Note difensive per richiesta di cancellazione di espressioni sconvenienti od offensive

Andrea Penta

Inquadramento

In termini generali, nel conflitto tra il diritto a svolgere la difesa giudiziale nel modo più ampio e insindacabile e il diritto della controparte al decoro e all'onore, l'art. 89 c.p.c. ha attribuito la prevalenza al primo, nel senso che l'offesa all'onore e al decoro della controparte comporta l'obbligo del risarcimento del danno nella sola ipotesi in cui le espressioni offensive non abbiano alcuna relazione con l'esercizio del diritto di difesa. Siffatto obbligo non sussiste, invece, nel caso in cui le dette espressioni, pur non trovandosi in un rapporto di necessità con le esigenze della difesa, presentino, tuttavia, una qualche attinenza con l'oggetto della controversia e costituiscano, pertanto, uno strumento per indirizzare la decisione del giudice e vincere la lite. Deve essere, quindi, condannata al risarcimento del danno morale, nei confronti del soggetto offeso, la parte processuale responsabile delle espressioni offensive contenute negli scritti difensivi privi di nesso funzionale con l'oggetto della causa e con l'esercizio del diritto di difesa (Cass. III, n. 14552/2009).

Non ricorrono i presupposti per il risarcimento del danno ex art. 89 c.p.c., ove le espressioni contenute negli scritti difensivi non siano dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo (Trib. Verona II, 9 agosto 2016), così rivelando un intento offensivo nei confronti della controparte, ma, conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive, siano preordinate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento della controparte, la scarsa attendibilità delle sue affermazioni. Così la cancellazione va esclusa allorquando le espressioni in parola siano preordinate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento dell'avversario, la scarsa attendibilità delle sue affermazioni (in una fattispecie, poiché le espressioni ritenute offensive erano dirette ad evidenziare le lacune del ricorso, Cass. III, n. 10288/2009, ne ha escluso l'intento dispregiativo, considerandole come esercizio del diritto di difesa) ovvero la fondatezza delle tesi contro di essa esposte (Cass. III, n. 3277/2008).

Né è precluso che, nell'esercizio del diritto di difesa, il giudizio sulla condotta reciproca possa investire anche il profilo della moralità, fattore non del tutto estraneo per contestare la credibilità delle affermazioni dei contendenti (Cass. II, n. 17325/2015). Ne consegue che non possono essere qualificate offensive dell'altrui reputazione le parole (come l'avverbio "subdolamente"), che, rientrando seppure in modo piuttosto graffiante nell'esercizio del diritto di difesa, non si rivelino comunque lesive della dignità umana e professionale dell'avversario (Cass. III, n. 26195/2011).

Nelle disposizioni dell'art. 89 c.p.c. l'offensività e la sconvenienza delle espressioni usate in scritti o discorsi difensivi costituiscono nozioni distinte e la seconda non riguarda la lesività del valore e dei meriti di qualcuno - aspetti tutelati dal divieto delle espressioni offensive -, ma una lesività di grado minore, inerente al contrasto delle espressioni con le esigenze dell'ambiente processuale e della funzione difensiva nel cui ambito esse vengono formulate (Trib. Pescara, 1 aprile 2009, n. 787). In quest'ottica, deve essere cancellata dagli scritti difensivi l'espressione "è tale l'ignoranza", trattandosi di un'espressione sconveniente, che anche se priva di una vera e propria valenza offensiva, si sostanzia in una mera illazione volta unicamente ad illustrare un comportamento ritenuto scorretto del difensore avversario (Cass. III, n. 14112/2011).

Nell'ambito di un giudizio di reclamo proposto avverso un'ordinanza del g.e. di rigetto dell'istanza di sospensione di una procedura esecutiva, il reclamante si difende dall'avversa richiesta di cancellazione di espressioni reputate offensive, deducendo la pertinenza delle stesse rispetto alla propria linea difensiva.

Formula

TRIBUNALE DI ....

NOTE DIFENSIVE AUTORIZZATE [1]

nella causa portante il n. ...., Giudice dott. .... ultima udienza ....

Nell'interesse di:

RECLAMANTE, rappresentato e difeso dell'Avv. ...., C.F. n. .... [2], P.E.C. ....it, fax n. .... [3],

CONTRO

RECLAMATO, rappresentato e difeso dall'Avv. ....;

* * *

FATTO

a) Con ordinanza del ...., pronunciata nell'ambito dell'esecuzione n. .. (promossa dal reclamato nel confronti di .... con pignoramento presso la reclamante quale terzo) è stata assegnata al reclamato la somma di euro ...., costituente il saldo attivo di un rapporto di conto corrente acceso presso la reclamante; b) con telefax del .... il reclamato ha chiesto alla reclamante l'esecuzione del pagamento corrispondente alla somma assegnata entro .... giorni; c) con telefax del giorno successivo la reclamante ha chiesto al reclamato la trasmissione del provvedimento di assegnazione per poter provvedere al pagamento; d) il reclamato, senza dare alcuna risposta a questa comunicazione, con atto di precetto del ...., ricevuto il ...., ha intimato il pagamento del maggior importo di euro .... (comprensivo delle spese legali per la notificazione del precetto); e) con comunicazione del .... la reclamante ha comunicato al reclamato di aver effettuato il pagamento della somma originaria di euro .... al lordo della ritenuta d'acconto; f) il .... il reclamato ha depositato istanza di pignoramento nei confronti della reclamante per il credito residuo di euro ....; g) con ricorso depositato il ...., la scrivente ha proposto opposizione ai sensi dell'art. 615, comma 2, c.p.c., formulando istanza di sospensione dell'esecuzione promossa dalla ...., nei confronti di ....; h) con ordinanza del ...., il giudice dell'esecuzione ha rigettato l'istanza; i) avverso tale provvedimento è stato proposto reclamo con ricorso depositato il ....; l) il collegio, all'udienza del ...., ha concesso .... giorni per il deposito di note difensive; m) la parte reclamata, nella memoria di costituzione, ha chiesto, reputandole offensive, la cancellazione di alcune espressioni contenute nell'atto di reclamo (con la liquidazione del danno non patrimoniale, ai sensi dell'art. 89, comma 2, c.p.c.), e precisamente delle seguenti espressioni: "in via del tutto autoreferenziale" (pag. ...., rigo ...., dell'atto di reclamo), "evidente mala fede" (pag. ...., rigo ...), "che pure risulta aver colto pienamente la malafede avversaria" (pag. ...., rigo ...), nonché l'assegnazione di una somma a titolo di risarcimento del danno sofferto [4];

DIRITTO

Nel merito, nel richiamare tutte le considerazioni già espresse nell'atto di reclamo, con il presente atto si precisa che l'accoglimento della richiesta di sospensione dell'esecuzione si giustifica sulla base ....

Quanto alla richiesta di cancellazione di espressioni asseritamente offensive [5], la stessa è infondata, atteso che: a) come chiarito da un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, "la sussistenza dei presupposti per la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute negli scritti difensivi prevista dall'art. 89 cod. proc. civ.... va esclusa allorquando le espressioni contenute negli scritti difensivi non siano dettate da un passionale e incomposto intendo dispregiativo e non rivelino perciò un intento offensivo nei confronti della controparte, ma, conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive, siano preordinate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento della controparte, la scarsa attendibilità delle sue tesi e affermazioni" (v. Cass. n. 805/04, Cass. n. 12309/04. Cass. 10288/09, Cass. n. 28195/11); b) in questa prospettiva la Suprema Corte, ad esempio, ha escluso l'applicabilità dell'art. 89 c.p.c. per le seguenti espressioni, ritenute non esulanti dalla materia del contendere e dalle esigenze difensive: "un'incredibile persecuzione giudiziaria", "persecuzione", “Invenzioni processuali", "tendenziose", "abili manovre", "gratuite affermazioni", frode" (così Cass. n. 805/04); "La Corte sembra aver dato credito unicamente alle suggestioni create dall'atto di appello incidentale, alle affermazioni ivi contenute, non provate, spesso assurda e addirittura al limite del mero pettegolezzo" (così Cass. n. 12309/04); "subdolamente" (così Cass. n. 26195/11); c) applicando tali parametri alla fattispecie in esame, deve escludersi la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento dell'istanza proposta da parte attrice, in quanto i periodi censurati dell'atto di reclamo hanno ad oggetto affermazioni (caratterizzate da espressioni simili a quelle su evidenziate), che sono solo finalizzate a dimostrare (ovviamente nell'ottica del reclamante) l'infondatezza dell'azione esecutiva del reclamato per esercizio abusivo del diritto di procedere ad esecuzione forzata, e ciò anche attraverso una valutazione negativa della condotta della parte, senza però esulare dalla materia controversa e senza eccedere dalle esigenze difensive.

Si confida, pertanto, nell'accoglimento del reclamo, con conseguente accoglimento dell'istanza di sospensione riproposta dal reclamante e con condanna del reclamato al rimborso delle spese relative alle due fasi incidentali dell'istanza di sospensione.

Luogo e data......

Firma Avv........

[1] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111).

[2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. 98/2011, conv. con modif. dalla legge 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. 193/2009 conv. con modif. dalla legge 24/2010.

[3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. 90/2014 conv., con modif., dalla legge 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. 90/2014, conv. con modif., dalla legge 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[4] In tema di espressioni sconvenienti e offensive, delle offese contenute negli scritti difensivi risponde sempre la parte, ai sensi dell'art. 89 c.p.c., anche quando tali offese provengano dal difensore; sicché, destinatario della domanda di risarcimento del danno ex art. 89, comma 2, c.p.c. è sempre e solo la parte (legittimata passivamente), la quale, se condannata, potrà rivalersi nei confronti del difensore, cui siano addebitabili le espressioni offensive, ove ne ricorrano le condizioni (Cass. II, n. 23333/2008). Il difensore della parte è passivamente legittimato, a titolo personale, nell'azione per danni da espressioni offensive contenute negli atti del processo, proposta davanti ad un giudice diverso da quello che ha definito quest'ultimo, ove sia prospettata una specifica responsabilità del difensore stesso o non sia più possibile agire ai sensi dell'art. 89 c.p.c. per lo stadio processuale in cui la condotta offensiva ha avuto luogo (Cass. VI, n. 7638/2015).

[5] In tema di diffamazione, la competenza a decidere sulla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale per le offese contenute in scritti o discorsi dinanzi alla autorità giudiziaria, scriminabili ai sensi dell'art. 598 c.p., spetta solo al giudice della causa nell'ambito della quale furono pronunciate le frasi offensive, il quale è l'unico idoneo a valutare, a conclusione del giudizio, se la giustificazione di quelle offese debba escludere anche la risarcibilità del danno non patrimoniale eventualmente patito da colui cui furono rivolte, rimanendo conseguentemente improponibile la domanda risarcitoria formulata davanti a diverso giudice (Cass. III, n. 20593/2012). Competente ad accertare e liquidare il danno derivante dall'uso di espressioni offensive contenute negli atti del processo, ai sensi dell'art. 89 c.p.c., è lo stesso giudice dinanzi al quale si svolge giudizio nel quale sono state usate le suddette espressioni, ed a tale competenza funzionale si può derogare solo in quattro ipotesi: allorquando le espressioni offensive siano contenute in atti del processo di esecuzione, che per sua natura non può avere per oggetto un'azione di cognizione; allorquando esse siano contenute in atti di un processo di cognizione che non si conclude con un provvedimento decisionale, come nel caso di estinzione; allorquando i danni si manifestano in uno stadio processuale in cui non è più possibile farli valere tempestivamente, come nel caso di frasi contenute in comparsa conclusionale; allorquando infine la domanda di risarcimento sia proposta nei confronti non della parte, bensì del suo difensore (Cass. III, n. 5062/2010; Cass. n. 16121/2009; Trib. Reggio Emilia, n. 156/2013). Ne consegue che, quando i danni si manifestano in uno stadio processuale in cui non sia più possibile farli valere tempestivamente davanti al giudice del merito l'azione può essere legittimamente proposta davanti al giudice competente secondo le norme ordinarie (Cass. III, n. 10916/2001; Trib. Roma, 22 dicembre 2003).

La Corte di cassazione è competente ad ordinare, ai sensi dell'art. 89 c.p.c., la cancellazione delle espressioni sconvenienti ed offensive contenute nei soli scritti ad essa diretti, con la conseguenza che è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si chieda la cancellazione delle frasi del suddetto tenore contenute nelle fasi processuali anteriori, essendo riservata la relativa statuizione al potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. III, n. 6439/2009).

Commento

Il provvedimento giudiziale

Il provvedimento con il quale il giudice decide la cancellazione di espressioni sconvenienti od offensive contenute negli scritti difensivi (art. 89 c.p.c.), in considerazione della forma per esso prevista (l'ordinanza) e del suo scopo (assicurare che l'esercizio del diritto di critica non ecceda le esigenze richieste dalla garanzia del contraddittorio e non vulneri il prestigio e il decoro dei soggetti del processo), ha carattere meramente ordinatorio e costituisce oggetto di un potere discrezionale, esercitabile dal giudice anche di ufficio, rispetto al quale l'eventuale istanza della parte ha carattere meramente sollecitatorio (Cass. I, n. 2194/2016). Pertanto, l'istanza di cancellazione costituisce una mera sollecitazione per l'esercizio dell'anzidetto potere discrezionale, di guisa che non può formare oggetto di impugnazione l'omesso esame di essa né l'omesso esercizio del suddetto potere (Cass. III, n. 22186/2009).

Tuttavia, una parte della giurisprudenza di merito ritiene che, mentre il potere di disporre la cancellazione delle espressioni sconvenienti e offensive rientri tra quelli suscettibili di essere esercitati d'ufficio dal giudice, la domanda risarcitoria, per la sua particolare natura, debba essere oggetto di una domanda espressa della parte. Una tale domanda, inoltre, non potrebbe ritenersi implicitamente formulata nella richiesta al giudice di valutare i presupposti per l'assegnazione di una somma di denaro a titolo risarcitorio (Trib. Roma IX, 4 gennaio 2008, n. 147). Inoltre, qualora la sollecitazione venga esercitata solo con la memoria di replica, non potrà concedersi anche una somma di danaro a titolo di risarcimento danni, in quanto, risultando la memoria in questione destinata in via esclusiva ad illustrare e chiarire i motivi proposti, non potrebbe giammai trovare idonea tutela il diritto di difesa del destinatario della domanda risarcitoria, privato - in quanto tale - della possibilità di contare su un congruo termine per l'esercizio della facoltà di replica (Cass. sez. lav., n. 9946/2001).

Il potere del giudice di merito di ordinare la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive utilizzate negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati davanti al giudice costituisce, come detto, un potere valutativo discrezionale volto alla tutela di interessi diversi da quelli oggetto di contesa tra le parti ed il suo esercizio d'ufficio, presentando carattere ordinatorio e non decisorio, si sottrae all'obbligo di motivazione (Cass. III, n. 14659/2015).

L'insussistenza di alcun rapporto di pregiudizialità fa sì che la sanzione del risarcimento del danno non sia subordinata alla preventiva cancellazione (Cass. III, n. 11063/2002).

L'ambito applicativo dell'art. 89 c.p.c.

In tema di responsabilità civile per espressioni offensive contenute in scritti processuali, sia la norma dell'art. 89 c.p.c. — finalizzata a regolare la correttezza formale del contraddittorio, senza individuare alcuna causa di non punibilità — sia quella dell'art. 598 c.p. — che prevede la non punibilità delle offese contenute negli scritti presentati dinanzi all'Autorità giudiziaria allorché esse riguardino l'oggetto della causa — si riferiscono espressamente ed esclusivamente alle parti ed ai loro difensori, non potendo quindi trovare applicazione nei confronti del consulente tecnico di parte, che è figura processuale diversa e non equiparabile alle predette (così Cass. III, n. 27001/2001, in una fattispecie relativa ad affermazione della responsabilità civile di un consulente tecnico di parte per espressioni diffamatorie nei confronti del consulente tecnico d'ufficio contenute in una memoria peritale depositata in un procedimento giudiziario).

L'art. 89 c.p.c., nella parte in cui prevede il risarcimento dei danni, è applicabile quando l'offensore e l'offeso siano parti in causa nel medesimo giudizio, e non - quindi - qualora l'offeso sia un terzo, come nell'eventualità l'offeso sia lo stesso magistrato che ha deciso la controversia. Né quest'ultimo potrebbe condannare una parte al risarcimento in favore di sé stesso, potendo solo promuovere un diverso procedimento civile (o penale) nei confronti dell'autore dell'illecito. Ove, inoltre, le frasi costituiscano un apprezzamento (negativo, nonché offensivo) nei confronti del giudice, le stesse non possono che essere riferite al difensore e non, quindi, alla parte - atteso che implicano considerazioni relative all'attività del giudice di cui la parte stessa non può avere conoscenza (Cass. III, n. 21696/2011).

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