Atto di citazione per risarcimento danni provocati da soggetto incapace; imputabilità

Emanuela Musi

Inquadramento

Con l'atto di citazione per il risarcimento dei danni conseguenza di un morso da parte di un cane il cui padrone era soggetto dedito all'uso di sostanze stupefacenti, il danneggiato invoca la responsabilità ex art. 2052 c.c. del convenuto evidenziando come, ai fini dell'attribuzione soggettiva dell'illecito, non rilevi l'imputabilità del soggetto.

Formula

TRIBUNALE DI ....

ATTO DI CITAZIONE

PER

il Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., via ...., rappresentato e difeso, come da procura in calce (oppure, a margine) del presente atto, dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in .... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax n ...., ovvero all'indirizzo PEC ....

PREMESSO CHE

— in data ...., alle ore .... circa ...., nel mentre l'istante passeggiava in ...., via ...., veniva aggredito da un cane di razza ...., che lo mordeva ripetutamente su tutto il corpo;

— solo grazie all'intervento del Sig. ...., successivamente rivelatosi proprietario e custode del cane al momento del fatto, il Sig. ....veniva liberato dalle fauci dell'animale;

— conseguentemente condotto presso l'ospedale di ...., veniva sottoposto a cure mediche e gli venivano riscontrate le seguenti lesioni fisiche ...., ritenute guaribili in giorni ....(documento 1);

— con racc. a.r. del .... (documento 2), l'istante formulava richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali al Sig. ...., quantificati, anche a mezzo di consulenza tecnica di parte medico-legale, in complessivi euro ....(documento 3);

— con racc. a.r. del .... (documento 4), l'Avvocato del Sig. .... negava ogni addebito di responsabilità in capo al suo cliente, asserendo che lo stesso al momento del fatto non fosse capace di intendere e d volere, poiché, come da documentazione medica che allegava, l'attuale convenuto è dedito all'utilizzo di stupefacenti, rilevando in tale circostanza la sua non imputabilità per “cronica intossicazione da sostanze stupefacenti”;

— contrariamente a quanto sostenuto da parte avversa, sussiste la piena responsabilità del Sig. .... in ordine al sinistro di cui sopra ai sensi dell'art. 2052 c.c., in quanto proprietario e custode dell'animale al momento della suindicata aggressione.

Invero, la fattispecie aquiliana in esame è tra quelle per la quale sussiste un'ipotesi di responsabilità oggettiva, per cui l'imputabilità non costituisce un necessario presupposto dell'illecito.

Infatti, l'elemento della capacità di intendere e di volere cessa di essere rilevante in tutti i casi - come quello in esame - in cui opera un criterio di imputazione oggettiva del danno, ipotesi nelle quali non viene in rilievo un comportamento umano da valutare o non esiste addirittura un'azione dell'uomo, ma solo un fatto produttivo di danno.

Pertanto, nella fattispecie di responsabilità oggettiva, che predeterminano con criteri oggettivi il soggetto responsabile, indipendentemente dalla sua condotta, e limitano la prova liberatoria al caso fortuito, l'indagine sulla capacità di volere è del tutto irrilevante.

Di talché, la piena ed incontrovertibile responsabilità del Sig. .... in relazione al sinistro de quo, a carico del quale è la prova liberatoria, consistente nella dimostrazione del caso fortuito.

Tanto premesso, il Sig. ...., come sopra,

CITA

— il Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., via ...., a comparire innanzi all'Ill.mo Tribunale di ...., Giudice istruttore designando ai sensi dell'art. 168 bis c.p.c., all'udienza del ...., ore di rito, con invito ex art. 163 c.p.c. a costituirsi, nelle forme e nei modi di cui all'art. 166 c.p.c.,entro 70 giorni prima dell'udienza su indicata, e con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini comporterà le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., che la difesa tecnica è obbligatoria in tutti i giudizi dinanzi al Tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall’art. 86 o da leggi speciali e che la parte, sussistendone i presupposti di legge può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio gratuito a spese dello stato e che, non costituendosi, si procederà, ugualmente, in sua contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni:

— accertare e dichiarare la esclusiva responsabilità di Sempronio in ordine al sinistro per cui è causa, e per l'effetto, condannare quest'ultimo al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti all'aggressione, che si quantificano in complessivi Euro ...., ovvero nella somma diversa, minore o maggiore, ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi nella misura di legge sulla somma rivalutata.

Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario.

IN VIA ISTRUTTORIA

(indicazione dei mezzi istruttori di cui si intende valere): (ESEMPIO)

Si chiede di essere ammesso alle prove per testimoni sulle circostanze indicate in premessa/in punto di fatto, dal numero .... al numero ...., preceduti dalla locuzione “Vero è che”, ovvero sulle seguenti circostanze (formulare i capi di prova preceduti dalla locuzione “Vero che .... ”) .... A tal fine si indicano come testimoni i Sig.ri: 1) Sig. ...., residente in ....; 2) Sig. ...., residente in ....

Si chiede, altresì, in caso di contestazione, che venga disposta apposita CTU medico-legale (consulenza tecnica d'ufficio), al fine di accertare il nesso eziologico e quantificare i danni riportati dall'attore.

Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta.

Ai sensi del d.P.R. n. 115/2002, e successive modificazioni, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro .... e, pertanto, all'atto di iscrizione a ruolo della causa, viene versato un contributo unificato pari ad Euro ....

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA

ISTANZA NOTIFICA

Commento

Nozione. Fondamento

Il prevalente orientamento dottrinario nega che, ai fini della determinazione della nozione di imputabilità, rilevante ai sensi dell'art. 2046 c.c., possa farsi riferimento alla disciplina penalistica ovvero alle definizioni di incapacità legale e naturale di agire contemplate dal codice civile in tema di autonomia negoziale. La S.C., al riguardo, ha avuto modo di evidenziare che, mentre la legge penale enuncia le cause in presenza delle quali il soggetto, per presunzione iuris ed de iure, debba ritenersi incapace di intendere e di volere, la legge civile affida la valutazione relativa al giudice (v. Cass. III, n. 11163/1990). Si è, tuttavia, osservato che la comune base psicologica delle distinte nozioni permette di rilevare una profonda analogia tra le stesse, tale da giustificare un reciproco scambio tra criteri e soluzioni elaborate nei diversi settori dell'ordinamento.

Si precisa in dottrina che il giudizio sull'imputabilità è sostanzialmente distinto da quello sulla colpevolezza, riguardando quest'ultimo le modalità oggettive del comportamento, e cioè la presenza di una colpa modellata su parametri di valutazione sociale.

Il fondamento della disposizione di cui all'art. 2046 c.c. viene comunemente ravvisato nella esigenza di protezione del soggetto incapace. La capacità di intendere e di volere viene, generalmente, identificata come quel minimo di attitudine psichica ad agire e valutare le conseguenze del proprio operato affinché, secondo la comune coscienza, sia possibile ritenere che il fatto dannoso si ponga quale conseguenza di una libera scelta dell'autore. L'incapacità, si precisa, può riguardare sia la sfera intellettiva che quella volitiva.

Accertamento della incapacità

L'incapacità di intendere e di volere deve essere, di volta in volta, accertata dal giudice in base a criteri tratti dalla comune esperienza e da nozioni di scienza; in particolare, si afferma in giurisprudenza che il giudice potrà compiere la valutazione anche facendo ricorso a presunzioni, quali il riferimento alla età del minore ovvero al tipo di studi seguiti (v. così Cass. III, n. 23464/2010 secondo cui “ai fini di cui all'art. 2047 c.c., per affermare o escludere la capacità di intendere e di volere di un minore d'età, autore di un fatto illecito, il giudice di merito non è tenuto a compiere una indagine tecnica di tipo psicologico quando le modalità del fatto e l'età del minore siano tali da autorizzare una conclusione in un senso o nell'altro”; conf. Cass. III, n. 565/1985).

La circostanza che l'autore del fatto illecito abbia o meno superato il quattordicesimo anno di età, che rappresenta uno degli elementi decisivi per stabilire l'imputabilità in sede penale, è destinata a non spiegare alcun rilievo in sede civile (Cass. III, n. 2291/1964).

La capacità di intendere e di volere del minore e dell'infermo di mente dovranno, pertanto, essere accertate caso per caso (v. ad es. Cass. III n. 8740/2001 secondo cui “il giudice non può limitarsi a tener presente l'età dell'autore del fatto ma deve anche considerarne lo sviluppo intellettivo, quello fisico, l'assenza di eventuali malattie ritardanti, la forza del carattere, la capacità del minore di rendersi conto della illiceità della sua azione e la capacità del volere con riferimento all'attitudine di autodeterminarsi”). Da quanto sinora argomentato discende l'ulteriore conseguenza che la dichiarazione di interdizione non rileva ai fini dell'art. 2046 c.c., dovendosi accertare, in relazione al momento specifico di realizzazione del fatto dannoso, anche la capacità di intendere e di volere dell'interdetto (ad analoga conclusione si giunge con riguardo alla persona sottoposta ad amministrazione di sostegno).

L'accertamento del giudice di merito della capacità di intendere e di volere del minore, ossia della sua idoneità all'autodeterminazione, nella consapevolezza dell'incidenza del proprio operare sul mondo esterno, si risolve in una valutazione di fatto che, se correttamente motivata, è incensurabile in sede di legittimità (v. Cass. I., n. 2087/1984).

Secondo un certo orientamento, sarebbe configurabile anche la cd. incapacità parziale: è il caso di certe perturbazioni o insufficienze psichiche tali da essere rilevanti, non in rapporto ad ogni categoria di atti, ma solo in relazione a certi tipi di comportamento specificamente intaccati dalla perturbazione o insufficienza in questione, con la conseguenza che l'individuo dovrebbe essere considerato non imputabile soltanto ove compia quel certo tipo di atto e, invece, imputabile per tutti gli altri (si pensi ai disturbi psichici della sfera sessuale ed agli illeciti commessi al di fuori del loro ambito; es. furto). Non occorrerebbe, in tal caso, la prova specifica che, nel caso concreto, l'atto sia stato compiuto in presenza dell'anomalia in questione, rivelandosi sufficiente stabilire in base all' id quod plerumque accidit che, date tutte le circostanze del caso, un individuo non colpito da quella anomalia non avrebbe compiuto quel determinato atto.

Si è, poi, chiarito che, ai fini della determinazione dell'imputabilità o meno del fatto dannoso, occorre aver riguardo alla legge vigente al momento del fatto (Cass. III, n. 13907/2002).

In particolare: il concorso del fatto colposo dell'incapace

La affermata non coincidenza tra giudizio sulla imputabilità e giudizio sulla colpevolezza implica che il comportamento del danneggiato, incapace di intendere e di volere, concorrente nella produzione dell'evento dannoso, possa integrare il fatto colposo del danneggiato-creditore, previsto dall'art. 1227 c.c., comma 1, applicabile in tema di responsabilità extracontrattuale per il richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c. Invero, l'espressione “fatto colposo” che compare nell'art. 1227 c.c. deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, e non quale sinonimo di comportamento colposo (v. così Cass. III, n. 14548/2009). Sicché ad es., in tema di eventi dannosi derivati dalla circolazione stradale, il fatto del minore danneggiato che, con il suo comportamento abbia contribuito alla produzione del danno, sarà valutabile dal giudice al fine di stabilire il concorso delle colpe e la loro compensazione, con la conseguente riduzione proporzionale del danno da risarcire (così, specificamente, Cass. III, n. 4332/1994). A fronte della tesi secondo cui il risarcimento non può essere diminuito a causa del comportamento del danneggiato che sia incapace di intendere e di volere, per minore età o per altra causa, si contrappone, infatti, la precisazione che, quando un soggetto incapace, per minore età o per altra causa, subisca un evento di danno in conseguenza di fatto illecito altrui in concorso con il proprio fatto colposo, l'indagine dovrà essere limitata all'esistenza della causa concorrente, prescindendo dall'imputabilità del fatto all'incapace e dalla responsabilità di chi era tenuto a sorvegliarlo, sicché il risarcimento sarà dovuto dal terzo danneggiante solo nella misura in cui l'evento possa farsi risalire a colpa di lui (v. tra le molte Cass. III, n. 14548/2009; nonché Cass. S.U., n. 351/1964).

