Comparsa di risposta per ristoro dei danni da lesione del diritto di proprietà

Emanuela Musi

Inquadramento

Con l'atto di citazione la proprietaria di un appartamento interessato da copiose infiltrazioni di acqua provenienti dall'appartamento sovrastante chiede il risarcimento dei danni patrimoniale e non subiti in conseguenza del detto evento.

Con la comparsa di costituzione in un giudizio risarcitorio intentato dal Ministero per la illegittima occupazione senza chiedere nel contempo la rimozione del bene, il convenuto, avendo costruito il bene con materiali propri, chiede il rigetto della domanda e, nel contempo, propone domanda riconvenzionale volta ad ottenere il maggior valore acquisito dal bene ed, in subordine, l'importo corrispondente alle spese sostenute per la realizzazione del bene.

Formula

TRIBUNALE DI ....

R.G....Giudice....Udienza....

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA

PER

il Sig. .... nato a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., via ...., rappresentato e difeso, per mandato in calce/a margine del presente atto dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in ...., via ....Si dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC ....,

- convenuto -

CONTRO

il Ministero ...., in persona del Ministro p.t., con l'Avvocatura Distrettuale/Generale dello Stato....

- attore - 

FATTO

Con atto di citazione notificato in data .... (documento 1), il Ministero [1] conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di ...., il Sig. .... deducendo che:

- il convenuto aveva occupato abusivamente un appezzamento di terreno, di proprietà dello Stato, sito in ...., identificato in catasto al foglio...., particella ...., sub ...., su cui era stato costruito un fabbricato che, per accessione, era pure di proprietà dello Stato; - l'occupatore abusivo aveva versato all'Ente provinciale del turismo di .... un indennizzo di occupazione per il solo terreno, poi rimesso allo Stato.

Tanto premesso in fatto, il Ministero rivendicava la piena disponibilità del citato bene, nonché chiedeva l'accertamento del suo diritto al risarcimento dei danni conseguenti alla illegittima occupazione del terreno e all'accessione, che quantificava in complessivi Euro ....

La convenuta, costituendosi in giudizio con il presente atto, eccepisce e contesta tutto quanto riportato nell'atto introduttivo perché infondato, in fatto e in diritto, alla luce delle seguenti considerazioni in

DIRITTO

1. La domanda risarcitoria formulata dal Ministero è infondata.

Al riguardo si osserva in via preliminare che il fabbricato realizzato sul terreno asseritamente di proprietà dello Stato è costituito da ....(descrivere il bene).

L'immobile in parola, così come si evince da allegata perizia tecnica di parte (documento 2) risulta avere un valore complessivo pari ad Euro ....

Inoltre, parte avversa, nel chiedere il rilascio del terreno, in relazione alla quale alcuna contestazione e/o opposizione è avanzata, non chiede la rimozione della costruzione realizzata dal Sig. .... in tal modo riconoscendo, seppur implicitamente, l'utilità di quest'ultima.

In buona sostanza, la fattispecie all'esame è quella tipica di un terzo non proprietario che ha realizzato la costruzione a sue spese e con suoi materiali sul fondo altrui, nei confronti del quale - riconosciuta l'utilità dell'opera e non avanzata alcuna richiesta di abbattimento, viene tuttavia richiesto il risarcimento dei danni.

Tanto premesso va senza dubbio rilevata l'incompatibilità della pretesa risarcitoria formulata da parte attrice con il vantaggio dalla medesima conseguita, così come sopra evidenziato.

Invero, secondo prevalente giurisprudenza, in tema di costruzione od opera eseguita dal terzo con materiali propri su suolo altrui, il diritto al risarcimento del danno è dall'art. 936 c.c., comma 3, espressamente riconosciuto in favore del proprietario del suolo nel solo caso in cui il medesimo sia altresì legittimato a chiedere la rimozione dell'opera; quando invece al proprietario non è o non è più consentito proporre quest'ultima domanda, è il terzo ad avere viceversa diritto ad un indennizzo a fronte del vantaggio economico da detta costruzione od opera derivato al proprietario del fondo, vantaggio che è prioritario ed assorbente rispetto al danno dal medesimo eventualmente subito ed incompatibile con la relativa pretesa risarcitoria [2].

