Comparsa di risposta in giudizio di risarcimento del danno per operatività dell'immunità parlamentareInquadramentoCon la comparsa di costituzione e risposta in un giudizio per il risarcimento dei danni derivati dal travalicamento dei limiti della critica politica, il parlamentare convenuto eccepisce l'insussistenza dell'antigiuridicità del fatto per l'operatività della immunità prevista dall'art. 68 Cost. FormulaGIUDICE DI PACE DI ..../TRIBUNALE DI .... R.G. ...GIUDICE ...UDIENZA DEL ... COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA [1] PER l'Onorevole .... nato a ...., il ...., C.F. ... [2], residente in ...., via ...., rappresentato e difeso, per procura in calce (oppure, a margine) del presente atto, dall'Avv. .... C.F. .... presso il cui studio elettivamente domicilia in .... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC.... [3], - convenuto - CONTRO il Sig. .... nato a ...., il ...., rappresentato e difeso dall'Avv. .... -attore - FATTO - Con atto di citazione notificato il .... e depositato il ...., l'istante conveniva dinanzi a questo Giudice di Pace/Tribunale l'Onorevole .... per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito delle dichiarazioni rese dal parlamentare in data ...., e pubblicate sul quotidiano ...., le quali, superando i limiti del diritto di critica, avevano leso gravemente la sua immagine, l'onore e la reputazione. Quantificava, pertanto, il danno in complessivi Euro .... Con il presente atto si costituisce l'Onorevole .... come sopra, il quale chiede rigettarsi la domanda, in quanto inammissibile, improponibile ed improcedibile, nonché infondata in fatto e diritto per le seguenti ragioni in DIRITTO 1. Eccezione di immunità parlamentare ex art. 68 della Costituzione. Si eccepisce innanzitutto la riconducibilità delle affermazioni rese dall'onorevole .... all'insindacabilità di cui all'art. 68 Cost., in quanto eziologicamente connesse all'esercizio delle sue funzioni parlamentari. Invero, le opinioni espresse attraverso la stampa da parte del convenuto costituiscono manifestazioni "extra moenia" del suo pensiero, già esplicitato in precedenza nell'esercizio delle sue funzioni di parlamentare. A questo riguardo si fa rilevare che: alcuni parlamentari del gruppo di appartenenza dell'On. .... avevano presentato in data .... una mozione sulla vicenda di cui si tratta, mozione discussa e approvata dalla Camera anche con il voto del convenuto (documento 1); che lo stesso On. .... aveva depositato successivamente in data .... una interrogazione relativa sempre al caso in questione, dichiarata inammissibile (documento 2); che, inoltre, aveva in seguito, nel mese di .... dell'anno ...., presentato altra interrogazione di analogo tenore, la quale aveva superato il vaglio di ammissibilità (documento 3). A sostegno di quanto appena evidenziato, si rileva che la Camera di appartenenza dell'On. .... ai sensi dell'art. 3 della l. n. 140/2003 (Disposizioni per l'esecuzione dell'art. 68 della Costituzione), con delibera numero ...., del ...., ha espressamente affermato l'insindacabilità delle dichiarazioni rese dal convenuto sulla materia in esame, in quanto manifestate nell'esercizio del mandato Parlamentare (documento 4). Pertanto, la questione pregiudiziale della immunità parlamentare svolge carattere assorbente su ogni altra eccezione di rito e di merito. 2. Difetto di legittimazione passiva In via preliminare si rileva altresì il difetto di legittimazione passiva del convenuto, in quanto le denunciate dichiarazioni, riportate dalla testata giornalistica .... non possono essere attribuite al convenuto, ma sono frutto di una errata elaborazione e/o trascrizione da parte del giornalista. 3. INFONDATEZZA NEL MERITO Nel merito, la domanda è infondata perché si rileva l'assoluta assenza di profili di lesione della altrui reputazione, onore ed immagine nelle presunte dichiarazioni rese dal convenuto. CONCLUSIONI Alla luce di tutto quanto testé evidenziato, voglia l'Ill.mo Giudice di Pace/Tribunale adito, respinta ogni contraria domanda, eccezione e deduzione: 1) In via preliminare, dichiarare l'immunità parlamentare ai sensi dell'art. 68 Cost. e della l. n. 140/2003; 2) In via preliminare, dichiarare il difetto di legittimazione passiva del convenuto; 3) Nel merito, rigettare la domanda poiché destituita di fondamento giuridico e fattuale. Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario. IN VIA ISTRUTTORIA Si chiede di essere ammessi alla prova contraria sulle circostanze di fatto ex adverso articolate con gli stessi testi indicati da controparte e con i seguenti propri testi: 1) Sig. .... residente in ....; 2) Sig. .... residente in .... Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta. Luogo e data .... Firma Avv. .... PROCURA [1] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., dalla l. n. 111/2011). [2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla l. n. 24/2010. A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014. [3] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla l. n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». CommentoFondamento e nozioni. L'immunità è una situazione giuridica soggettiva privilegiata riconosciuta e garantita a determinati soggetti in ragione della loro posizione e funzione istituzionale. Essa può attenere alla persona del titolare della carica (o dell'appartenente all'organo collegiale tutelato), ovvero alla sede in cui esercita la sua funzione. La relativa previsione può recare il proprio fondamento in normative interne o in specifici trattati bilaterali o internazionali. Le immunità si distinguono, oltre che per la fonte disciplinante, per i loro effetti: in particolare, le guarentigie si traducono, talvolta, nella sottrazione del soggetto al giudice naturale, talaltra nella non punibilità o nella affermazione di irresponsabilità per determinate fattispecie criminose, ovvero, ancora, in altre esenzioni civili, in deroga all'ordinamento ordinario. Più comune è il caso di mera posposizione - alla cessazione della carica - di alcune conseguenze pratiche delle procedure che riguardino i soggetti riconosciuti immuni. Gli effetti delle immunità sono, in genere, mitigati in presenza di determinate situazioni eccezionali (è l'es. dell'arresto previsto, in quasi tutti gli ordinamenti, per il caso di commissione di reato comune grave). Giova evidenziare che il campo elettivo delle immunità è, senz'altro, quello dei reati "d'opinione". Nel nostro ordinamento, l'immunità è garantita, innanzitutto, al Presidente della Repubblica, il quale non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni, fatta eccezione per i casi di alto tradimento e di attentato alla Costituzione (art. 90 Cost.), per i quali può esser posto in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, e giudicato dalla Corte Costituzionale, integrata nella sua composizione da 16 cittadini tratti a sorte da un elenco di 45 persone compilato dal Parlamento tra i cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore. Per gli atti non rientranti nel concetto di quelli “eseguiti nello svolgimento delle proprie funzioni”, il Presidente della Repubblica è equiparato a qualsiasi altro cittadino; tuttavia, ragioni di opportunità costituzionale sconsigliano di sottoporre il Presidente al giudizio della magistratura ordinaria, considerata la sua posizione di vertice nel Consiglio superiore della magistratura. L'immunità è, altresì, assicurata ai parlamentari dall'art. 68 Cost. che, attualmente, recita “i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni”. In linea generale, è consentito: sottoporre ad indagini i parlamentari senza richiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza, arrestare il parlamentare in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna e porre in arresto il parlamentare, nel caso in cui sia colto nell'atto di commettere un reato per cui è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza; mentre non è consentito all'autorità giudiziaria, senza la preventiva autorizzazione della Camera: sottoporre a perquisizione personale o domiciliare il parlamentare, arrestare o privare della libertà personale il membro del Parlamento salvo che in caso di sentenza irrevocabile o della flagranza, e procedere ad intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni e a sequestro della corrispondenza. Inviolabilità ed insindacabilità. Con la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3 (che ha modificato l'art. 68 Cost.), dalla prerogativa della inviolabilità è stato eliminato l'obbligo di richiedere l'autorizzazione a procedere per sottoporre a processo penale un parlamentare; nel contempo, si è consentita la detenzione del condannato con sentenza passata in giudicato e si è esteso l'ambito degli atti invasivi - che necessitano di autorizzazione preventiva - anche alle intercettazioni (telefoniche ed ambientali). Nella