Appello in tema di azione di risarcimento danni derivati dalla violazione delle distanzeInquadramentoIl proprietario di un immobile propone appello avverso la sentenza di primo grado che, pur avendo accolto la sua domanda di riduzione in pristino mediante arretramento di un immobile realizzato, in violazione delle norme regolamentari sulle distanze, da un proprietario confinante su un terreno limitrofo, ha rigettato la sua domanda di risarcimento dei danni, ritenendo che il pregiudizio dovesse essere dimostrato. FormulaCORTE D'APPELLO DI ... ATTO DI APPELLO 1 Per il Sig. ...., nato a .... il ...., C.F. ... 2, residente in ...., alla via .... n. ...., elettivamente domiciliato in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., C.F. ...., che lo rappresenta e difende in virtù di procura apposta a margine/in calce del presente atto, con dichiarazione di voler ricevere le comunicazioni al fax n. .... o all'indirizzo di PEC ... 3, - appellante CONTRO Sig. ...., C.F. n. ...., residente in ...., alla via... n. ...., rappresentata e difesa dall'Avv. ....; - appellato avverso la sentenza n.... emessa in data .... dal Tribunale di ...., Giudice dott. ...., pubblicata il .... e notifica il .... (o: non notificata). PREMESSO CHE Con atto di citazione notificato in data ...., il Sig. ...., quale proprietario di un immobile sito in ...., alla via .... n. ...., ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di .... il Sig. ...., proprietario di altro immobile ubicato sulla particella a confine con quella di sua proprietà, per sentirlo condannare all'abbattimento o all'arretramento della parte di fabbricato realizzata in violazione delle norme regolamentari (id est, previste dai locali strumenti urbanistici) sulle distanze tra costruzioni ed al risarcimento dei danni, oltre alle spese del presente giudizio, esponendo che il convenuto, nel realizzare il detto immobile multipiano, aveva violato le norme sulla distanza fra edifici. Parte convenuta si è costituita, contestando l'avversa domanda, chiedendone il rigetto, e - in via riconvenzionale - proponendo domanda con cui ha assunto che l'attore avrebbe, a sua volta, realizzato a confine una costruzione ad uso box in violazione delle norme sulle distanza. Con sentenza n. .... l'adito Tribunale di prima istanza, accertato che - rispetto all'immobile dell'attore - la distanza dell'immobile realizzato dal convenuto era di mt. .... e, quindi, inferiore a quella prescritta di mt. ...., ha condannato quest'ultimo alla riduzione in pristino mediante arretramento, rigettato la domanda riconvenzionale e posto le spese di lite a carico della parte convenuta. La sentenza è in parte ingiusta per i seguenti: MOTIVI Si deduce la violazione degli artt. 113 c.p.c., comma 1, 872 c.c. e ss. e 2967 c.c., relativamente al capo della sentenza con cui è stata rigettata la domanda di risarcimento danni proposta in sede di giudizio di primo grado, per non aver il Tribunale considerato che il pregiudizio sofferto per la consumata violazione delle norme codicistiche sulle distanze legali costituisce danno in re ispa. La sentenza impugnata, rifacendosi a Cass. n. 20608/2009, ha, invece, ritenuto che, per effetto della detta violazione, la risarcibilità del danno presupponesse per la sua liquidazione comunque la deduzione e dimostrazione dell'esistenza e della misura del pregiudizio effettivamente realizzatosi. In proposito, va rammentato il principio secondo cui, "in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l'effetto, certo ed indiscutibile, dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una limitazione temporanea del valore della medesima, deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria" (Cass. II, n. 1989/2016; Cass. II, n. 25033/2015; Cass. II, n. 25475/2010). Tanto premesso, il Sig. ...., come sopra rappresentato e difeso, CITA Il Sig. ...., elettivamente domiciliato presso l'Avv. ...., C.F. ...., con studio in .... via .... n. ...., a voler comparire dinanzi a codesta Eccellentissima Corte d'Appello…all'udienza del…., ore e locali soliti, Sezione e Consigliere Relatore designandi, con l'invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata, ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c. e a comparire all'udienza indicata innanzi al Collegio o al Consigliere Relatore nominati, con l'avvertimento