In altri termini, soltanto nel caso in cui sia legittimato a chiedere la rimozione dell'opera, il proprietario ha garantito altresì il risarcimento del danno, consistente nel ristoro del pregiudizio arrecatogli con l'occupazione temporanea del fondo, nonché del danno materiale causato al fondo stesso; mentre, tanto nel caso dell'espressa scelta di ritenzione quanto in quello dell'omessa richiesta di rimozione nel congruo termine normativamente previsto, è ravvisabile un implicito riconoscimento dell'utilità dell'opera da parte del proprietario del suolo, incompatibile con un pretesa risarcitoria, senza che si possa distinguere tra danni derivanti dall'accessione e danni dovuti all'occupazione temporanea del fondo.

-

2. Alla luce di tutto quanto esposto al punto che precede, si chiede, in via riconvenzionale l'accertamento del diritto del Sig.... ad ottenere il pagamento del maggior valore acquistato dall'immobile in virtù del realizzato fabbricato, ovvero in subordine, per le spese occorse per la costruzione e la sistemazione del suolo.

A tal proposito, è stato più volte specificato che l'obbligo di corresponsione di un quid da parte del proprietario sussiste se e nella misura in cui la costruzione ha determinato un incremento di valore del fondo.

In tale ambito, vige la logica della "massima messa a profitto dei beni"; infatti da un lato si intende conservare con l'integrità del bene la ricchezza prodotta dalle opere che vi accedono mentre dall'altro lato si vuole riconoscere la meritevolezza di chi ha prodotto nuova ricchezza incrementando il valore del fondo.

A tal proposito il c.c. art. 936 riconosce il diritto del terzo ad ottenere un'obbligazione di pagamento nei confronti del proprietario. Tale principio inoltre è teso anche a garantire l'osservanza del divieto generale dell'indebito arricchimento.

Inoltre l'obbligazione che si pone in capo al proprietario del suolo che decide di ritenere le opere costruite da un terzo costituisce un'obbligazione semplice assimilabile a quelle facoltative avendo in tal caso l'obbligato la facoltà di liberarsi pagando a sua insindacabile scelta.

Inoltre, l'obbligazione del proprietario del suolo costituisce debito di valore e pertanto la somma dovuta va liquidata con riferimento all'epoca della costruzione e rivalutata tenuto conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla decisione della causa.

Tanto premesso sussiste il diritto del Sig. .... ad ottenere il pagamento della somma di Euro ...., come da allegata consulenza tecnica di parte, per il maggior valore acquisito dal terreno.

In subordine, dalla documentazione che contestualmente si deposita (documento 3), le spese occorse per la costruzione e la sistemazione del suolo sono pari ad Euro ....

Tutto ciò premesso,

la convenuta, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata, rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l'Ecc.mo Tribunale adito, rigettata ogni avversa istanza, domanda ed eccezione, così provvedere:

- nel merito rigettare la domanda attrice perché priva di ogni fondamento sia in fatto che in diritto;

- in via riconvenzionale accertare e dichiarare il diritto del Sig. .... ad ottenere il pagamento della somma di Euro...., o della diversa somma, maggiore o minore che l'Ecc.mo Tribunale dovesse ritenere, oltre interessi e rivalutazione come per legge, per il maggior valore acquisito dal terreno in parola;

- in subordine e sempre in via riconvenzionale, accertare e dichiarare il diritto di.... ad ottenere il pagamento della somma di Euro...., o della diversa somma, maggiore o minore che l'Ecc.mo Tribunale dovesse ritenere, oltre interessi e rivalutazione come per legge, per le spese occorse per la costruzione e la sistemazione del suolo.

Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario.

IN VIA ISTRUTTORIA

Si chiede di essere ammessi alla prova contraria sulle circostanze di fatto ex adverso articolate con gli stessi testi indicati da controparte e con i seguenti propri testi: 1) Sig. .... residente in ....; 2) Sig. .... residente in ....

Si chiede in caso di contestazione di parte avversa di nominarsi CTU al fine di accertare e quantificare la somma per il maggior valore acquisito dal terreno di cui sopra ed in subordine per determinare le spese occorse per la costruzione e la sistemazione del suolo.

Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta.

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

[1] In ordine alla legittimazione attiva, premesso che il risarcimento del danno compete al titolare del diritto di proprietà, occorre chiedersi se nell'ipotesi di alienazione della proprietà, il diritto al risarcimento del danno spetti a colui che era proprietario al momento in cui il bene ha subito il danno, ovvero a colui che è subentrato nella proprietà ed è titolare del diritto al momento in cui viene promosso il giudizio. Sul punto, di recente si sono espresse le Sezioni Unite della S.C. (con sentenza Cass. S.U. n. 2951/2016), ove, dopo aver dato conto delle contrapposte pronunce esistenti sul punto, il collegio ha inteso condividere l'orientamento (maggioritario) secondo cui il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a colui che di quel bene era proprietario al momento dell'evento dannoso, e ciò perché quella pretesa risarcitoria non costituisce un accessorio del diritto di proprietà, ma si configura come un diritto di credito, distinto ed autonomo rispetto al diritto reale. In altri termini, la suddetta autonomia comporta che il diritto al risarcimento del danno subito dall'immobile, in caso di alienazione del bene, non si trasferisce insieme al diritto reale, come accadrebbe se fosse un elemento accessorio, ma è suscettibile solo di specifico atto di cessione ai sensi dell'art. 1260 c.c. Di conseguenza, quando accanto all'atto di trasferimento della proprietà, non vi sia stato un atto di cessione del credito, il diritto al risarcimento dei danni compete esclusivamente a chi, essendo proprietario del bene al momento dell'evento dannoso, ha subito la relativa diminuzione patrimoniale.

[2] Cass. II, n. 3523/2017.

Commento

Nozione e fondamento.

La tutela risarcitoria del diritto di proprietà reca il proprio fondamento nell'art. 42 Cost., nell'art. 1 del Prot. Addizionale della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, nonché nell'art. 2043 c.c. L'azione personale risarcitoria completa il quadro della tutela giudiziaria del diritto di proprietà, affiancandosi alle azioni reali (quelle disciplinate dagli artt. 948 e ss. c.c.), senza, tuttavia, condividerne tutti i presupposti: ed invero, oggetto della pretesa azionata nel giudizio di risarcimento dei danni derivati, ad es., ad un bene immobile in conseguenza dell'illecito del convenuto, non sarà il diretto e rigoroso accertamento della proprietà del fondo, bensì l'individuazione del titolare del bene avente diritto al risarcimento, conseguendone che il convincimento del giudice in ordine alla legittimazione alla pretesa risarcitoria ben potrà formarsi sulla base di qualsiasi elemento documentale e presuntivo sufficiente ad escludere un'erronea destinazione del pagamento dovuto (non richiedendosi, per contro, la cd. probatio diabolica). In tal senso, tra le molte v. Cass., n. 18841/2016. Giova evidenziare che il titolo II del codice civile è contraddistinto da molteplici disposizioni che, nel delimitare specifiche fattispecie di illecito lesivo del diritto di proprietà, accordano espressamente il rimedio risarcitorio, disciplinandone i caratteri. Per l'analisi delle stesse dal punto di vista della giurisprudenza v. infra nonché le formule su danno da violazione distanze, danno da immissioni rumorose o nocive, danno da occupazione sine titulo, danno da occupazione da parte della P.A.

Fattispecie peculiari.

a. Risarcimento del danno da violazione delle norme di edilizia.

Il comma 2 dell'art. 872 c.c. stabilisce quali siano le norme la cui violazione comporti il diritto del danneggiato alla demolizione, individuando, pertanto, per esclusione, tutte le altre norme edilizie la cui violazione non attribuisca detto rimedio, nel qual caso è consentito al danneggiato di agire unicamente per il risarcimento del danno: attribuiscono il diritto alla demolizione le norme degli artt. 873, 889, 890, 891, 892, 893, 896 c.c., nonché le norme dei regolamenti locali che disciplinino le distanze tra costruzioni. Non sono state ritenute norme integranti l'art. 873 c.c.: a) quelle che prevedono la distanza di un edificio dalla strada in relazione all'altezza dell'edificio con riguardo agli interessi del proprietario frontistante al di là della strada (v. Cass. III, n. 2094/1968); b) le norme che stabiliscono un'altezza massima in termini assoluti (Cass., n. 6637/1986; v. poi la recente Cass., n. 10264/2016 secondo cui “in caso di violazione delle norme del regolamento edilizio locale disciplinanti solo l'altezza, in sé, degli edifici, ossia senza considerare la distanza intercorrente tra gli stessi, il privato ha diritto solo al risarcimento dei danni e non anche alla riduzione in pristino del manufatto, trattandosi di disposizioni che hanno quale scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici, sicché, quanto agli interessi dei privati, resta preservato il solo valore economico delle proprietà viciniori”); c) quelle che stabiliscono l'ampiezza dei cortili (Cass., n. 6895/1983); d) le norme che non incidono sulla sfera dei diritti reali, sicché la loro inosservanza non importa di per sé e automaticamente la lesione di un diritto soggettivo, lesione che sussisterà in quanto il privato venga menomato nella sua sfera patrimoniale (v. Cass., n. 2116/97); e) le norme dettate a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del panorama (Cass., n. 6364/1987).

Vale evidenziare che il diritto al risarcimento viene in radice negato quando, pur essendovi violazione della norma edilizia, sia possibile escludere che essa possa essere fonte di danno (così Cass., n. 978/1975). Inoltre, non attribuisce diritto al risarcimento del danno la costruzione effettuata in violazione della concessione edilizia, se la costruzione medesima non costituisca in sé violazione di una norma edilizia (v. Cass., n. 10702/1994, Cass., n. 4889/1993); per converso, la costruzione eseguita in conformità della concessione o autorizzazione non esclude i rimedi ripristinatori o risarcitori ove vi sia violazione di una norma di legge, di P.R.G. o di regolamento edilizio.

In punto di onere della prova del danno, si segnala Cass., n. 26426/2014 secondo cui “il condomino che, nel recintare uno spazio di proprietà esclusiva, violi norme amministrative diverse da quelle in materia di distanze (nella specie, la normativa antincendio di cui al d.m. 1 febbraio 1986) non cagiona un immediato e contestuale danno ai vicini, il cui diritto al risarcimento richiede l'accertamento del nesso tra la violazione e il pregiudizio subito, la prova del quale, a carico della parte interessata, deve riguardare sia la sussistenza che l'entità del danno”.

b. Apertura di vedute abusive e tutela risarcitoria.

La ratio della norma è quella di tutelare la libertà del fondo da qualsiasi indiscrezione estranea. Sono state ritenute vedute, come tali soggette al rispetto delle distanze: 1) il ballatoio (ancorché l'affaccio sia esercitato sopra il tetto di una preesistente costruzione; v. Cass., n. 4983/1981); 2) il lastrico solare in cui la funzione di parapetto era assolta dallo stesso muro contiguo del vicino (Cass., n. 13270/1991); 3) la scala di un edificio quando, per particolari caratteristiche, risulti obiettivamente destinata anche all'esercizio della prospectio ed inspectio sul fondo vicino (Cass., n. 1451/1981); non sono invece considerate vedute, la vetrina di un negozio munita di vetrata fissa (Cass., n. 921/1960) e la porta, salvo che si tratti di porta finestra (Cass. n. 1005/2004, nonché Cass. n. 8693/2000). Le norme che sanciscono l'obbligo di rispettare le distanze hanno carattere assoluto ed operano a prescindere dal danno che ne possa derivare: si ritiene in sostanza sussistente un danno in re ipsa, insito cioè nella violazione stessa, in quanto costituente un asservimento de facto del fondo, con conseguente obbligo di risarcimento senza necessità di specifica attività probatoria (Cass., n. 2095/2000). Il proprietario del fondo, a danno del quale siano aperte vedute abusive, può chiedere la riduzione in pristino dei luoghi esercitando l'azione negatoria o di manutenzione, oltre al risarcimento del danno; non è ritenuta esperibile l'azione di spoglio.

c. Opere fatte da un terzo con materiali propri.

La norma in commento offre al proprietario del suolo la possibilità di acquisire la proprietà della cosa incorporata o di farla togliere. La rimozione è rimedio a tutela della proprietà che configura in capo al reclamante un diritto potestativo, come tale revocabile: tale rimedio prescinde dall'illecito civile, potendo essere esperito anche contro il terzo incapace; in caso di dolo o colpa, il terzo risponde dei danni. Presupposto del diritto al risarcimento del danno è che il proprietario sia legittimato a chiedere la rimozione dell'opera: in tal senso, si veda di recente Cass. n. 3523/2017 secondo cui “in tema di costruzione od opera eseguita dal terzo con materiali propri su suolo altrui, l'art. 936, comma 3, c.c. riconosce il diritto al risarcimento del danno in favore del proprietario del suolo esclusivamente nel caso in cui lo stesso sia legittimato a chiedere la rimozione dell'opera mentre, ove non gli sia o non gli sia più consentito proporre quest'ultima domanda, è il terzo ad avere, viceversa, diritto ad un indennizzo a fronte del vantaggio economico derivato al proprietario del fondo da detta costruzione od opera, vantaggio che è prioritario ed assorbente rispetto al danno dal medesimo eventualmente subito ed incompatibile con la relativa pretesa risarcitoria”. Il diritto al risarcimento del danno è, infatti, espressamente riconosciuto al proprietario del suolo nel solo caso in cui questi sia, altresì, legittimato a chiedere la rimozione dell'opera, onde la mancata previsione di tale diritto anche nelle altre ipotesi regolate dalla norma deve indurre a ritenere - in base alla primaria regola d'ermeneutica posta dall'art. 12 comma 1 delle disposizioni preliminari al c.c. - che il legislatore non abbia ravvisato, in tali diverse ipotesi, una ragione giustificativa di riconoscimento siffatto. Tale scelta trova, invero, una sua logica spiegazione nella considerazione che, in tutti i casi nei quali al proprietario del suolo non è consentito, o non è più consentito, chiedere la rimozione dell'opera sul suolo stesso realizzata, è, viceversa, riconosciuto il diritto all'indennizzo in favore di chi l'opera abbia realizzata, il che implica il riconoscimento d'un vantaggio economico derivatone al proprietario del suolo, prioritario ed assorbente rispetto all'eventuale danno subito ed incompatibile con una pretesa risarcitoria; inoltre, tanto nel caso dell'espressa scelta di ritenzione quanto in quello dell'omessa richiesta di rimozione nel congruo termine normativamente previsto, va ravvisato un implicito riconoscimento dell'utilità dell'opera da parte del proprietario del suolo, anch'esso incompatibile con una pretesa risarcitoria.

d. Accessione invertita.

L'ipotesi delineata dall'art. 938 c.c. contempla il cumulo del rimedio indennitario e di quello risarcitorio. L'indennità, pari al doppio del valore del suolo occupato, si determina in ragione delle utilizzazioni in atto e di quelle concretamente possibili alla stregua delle caratteristiche economico – giuridiche del fondo, restando irrilevanti lucri ipotetici e eventi sopravvenuti ed imprevedibili al momento dell'occupazione, che abbiano alterato valore o natura del fondo, ed escludendosi, altresì, il diritto al rimborso dei frutti non percepiti dal proprietario del fondo occupato. Si segnala che il pagamento di tale indennità è debito di valore suscettibile di rivalutazione monetaria (Cass. n. 7943/1994).

Il risarcimento del danno, invece, si valuterà in ragione del deprezzamento che sia derivato al suolo residuo a seguito della privazione della zona occupata, ossia in ragione della ridotta utilizzabilità dell'area residua (Cass. n. 845/1981). Il pregiudizio dovrà essere provato dal soggetto danneggiato; tuttavia, il risarcimento può essere chiesto indipendentemente da una prova rigorosa della proprietà del fondo ed, agli effetti della prescrizione, non si configura un impedimento all'azione di risarcimento per il proprietario usucapiente laddove non sia ancora intervenuta una sentenza di accertamento del suo diritto di proprietà, nondimeno dovendosi disporre la sospensione dell'azione risarcitoria, una volta iniziata, per la pendenza del giudizio di accertamento della proprietà (v. Cass. n. 7583/2000).

e. Azione negatoria.

L'azione di cui all'art. 949 c.c. è diretta: 1) ad ottenere una pronuncia che accerti la libertà della cosa allorché terzi pretendano di esercitare diritti su di essa (ipotesi nella quale il pregiudizio è insito nella incertezza sulla libertà del bene); 2) ad ottenere la cessazione delle molestie ed il risarcimento del danno, laddove i terzi compiano atti corrispondenti all'esercizio di diritti sulla cosa. Nel primo caso, l'azione è di accertamento ed è esperibile non soltanto per far accertare l'inesistenza della servitù, ma anche per rimuovere una situazione che comporti una menomazione del godimento del fondo, ovvero il pericolo con il decorso del tempo di un suo deterioramento (Cass. n. 5949/1986); nell'ipotesi di cui al comma 2, trattasi di una tipica azione di condanna, come tale idonea a far conseguire anche il risarcimento del danno, laddove sussistente. In ordine al rapporto con l'art. 2043 c.c. si sostiene in dottrina che l'azione generale sarebbe l'unica esperibile allorché il danneggiamento non sia collegato ad alcun beneficio per il danneggiante. Quanto al contenuto dell'onere della prova, poiché nella negatoria non vi è dissociazione tra titolarità e possesso, la prova della proprietà del fondo dominante non è rigorosa come nell'azione di rivendica, essendo sufficiente che l'attore in negatoria fornisca la prova del proprio diritto in virtù di un valido titolo di acquisto (anche in via presuntiva, v. Cass. n. 12166/2002).

Ai fini del risarcimento del danno, l'attore in negatoria dovrà dimostrare l'esistenza delle molestie o turbative che integrino un pregiudizio attuale. Pacificamente, viene affermata la natura reale della azione negatoria anche con riferimento all'ipotesi di cui al comma 2 dell'art. 949 c.c. (v. ad es. Cass. VI, n. 14547/2012, ord.: "deve essere qualificata come negatoria servitutis, ai sensi dell'art. 949 c.c., implicando i fatti posti in essere dal vicino l'affermazione di un diritto di natura reale sulla terrazza, il cui esercizio per il tempo prescritto dalla legge potrebbe comportare l'acquisto per usucapione della servitù”; qualora, ad es., la parte agisca in giudizio per ottenere la rimozione degli stenditoi abusivamente apposti dai proprietari degli appartamenti sovrastanti al suo alle proprie balconate e la conseguente cessazione dello sgocciolio sul terrazzo antistante al proprio appartamento, la disciplina applicabile è quella della actio negatoria servitutis e il giudice, nell'esercizio del suo potere di qualificazione della domanda, non può inquadrare la fattispecie nella disciplina delle immissioni, la quale è fondata su presupposti di fatto diversi da quelli dedotti dall'attore - così v. Cass. n. 5772/1978). Resta fermo che, all'azione reale, tesa a tutelare in forma decisamente ampia la proprietà e non solo a negare l'esistenza di diritti di servitù che, in qualche misura, la limitino, potrà, poi, affiancarsi anche concorrente e parallela azione risarcitoria: "il risarcimento del danno, in aggiunta al ristabilimento della violata situazione, non è dovuto ove non risulti, neppure per indizi, che dall'illegittimo esercizio della servitù sia derivato un concreto pregiudizio patrimoniale all'altra parte" (così Cass. n. 27405/2014).

Si segnala la recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 5078/2022 che, in tema di distanze legali fra costruzioni, nell’ipotesi in cui sia realizzato un manufatto da un terzo con materiali propri su fondo altrui a distanza non legale rispetto ad una preesistente costruzione ubicata sul fondo confinante (art. 873 c.c.), ha precisato come l'azione del proprietario di quest'ultimo, volta a conseguire la demolizione o l'arretramento dell'opera - qualificabile come "negatoria servitutis" - sia esperibile esclusivamente nei confronti del proprietario confinante (in considerazione del carattere reale dell'azione medesima), dovendo, per converso, la legittimazione passiva del terzo costruttore essere riconosciuta (alla stregua della sua qualità di autore del fatto illecito) rispetto all'eventuale, ulteriore pretesa di risarcimento del danno.

Si segnala la recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 5078/2022 che, in tema di distanze legali fra costruzioni, nell’ipotesi in cui sia realizzato un manufatto da un terzo con materiali propri su fondo altrui a distanza non legale rispetto ad una preesistente costruzione ubicata sul fondo confinante (art. 873 c.c.), ha precisato come l'azione del proprietario di quest'ultimo, volta a conseguire la demolizione o l'arretramento dell'opera - qualificabile come "negatoria servitutis" - sia esperibile esclusivamente nei confronti del proprietario confinante (in considerazione del carattere reale dell'azione medesima), dovendo, per converso, la legittimazione passiva del terzo costruttore essere riconosciuta (alla stregua della sua qualità di autore del fatto illecito) rispetto all'eventuale, ulteriore pretesa di risarcimento del danno.

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