sent. n. 58 del 2004, la Corte costituzionale ha, con estrema chiarezza, enunciato il valore giuridico, di cui è espressione il comma 2 dell'art. 68 Cost.: esso opera "in vista della tutela dell'interesse del Parlamento al pieno dispiegamento della propria autonomia, esplicantesi anche nel libero esercizio del mandato parlamentare, rispetto agli altri poteri dello Stato". Nel caso che ha interessato la Consulta, si intendeva "garantire al parlamentare l'inviolabilità della sua residenza ed anche di spazi ulteriori identificabili come domicilio"; tuttavia, il medesimo valore giuridico è, in realtà, sotteso all'intera norma secondo cui, senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare. Invero, il comma 3 del medesimo art. 68 accomuna, a tutti i fini, a questa fattispecie quella delle intercettazioni di conversazioni e di conversazioni e del sequestro di corrispondenza di parlamentari. Anche la dottrina ha unificato queste fattispecie nella definizione di "atti invasivi", in quanto le condotte investigative in esse previste non sono necessariamente espletate nell'ambito di indagini a carico del parlamentare interessato. Appare piuttosto evidente come le intercettazioni telefoniche abbiano assunto un valore fondamentale per determinare il senso della nuova dimensione (post modifica del 1993) dell'inviolabilità: proprio su di esse si è sviluppata maggiormente l'elaborazione giurisprudenziale, la quale tende a ridurre ad unità tutte le prerogative delle guarentigie in esame. Al riguardo, la giurisprudenza della Consulta, nella sent. n. 390/2007, offre un'indicazione procedurale inconfutabile: essa individua la sanzione interna al processo come strumento fisiologico con cui reagire all'utilizzo di intercettazioni telefoniche di parlamentari, captate nella conoscenza della loro qualifica di membro del Parlamento in carica. Non meno esplicita è l'indicazione della medesima Corte costituzionale sulla ratio della garanzia prevista dall'art. 68, commi 2 e 3, Cost. (sent. n. 58/2004 per le perquisizioni e sent. n. 188/2010 per le intercettazioni): essa consiste nel tutelare il parlamentare, da illegittime interferenze giudiziarie sull'esercizio del suo mandato rappresentativo; vale, cioè, a proteggerlo dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasività o atti coercitivi delle sue libertà fondamentali possano essere impiegati con scopi di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della giurisdizione. Accanto all'inviolabilità, prerogativa principale della immunità, si rinviene la insindacabilità, in forza della quale il parlamentare non può essere chiamato a rispondere per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle funzioni (art. 68, primo comma, Cost. come modificato dalla Legge cost. 29 ottobre 1993 n.3). In altre parole, il parlamentare non ha nessuna responsabilità penale, civile, amministrativa o patrimoniale per tali attività. In virtù della legge n. 140 del 2003 - cd. legge Boato - la Camera di appartenenza del parlamentare può essere chiamata a pronunciarsi circa la riconducibilità di un determinato comportamento nell'ambito di applicazione della insindacabilità. Ove il giudice competente dissenta, il parlamentare può sollevare conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale. L'immunità è concessa al parlamentare in virtù della sua carica pubblica: qualora egli decada dalla carica, resta ferma l'insindacabilità relativamente ai comportamenti tenuti nel periodo in cui era nell'esercizio delle funzioni, mentre cessa la cosiddetta inviolabilità, cosicché il soggetto potrà tornare a subire i provvedimenti in precedenza soggetti ad autorizzazione. L'immunità sostanziale per le opinioni espresse e i voti dati, dunque, non si esaurisce con la fine del mandato del parlamentare, a differenza dell'immunità procedurale, valida solo per il periodo di carica. In merito alla insindacabilità, la S.C. ha di recente avuto modo di precisare che «le dichiarazioni rese "extra moenia" da un parlamentare europeo - il quale abbia attivato, con esito positivo, la procedura a "difesa dei privilegi e delle immunità" prevista dall'art. 7 del Regolamento del Parlamento europeo - sono insindacabili da parte del giudice nazionale, sempre che non si sostanzino in mere opinioni personali, pur se a valenza politica e/o di critica politica, allorché l'autorità giudiziaria accerti l'esistenza di un nesso funzionale con le attività proprie del parlamentare, la