rete televisiva, ad oltre cinque anni dall'accaduto, delle immagini relative al suo rifiuto di rilasciare un'intervista accompagnate da commenti denigratori)”(Cass. I,  n. 6919/2018).

Di contrario avviso e solo da ultimo, sorprendentemente, sembra la posizione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.  Quest'ultima, infatti, respingendo il ricorso di due cittadini tedeschi condannati all'ergastolo per un omicidio e scarcerati con una misura di messa alla prova, e premesso che gli archivi online di giornali e radio sono un bene da proteggere perché garantiscono il diritto della collettività a ricevere notizie di interesse generale, che non è attenuato dal passare del tempo, ha statuito che “Tra il diritto all'oblio e il diritto all'informazione prevale quest'ultimo laddove si tratti di notizie relative a procedimenti penali, anche se è passato molto tempo rispetto alla commissione del reato (Corte europea diritti dell'uomo, V, 28 giugno 2018,  n. 60798 ).

Invece sul fronte italiano, a dimostrazione della delicatezza del tema, va segnalata l’ordinanza di rimessione alla Suprema Corte a Sezioni Unite della questione di massima importanza quella intesa a: a) individuare (univoci criteri di riferimento che consentano di conoscere) i presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto a richiedere che una notizia che lo riguarda, legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione, e b) precisare in che termini l'interesse pubblico alla ripubblicazione di vicende personali faccia recedere il diritto all'oblio in favore del diritto di cronaca (Cass. III, n.28084/2018).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono infine espresse con la sentenza Cass. S.U. n. 19681/2019.

Il caso riguardava la rievocazione della notizia di un omicidio avvenuto oltre 25 anni prima, commesso da un individuo che nel frattempo aveva scontato la pena in carcere e si era reinserito positivamente nel contesto sociale.

Secondo la Cassazione, nel contrasto tra questi due opposti diritti, il giudice deve valutare l'interesse pubblico, concreto e attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che furono protagonisti di quelle vicende.

La rievocazione di questi elementi è lecita solo se si riferisce a personaggi che suscitino nel presente l'interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà sia per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell'onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva.

Viceversa laddove il diritto all’oblio si confronta con interessi di carattere pubblico e generale di natura giurisdizionale è destinato ad arretrare: così da ultimo la Suprema Corte di Cassazione per la quale “La cancellazione dell'ipoteca tramite annotazione è un sistema legittimo e idoneo a garantire la sicurezza dei traffici giuridici e della pubblicità immobiliare. In tale ipotesi, non può essere, pertanto, riconosciuto all'interessato il diritto all'oblio, poiché il trattamento dei dati personali è necessario per l'adempimento di un obbligo di legge”( Cass. I, n.13524/2021).

La Cassazione ha bocciato la tesi del ricorrente secondo cui l'Agenzia del territorio, nell'effettuare la cancellazione dell'ipoteca, avrebbe leso la sua privacy e conseguentemente il suo diritto all'accesso al credito, dato che le modalità di cancellazione consentivano di apprendere della precedente iscrizione ipotecaria e dunque permettevano ai terzi di constatare che egli si era in passato reso moroso nel pagamento di talune rate di mutuo. Per la Suprema corte a fronte del rilievo, «evidentemente fondamentale per i fini della sicurezza dei traffici giuridici, della pubblicità immobiliare, il sacrificio di un ipotetico diritto all'oblio del soggetto nei cui confronti è disposta la cancellazione dell'iscrizione di ipoteca giudiziale sarebbe irrisorio, e non certo tale da richiedere, nel quadro della consueta operazione di bilanciamento tra il diritto all'oblio ed altri diritti di pari rango, un più radicale intervento di cancellazione».

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