Atto di citazione per risarcimento danni non patrimoniali per lesione della reputazione (esercizio del diritto)

Emanuela Musi
aggiornata da Fernanda Annunziata

Inquadramento

L'atto attiene ad un ricorso innanzi al Giudice di Pace, onde ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali patiti per effetto della pubblicazione di una vignetta satirica, ritenuta dal giudice penale lesiva della reputazione dell'attore.

Formula

GIUDICE DI PACE DI  .... 1

RICORSO  2 3

PER

il rag. ...., nato a ...., il ...., C.F. .... 4, residente in ...., via ...., rappresentato e difeso, come da procura in calce (oppure, a margine) del presente atto, dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in ..... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC ..... 5

PREMESSO CHE

- in data ...., veniva pubblicato sul quotidiano .... una vignetta satirica a firma di .... con la didascalia «il rag. Sig. .... vuole indietro la sua onorabilità e la mazzetta che ha imprestato alla Finanza» (documento 1);

- la formulazione della detta vignetta faceva chiaramente riferimento alla sentenza della Cassazione (documento 2) relativa al processo per le tangenti cosiddette ...., che aveva confermato la condanna della Società .... ed aveva assolto il rag. ...., il quale aveva dichiarato di aspettarsi che la stampa gli restituisse la sua onorabilità (documento 3);

- stante il contenuto evidentemente diffamatorio delle citate dichiarazioni, l'istante querelava il vignettista ed il direttore del quotidiano che l'aveva pubblicata, ai sensi del c.p. art. 595 (diffamazione) (documento 4);

- il Tribunale penale di ...., con sentenza numero ...., depositata il .... (documento 5), condannava gli imputati di cui sopra, per il reato di diffamazione. La sentenza diveniva cosa giudicata (documento 6);

- con raccomandata a/r del .... (documento 7), l'istante formulava richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali nei confronti dei convenuti;

- con racc. a/r del .... (documento 8), i convenuti ritenevano insussistente qualsivoglia richiesta risarcitoria, ritenendo, così come in sede penale, che la vignetta in parola doveva intendersi quale espressione satirica, la quale come forma artistica che mira all'ironia sino al sarcasmo e alla irrisione di chi eserciti un pubblico potere, trova tutela nell'ordinamento;

- contrariamente a quanto ritenuto dalle controparti, sussiste in relazione al caso di specie, il diritto dell'istante ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

Invero, è generalmente riconosciuto che la satira proprio per le sue dichiarate finalità censorie, perseguite attraverso l'arma dell'irrisione, frequentemente si pone in aperta rotta di collisione con altri valori fondamentali della persona, parimenti tutelati dalla norma costituzionale, quali il diritto all'onore ed alla dignità. In effetti, la satira è stata definita quale espressione del pensiero, anche artistica, avente natura ibrida, combinazione culturale ove si mescolano e combinano sberleffi e cultura, volgarità ed arte, critiche ed insolenze, derisione e riflessione, riso ed amarezza, verità ed esagerazione, moralità e scherno, indignazione ed ilarità, deformazione e realtà.

Attraverso la satira si fustigano i costumi di un'epoca, quelli che sono percepiti nella società in un dato momento della vita del paese. Tale forma artistica mira all'ironia sino al sarcasmo ed anche si spinge sino alla irrisione di chi esercita il pubblico potere (nella gran parte dei casi), o dei soggetti conosciuti nel contesto sociale considerato, costituendosi così come "mezzo essenziale di controllo sociale" nei confronti del potere politico ed economico, utilizzando contro gli aspetti più arroganti del potere e della notorietà l'arma incruenta del sorriso. E' altresì pacifico che la critica politica possa e debba essere anche incisiva risultando consentito, quindi, anche l'uso di espressioni “forti”, tenuto conto dell'importanza degli argomenti trattati.

Tuttavia, deve peraltro ritenersi assunto consolidato che la satira, per essere legittima e non integrare, per quanto interessa, il reato di diffamazione, non si possa mai comunque sottrarre al rispetto del limite della «continenza» 6.

Tant'è che in relazione al caso in esame, il Tribunale Penale di ...., ravvisava la sussistenza del reato di diffamazione, proprio alla luce del superamento del citato limite. Ciò perché la vignetta e la relativa espressione satirica utilizzata contenevano di fatto la veicolazione di una notizia di cronaca politica.

