Comparsa di risposta della compagnia assicuratrice che esclude il superamento del massimale

Maria Carolina De Falco

Inquadramento

Per massimale si intende il livello massimo che può essere risarcito per i danni provocati a terzi persone e oltre il quale l'assicurato è tenuto a rispondere in prima persona per i danni prodotti.

Il massimale deve essere specificato alla stipula di ogni contratto di assicurazione - eccetto per le polizze vita a tempo indeterminato- e rappresenta la somma massima di copertura del rischio, ovvero la soglia che la compagnia di assicurazione si impegna a pagare nel caso in cui si dovesse verificare l'evento per il quale è stato stipulato il contratto stesso.

L'entità del massimale è uno dei fattori che influisce sulla determinazione del premio che dovrà, quindi, essere pagato dal contraente della polizza (maggiore è il massimale, ovvero la somma massima assicurata, e maggiore sarà il premio che dovrà essere corrisposto).

Secondo la giurisprudenza di legittimità in materia di assicurazione per la responsabilità civile, “la responsabilità dell'assicuratore oltre il limite del massimale è configurabile solo quando l'assicuratore omette di pagare o di mettere a disposizione del danneggiato il massimale, nonostante che i dati obiettivi conosciuti consentano di desumere l'esistenza della responsabilità dell'assicurato e la ragionevolezza delle pretese del danneggiato nei limiti del massimale di polizza (Cass. sez. lav., n. 11958/2007).

Il vecchio assetto normativo prevedeva per le ipotesi di responsabilità civile automobilistica un massimale minimo risarcibile dalle compagnie assicurative di Euro 775 mila, sulla scorta dell'eredità lasciata dalla legge sulla R.C. auto del 1969, limitativa in caso di incidenti particolarmente gravi; ragion per cui si è avvertita la necessità di apportare sostanziali modifiche.

La direttiva 2005/14/CE del Parlamento Europeo ha, pertanto, stabilito un aumento della soglia così come ipotizzata, innalzandola fino all'attuale 1 milione di Euro per i danni a cose e di 5 milioni di Euro per danni da lesione, o di almeno la metà di tali massimali entro trenta mesi dalla data di attuazione della direttiva.

Si precisa che la somma può variare a seconda del premio pagato, fino ad essere coperta in modo pressoché totale e, a prescindere dalla cifra, dietro pagamento di un determinato corrispettivo.

A paragone degli Stati Membri, l'Italia vantava il primato di avere uno dei massimali più bassi dell'intera comunità europea, motivo per cui nell'ottica di armonizzare la nostra normativa con quella sovranazionale, era auspicabile un aumento per andare incontro ai bisogni dei consumatori.

Cosa che effettivamente è stata avvenuta con l'introduzione del d.lgs. n. 198/2007, che ha a sua volta recepito la direttiva comunitaria sopra richiamata.

Con il recente cd. DDL Concorrenza del 2017, l. n. 124 del 04 agosto 2017 è stato introdotto, altresì, il comma. b bis) all'art. 128 del Codice della Assicurazioni Private per il quale per i veicoli a motore adibiti al trasporto di persone classificati nelle categorie M2 e M3 ai sensi dell'art. 47 del Codice della Strada è fissato un importo minimo di copertura pari ad Euro 15.000.000 per sinistro per danni alle persone, indipendentemente dal numero di vittime, ed Euro 1.000.000 per sinistro per danni a cose, indipendentemente dal numero dei danneggiati.

Di fronte alla domanda di risarcimento del danno da responsabilità civile (assicurazione contro i danni), la compagnia assicuratrice evoca il limite del massimale contrattuale onde giustificare l'infondatezza della domanda dell'attore.

In particolare, la compagnia assicuratrice esclude qualunque responsabilità nella gestione del sinistro che, sola, potrebbe consentire il superamento del limite quantitativo previsto dal contratto.

Formula

TRIBUNALE DI.... [1]

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA

La .... spa (C.F. ....) [2], con sede legale in .... alla via .... in persona del legale rapp.te p.t., Sig. .... nato a .... il ..../.../.... residente in .... alla via .... n. .... rappresentata e difesa dall'Avv. .... (C.F. ....) [3], con domicilio eletto [4] in .... alla Via .... n. .... presso lo studio dell'Avv. .... giusta procura in calce al presente atto e reso su foglio separato, dichiarando di voler ricevere tutte le comunicazioni e gli avvisi di cui agli artt. 133 comma 3, 134 comma 3, 170 comma 4 e 176 comma 2 c.p.c., anche al seguente numero di fax .... [5], ovvero al seguente indirizzo di p.e.c.: ....@.... [6].