Invero, la ratio legis dell'art. 2046 c.c. è solo quella di escludere la responsabilità civile dell'autore di un fatto che cagiona ad altri un danno ingiusto, quando viene a mancare (per la incapacità naturale di intendere e volere) l'elemento soggettivo della imputabilità e, cioè, della responsabilità a titolo soggettivo.

La norma dev'essere interpretata (come è sostenuto anche da autorevole dottrina) nella logica connessione con quella dell'art. 2043, che appunto presuppone l'elemento soggettivo della colpa e del dolo, e con quella dell'art. 2054 che incide sull'onere della prova, nel caso di illecito inerente alla circolazione dei veicoli. Dal coordinamento (logico sistematico) tra le norme richiamate (artt. 2043, 2046, 2054) si deduce quanto segue: il soggetto che versi nelle condizioni di incapacità d'intendere e volere di cui all'art. 2046 c.c. (cd. incapacità naturale, provvisoria o definitiva) è esentato dalla responsabilità civile, ma non dalla determinazione dell'apporto causale. Vale dunque il principio della cd. equivalenza delle cause allorché, in presenza di una pluralità di fatti, l'antecedente abbia contribuito direttamente o indirettamente, alla produzione dell'evento o degli eventi lesivi. Il nesso eziologico è spezzato solo dal principio della c.d. causalità efficiente nel senso che una sola serie causale, sin dall'origine e per forza propria, sia stata la esclusiva determinante dell'evento (o degli eventi). Si veda, per l'affermazione dei principi sinora richiamati, anche Cass. III, n. 3242/2012 secondo cui “a causa del richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c. all'art. 1227 c.c., il fatto del minore incapace di intendere e di volere che con il suo comportamento abbia contribuito alla produzione del danno a se stesso è valutabile dal giudice al fine di stabilire il concorso delle colpe e l'eventuale riduzione proporzionale del danno da risarcire. (Nella specie, si trattava del comportamento tenuto da un bambino di tre anni, ritenuto dal giudice di merito valutabile ai fini dell'art. 1227 c.c.).

Sul punto più di recente cfr. Cass. civ. n. 4178 del 19.2.2020 secondo la quale  ai fini della riduzione del risarcimento del danno in applicazione del comma primo dell'art. 1227 c.c., deve valutarsi esclusivamente se il danneggiato abbia tenuto o meno un comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive ovvero dettata dalla comune prudenzaa prescindere dalla sua età e dal suo stato di incapacità naturale, ed a prescindere altresì dalla condotta del soggetto che ne aveva la sorveglianza. Nella sentenza in esame si afferma, in particolare, che la  condotta della vittima, anche se incapace, deve essere valutata alla stregua dello standard ordinario di comportamento diligente dell'uomo medio, senza tener conto della sua  incapacità di intendere e di volere, restando assorbita e superata la questione di una eventuale culpa in vigilando o in educando da parte dei genitori, perché la valutazione è operata solo sul piano oggettivo e materiale e ciò sia nel caso in cui l'azione è proposta direttamente dall'incapace (tramite i suoi legali rappresentanti), sia nel caso in cui l'azione è proposta iure proprio dai genitori o dagli eredi dell'incapace. Sotto tale profilo, la sentenza sembra discostarsi, qualificandola tuttavia come un precisazione, da un orientamento precedente, secondo il quale la culpa in vigilando viene in  rilievo  quando il genitore agisca iure proprio e non come legale rappresentante del minore (Cass. civ., 18 luglio 2003 n. 12241); in particolare, secondo il Supremo Collegio, la condotta dei danneggiati ulteriori rispetto alla vittima primaria (e cioè la condotta negligente dei genitori o dei sorveglianti), può avere rilievo, ma solo eventualmente ai fini del giudizio relativo alla possibilità di limitare i danni conseguenti all'evento lesivo, cioè  sul piano del c.d. nesso di causalità giuridica di cui all'art. 1227, comma 2, c.c. Vale qui la pena di precisare che “limitazione” del risarcimento,  nel caso  previsto dal secondo comma dell'art. 1227 c.c. non significa riduzione percentuale, secondo l'incidenza del fatto posto in essere dal creditore- danneggiato, ma esclusione del risarcimento per quei pregiudizi che potevano evitarsi con l'ordinaria diligenza. 

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