A tal proposito, va evidenziato che, allorquando nel contesto del discorso satirico, ma al di fuori dell'oggetto della satira, venga veicolata una notizia, si ha l'obbligo di riferire una notizia vera, non potendo diversamente invocarsi la scriminante dell'esercizio del diritto di satira.

Una tale conclusione infatti è imposta dal rilievo che anche la satira, come tutte le espressioni del pensiero, non può mai essere utilizzata quale strumento per un attacco gratuito alla persona che ne costituisce l'oggetto, così da esporre detta persona al disprezzo e al ludibrio del pubblico.

Pertanto, se da un lato la satira incontra il limite della "continenza", limite generale rappresentato dal divieto di gratuiti e strumentali attacchi personali diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato, dall'altro, se si accompagna – come nel caso di specie - anche alla comunicazione di notizie, incontra un ulteriore limite, questa volta più stringente, relativo alla verità dei fatti narrati.

In buona sostanza, la satira tutte le volte in cui risponde a finalità informative deve essere anch'essa assoggettata al limite della verità posto per il legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica, pur senza dimenticare che i criteri di valutazione di tale limite devono presentare una maggiore elasticità.

Per tali ragioni il rag. .... ha diritto ad un risarcimento danni proporzionato alla portata e natura di false informazioni fornite, connesse alla sue condizioni sociali, alla collocazione professionale, nonché al contestuale discredito e lesione del decoro e della dignità. La quantificazione va rimessa all'equo apprezzamento del Giudice adito.

Tanto premesso, il rag. ...., come sopra, chiede che l'Ill.mo Giudice di pace di…… voglia fissare con decreto emesso entro cinque giorni dalla designazione del Giudice, l'udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto che dovrà avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza, con avvertimento che la mancata costituzione o la costituzione oltre i termini comporterà le decadenze di cui agli artt. 38 e 281 undecies, comma 3 e 4, c.p.c., che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi speciali, e che esso convenuto, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che in caso di mancata costituzione si procederà in sua legittima e dichiaranda contumacia, per ivi sentir accogliere le seguenti

conclusioni

- accertare e dichiarare la esclusiva responsabilità dei convenuti in ordine alla pubblicazione diffamatoria ed ingiuriosa nei confronti di .... e per l'effetto:

- condannare i convenuti in via solidale, al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti e subendi, da liquidarsi in via equitativa, nella misura di € .... o in quella diversa, minore o maggiore, comunque ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi nella misura di legge sulla somma rivalutata.

Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario.

IN VIA ISTRUTTORIA

(indicazione dei mezzi istruttori di cui si intende valere): (ESEMPIO)

Si chiede di essere ammesso alla prove per testimoni sulle circostanze indicate in premessa/in punto di fatto, dal numero .... al numero ...., preceduti dalla locuzione “Vero è che”, ovvero sulle seguenti circostanze (formulare i capi di prova preceduti dalla locuzione “Vero che....”).... A tal fine si indicano come testimoni i Sig.ri: 1) Sig. ...., residente in ....; 2) Sig. ...., residente in .....

Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta.

Ai sensi del d.P.R. n. 115/2002 e successive modificazioni, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro ........_ e, pertanto, all'atto di iscrizione a ruolo della causa, viene versato un contributo unificato pari ad Euro .....

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA

ISTANZA NOTIFICA

[1] In tema di competenza per territorio, ai fini della determinazione dei fori facoltativi alternativamente previsti dall'art. 20 c.p.c. (forum contractus e forum destinatae solutionis), va intesa come 'obbligazione dedotta in giudizio' l'obbligazione nascente dal controverso contratto, sia che di essa si chieda l'adempimento o l'accertamento, quale petitum della domanda giudiziale, sia che di essa venga prospettato l'inadempimento come causa petendi della domanda, mirante a conseguire, per effetto dell'inadempimento stesso, la risoluzione contrattuale ed il risarcimento dei danni. Parimenti, nell'ipotesi di sola richiesta di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, per la determinazione del foro competente deve farsi riferimento non già al luogo ove si è verificato l'inadempimento, ma a quello in cui si sarebbe dovuta eseguire la prestazione rimasta inadempiuta o non esattamente adempiuta, della quale il risarcimento è sostitutivo (vale a dire, quella originaria e primaria rimasta inadempiuta, non quella derivata e sostitutiva), e ciò anche quando il convenuto contesti in radice l'esistenza della obbligazione stessa. Pertanto, per giudice del luogo dove è sorta l'obbligazione non deve intendersi quello del luogo in cui, verificandosi il danno, è sorto il relativo diritto al risarcimento. Il foro stabilito dall'art. 20 c.p.c., per le cause relative a diritti di obbligazione concorre con i fori generali di cui agli art. 18 e 19 c.p.c. e l'attore può liberamente scegliere di adire uno dei due fori generali, oppure il foro facoltativo dell'art. 20 c.p.c. La norma - infatti - stabilisce che per le cause relative a diritti di obbligazione (tra le quali rientrano anche le obbligazioni scaturenti da responsabilità extracontrattuale) è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi la obbligazione. In particolare, in tema di obbligazioni nascenti da fatto illecito, l'azione di risarcimento sorge nel luogo in cui l'agente ha posto in essere l'azione produttiva del danno (forum commissi delicti) e in relazione a tale luogo deve essere determinata la competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (Cass. II, 11/06/2014, n. 13223).

[2] E' obbligatorio il ricorso alla procedura di negoziazione assistita (che costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale) nelle ipotesi in cui la somma pretesa non superi l'importo di 50.000 euro (art. 3 d.l. 132/2014, conv. con modif. in l. n. 162/2014) e dovrà essere prodotta la relativa documentazione. Va, in proposito, ricordato che la negoziazione è prescritta, quando si intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 Euro, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria (in altri termini, la procedura di negoziazione assistita non opera quando è prevista la mediazione obbligatoria). Ebbene, quest'ultima non è prescritta in subiecta materia, se si fa eccezione per il risarcimento del danno derivante da responsabilità medica. In ogni caso, la negoziazione non è condizione di procedibilità della domanda giudiziale (e, quindi, è sempre e solo volontaria) per le controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori (art. 3 legge n. 162/2014).

[3] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., dalla l. n. 111/2011).

[4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla l. n. 24/2010. A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014.

[5] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla l. n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[6] Cass. pen. V, n. 5065/2013.

Commento

Esercizio del diritto in genere.

Tra le ipotesi che escludono il sorgere di una responsabilità risarcitoria a carico di un soggetto autore di un fatto lesivo, il nostro ordinamento prevede l'esercizio di un diritto.

Tale causa escludente l'antigiuridicità di una condotta attiva od omissiva trova espressa previsione normativa nell'art. 51, c.p., a tenore del quale, appunto, l'esercizio di un diritto esclude la punibilità di un fatto di reato.

La previsione normativa in oggetto richiama, tuttavia, un principio che assume rilevanza per tutto l'ordinamento giuridico, non solo dunque in ambito penale; invero la detta norma si fonda sul cd. “principio di non contraddizione”, per il quale il nostro diritto positivo non può, da un lato, riconoscere al soggetto la possibilità di agire in un certo modo e, dall'altro, sanzionare, sia in ambito civile che penale, la sua condotta conforme a quanto previsto per legge.

L'esercizio di un diritto, inoltre, è adoperato per escludere, sia la rilevanza penale che civile di determinate condotte che, astrattamente, appaiano lesive dell'altrui onore e/o reputazione, con ciò dunque potendo essere fonte di responsabilità risarcitoria per il soggetto che le pone in essere, in disparte la loro sussumibilità sotto alcune fattispecie di reato.

A tal riguardo, la figura giuridica in oggetto assume precipua rilevanza nella misura in cui consente un bilanciamento tra contrapposti interessi, aventi rilievo costituzionale.

Da una parte, il diritto all'onore e alla reputazione, diritto inviolabile della persona (art. 2, Cost.), nonché espressione della dignità sociale attribuita a tutti i cittadini dall'art. 3, comma 1, Cost.. Dall'altro lato, il diritto di tutti a manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione (art. 21, comma 1, Cost.), indubbia espressione del diritto di libertà personale di cui all'art. 13, Cost..

In particolare, l'esercizio del diritto di cronaca e del diritto di critica. Fondamento e nozione.

Al fine di realizzare un adeguato contemperamento tra i menzionati valori costituzionali, Dottrina e Giurisprudenza hanno elaborato le nozioni di “diritto di cronaca” e di “diritto di critica”, riconducendole all'alveo di cui all'art. 51, c.p. e contribuendo a definirne gli ambiti di operatività.