-convenuta-

CONTRO

La Sig.ra .... nata a .... il .... C.F. .... residente in ....alla Via n. .... rappresentata e difesa dall'Avv. ....

-attore

PREMESSO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il.... la Sig.ra.... conveniva in giudizio la .... s.p.a., per sentirla condannare al risarcimento dei danni derivanti da .....

2. A tal fine, l'attrice deduceva che, in data .... aveva ....;

3. Con il presente atto, si costituisce in giudizio la convenuta società .... e chiede il rigetto della domanda attorea per i seguenti motivi in

IN DIRITTO

1. SUL MASSIMALE

La domanda di parte attrice è infondata in fatto e in diritto e deve essere rigettata.

E invero, parte attrice omette di considerare che per il sinistro per cui è causa ha già ottenuto il risarcimento del danno nella misura di Euro .... cioè entro il limite del massimale di polizza.

Ilmassimale di un contrattodi assicurazione deve essere specificato in ogni contratto (ad eccezione delle polizze vita a vita intera), e rappresenta la somma massima che la compagnia di assicurazione pagherà, nel caso in cui si dovesse verificare l'evento per il quale è stato stipulato il contratto stesso.

L'entità del massimale è uno dei fattori che influisce sulla determinazione del premio che dovrà, quindi, essere pagato dal contraente della polizza (maggiore è il massimale, ovvero la somma massima assicurata, e maggiore sarà il premio che dovrà essere corrisposto) [7].

Secondo la giurisprudenza di legittimità “in materia di assicurazione per la responsabilità civile, la responsabilità dell'assicuratore oltre il limite del massimale è configurabile solo quando l'assicuratore omette di pagare o di mettere a disposizione del danneggiato il massimale, nonostante che i dati obiettivi conosciuti consentano di desumere l'esistenza della responsabilità dell'assicurato e la ragionevolezza delle pretese del danneggiato nei limiti del massimale di polizza” [8].

Nel caso di specie non sussiste alcuna ragione per ritenere sussistente la responsabilità dell'assicuratore oltre i limiti del massimale.

La domanda attore è, dunque, infondata e come tale va rigettata.

Tanto premesso e considerato, .... rappresentato e difeso come in epigrafe, rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l'On.le Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione, richiesta e conclusione, rigettare la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla Sig.ra .... con vittoria di spese e compensi.

IN VIA ISTRUTTORIA

Formulando sin d'ora ogni più ampia riserva di articolazione dei mezzi istruttori, nei termini di cui all'art. 183, comma 6, nn 2 e 3, c.p.c., si offrono in comunicazione, mediante deposito, i seguenti documenti:

1. atto di citazione notificato il ....;

2. polizza n. ....;

PROCURA

Il sottoscritto Sig. .... (C.F. ....), nato a .... il .... e residente in .... alla via .... nella qualità di amministratore unico e legale rapp.te della ....s.r.l. (C.F. ....) con sede legale in .... alla via .... informato ai sensi dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 28/2010 della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi previsto e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto, con la presente conferisco incarico all'Avv. .... (C.F. ....) a rappresentarmi e difendermi nel giudizio da promuovere dinanzi al Tribunale di .... ivi comprese le fasi esecutive e di impugnazione che da questo conseguono, con ogni più ampia facoltà di legge; a tal uopo conferisco, altresì, al nominato procuratore ogni facoltà di legge, comprese quelle di conciliare, incassare, quietanzare, rinunziare e transigere, con promessa di rato e fermo del suo operato; lo autorizzo, infine, al trattamento dei miei dati personali, conformemente alle norme del d.lgs. 196/03 e limitatamente alle finalità connesse all'esecuzione del presente mandato. Eleggo domicilio presso il suo studio in .... alla via .... n. .....

Luogo e data....

Sig. ....

È autentica

Firma Avv. ....

