Comparsa conclusionale per violazione del dovere di lealtà in caso di mancata ottemperanza all'ordine di esibizione di documenti ritenuti necessari

Andrea Penta
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

Nell'ambito di un'azione esperita, dinanzi al giudice del lavoro, al fine di ottenere il riconoscimento del diritto all'indennità di diaria ridotta, i ricorrenti, all'esito della mancata ottemperanza, da parte del datore di lavoro, all'ordine di esibizione della relativa documentazione, fanno valere la violazione del dovere di lealtà, avendo il destinatario dell'ordine l'obbligo di conservare la documentazione che ne è oggetto fin quando il giudice non abbia definitivamente e negativamente provveduto sulla stessa.

Formula

TRIBUNALE DI ....

COMPARSA CONCLUSIONALE [1]

nella causa portante il n. ...., Giudice del Lavoro dott. .... ultima udienza ....

Nell'interesse di:

RICORRENTI, rappresentati e difesi dell'Avv. ...., C.F. n. .... [2], PEC ....it, fax n. .... [3],

CONTRO

RESISTENTE, rappresentata e difesa dall'Avv. ....;

* * *

FATTO

Con ricorso depositato il .... i lavoratori .... chiedevano al Tribunale di ...., in funzione di giudice del lavoro, il riconoscimento del loro diritto alla indennità di diaria ridotta.

La resistente si costituiva, contestando i turni, così come indicati dai lavoratori, e la conseguente spettanza della indennità reclamata, secondo la quantificazione dagli stessi proposta, e chiedendo, pertanto, il rigetto dell'avversa domanda.

Durante l'istruttoria il giudice ordinava, in accoglimento di un'istanza in tal senso formulata dai ricorrenti, l'esibizione, da parte della resistente, della documentazione concernente l'effettivo espletamento dei turni per cui è causa.

La società datrice di lavoro non ottemperava a tale ordine, deducendo che non vi era un obbligo di conservazione della documentazione rilevante, una volta decorso un congruo lasso di tempo.

All'udienza del .... il Giudice, su richiesta di entrambe le parti, ha concesso alle stesse, ai sensi dell'art. 429, co. 2, c.p.c., un termine di dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all'udienza del .... per la discussione e la pronuncia della sentenza.

DIRITTO

La domanda andrà accolta, con liquidazione equitativa, sussistendone i presupposti di fronte ad una generica contestazione dell'azienda e alla ingiustificata mancata conservazione della documentazione rilevante ai fini del giudizio, da parte del datore di lavoro.

Il giudice, su istanza di parte, può ordinare l'esibizione documenti di cui ritenga necessaria l'acquisizione (art. 210 c.p.c.) per conoscere i fatti di causa (art. 118 c.p.c.; cfr. Cass. n. 4764/2008).

E nell'ipotesi in cui nel corso d'un giudizio civile sia formulata istanza di esibizione documentale ex art. 210 c.p.c., la parte nei cui confronti tale istanza è formulata è obbligata a conservare la documentazione che ne è oggetto fin quando il giudice non abbia definitivamente e negativamente provveduto sulla stessa (Cass. n. 11225/2000, Cass. n. 2086/1997, Cass. n. 9839/1994).

Fondamento dell'obbligo è non solo questa disposizione, bensì, da più ampia angolazione, il dovere di lealtà e probità processuale (art. 88 c.p.c.). Ed invero, questa norma, anche se non può sopprimere la naturale contrapposizione d'una parte all'altra nello svolgimento del processo ed imporre attiva collaborazione con la controparte e con il giudice, esige tuttavia un atteggiamento di correttezza coerente con la posizione di colui che è oggettivamente sottoposto ad una funzione (del decidente), che non può con positivi ostacoli negare.

Da più generale angolazione (come affermato da Cass. S.U., n. 28498/2005), nel sistema processuale civile (diretto all'attuazione del giusto processo), opera il principio di acquisizione della prova, in forza del quale un elemento probatorio, una volta introdotto nel processo, è definitivamente acquisito alla funzione giudicante.