ciò al fine di ivi sentir accogliere, anche nella loro contumacia, le seguenti CONCLUSIONI Voglia la Corte d'Appello adita, disattesa ogni contraria istanza, in riforma parziale della sentenza n. .... del Tribunale di ...., condannare l'appellato al risarcimento dei danni connessi alla violazione delle distanze regolamentari tra le costruzioni Con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio. Si allegano i seguenti documenti. 1) Sentenza n. ....; 2) ....; Ai sensi dell'art. 356 c.p.c., si rinnova, per l'eventualità in cui l'adìta Corte ritenesse di non poter liquidare in via equitativa il pregiudizio, la richiesta di espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio finalizzata alla relativa quantificazione. Si dichiara che il valore della causa è di Euro.... Luogo e data.... Firma Avv.... PROCURA ALLE LITI Se non apposta a margine [1] [1] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111). [2] [2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010. [3] [3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge n. 114/2014. L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». CommentoPremessa Al proprietario confinante che lamenti la violazione delle distanze (anche rispetto al confine; cfr. Cass. II, n. 7756/2013) spetta sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella per equivalente del danno-conseguenza, che va ritenuto sussistente in re ipsa (e, dunque, liquidabile in via equitativa), essendo certo e indiscutibile l'effetto dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione (sia pure temporanea) del relativo godimento (Cass. II, n. 2848/2016), senza necessità di una specifica attività probatoria (Cass. II, n. 1989/2016; Cass. II, n. 25033/2015). Ovviamente, tale danno, proprio perché consiste in una diminuzione temporanea del valore della proprietà, è destinato a cessare una volta ripristinato lo stato dei luoghi nelle condizioni antecedenti alle suddette violazioni (Cass. II, n. 17635/2013). Anche in caso di violazione delle distanze convenzionali è irrilevante l'accertamento della dannosità in concreto, essendo sufficiente verificare, tenuto conto del principio dell'autonomia negoziale, se siano state o meno rispettate le distanze contrattualmente previste (Cass. II, n. 11567/2016). La violazione delle norme di edilizia e di ornato A differenza degli artt. 873 ss. c.c., gli artt. 869-871 c.c. attengono alla regolamentazione di carattere amministrativo (limiti di altezza, di volume per area, norme igieniche, norme di ornato, etc.) stabilita in leggi speciali e dai regolamenti edilizi comunali, in virtù della quale il privato non è titolare di un diritto soggettivo, ma solo di un interesse legittimo, con la conseguenza che potrà chiedere, in caso di violazione delle norme, solo il risarcimento del danno. L'opera abusiva potrà essere abbattuta solo ad iniziativa della Pubblica Amministrazione. Nel caso in cui siano violate disposizioni non integrative delle norme sulle distanze, peraltro, mancando un asservimento di fatto del fondo contiguo, la prova del danno è richiesta ed il proprietario è tenuto a fornirne una dimostrazione precisa, sia in ordine alla sua potenziale esistenza che alla sua entità obiettiva, in termini di amenità, comodità, tranquillità ed altro (applicando tale principio, Cass. II, n. 7752/2013, ha confermato la decisione di merito secondo cui il danno non era stato provato e neppure specificamente indicato, dovendosi escludere che il modestissimo aumento di volumetria del sottotetto della casa confinante, per effetto di una sopraelevazione del tetto di appena 60 centimetri, potesse cagionare un danno all'abitazione degli attori, già "incassata" tra altre proprietà prima della sopraelevazione; conf. Cass. II, n. 26426/2014). Quindi, fermi i rimedi di carattere amministrativo, sul piano risarcitorio solo se la violazione determina una diminuzione patrimoniale sussiste una lesione che trova ristoro nel risarcimento del danno. E' importante segnalare che è fondata la domanda risarcitoria per violazione delle norme edilizie ai sensi dell'art. 872 c.c., ancorché l'edificazione illegittima sia stata effettuata nel rispetto delle distanze legali, dal momento che la norma in parola sancisce la tipicità della tutela solo per quella ripristinatoria, mentre demanda il risarcimento del danno ai principi generali dell'ordinamento (Cass. VI, n. 17463/2014). Nella menzionata sentenza si chiarisce come sia errato l'assunto secondo il quale, in assenza di violazione delle distanze legali, non vi sarebbe spazio per una tutela risarcitoria, essendo la disciplina urbanistica posta a tutela di interessi pubblicistici. In ordine al risarcimento del danno per violazione delle norme edilizie, cfr., ex multis, Trib. Bari I, 10 marzo 2014; App. Napoli II, 8 luglio 2013; Trib. Roma, VII, 6 luglio 2011; Cass. II, 1 dicembre 2010, n. 24387. La legittimazione passiva Mentre l'azione risarcitoria, di natura obbligatoria, mirando al ristoro del pregiudizio patrimoniale conseguente all'edificazione illegittima, è esercitatabile anche nei confronti dell'autore materiale di questa, quella ripristinatoria, di natura reale, ex art. 872 c.c., volta all'eliminazione fisica delle modifiche apportate sul fondo contiguo, va necessariamente proposta nei confronti del proprietario della costruzione (e, nel caso di usufrutto, al nudo proprietario; cfr. Trib. Nocera Inferiore II, 20 settembre 2013, n. 1019), anche se materialmente realizzata da altri, potendo egli soltanto essere destinatario dell'ordine di demolizione che il ripristino delle distanze legali tende ad attuare (Cass. II, n. 458/2016). In particolare, la tutela reale e risarcitoria concessa dall'art. 872 c.c. è esperibile anche nei confronti dell'eventuale avente causa dell'immobile, la cui legittimazione passiva concorre con quella del dante causa, il quale risponde infatti dei danni maturati sino al momento del trasferimento della proprietà (Trib. Modena II, 10 aprile 2014, n. 638). La prova del danno. In caso di violazione delle norme sulle distanze, non incombe sul danneggiato l'onere di provare la sussistenza e l'entità del concreto pregiudizio patrimoniale subito, potendosi considerare il danno da risarcire come necessariamente compreso nella perpetrata violazione della prescrizione sulla distanza (cfr. ex multis, Cass. II, n. 21501/2018; Cass. II, n. 25475/2010), potendosi intendere l'affermazione talvolta presente in giurisprudenza secondo cui si tratterebbe di un danno in re ípsa, nel senso che, in presenza di un pregiudizio derivante dalla violazione delle distanze legali ed attesa la natura del bene giuridico leso, deve di norma presumersi esistente il pregiudizio al diritto di proprietà, fatta salva la possibilità per il preteso danneggiante di dimostrare che per le peculiarità dei luoghi o dei modi della lesione, il pregiudizio invece debba essere escluso (Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 25082 del 2020). La quantificazione del danno Il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme violate, non già avendo riguardo al valore di mercato dell'immobile (Trib. Salerno II, 16 ottobre 2015, n. 4242), diminuito per effetto della detta violazione, essendo tale pregiudizio suscettibile di eliminazione (Cass. II, n. 19132/2013; Trib. Massa 29 maggio 2015, n. 606). Da ciò consegue che il risarcimento del danno va quantificato in relazione alla permanenza in termini temporali della costruzione abusiva: più si resiste nel mantenere il manufatto abusivo e maggiore sarà il conto da pagare in termini risarcitori. Per quanto i criteri da adottarsi nella quantificazione del danno dipendano dal caso concreto, il risarcimento del danno, da liquidarsi in via equitativa ex art. 2056 c.c., può tendenzialmente essere calcolato in base ai seguenti, concorrenti parametri (Trib. Modena II, 10 aprile 2014, n. 638, cit.): 1) tenendo conto della perdita di valore del fabbricato danneggiato dalla violazione, ed in particolare della indebita limitazione del pieno godimento del fondo per diminuzione di visuale, esposizione, luce, aria, sole, comodità, tranquillità, amenità in genere, con conseguente suo deprezzamento commerciale; 2) tenendo conto del costo di un intervento edilizio di ripristino, che può costituire base per il calcolo del deprezzamento subito dall'immobile del danneggiato; 3) tenendo conto del vantaggio conseguito per effetto dell'illecito, e cioè dell'incremento di valore in capo all'immobile del danneggiante (ad es., per la maggior cubatura ricavata); a tal proposito, ove l'immobile sia stato ceduto nelle more dell'illecito permanente, occorrerà tenere altresì conto del vantaggio economico che il predetto illecito ha procurato al dante causa, il quale ha monetizzato il maggior valore commerciale del bene, perché calcolato proprio in base alle caratteristiche dello stesso al momento del trasferimento, e quindi in base alle misure derivanti dall'illecito compiuto, mentre in capo all'avente causa rimane un immobile suscettibile di riduzione in pristino con parziale demolizione e conseguente diminuzione del valore; 4) tenendo conto dei costi aggiuntivi per l'immobile danneggiato (ad es., il maggior consumo di energia elettrica e metano per illuminazione e riscaldamento). In termini più generali, il risarcimento del danno per asservimento del fondo andrà liquidato con riferimento alla riduzione dei parametri di soleggiamento e panoramicità e, in genere, del godimento dell'immobile ed il relativo pregiudizio non consisterà solo nel deprezzamento commerciale del bene o nella totale perdita di godimento di esso, ma anche nella indebita limitazione del pieno godimento del fondo in termini di diminuzione di amenità, comodità e tranquillità, trattandosi di effetti pregiudizievoli egualmente suscettibili di valutazione patrimoniale. In quest'ottica, il danno potrebbe, in realtà, anche non sussistere, sol pensando a violazioni che non determinino una diminuzione di visuale, esposizione, luce, aria, sole, comodità, tranquillità, amenità in genere, con conseguente deprezzamento commerciale. La configurazione di un danno (patrimoniale) per la limitazione del godimento non esaurisce ed esclude altri tipi di danni subiti, da allegare e provare puntualmente. Così vi potranno essere danni patrimoniali costituiti dai costi di ripristino del fondo finitimo danneggiato. Si pensi all'intercapedine insalubre che abbia determinato l'ammaloramento della facciata, piuttosto che alla modifica del piano di campagna con conseguente modifica dello scolo delle acque che ha determinato un'erosione del fondo vicino con disconnessione della pavimentazione. E' opportuno evidenziare che l'art. 2058, comma 2, c.c., che prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente, anziché la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest'ultima, non trova applicazione nelle azioni intese a far valere un diritto reale, la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, come quella diretta ad ottenere la riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso (Cass. II, n. 14916/2015). I regolamenti edilizi in materia di distanze tra costruzioni contengono norme di immediata applicazione, salvo il limite, nel caso di norme più restrittive, dei cosiddetti diritti quesiti (per cui la disciplina più restrittiva non si applica alle costruzioni che, alla data dell'entrata in vigore della normativa, possano considerarsi già sorte), e, nel caso di norme più favorevoli, dell'eventuale giudicato formatosi sulla legittimità o meno della costruzione. Deriva da quanto precede, pertanto, la inammissibilità dell'ordine di demolizione di costruzioni che, illegittime secondo le norme vigenti al momento della loro realizzazione, tali non siano più alla stregua delle norme vigenti al momento della decisione, salvo, ove ne ricorrano le condizioni, il diritto al risarcimento dei danni prodottisi medio tempore, ossia di quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione nel periodo compreso tra la sua costruzione e l'avvento della nuova disciplina meno restrittiva. Invero, qualora sopravvenga una disciplina meno restrittiva, la costruzione, realizzata in violazione della normativa in vigore della sua ultimazione non può ritenersi illegittima, in quanto, risultando conforme alla nuova disciplina, ha caratteristiche identiche a quelle previste per le costruzioni realizzate dopo la sua entrata in vigore (Cass. II, n. 24967/2015). |