cui ricorrenza non esige, però, che tali dichiarazioni siano estrinsecazione, con identità di tempi e di contenuti, di una concreta iniziativa o di atti parlamentari tipici, risultando sufficiente che esse si pongano in linea di continuità con il ruolo rivestito dall'interessato all'interno del Parlamento europeo, o di sue articolazioni, divulgandone l'attività e le finalità politiche perseguite» (v. così Cass. III, n. 19373/2023; Cass.III, n. 5959/2016). In particolare: atti extrafunzionali e immunità parlamentare Gli atti extra-funzionali possono rilevare, ai fini dell'operatività di un'immunità: detta rilevanza è, tuttavia diversa, a seconda della modalità in cui l'immunità viene fatta valere. La modalità delineata dalla legge, per accertare l'insindacabilità, si fonda sull'eccezione di parte o sul rilievo d'ufficio (comma 2 dell'art. 3 della l. n. 140/2003): quando questo avviene, scatta la "pregiudiziale parlamentare”, che impone la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c.. Al riguardo, giova evidenziare che la S.C., con sentenza n. 23144/13, ha escluso la possibilità di estensione analogica della insindacabilità di cui all'art. 68 Cost. a soggetti diversi dal parlamentare (si è, in particolare, affermato il seguente principio: “l'immunità di cui beneficia il parlamentare per le opinioni espresse, ai sensi dell'art. 68 Cost., può essere invocata solo dal parlamentare stesso e non dall'editore che ne abbia diffuso le opinioni diffamatorie col mezzo della stampa o della televisione. Ne consegue che, nel giudizio di risarcimento del danno proposto dal diffamato nei confronti dell'editore civilmente responsabile, l'intervento volontario del deputato diffamatore non può avere né l'effetto di estendere al convenuto l'insindacabilità di cui all'art. 68 Cost., né quello di provocare la sospensione del processo, ex art. 295 c.p.c., in attesa della deliberazione della Camera di appartenenza circa l'insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato”). È bene precisare che l'atto extrafunzionale, eventualmente allegato in sede processuale, non viene sanato né da una declaratoria di insindacabilità indebitamente pronunciata dalla Camera, né tantomeno da un silenzio della Camera protrattosi oltre il termine di legge: una volta esperita la pregiudiziale, prevarrà la natura sostanziale della guarentigia, sicché se ricorre il nesso funzionale non ci sarà l'illecito, mentre laddove non sussista il nesso non opererà l'insindacabilità. Vale, poi, sottolineare che il cattivo esercizio del potere declaratorio della Camera di appartenenza sarà opportunamente sanzionato dalla Corte costituzionale, in sede di conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato (v. al riguardo Cass. III, n. 534/2012 secondo cui “con riferimento alla prerogativa parlamentare prevista dall'art. 68 Cost., a norma del quale i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, il vizio della deliberazione della camera d'appartenenza che abbia affermato la riconducibilità all'attività parlamentare di espressioni diffamatorie nei confronti di altro parlamentare non può essere accertato dal giudice di merito, il quale può soltanto sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale” (v. anche Corte cost. n. 265/1997). Caratteristica dell'inviolabilità è quella di sottrarre, al magistrato procedente, la possibilità di conoscere - ai fini immunitari - l'extrafunzionalità dell'atto o del comportamento, oggetto del procedimento a carico del parlamentare: sicché, mentre il nesso funzionale si rivela determinante per decidere se un'opinione è stata espressa nell'esercizio delle funzioni di parlamentare, lo stesso nesso è, pressoché, inconferente ai fini della decisione di avanzare richiesta alla Camera per la rimozione dell'inviolabilità di un suo componente. Circa la valutazione della extrafunzionalità dell'atto, la S.C. ha avuto modo di precisare quanto segue: “in tema di risarcimento dei danni per diffamazione a mezzo stampa, la decisione, con la quale il giudice - pur investito dall'autore dell'articolo dell'eccezione di insindacabilità delle opinioni espresse, ex art. 68, primo comma, Cost., perché parlamentare - statuisce sul merito senza esaminare la suddetta eccezione, non è viziata per omessa motivazione, o violazione di norme costituzionali, ma integra una implicita valutazione negativa in ordine al collegamento tra le opinioni espresse nell'articolo e la funzione parlamentare, ove quest'ultima sia stata assunta successivamente ai fatti oggetto di azione risarcitoria” (v. Cass. III, n. 25739/2014). In particolare: immunità di parlamentare Europeo L'art. 8 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità dell'Unione Europea, allegato ai Trattati UE, FUE e CEEA, nell'ottica di tutelare la libertà di espressione e l'indipendenza dei deputati Europei e dell'organo legislativo della Unione Europea, disciplina l'immunità in ragione delle opinioni e dei voti espressi nell'esercizio delle funzioni parlamentari. Come espressamente chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la portata dell'immunità, prevista da tale disposizione, deve essere valutata dal giudice nazionale sulla scorta del diritto dell'Unione, non rivelandosi necessario che il giudice sottoponga la questione al Parlamento Europeo e sospenda il giudizio, qualora non abbia ricevuto informazione di richieste presentate dal deputato al Parlamento Europeo per ottenere la difesa della immunità di cui agli artt. 8 e 9 del Protocollo (cfr., in tal senso, sent. Marra della Corte di Giustizia, Grande Sezione del 21 ottobre 2008; sent. Patriciello della Corte di Giustizia, Grande Sezione del 6 settembre 2011). La Corte di Giustizia, pur interpretando in senso ampio la nozione di "opinione" di cui all'art. 8 Prot. - includendovi "i discorsi e le dichiarazioni che, per il loro contenuto, corrispondono ad asserzioni costituenti valutazioni soggettive" ed anche le dichiarazioni che siano state rese al di fuori delle aule parlamentari -, ha più volte ribadito che, per poter beneficiare dell'immunità, un'opinione deve essere stata espressa da un deputato Europeo "nell'esercizio delle sue funzioni", il che presuppone necessariamente l'esistenza di un nesso tra l'opinione formulata e le funzioni parlamentari, nesso che deve "essere diretto e imporsi con evidenza" (sent. CGUE Patriciello, par. 31-35). In sostanza, affinché operi la dedotta immunità, deve sussistere una sostanziale corrispondenza e una diretta connessione funzionale tra le opinioni espresse e le attività parlamentari concretamente svolte dal parlamentare, non essendo sufficiente una semplice comunanza di argomenti, né un mero "contesto politico", entro cui le dichiarazioni possano collocarsi né, a fortiori, il riferimento alla generica attività parlamentare. Sul piano processuale, la difesa del parlamentare eventualmente convenuto per rispondere dei danni provocati dalle sue dichiarazioni dovrà fornire allegazioni specifiche, sulla scorta delle quali possa ritenersi sussistente un collegamento tra le espressioni incriminate e l'attività parlamentare, non potendo limitarsi ad affermare che le dichiarazioni siano state rese nella veste di membro del Parlamento Europeo, senza allegare alcunché in merito ai contenuti dell'attività parlamentare in concreto svolta, né in ordine all'esistenza di una qualsivoglia connessione tra le affermazioni di cui è causa e l'attività parlamentare de qua. In ogni caso, è doveroso rilevare che il nesso funzionale tra la condotta contestata e l'esercizio delle attribuzioni proprie del rappresentante parlamentare non potrà riconoscersi in tutte quelle ipotesi nelle quali le parole utilizzate non siano espressione di opinioni politiche, seppur manifestate con toni aspri e duramente critici, ma abbiano quale unica finalità la denigrazione e l'offesa, atteso che l'uso del turpiloquio trascende, tout court, dai contenuti riconducibili all'attività parlamentare assistiti dalle immunità in parola (v. Corte cost., n. 249/2006 che ha chiarito che "l'uso del turpiloquio non fa parte del modo del modo di essere delle funzioni parlamentari"). Di recente, in argomento, si segnala Cass. III, n. 16058/2015 secondo cui “qualora l'interessato non chieda al Parlamento la procedura a "difesa dei privilegi e delle immunità", ex art. 7 del Regolamento del Parlamento europeo, il giudice nazionale non è tenuto a sospendere il giudizio, né a chiedere informazioni al Parlamento, ma può valutare in totale autonomia se i fatti ascritti al parlamentare rientrino o meno nell'ambito della insindacabilità di cui all'art. 9 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee siglato a Bruxelles l'8 aprile 1965, mentre, ove la procedura sia stata attivata, e il giudice nazionale ne sia informato, deve sospendere il giudizio e chiedere al Parlamento europeo di emettere un parere, ancorché non vincolante”. |