Ciò è a dirsi non solo per la scrittura contabile (ex art. 2220 c.c.), bensì per ogni documento che attenga ai fatti della causa. Ove ne sia stato chiesto l'ordine di esibizione, il documento è (pur non materialmente) introdotto nel processo, divenendo materia del dibattito.

La predetta norma, pur non comportando per la parte l'obbligo d'una preventiva spontanea produzione, preclude tuttavia un'attività che renda impossibile l'esecuzione del provvedimento giudiziale richiesto dalla controparte (Cass. n. 9839/1994).

La relativa sottrazione integrerebbe un atto contrario all'attuazione del processo, oltre che alla correttezza cui la parte è normativamente obbligata.

L'obbligo della conservazione sorge con la richiesta di esibizione formulata dalla parte; e, poiché la pur negativa decisione sulla richiesta può essere negata dallo stesso giudice ovvero dal giudice dell'impugnazione, l'obbligo permane fino a quando sulla richiesta non sorga irreversibile negativo giudicato.

Nel caso in esame, la documentazione relativa ai turni praticati in azienda, la cui esibizione era stata chiesta - come è incontestato - dai ricorrenti, era sin da subìto divenuta parte del dibattito processuale. La parte era obbligata alla relativa conservazione. E l'atto contrario alla conservazione è senz'altro suscettibile di essere considerato come argomento di prova.

Si confida pertanto nell'accoglimento della domanda.

Luogo e data....

Firma Avv. ....

In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111). La nuova fase decisoria prevede che venga fissata un'udienza, (di rimessione della causa al collegio / di rimessione della causa in decisione), rispetto alla quale decorrono, a ritroso, tre termini, rispettivamente per il deposito delle note di precisazione delle conclusioni (60 giorni prima), per il deposito delle comparse conclusionali (30 giorni prima) ed, infine, per il deposito delle memorie di replica (15 giorni prima).

Quindi, nel dettaglio, ex art. 189 c.p.c. i termini sono:

1. Note di precisazione delle conclusioni fino 60 giorni prima dell'udienza per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni che le parti intendono sottoporre al collegio, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'articolo 171 ter

2. Memoria conclusionale fino a 30 giorni prima dell'udienza per depositare memorie limitate al solo riepilogo delle tesi difensive già esposte, contestando gli argomenti e le conclusioni avversarie;

Facciamo qualche doverosa precisazione:

Il giudice, nel rimettere la causa in decisione, ha il dovere di fissare tali termini;

Il termine è affidato in contemporanea a tutte le parti;

Le parti hanno la facoltà non l'obbligo di depositare le memorie, possono essere oggetto di rinuncia e, in tal caso, il giudice può trattenere la causa immediatamente in decisione;

Il deposito avviene in via telematica;

I termini sono perentori, ciò significa che una volta spirato si consuma il potere, salva la possibilità di rimessione in termini.

 Il contenuto

La comparsa conclusionale viene tradizionalmente suddivisa in due parti:

La prima ripercorre, in modo oggettivo, l'intero svolgimento del processo, sintetizzando:

gli atti introduttivi di parte; le memorie ex art 171 ter c.p.c.;

quanto accaduto nelle udienze; le istanze e i provvedimenti istruttori;

l'esito dell'eventuale C.T.U. e gli elementi probatori acquisiti.

La seconda è dedicata alla vera e propria difesa, valutando nel merito:

le risultanze istruttorie;

il soddisfacimento degli oneri probatori;

la verità dei fatti allegati, la loro qualificazione e sulle loro conseguenze giuridiche.

L'art. 190 c.p.c. è stato abrogato dall'art. 3, comma 13, lett. m), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022,come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

[2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. 193/2009 conv. con modif. dalla legge 24/2010.