[1] Il foro stabilito dall'art. 20 c.p.c., per le cause relative a diritti di obbligazione concorre con i fori generali di cui agli art. 18 e 19 c.p.c. e l'attore può liberamente scegliere di adire uno dei due fori generali, oppure il foro facoltativo dell'art. 20 c.p.c. La norma - infatti - stabilisce che per le cause relative a diritti di obbligazione (tra le quali rientrano anche le obbligazioni scaturenti da responsabilità extracontrattuale) è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi la obbligazione. In particolare, in tema di obbligazioni nascenti da fatto illecito, l'azione di risarcimento sorge nel luogo in cui l'agente ha posto in essere l'azione produttiva del danno (forum I) e in relazione a tale luogo deve essere determinata la competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (Cass. II, n. 1322/2014).

[2] Quando attore o convenuto sia “una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l'indicazione dell'organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio”: art. 163, comma 3, n. 2.

[3] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione sopra citata.

[4] L'elezione di domicilio nel Comune in cui ha sede il Tribunale adito è obbligatoria: essa individua il luogo legale ove effettuare le comunicazioni e notificazioni inerenti al processo: artt. 165 e 170 c.p.c.

[5] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione citata sub nota 2. Ai sensi dell'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[6] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014.

[7] In alcuni casi, come ad esempio le polizze di responsabilità civile per auto, la legge impone delle soglie di massimale minime prefissate, che rende libero il contraente nella scelta di massimali pari o superiori a tali valori.

[8] Cass. sez. lav., 22 maggio 2007, n. 11958.

Commento

Il caso della pluralità di danneggiati (Art. 128 del d.lgs. n. 209/2005, Codice delle Assicurazioni)

Il nuovo disposto normativo del Codice delle Assicurazioni Private ha regolamentato la casistica di una pluralità di danneggiati e del relativo superamento del massimale, che la l. n. 990/1969 lasciava incompiuta.

Ai sensi dell'art. 140 del decreto, “qualora vi siano più persone danneggiate nello stesso sinistro e il risarcimento dovuto dal responsabile superi le somme assicurate, i diritti dei danneggiati nei confronti dell'impresa di assicurazione sono ridotti proporzionalmente fino alla concorrenza delle somme assicurate. Nei casi in cui l'assicuratore, trascorsi trenta giorni dal sinistro, abbia pagato ad un danneggiato una somma superiore alla quota ad egli spettante, ignorando la presenza di altri danneggiati, pur avendone ricercata l'identificazione usando l'ordinaria diligenza, risponderà nei loro confronti solo nei limiti dell'eccedenza della somma assicurata rispetto alla somma versata. I danneggiati rimasti insoddisfatti avranno, comunque, la possibilità di ripetere da chi ha ricevuto il risarcimento quanto sarebbe loro spettato.

Ne consegue che in caso di risarcimento e di giudizi instaurati tra danneggiati, al fine di ripetere quanto sarebbe loro spettato come quota, ai sensi dell'art. 102 c.p.c., l'assicuratore diviene litisconsorte necessario.

Il cumulo in caso di sinistro mortale

La corrente interpretazione della tabella A allegata alla l. 24 dicembre 1969 n. 990 sulla assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti, nel fissare i minimi di garanzia ai sensi dell'art. 9 della legge, prevedeva che “in caso di morte di una persona in un incidente stradale i minimi di garanzia operano una sola volta per il singolo soggetto deceduto e non tante volte per quanti sono i superstiti di questo che assumono di avere subito un danno, salvo che in sede di contrattazione individuale le parti pattuiscano diversamente, dato che nella disciplina introdotta dalla l. 24 dicembre 1969 n. 990 l'autonomia privata trova limiti circa i minimi di garanzia e non anche per quanto riguarda una maggiore estensione della garanzia stessa” (Cass. III, n. 4712/1985).

Sulla scorta di tale previsione si erano formati diversi orientamenti relativi al cumulo dei risarcimenti in caso di più danneggiati a causa di un sinistro mortale.

Secondo un primo e più antico orientamento, per “persona danneggiata o sinistrata” doveva intendersi soltanto la “vittima del danno”, e non anche l'erede o l'avente causa di questa. Di conseguenza, nel caso in cui la vittima fosse deceduta lasciando più eredi, il danno da tutti costoro subito in conseguenza della morte del congiunto andava soddisfatto facendo ricorso non al massimale catastrofale, ma al massimale previsto in polizza per un singolo danneggiato (Cass. I, n. 4966/2001; Cass. I, 373/1985).

Per un secondo orientamento, stabilire cosa le parti del contratto abbiano inteso con l'espressione “massimale per persona danneggiata” richiede un'indagine da condurre in base alla ricostruzione della comune volontà dei contraenti, secondo le ordinarie regole di ermeneutica negoziale (così Cass. III, n. 16952/2003; Cass. I, n. 1845/1981).

Per un terzo orientamento, infine, per “persona danneggiata”, ai fini del computo del massimale doveva intendersi “ciascuno dei prossimi congiunti della vittima primaria, i quali vantino iure proprio un diritto al risarcimento”; pertanto nella suddetta ipotesi il limite del massimale andrà conteggiato tante volte quanti sono i danneggiati (Cass. III, n. 2653/2005; Cass. S.U., n. 15376/2009).

Espressione del tormento ermeneutico – poi risolto proprio dall'art. 128 cod.ass. in commento – è la decisione della Suprema Corte del 9 febbraio 2005 n. 2653.

La stessa ebbe a prevedere, infatti, che “quando gli stretti congiunti agiscono iure proprio per il risarcimento del danno derivato a loro stessi dalla morte (o dalle gravi menomazioni) della vittima primaria in ragione dello stretto rapporto parentale che alla stessa li legava, essi prospettano allora la lesione di un diritto proprio (al rapporto parentale), derivato dallo stesso fatto che ha provocato la morte dello stretto congiunto e ad esso causalmente collegato, ex art. 1223, in applicazione del principio di regolarità causale. In questo caso il limite del risarcimento non è, cumulativamente per tutti, quello previsto per una sola persona danneggiata; ma è, distintamente per ognuno di loro, quello previsto per ciascuna persona danneggiata”.

La decisione chiariva che “la qualifica anche degli stretti congiunti della persona deceduta (o gravemente menomata a seguito dell'incidente) come possibili persone danneggiate è insita nel fatto stesso che, com'è assolutamente pacifico, anche a loro può essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivato dall'evento mortale”.

In tal senso, in caso di sinistro mortale, ciascun prossimo congiunto avrebbe potuto agire per il risarcimento di un danno subito e per cui vuole far valere un diritto al ristoro.

Anche da ultimo sulla scorta dell'art. 128 TU Assicurazioni, la Suprema Corte ha ribadito l'assunto per cui “in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante da circolazione di veicoli e di natanti, per 'persona danneggiata' deve intendersi, non soltanto la vittima diretta dell'incidente, ma anche i prossimi congiunti o gli aventi causa della stessa, così che i conseguenti danni non devono essere necessariamente risarciti tutti nell'ambito del massimale previsto per ciascuna persona, il limite del risarcimento risultando, viceversa, quello previsto per ciascuna persona danneggiata, distintamente per ciascun danno, salvo il limite del massimale c.d. 'catastrofale' ( cfr. Cass. VI, n. 9091/2016).

Il massimale “catastrofale

Dall'art. 128 non è previsto un massimale “catastrofale” e, dunque, rimane controversa la questione, in merito a un eventuale cumulo del massimale per danni a cose con quello dei danni a persone, del limite del massimale totale (5 o 6 milioni di Euro).

La norma di riferimento non prevede la possibilità di massimali inferiori a quelli previsti dalla legge. Da qui è facile dedurre che, qualora si dovesse decurtare il massimale dei danni a cose da quello per danni a persone ci sarebbe una cifra di 4 milioni di Euro, in palese violazione dell'art. 128 appunto.

I due limiti del massimale sono quindi indipendenti e si cumulano tra loro.

Il massimale per persona

Quanto previsto dall'art. 128 è, ovviamente, un massimale minimo per sinistro, e indipendente dal numero delle vittime.

È scomparsa, pertanto, la nozione dei massimali per persona, tanto dibattuti in caso di morte o ferimento di individuo da cui fossero sorti pregiudizi ai parenti, aventi causa o creditori.

Nulla toglie, però, che le parti stesse pattuiscano massimali superiori a quelli minimi di legge: in tale ipotesi, continuerà ad essere possibile prevedere sia un massimale per persona (che nell'attuale sistema non sarà inferiore a 5 milioni per persona per lesione e 1 milione per i danni a cose), sia un massimale catastrofale.

Il consolidamento di una tale soluzione – avvenuto in via giurisprudenziale con la sentenza delle Sezioni Unite n. 15376/2009 - è stato rinvenuto in due ragioni principali: a) visto che la pressoché totalità delle decisioni riguardavano ipotesi di coinvolgimento del Fondo, emergeva una giustificazione di politica del diritto, in virtù della quale il legislatore, nel regolare il fenomeno di grande rilevanza sociale ed economica rappresentato dall'assicurazione obbligatoria e dalla costituzione del Fondo di garanzia, non poteva ovviamente che determinare la misura risarcitoria in funzione del pregiudizio causato alla singola vittima e non già del danno apportato a tutti coloro che, comunque, abbiano diritto a partecipare alla ripartizione dell'importo quasi che la evidente finalità solidaristica dell'istituzione del Fondo, anche a prescindere dalla sua sempre più pacifica assimilabilità all'assicuratore ordinario, suggerisse un "contenimento" delle sua esposizione debitoria; b) in secondo luogo, nella difficoltà concettuale, in quegli anni, di attribuire la qualifica di persona danneggiata a soggetti diversi dalla vittima diretta (o primaria) del sinistro stradale, nel quadro, per giunta, di un sistema del risarcimento del danno non patrimoniale che escludeva, sino ad anni recenti, i congiunti del soggetto che avesse subito lesioni non mortali a causa dell'altrui illecito, ritenendo in tali ipotesi insussistente quella relazione di causalità diretta ed immediata, richiesta dall'art. 1223 c.c., per poter affermare la risarcibilità dei danni medesimi.

Massimale inferiore a quello legale

 

Per quanto statuito all'art. 128 del d.lgs. n. 209/2005 - e per costante dottrina e giurisprudenza - la pattuizione eventuale di un massimale minimo inferiore a quello legale, sia nei confronti del terzo danneggiato che nei confronti del terzo assicurato, sarebbe nullo. Tale clausola verrebbe automaticamente sostituita ope legis dalla previsione normativa che fissa la misura minima del massimale stesso.

E, di converso, un'eventuale azione diretta proposta dal danneggiato avverso l'assicuratore del responsabile e che avesse ad oggetto una domanda di condanna in misura eccedente il massimale, se fondata nel merito non potrebbe che trovare accoglimento nei limiti del massimale, fatti salvi i casi di mala gestio.

L'eccedenza della domanda risarcitoria rispetto al massimale minimo di legge può rilevarsi, anche d'ufficio, e se eccepita dall'assicurare rappresenta un'eccezione in senso lato, come tale non soggetta alle preclusioni di cui agli art. 183 c.p.c. e 345 c.p.c., per l'appello (cfr. Cass. III, n. 4485/2003; Cass. III, n. 18440/2005).

L'incapienza del massimale

È particolarmente controverso stabilire se la prova dell'incapienza del massimale (vale a dire l'esistenza e il contenuto del provvedimento amministrativo che ne fissa l'ammontare) possa essere o meno rilevata d'ufficio o sia di iniziativa di parte. Secondo un primo orientamento dottrinale, che prendeva le mosse dalla Legge 990/1969, i Decreti del Presidente della Repubblica che aggiornavano gli importi dei massimali minimi di legge avevano natura di veri e propri atti normativi, anche se non di rango primario, e erano, pertanto, sottoposti alla regola generale della conoscibilità d'ufficio da parte del giudice (Cass. III, n. 21057/2009; Cass. III, n. 4016/2006; Cass. III, n. 5226/2006; Cass. III, n. 10479/2004; Cass. III, n. 3807/2004; Cass. III, n. 5797/1998).

Un diverso orientamento più recente sostiene, invece che il limite del massimale va sempre provato dall'assicuratore che lo eccepisce, dato che al decreto che aggiorna il massimale non può darsi natura di atto normativo ( cfr. Cass. III, n. 3173/2016, per cui “Nell'ambito di un contratto assicurativo, l'esistenza del massimale dovrà provata dalla compagnia assicurativa e non dal cliente: “la sua assenza dunque «nuoce» all'istituto e non all'assicurato, la cui domanda di risarcimento può essere comunque accolta per l'importo richiesto”).

Una terza opinione, ancora, assume che per stabilire su chi ricada l'onera della prova dell'ammontare del massimale serva distinguere se l'eccezione è sollevata dall'assicuratore in bonis o da impresa assicuratrice posta in LCA, caso in cui è l'assicuratore stesso che avrà onere di provare, con esibizione della polizza, quale fosse il massimale pattuito tra le parti del contratto di assicurazione all'epoca del sinistro.

Se, invece, l'eccezione di incapienza del massimale è sollevata dall'impresa designata, il limite del massimale deve presumersi come noto al giudice, che dovrà indicarlo in sentenza, trattandosi di un valore fissato con decreto ministeriale (cfr. Cass. III, n. 11552/2013).

A tale proposito si è spesso discusso circa il “valore” da attribuire al decreto cha ha recepito la direttiva comunitaria che ha aggiornato il sistema del massimale, fermo al palo in Italia dal 1969.

A contribuire alla definizione della sua natura, è stata, naturalmente, la giurisprudenza, che ha statuito che: “In tema di responsabilità civile obbligatoria derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, i decreti con i quali sono stati modificati i limiti dei massimali indicati nella tabella A allegata alla L. n. 990 del 1969, richiamata dall'art. 21 della predetta legge, hanno natura di atti normativi sebbene non di rango primario, e, quindi, sono conoscibili ex officio dal giudice e non hanno bisogno di essere provati dalla parte interessata”.(Cass. III, n. 3807/2004).

Da ultimo la giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che l'assicuratore che intenda far valere in giudizio i limiti quantitativi contrattualmente fissati alla propria obbligazione, ha l'onere di allegare prima, e provare poi, l'esistenza del patto di massimale e la misura di questo, a nulla rilevando che al momento dell'introduzione del giudizio quel massimale non fosse esaurito ( cfr. Cass. VI, n. 26813/2019  per cui “In tema di assicurazione per la responsabilità civile, il massimale non è elemento essenziale del contratto di assicurazione, il quale può essere validamente stipulato senza la relativa pattuizione, e neppure costituisce fatto generatore del credito assicurato, configurandosi piuttosto come elemento limitativo dell'obbligo dell'assicuratore, sicché grava su quest'ultimo l'onere di allegare e provare l'esistenza e la misura del massimale nel rispetto delle preclusioni processuali, a nulla rilevando che al momento dell'introduzione del giudizio quel massimale non fosse ancora esaurito”).

Rapporto tra assicuratore e danneggiato

La problematica relativa al superamento del massimale è stata più volte oggetto di dibattito giurisprudenziale che, con la sentenza della Suprema Corte n. 2653 del 2005, si è data un orientamento quanto più unanime alla disciplina.

Pacifico rilevare che il rapporto tra assicuratore e danneggiato dà luogo all'obbligazione di pagare l'indennità ad estinzione dell'obbligazione risarcitoria dell'assicurato, non oltre i limiti del massimale.

Il superamento del massimale, a sua volta, darà luogo:

a) all'obbligazione di pagamento degli interessi moratori al saggio legale sul capitale corrispondente al massimale, salvo il maggior danno;

b) tra assicuratore ed assicurato/danneggiante, nell'ambito del rapporto contrattuale di assicurazione, il pregiudizio che l'assicuratore cagiona al suo cliente non eseguendo in buona fede il contratto e procrastinando l'estinzione della sua obbligazione risarcitoria, dà luogo a responsabilità per mala gestio.

All'uopo ne consegue che “ l'assicuratore dovrà risarcire al suo cliente il pregiudizio che gli ha causato col non estinguere il debito risarcitorio in misura corrispondente alla indennità dovuta, e di altrettanto dovrà rispondere anche oltre il limite del massimale. I riflessi di tali rilievi sul piano processuale furono poi sintetizzati come segue. Il danneggiato che agisce contro l'assicuratore lo fa esercitando contro di lui l'azione diretta. Ragioni e oggetto di tale domanda sono la responsabilità dell'assicurato nella causazione del danno e la condanna al pagamento della indennità, in misura corrispondente al risarcimento dovuto dal danneggiante, ma nei limiti del massimale (Cass. III, n. 2653/2005).