Nel dettaglio, il diritto di cronaca si identifica in quella situazione giuridica soggettiva che consente l'esposizione di fatti di indubbio interesse e rilevanza per la collettività, allo scopo di informare i consociati; viceversa, il diritto di critica, attiene ad una dimensione propriamente valutativa dei fatti, risolvendosi nella espressione di un consenso o dissenso rispetto ad una certa analisi, ovvero ad un determinato accadimento.

Ne discende che i menzionati diritti di cronaca e di critica, attengono a due attività aventi funzioni diverse, benché entrambe riguardanti fatti di pubblico interesse e personaggi pubblici; tuttavia, l'attività di cronaca comporta esclusivamente un'esposizione dei fatti a scopo informativo, in tal modo esigendosene il carattere di scrupolosa obiettività; la critica, invece, consiste in una attività valutativa di fatti, opinioni e condotte altrui.

Ciò posto, mentre l'esigenza di obiettività nella narrazione è alla base del diritto di cronaca, non altrettanto può dirsi per il diritto di critica che, non concretizzandosi nella narrazione di fatti, ma nell'espressione di una opinione o giudizio, non può essere rigorosamente imparziale ed oggettiva, poiché è ineludibile espressione del retroterra culturale e formativo di chi lo formula (Cass. pen. V, n. 6416/2004).

Le condizioni per l'esercizio dei diritti di cronaca e di critica.

Le evidenziate differenze tra le due situazioni giuridiche soggettive in commento contribuiscono, altresì, a chiarire le diverse condizioni legittimanti il loro esercizio.

Invero, con riferimento al diritto di cronaca, è stato precisato che, affinché lo stesso possa dirsi legittimamente sussistente ed essere esercitato, occorre che: la notizia oggetto di narrazione e pubblicazione sia vera; sussista un interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); l'esposizione dei fatti avvenga con formale correttezza (c.d. continenza) – cfr. ex multis, Cass. III, n. 4897/2016; Cass. III, n. 6877/2000 e Cass. III, n. 41/1997.

Nello specifico, la cronaca deve riferire fatti veri e non falsificati, come quando si ometta scientemente di portare a conoscenza aspetti o argomenti idonei a stravolgerne il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, allusioni, insinuazioni, sofismi, obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (o ascoltatore) rappresentazioni della realtà obiettiva; il che si esprime con la formula che "il testo va letto nel contesto" (Cass. III, n. 18174/2014). Infatti, ha, all'uopo precisato la giurisprudenza che "... la cronaca ha come fine l'informazione e perciò consiste nella mera comunicazione delle notizie per cui, se il giornalista, sia pur nell'intento di dare una compiuta informazione, opera un propria ricostruzione di fatti già noti, ancorché nel sottolineare dettagli, all'evidenza propone una opinione" (Cass. III, n. 18174/2014).

Con riguardo alle altre due condizioni legittimanti l'esercizio del diritto di cronaca, è stato sostenuto che la rilevanza pubblica della notizia richiede un bilanciamento, ravvisabile nella pertinenza dell'informazione rispetto all'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza del fatto, che deve essere narrato con continenza, intesa come correttezza formale dell'esposizione e non eccedenza da quanto strettamente necessario per il pubblico interesse (Cass. III, n. 17211/2015).

Il legittimo esercizio del diritto di critica, non richiede l'obiettività dell'opinione espressa, costituendo la stessa espressione del diritto costituzionale di libera manifestazione del pensiero (art. 21, comma 1, Cost.); tuttavia, essa deve pur sempre corrispondere all'interesse sociale alla comunicazione ed a quello della correttezza del linguaggio, senza mai sfociare in ingiurie ed offese gratuite e senza mai trascendere in attacchi personali diretti a colpire sul piano individuale la figura del soggetto criticato (ex multis, Cass. III, n. 4897/2016 e Cass., n. 2661/2013).

In argomento, è stato precisato che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio del diritto di critica, che, quale manifestazione della propria opinione, non può essere totalmente obiettivo e può manifestarsi anche con l'uso di un linguaggio colorito e pungente, è condizionato, al pari del diritto di cronaca, dal limite della continenza, sia sotto l'aspetto della correttezza formale dell'esposizione, sia sotto quello sostanziale della non eccedenza dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse, sicché deve essere accompagnato da congrua motivazione del giudizio di disvalore incidente sull'onore o la reputazione, e non può mai trascendere in affermazioni ingiuriose e denigratorie o in attacchi puramente offensivi della persona presa di mira (Cass. III, n. 1434/2015). In particolare, la S.C. ha avuto modo di precisare, anche di recente, che il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi, cosicché, ai fini della efficacia esimente, occorre che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive (in tal senso cfr. Cass. III, ord. n. 25420/2017)

Tale differente ambito di operatività del diritto in commento, soprattutto rispetto all'esercizio del diritto di cronaca, limitato dalla giurisprudenza, come visto, in più stringenti limiti, è stato giustificato sulla base del fatto che la critica consiste in una manifestazione di una opinione, e, come tale, non può che essere soggettiva e corrispondente al punto di vista del soggetto che la esprime, con la conseguenza che i giudizi critici non possono essere suscettibili di valutazioni che pretendano di ricondurli a verità oggettiva (Cass. pen., n. 3477/2000 e Cass. pen., n.935/1999).

In proposito, va fatto rilevare che, sovente, nella pratica si verifica che la esposizione di fatti determinati (cronaca) sia resa insieme alle opinioni (critica) di chi la compie, in modo da costituire nel contempo esercizio del diritto di critica e di cronaca. Ciò rende necessario quel bilanciamento dell'interesse individuale alla reputazione, inteso come considerazione della persona da parte dei consociati con quello della libera manifestazione di pensiero, costituzionalmente garantita; un bilanciamento ravvisabile nella pertinenza della critica all'interesse della opinione pubblica alla conoscenza non tanto del fatto oggetto di critica, quanto della sua interpretazione (Cass. III, n. 4897/2016 e Cass. III, n. 15443/2013).

Quanto sin qui rappresentato in ordine alla perimetrazione dell'esercizio legittimo del diritto di cronaca, in un'ottica di bilanciamento tra contrapposti e prevalenti interessi e diritti, deve necessariamente confrontarsi con l'avvento e la sempre più massiva proliferazione degli strumenti di comunicazione via internet, strumenti questi idonei ad alimentare una diffusione capillare e continua di informazioni, talvolta subordinate ad un processo di distorsione rectius manipolazione nei vari “passaggi” da un canale all'altro. Sul punto, merita segnalazione la sentenza n. 150/2021 con cui la Corte Costituzionale ha osservato come i moderni mezzi di comunicazione «possono incidere grandemente sulla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime. E tali danni sono suscettibili, oggi, di essere enormemente amplificati proprio dai moderni mezzi di comunicazione, che rendono agevolmente reperibili per chiunque, anche a distanza di molti anni, tutti gli addebiti diffamatori associati al nome della vittima. Questi pregiudizi debbono essere prevenuti dall'ordinamento con strumenti idonei, necessari e proporzionati, nel quadro di un indispensabile bilanciamento con le contrapposte esigenze di tutela della libertà di manifestazione del pensiero, e del diritto di cronaca e di critica in particolare».L'impiego di tali strumenti e la connessa veicolazione di contenuti potenzialmente diffamatori determina una diversa valutazione degli elementi configuranti una responsabilità risarcitoria; in particolare, quanto alla prova della percezione da parte di una pluralità di soggetti dei messaggi diffamatori, essa è oggetto di presunzione allorquando le «espressioni siano inserite in un sito internet, che è per sua natura destinato ad essere normalmente visitato da un numero indeterminato di soggetti, analogamente a quanto si presume nel caso di un tradizionale giornale a stampa, nulla rilevando l'astratta possibilità che la sua conoscenza sfugga a tutti o a determinati soggetti» (Cass. pen. 34916/2010).

Ulteriori profili di problematicità si pongono in riferimento alla individuazione del soggetto responsabile della pubblicazione dei contenuti denigratori. Sul punto, ferma la responsabilità dell'autore materiale, va affrontato il tema della responsabilità del provider, distinguendo tra hosting provider attivo o passivo. Quest'ultimo ha un ruolo tecnico, incorrendo in responsabilità solo se, conoscendo l'illiceità del contenuto, non si attivi per rimuoverlo ovvero disabilitarne l'accesso, a condizione che si versi in ipotesi di manifesta illiceità. Diversamente, l'hosting provider attivoè il prestatore di servizi che dispone di un grado di controllo più elevato sui contenuti o che interferisce con i contenuti memorizzati e che, dunque, può venire effettivamente a conoscenza dell'illiceità dell'attività o dell'informazione archiviata a prescindere dalla contestazione da parte del terzo; in tal caso, egli può incorrere in responsabilità concorsuale nella commissione dell'illecito, laddove la sua attività vada a «completare e arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati», in presenza dell'elemento soggettivo e di particolari «indici di interferenza» o fattori spia, quali ad esempio: «attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione, promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l'effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati» (Cass. civ., n. 7708/2019). In ogni caso, non si trattadi una responsabilità oggettiva o per fatto altrui, ma di responsabilità per fatto proprio colpevole, innanzi ad una situazione di illiceità manifesta dell'altrui condotta, di cui non si impedisce la protrazione.

In tale cornice sostanziale, si inscrive la pronuncia della Corte di legittimità n. 13411/2023 secondo cui  “in tema di danni da diffamazione, l'uso di una piattaforma come "twitter", o altre equivalenti, implica l'osservanza del limite intrinseco del giudizio che si posta in condivisione, il quale, come ogni giudizio, non può andar disgiunto dal contenuto che lo contraddistingue e dalla forma espressiva, soprattutto perché tradotto in breve messaggio di testo per sua natura assertivo o scarsamente motivato; il "post" in "twitter" non esime l'autore dal necessario rispetto della continenza espressiva, in quanto non può concretizzare una manifestazione del pensiero irresponsabile sol perché veicolata tramite il mezzo prescelto. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto superato il limite della continenza in una serie di "post" pubblicati in "twitter" da un ex senatore e contenenti espressioni lesive della funzione istituzionale svolta dalla Consob)”.

Il diritto di satira.

Nell'ambito del diritto di cronaca e di quello di critica, si colloca, altresì, quello di satira, espressione maggiormente dura, pungente ed aspra del diritto di critica, alla quale si ricorre per formulare giudizi critici con riguardo ai comportamenti di personaggi pubblici.

A tal riguardo, la giurisprudenza ha fornito una definizione della satira, come modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all'obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto, pur soggetto al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguita. Conseguentemente nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o dal comportamento preso di mira e non si risolvano in una espressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato (Cass. III, n. 21235/2013).

In tale ottica, ciò che determina l'abuso del diritto è la gratuità delle affermazioni non pertinenti ai temi in discussione e prive di alcuna rilevanza pubblica, bensì tendenti unicamente a screditare il personaggio pubblico sul piano personale, piuttosto che a criticarne i programmi, le dichiarazioni o le azioni.

L'abuso dei diritti di cronaca critica e satire e le conseguenze sul piano risarcitorio.

L'esercizio dei menzionati diritti, al di fuori delle relative condizioni legittimanti può, in via generale ed astratta, ledere l'altrui onore e/o reputazione, in tal modo cagionandogli dei pregiudizi da risarcire.

Quanto alle tipologie di danno risarcibili dall'abuso nell'esercizio dei diritti in oggetto, emergono ictu oculi le lesioni cagionate alla reputazione, da inquadrarsi nell'ambito dell'unica categoria del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059, c.c., trovando il suo fondamento normativo nell'art. 2, Cost., inteso quale precetto nella sua più ampia dimensione di clausola generale, “aperta” all'evoluzione dell'ordinamento e suscettibile, per ciò appunto, di apprestare copertura costituzionale anche a nuovi valori emergenti della personalità, in correlazione anche all'obiettivo primario di tutela “del pieno sviluppo della persona umana”, di cui al successivo art. 3, comma 2, Cost. (Cass. III, n. 18174/2014).

Inoltre, il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione al diritto alla reputazione, non è in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento (Cass. Sez. Lav. 2968/2021; Trib. Bari, 25 ottobre 2021, pronunciatasi sulla domanda risarcitoria formulata da uno studente per lesione della privacy e danno alla propria reputazione, asseritamente cagionato dalla condotta della sua insegnante che, nell'ambito di una conversazione intrattenuta sui social network, si lamentava della grafia dello studente, ritenuta pessima, e sottolineava come lo stesso alunno fosse stato "beccato con fotocopie mini durante la prova scritta di filosofia”; il Tribunale rigettò la domanda reputando non dimostrato il danno alla sua reputazione, non qualificabile in re ipsa; Cass. III, n. 21865/2013); fermo restando che la prova di tale danno può essere data con ricorso al notorio e tramite presunzioni (Cass. III, n. 16543/2012), assumendo, a tal fine, come idonei parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della persona colpita, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale.

In proposito, va, altresì, rilevato che può configurarsi anche un danno patrimoniale, quale conseguenza della diffamazione, diversa e distinta dalla lesione del bene persona (Cass. III, n. 18174/2014).

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