[3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

Commento

Premessa

In termini generali, il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall'art. 111, comma 2, Cost. e dagli artt. 6 e 13 Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue, perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall'art. 101 c.p.c., da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111, comma 2, Cost.) dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. E' in applicazione del suddetto principio che un giudice (persona fisica o collegio), allorquando valuti inammissibile un'impugnazione, tende a ritenere superflua la rimessione in termini della controparte, che ne abbia fatto istanza (Cass. III, n. 26773/2009).

In questo contesto si inserisce altresì l'art. 96 c.p.c., il quale trova applicazione al fine di scoraggiare comportamenti strumentali che ostacolino la funzionalità del servizio giustizia, che violino il generale dovere di lealtà e probità di cui all'art. 88 del codice di rito e che provochino senz'altro danno alla controparte in conseguenza dell'ansia e del turbamento inflitti, in ogni caso in quanto si è chiamati a difendersi, ma in particolare nel caso in cui è messa in discussione la propria professionalità (Trib. Milano 28 febbraio 2015; Cass. pen., n. 42104/2011; Cass. n. 1980/2011; Trib. Roma, 6 ottobre 2011; Cass. pen., n. 7333/2008; Cass. pen., n. 3674/2010).

L'art. 45, comma 12, l. 18 giugno 2009 n. 69 ha aggiunto un comma 3 all'art. 96 c.p.c. (alla cui specifica formula si rimanda), introducendo una vera e propria pena pecuniaria, indipendente sia dalla domanda di parte, sia dalla prova del danno causalmente derivato alla condotta processuale dell'avversario, la quale mira a colpire, tra l'altro, le condotte contrarie al principio di lealtà processuale (Trib. Lamezia Terme 11 giugno 2012).

L'art. 96, comma 1, c.p.c. (che si colloca nell'area della responsabilità civile, con conseguenti profili risarcitori, in relazione ai quali si pongono problemi di onere probatorio a carico del richiedente) introduce deroghe al principio della soccombenza nel giudizio quale criterio per la condanna alle spese processuali, (Corte Costituzionale, 23/12/2008, n. 435). Invero, la condanna della parte stessa vittoriosa ad un rimborso di spese sostenute dalla controparte, indipendentemente dalla soccombenza, è consentita dall'ordinamento solo per l'ipotesi eccezionale che tali spese siano state causate all'altra parte per via di trasgressione al dovere (recte, ai doveri di lealtà e probità) di cui all'art. 88 c.p.c. (Cass. III, n. 18508/2007; Cass. I, n. 6860/2015).

Tale violazione, inoltre, è rilevante unicamente nel contesto processuale (rilevando, a tal uopo, solo la condotta tenuta dalla parte durante il processo e non prima), restando estranee circostanze che, sia pur riconducibili ad un comportamento commendevole della parte, si siano esaurite esclusivamente in un contesto extraprocessuale, le quali possono, al più, giustificare una compensazione delle spese (Cass. sez. lav., n. 6635/2007). Tuttavia, laddove le allegazioni della parte vincitrice siano del tutto nuove rispetto a quelle relative alla fase preprocessuale, ad esempio alla messa in mora, può trovare applicazione il disposto di cui alle predette norme anche in relazione alla pregressa fase (Trib. Aosta, sez. lav., 22 febbraio 2016, n. 4).

Il comportamento processuale delle parti contrario ai doveri di lealtà e probità non è integrato dalla semplice prospettazione di tesi giuridiche o da ricostruzioni di fatti riconosciute errate dal giudice, nè da comportamenti che possano conseguire effetti vantaggiosi solo in conseguenza di un concorrente difetto di normale diligenza della controparte (Cass. III, n. 10247/1998).

Casistica

Passando in rapida rassegna i principali casi nei quali viene invocato il dovere di lealtà e probità, si nota che un po' tutte le fasi di un ordinario giudizio ne sono in qualche modo connotate.