Interessi di mora e mala gestio

Il diritto al risarcimento del danno da ritardato adempimento è un diritto distinto da quello al pagamento della indennità.

Sebbene il danno da mora non può che essere calcolato sull'ammontare del massimale, il giudice non potrà discostarsi dalla richiesta del danneggiato del pagamento degli interessi, che “nel caso in cui il danno sia già al momento del sinistro pari o superiore al massimale, vanno dunque computati sul massimale stesso dalla data della mora, di norma coincidente con la scadenza dello spatium deliberandi di sessanta giorni dal ricevimento da parte dell' assicuratore della raccomandata con la quale il danneggiato gli abbia richiesto il risarcimento; e, nel caso in cui il danno sia originariamente inferiore al massimale ma ne raggiunga il livello col passare del tempo, dalla data in cui l'equivalenza è superata. Il danneggiato non può invece far valere contro l'assicuratore, come proprio, il diritto al risarcimento del danno che, nel rapporto contrattuale di assicurazione, deriva all'assicurato dal pregiudizio che l'assicuratore gli cagiona non eseguendo la sua obbligazione in buona fede, ovvero sia la responsabilità per mala gestio”. (Cass. III, n. 2653/2005).

Al limite del massimale, il danneggiato potrà essere indennizzato dall'assicuratore, chiedendone la condanna al risarcimento del danno comprensivo di rivalutazione ed interessi, definiti compensativi, ma non potrà agire secondo il risarcimento del danno con rivalutazione ed interessi anche oltre quel limite, “perché questo ulteriore risarcimento può costituire unicamente oggetto di un diritto dell'assicurato, quello corrispondente alla responsabilità per mala gestio dell'assicuratore”, potendo nella fattispecie agire mediante l'azione surrogatoria ai sensi dell'art. 2900 c.c. (Cass. VI, n. 10221/2017).

Invero, proprio nel menzionato recentissimo precedente è chiarito che “Il danno derivante dal ritardato pagamento da parte dell'istituto assicurativo nei confronti del terzo danneggiato non è rappresentato dai meri interessi di mora, ma consiste nella differenza tra "il risarcimento cui l'assicurato sarebbe stato costretto dal terzo, se l'assicuratore avesse tempestivamente adempiuto la propria obbligazione" e "la somma che l'assicurato sarà costretto a pagare al terzo, a causa del ritardo dell'assicuratore e della sopravvenuta incapienza del massimale". A stabilirlo è la Cassazione che fa così chiarezza sulla cosiddetta mala gestio dell'assicuratore della Rca. Per i giudici, inoltre, qualora al momento del pagamento il massimale sia divenuto incapiente, l'assicurato "potrà pretendere il risarcimento integrale, senza riguardo alcuno al limite del massimale, giacché l'assicuratore dovrà in tale ipotesi risarcire non il fatto dell'assicurato (per il quale vige il limite del massimale), ma il fatto proprio, e cioè il pregiudizio patito dall'assicurato e derivato dal colposo ritardo nell'adempimento".

Il danno che l'assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione degli autoveicoli può causare al proprio assicurato, colposamente ritardando l'adempimento dei propri obblighi nei confronti del terzo danneggiato, non è rappresentato dai meri interessi di mora, ma consiste in una differenza: quella tra il risarcimento cui l'assicurato sarebbe stato costretto dal terzo, se l'assicuratore avesse tempestivamente adempiuto la propria obbligazione (e dunque anche zero, se possa presumersi che un tempestivo pagamento non avrebbe ecceduto il massimale), e la somma che, invece, l'assicurato sarà costretto a pagare al terzo, a causa del ritardo dell'assicuratore e della sopravvenuta incapienza del massimale

L'onere della prova del ritardo e del connesso danno incombe sul danneggiato, mentre incombe sulla compagnia l'onere di eccepire e provare la non imputabilità del ritardo (Cass. III, n. 22511/2014).

Risarcimento danno da mala gestio. Rinvio.

Direttamente connesso all'argomento del massimale è la responsabilità della compagnia assicuratrice, per mala gestio.

Per la sua trattazione più completa si rinvia alla corrispondente formula “Appello in tema di azione di risarcimento danni finalizzato ad ottenere il pagamento ultramassimale per mala gestio impropria”.

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