Quanto alla fase introduttiva, in tema di citazione a comparire, l'errata indicazione della data dell'udienza di comparizione, perché anticipata rispetto a quella di notifica, non integra un'ipotesi di nullità della citazione stessa tutte le volte in cui l'errore sia immediatamente riconoscibile e il convenuto possa superarlo intuitivamente, in base al tenore dell'atto e tenendo presenti i termini a comparire, ovvero, quando la causa sia stata iscritta a ruolo, possa facilmente attivarsi, secondo buona fede (art. 88 c.p.c.), per conoscere la data esatta di comparizione (Cass. II, n. 7523/2006, a fattispecie in cui la citazione in appello era stata notificata il 21 gennaio 1999 per l'udienza del 19 maggio 1998).

In ordine sempre agli atti di parte, in tema di procura alle liti rilasciata da persona giuridica, la procura con firma illeggibile di soggetto che si qualifichi, nella stessa procura o nel contesto dell'atto cui questa accede, come legale rappresentante di persona giuridica privata, si presume validamente rilasciata dalla persona fisica investita, secondo lo statuto, del necessario potere rappresentativo, e spetta alla controparte non semplicemente dedurre l'illeggibilità della firma, ma contestare, con valide e specifiche ragioni e prove, che la firma sia quella del soggetto cui compete la rappresentanza processuale della persona giuridica, atteso che il principio del giusto processo, come introdotto dal novellato art. 111, comma 1, Cost. impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte ovvero, comunque, ispirate ad un formalismo funzionale non già alla tutela dell'interesse della controparte, ma, piuttosto, a frustrare lo scopo stesso del processo, che è quello di consentire che si pervenga ad una decisione di merito (Cass. III, n. 10963/2004).

Nell'evoluzione giurisprudenziale, l'onere di contestazione - con il correlativo corollario del dovere, per il giudice, di ritenere non abbisognevole di prova quanto non espressamente contestato - è divenuto principio generale che informa il sistema processuale civile, poggiando le proprie basi non più soltanto sul tenore degli art. 167 e 416 c.p.c., bensì anche sul carattere dispositivo del processo - comportante una struttura dialettica a catena -, sulla generale organizzazione per preclusioni successive - che, in misura maggiore o minore caratterizza ogni sistema processuale - e sul dovere di lealtà e probità, posto dall'art. 88 c.p.c. - che impone a entrambe di collaborare fin dalle prime battute processuali a circoscrivere la materia realmente controversa, senza atteggiamenti volutamente defatiganti, ostruzionistici o solo negligenti - e, infine, soprattutto sul generale principio di economia che deve sempre informare il processo, vieppiù alla luce del novellato art. 111 Cost. (Cass. I, n. 23638/2007; Cass. sez. trib., n. 1540/2007).

Nel sistema processual-civilistico vigente - in specie dopo il riconoscimento costituzionale del principio del giusto processo - opera il principio di acquisizione della prova, in forza del quale un elemento probatorio, una volta introdotto nel processo, è definitivamente acquisito alla causa e non può più esserle sottratto, dovendo il giudice utilizzare le prove raccolte indipendentemente dalla provenienza delle stesse dalla parte gravata dell'onere probatorio. Ne consegue che la parte, che nel corso del processo chieda il ritiro del proprio fascicolo, ha l'onere di depositare copia dei documenti probatori che in esso siano inseriti, onde impedire che, qualora essa, in violazione dei principi di lealtà e probità, ometta di restituire il fascicolo con i documenti in precedenza prodotti, risulti impossibile all'altra parte fornire, anche in sede di gravame, le prove che erano desumibili dal fascicolo avversario (Cass. S.U., n. 28498/2005).

Nel caso in cui, nel corso di un giudizio civile, venga formulata istanza di esibizione documentale ex art. 210 c.p.c., la parte nei cui confronti tale istanza è formulata è tenuta - in ossequio al dovere di lealtà e probità processuale ex art. 88 c.p.c. e alla stregua del principio di acquisizione della prova (v. infra) - a conservare la relativa documentazione fino a quando il giudice non abbia definitivamente e negativamente provveduto sulla stessa, sicché, ove la documentazione venga distrutta dopo la presentazione dell'istanza e durante il tempo di attesa per la formazione della decisione definitiva sulla stessa, la mancata conservazione è suscettibile di essere valutata come argomento di prova ex art. 116 c.p.c. (Cass. sez. lav., n. 27231/2014; Cass. sez. lav., n. 24590/2008).

Sempre in virtù dell'interpretazione congiunta degli artt. 88 e 116 c.p.c. è possibile, nei casi di comportamento processuale gravemente scorretto, sanzionare la parte con il riconoscere alla sua condotta un valore quasi confessorio, di riconoscimento implicito della fondatezza delle domande avversarie. Solo la consapevolezza della propria virtuale soccombenza, infatti, può condurre la parte alla violazione ripetuta e grave di quei doveri di correttezza e leale collaborazione che la legge impone (così Trib. Mondovi', 22 marzo 2010, n. 104, in un caso in cui la parte aveva ripetutamente omesso l'esibizione dei documenti richiesti dal giudice, ripetutamente dichiarato, contrariamente al vero, di non essere in grado di reperire la documentazione richiesta, ripetutamente depositato fuori udienza memorie non autorizzate, contenenti anche valutazioni in diritto, nonché riportato tra virgolette frasi asseritamente contenute nella comparsa di costituzione, che invece non esistevano).

Parimenti, viola il principio di buona fede e correttezza di cui all'art. 1175 c.c. nonché il dovere di lealtà processuale di cui agli artt. 88 e 92, comma 1, c.p.c., il creditore che, nonostante specifiche circostanze – quali la solvibilità del debitore – consiglino di attendere l'adempimento, proceda al compimento di attività funzionali all'esercizio della pretesa esecutiva (cfr. Trib. Napoli 7 gennaio 2014, in una fattispecie in cui non vi era ragione alcuna per il creditore, a fronte della intimazione del pagamento della somma di euro 236,40, di temere che Telecom Italia s.p.a., società notoriamente dotata di una notevole liquidità, non avrebbe soddisfatto la sua pretesa; nel qual caso la procedura esecutiva senza attendere il preannunciato pagamento aveva l'evidente scopo di lucrare sulle relative spese, integrando il comportamento del creditore un abuso del diritto, con la conseguenza che le spese della procedura espropriativa non erano dovute).

In tema di spese inerenti la notificazione del titolo esecutivo e le attività di redazione e notificazione del precetto, costituendo esse un accessorio delle spese processuali riferibili al titolo esecutivo giudiziale (secondo un'interpretazione discendente dagli artt. 8 del d.P.R. n. 115 del 2002 e 91, comma 2, c.p.c.), ne è dovuto il pagamento, da parte del debitore e quale conseguenza, di regola, del suo comportamento inadempiente rispetto a quanto stabilito nel titolo, quando esse - sulla scorta del c.d. principio di causalità - siano state sostenute dal creditore ed il relativo precetto sia stato anche solo consegnato per la notifica all'ufficiale giudiziario, allorchè in tale momento permanga ancora il predetto inadempimento; ne consegue che, se successivamente il debitore, sia pur prima che la notifica del precetto si perfezioni anche nei suoi riguardi, provveda a pagare il debito di cui al titolo e le spese successive, ma non quelle di redazione e notifica del precetto, ciò non preclude al creditore di procedere esecutivamente per queste ultime, in forza del medesimo titolo esecutivo, a meno che non sia accertato che egli abbia compiuto tali attività, funzionali all'esercizio della pretesa esecutiva, violando il dovere di lealtà processuale di cui agli art. 88 e 92, comma 1, c.p.c. (Cass. III, n. 28627/2008).

Costituisce violazione del dovere in esame altresì l'intraprendere contro la stessa parte assistita iniziative giudiziarie plurime e non giustificate da un effettivo e necessitato sviluppo processuale, a tutela delle proprie ragioni economiche relative ad un rapporto professionale svoltosi continuativamente per un lungo periodo di tempo, così da aggravare la posizione della controparte, costretta a sostenere il cumulo delle spese giudiziali, invece di procedere ad un accorpamento delle posizioni in contestazione (Cass. S.U., n. 14374/2012).

La questione di giurisdizione può essere sempre posta, anche nel giudizio di cassazione, purché almeno una delle parti l'abbia sollevata tempestivamente nel giudizio di appello, con ciò impedendo la formazione del giudicato sul punto. In presenza di tale condizione, la questione di giurisdizione può essere posta anche dalla stessa parte che ha adito un giudice e ne abbia successivamente contestato la giurisdizione in base all'interesse che deriva dalla soccombenza nel merito. In questo caso, però, il giudice può condannare tale parte alla rifusione delle spese del giudizio di impugnazione anche se la stessa sia risultata vincitrice in punto di giurisdizione, potendo ravvisarsi in simile comportamento la violazione del dovere di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c. (Cass. S.U., n. 7097/2011; Cass. S.U., n. 16391/2011). Parimenti, costituisce violazione del dovere di lealtà e probità delle parti la condotta processuale di una parte caratterizzata dalla ripetuta contestazione della giurisdizione del giudice adito in simmetrica opposizione alle scelte di controparte, unita alla richiesta, accolta, di sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c., trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte ad una ragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 111 Cost. Pertanto tale condotta può determinare l'applicazione dell'art. 92, comma 1, ultima parte c.p.c., secondo il quale, il giudice, a prescindere dalla soccombenza può condannare una parte al rimborso delle spese che, in violazione dell'art. 88 c.p.c., abbia causato all'altra parte (Cass. S.U., n. 18810/2010).

Non è, da ultimo in linea col principio di lealtà e probità la richiesta di concessione del sequestro conservativo quando sussista una macroscopica sproporzione fra l'entità del credito e il valore del bene (e risultino, quindi, ingiustificabili le conseguenze negative derivanti al debitore dalla concessione del provvedimento richiesto) e quando appaia verosimile che il credito possa essere garantito da altri beni di proprietà del debitore di valore inferiore (cfr. App. Cagliari 8 luglio 2009, in un caso di sequestro di una nave). Tale comportamento appare chiaramente dettato dall'intenzione di utilizzare strumenti legali per esercitare sul debitore una fortissima pressione volta a indurlo al sollecito pagamento.

La violazione del principio di lealtà in ambito sostanziale (cenni)

In ambito sostanziale, terreno elettivo di applicazione del dovere in esame è quello delle crisi coniugali. Invero, costituisce comportamento processuale valutabile ai sensi dell'art. 116 comma 2 c.p.c. la richiesta di un assegno di mantenimento in misura sproporzionata rispetto alle risultanze processuali, in quanto la richiesta viola, appunto, il disposto dell'art. 88, comma 1, c.p.c. (Trib. Varese, II, 17 febbraio 2012).

Lo strumento offerto dall'art. 96, co. 3, c.p.c. (v. antea) è adatto a sanzionare comportamenti di uso pretestuoso e disfunzionale del processo – in danno delle parti in causa e di ogni altro cittadino che abbia chiesto la tutela delle proprie posizioni giuridiche all'autorità giudiziaria -. In quest'ottica, è strumento efficace per garantire la tutela dell'effettività delle relazioni parentali ad opera dello Stato italiano nelle ipotesi in cui un genitore abbia richiesto pretestuosamente, senza fornire elementi a sostegno della sua domanda, l'affidamento esclusivo della prole, tenendo una condotta processuale contraria ai doveri di lealtà e probità espressi dall'art. 88 c.p.c. (Trib. Min. Milano 4 marzo 2011). Invero, ritenuto che l'uso improprio delle procedure giudiziarie costituisce abuso del processo, sanzionabile, anche d'ufficio, ai sensi e per gli effetti di cui al comma 3 dell'art. 96 c.p.c., lo strumento offerto da tale norma è, al pari dell'art. 88 c.p.c., idoneo a prevenire e a punire comportamenti diretti ad un uso pretestuoso, defatigante, disfunzionale e dilatorio (Trib. Min. Milano 29 marzo 2011).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario