Comparsa conclusionale per domanda di risarcimento per comportamento lesivo della concorrenza

Emanuela Musi

Inquadramento

Con la comparsa conclusionale, l'utente danneggiato da un cartello tra imprese assicurative lesivo della concorrenza chiede il risarcimento del sovrapprezzo corrisposto.

Formula

CORTE DI APPELLO DI .... [1]

COMPARSA CONCLUSIONALE

R.G. .... Sezione....Udienza

PER

il Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F....., residente in ...., via ...., rappresentato e difeso, come da procura in calce (oppure, a margine) del presente atto, dall'Avv....., C.F....., presso il cui studio elettivamente domicilia in .... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC.....

FATTO

Con atto di citazione notificato il ...., l'istante conveniva davanti all'Ill.ma Corte adita la Assicurazioni .... per sentirla condannare, previo accertamento del suo diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, al pagamento della somme corrispondenti al ....% di quanto da lui versato a titolo di premio relativamente alla polizza assicurativa R.C.A. n. ...., per il periodo da .... a .....

In punto di fatto specificava che le suddette richieste trovavano fondamento nella circostanza che la polizza era stata stipulata secondo le condizioni determinate dal cartello delle società Assicuratrici, il cui effetto era stato di maggiorare i prezzi in modo uniforme per tutto il mercato nazionale, in violazione della legge 10 ottobre 1990, n. 287, dei principi di correttezza e buona fede e con pregiudizio di essa parte, più debole in quanto obbligata a contrarre. Deduceva inoltre che la stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva inflitto alla compagnia assicurativa convenuta, per violazione del divieto di cui all'art. 2 della predetta legge Antitrust, il pagamento a titolo di sanzione amministrativa della somma di euro ....

In data .... si costituiva la Assicurazioni la quale oltre a contestare il fondamento della pretesa, eccepiva l'incompetenza del giudice adito.

Instaurato il contraddittorio, all'udienza del ...., la Corte riservava la causa in decisione, concedendo i termini di legge per il deposito di memorie conclusionali.

Nel riportarsi all'atto introduttivo ed a tutti i documenti di causa e nell'impugnare tutto quanto ex adverso dedotto, prodotto ed eccepito, si insiste nell'accoglimento integrale della domanda risarcitoria anche alla stregua delle seguenti considerazioni in

DIRITTO

1. In ordine alla competenza della Corte adita.

L'eccezione di incompetenza come formulata da parte avversa deve ritenersi infondata.

Invero, il combinato disposto di cui al d.lgs.n. 3/2017 (Attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea), art. 2, comma 1, lett. f) ed art. 18, ha sancito: la competenza funzionale delle Corti di Appello in ossequio al disposto di cui l. n. 287/1990, articolo 33, comma 1; in esecuzione del criterio stabilito dalla l. n. 114/2015, la concentrazione inderogabile delle controversie per danno antitrust nei tre uffici giudiziari di Milano (per il Nord Italia), Roma (per il Centro) e Napoli (per il Sud).

Ne deriva la competenza della Corte adita.

2. In ordine alla fondatezza della domanda.

Sul punto è bene precisare che da ultimoild.lgs. n. 3/2017, in attuazione della direttiva 2014/104/UE, ha provveduto a disciplinare sotto il profilo sostanziale e processuale la tutela risarcitoria per le violazioni delle disposizioni in materia di diritto della concorrenza. Il nuovo Decreto trova applicazione con riferimento alle azioni di risarcimento follow-on (che seguono la decisione di accertamento della violazione da parte dell'autorità antitrust) e stand- alone (proposte in assenza di una previa decisione antitrust).

In particolare, secondo la citata disposizione normativa il risarcimento potrà essere chiesto per qualunque danno subito a seguito della violazione delle disposizioni di "diritto della concorrenza", nel quale rientrano – ai sensi del Decreto – le disposizioni degli artt. 101 e 102 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e della legge 10 ottobre 1990, n. 287 artt. 2, 3 e 4 e qualunque altra disposizione, nazionale od europea, volta a perseguire le medesime finalità di tali disposizioni, fatta eccezione per le disposizioni che impongono sanzioni penali a persone fisiche, salvo qualora tali sanzioni penali costituiscano gli strumenti tramite i quali sono attuate le regole di concorrenza applicabili alle imprese (art. 2, comma 1, lett. b) [2].

Tale disciplina va chiaramente raffrontata con il disposto di cui alla l. n. 287/1990, il cui art. 33 sancisce la nullità di tutte le clausole contrattuali lesive della libera concorrenza.

Va a tal proposito osservato che la disciplina sulla concorrenza deve essere letta come attuazione della Costituzione art. 41, ed interpretata in base ai principi dell'ordinamento comunitario. In tal senso sono vietate le intese che abbiano per effetto o per oggetto di impedire, restringere o falsare "in maniera consistente" il gioco della concorrenza "all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante".

In relazione al caso in esame è stato accertato a seguito di minuziosa istruttoria dell'Autorità Garante l'avvenuto scambio di informazioni tra le imprese del ramo assicurativo, che aveva dato a sua volta luogo ad un comportamento delle stesse del tutto omogeneo e tale pertanto da impedire al contraente di individuare un assicuratore che, praticando effettiva concorrenza, offrisse prezzi migliori di quello nella specie pagato.

Tant'è che l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con provvedimento del ...., numero ...., aveva inflitto alla convenuta il pagamento a titolo di sanzione amministrativa della somma di Euro ...., per violazione del divieto di cui all'art. 2 della predetta legge Antitrust.

Sul punto il Decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 3, art. 7, ha statuito che ai fini dell'azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti dell'autore, la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell'Autorità garante della concorrenza.

Inoltre, il Decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 3, art. 14, comma 2, in deroga al principio generale dell'onere della prova, stabilisce una presunzione di esistenza del danno derivante da un accordo di cartello. In tali ipotesi, colui che si afferma danneggiato da una simile intesa sarà soltanto tenuto a provare il quantum del pregiudizio subito.

È di estrema evidenza che l'istante ha subito un grave danno dalla illecita intesa posta in essere dalla convenuta con le altre aziende operanti nel settore; in particolare è chiara la violazione di interessi riconosciuti dall'ordinamento giuridico dal quale scaturisce un danno ingiusto ex artt. 2043 e 2059 c.c..

Ai fini della determinazione il danno può essere determinato in via equitativa in misura pari a una percentuale del prezzo pagato. [3]

Lo stesso art. 14, comma 1 del Decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 3 sancisce che il risarcimento del danno causato da una violazione del diritto della concorrenza dovuto al soggetto danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni del c.c. articoli 1223, 1226 e 1227.

CONCLUSIONI

Alla luce di tutto quanto testé evidenziato voglia l'Ill.ma Corte di Appello adita così provvedere:

- accertare e dichiarare la nullità delle clausole contrattuali relativa alle polizze assicurative stipulate con la convenuta per le R.C.A. (indicare gli articoli);

- per l'effetto accertare e dichiarare il diritto dell'istante al risarcimento dei consequenziali danni, patrimoniali e non patrimoniali, quantificati in euro ...., equivalenti al _________% di quanto da lui versato a titolo di premio relativamente alla polizza assicurativa r.c.a. n...., per il periodo da .... a .... in Euro ...., ovvero nel diverso importo, minore o maggiore che la Corte riterrà, oltre interessi e rivalutazione.

Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario.

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

[1] Il d.lgs.n. 3/2017, stabilisce che possono agire per il risarcimento del danno tutte le persone, fisiche o giuridiche, professionisti o consumatori (artt. 1 e 2). Gli artt. 3-6 disciplinano l'ordine di esibizione delle prove, che può essere emesso dal giudice nei confronti delle parti e di terzi. Obiettivo dell'istituto è quello di consentire in particolare all'attore di reperire elementi in genere difficilmente acquisibili a causa della c.d. asimmetria informativa, che in ambito antitrust pone normalmente nella disponibilità del convenuto o di terzi informazioni e documenti essenziali per fondare la domanda risarcitoria. Il regime previsto dal Decreto, pur presentando margini più ampi dell'analogo istituto disciplinato dal codice di procedura civile, non assume tuttavia i caratteri del discovery order proprio degli ordinamenti di common law.

[2] Il d.lgs.n. 3/2017, stabilisce che il danno risarcibile comprende il lucro cessante, il danno emergente e gli interessi e non può dare luogo a sovracompensazioni, venendo in tal modo esclusa l'applicazione dei c.d. danni punitivi previsti in altri ordinamenti.

[3] Cass. S.U., n. 2207/2005.

Commento

Premessa

L'attuale assetto del sistema del risarcimento del danno per violazione della disciplina antitrust risulta composto dalla recente novella legislativa (d.lgs. n. 3/2017), dalla Direttiva 2014/104/UE e dai principi che compongono il cosiddetto acquis comunitario sul punto.

Il conseguimento del pieno risarcimento del danno subito da parte dei soggetti danneggiati da infrazioni delle norme UE sulla concorrenza costituiva l'obiettivo della menzionata direttiva, che doveva essere realizzato mediante il miglioramento e l'implementazione dell'interazione tra applicazione a livello pubblico e privato del diritto della concorrenza. Al riguardo, da parte della dottrina si è parlato di natura bifronte dell'azione per il risarcimento del danno antitrust che, da un lato, ha una funzione di deterrenza e di garanzia di effettività del diritto della concorrenza europeo e, dall'altro, costituisce un utile strumento di tutela dei diritti dei singoli.

Il diritto al pieno risarcimento è sancito dai principi generali dell'ordinamento comunitario e costituisce parte dell'acquis comunitario; tuttavia, l'esercizio pratico di questo diritto è spesso reso difficile o quasi impossibile dall'intricato insieme di norme e delle procedure applicabili, contraddistinto da particolare complessità in ragione delle diversità riscontrabili nelle disposizioni giuridiche nazionali che disciplinano le azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust. Tale difformità può causare incertezza del diritto per tutte le parti che siano coinvolte in azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust: ciò può determinare un'applicazione inefficiente, a livello privato, delle regole di concorrenza, soprattutto nei casi transfrontalieri. Secondo il legislatore della direttiva, la portata del perseguito ravvicinamento delle norme nazionali non è limitata alle azioni per il risarcimento del danno a seguito di violazioni delle regole europee sulla concorrenza, ma opera anche con riguardo alle violazioni delle norme nazionali quando queste sono applicate in parallelo. Si profilano così i due scopi della direttiva, interdipendenti ma distinti, e cioè il ravvicinamento delle norme nazionali applicabili in caso di violazione delle norme di cui agli articoli 101 e 102 TFUE e l'individuazione delle stesse norme sostanziali e procedurali che le Corti nazionali devono applicare alle azioni per il risarcimento del danno causato da violazione del diritto nazionale della concorrenza.

Lo stato dell'arte prima della novella legislativa.

1. La legittimazione attiva.

Il comportamento contrario al diritto antitrust è idoneo a ledere tanto il buon funzionamento della concorrenza, quanto gli interessi dei singoli che operano sul mercato nel quale si sia realizzato l'illecito, sicché tra i potenziali danneggiati non vi sono solo gli imprenditori concorrenti, ma anche i consumatori posti alla fine della catena distributiva, cui è pertanto riconosciuta la legittimazione attiva.

La direttiva del 2014, al riguardo, stabilisce che il diritto al risarcimento è riconosciuto a ogni persona fisica o giuridica, consumatori, imprese e pubbliche autorità, a prescindere dall'esistenza di un rapporto contrattuale diretto con l'impresa autrice della violazione e a prescindere dal fatto che un'autorità garante della concorrenza abbia o meno preventivamente constatato una violazione. Il riconoscimento di un'ampia platea di soggetti tutelati dal diritto antitrust è figlio della lunga evoluzione della giurisprudenza europea: tra le molte cfr. la sentenza Courage (CGCE, 12 settembre 2001, causa C-453/99) che aveva sancito il diritto di chiunque di chiedere il risarcimento del danno derivante da un contratto o da un comportamento idoneo a restringere o falsare il gioco della concorrenza (il principio è stato poi consolidato con la successiva CGCE, 13 luglio 2006, cause riunite C-295-298/04, caso Manfredi 2007.).

La giurisprudenza italiana inizialmente attestata su posizioni restrittive (cfr. Cass. III, n. 17475/2002 che aveva escluso la possibilità che il consumatore potesse esercitare l'azione risarcitoria sulla base della disciplina nazionale antitrust, riconoscendogli nondimeno la titolarità dell'azione ex art. 2043 c.c.), si è successivamente uniformata a quella comunitaria (si veda Cass. S.U., n. 2207/2005 ove è stata affermata la necessità di tutela piena e diretta degli interessi dei consumatori, con il riconoscimento della legittimazione ad agire ex art. 33, l. n. 287/1990; si veda, anche Cass., n. 2305/2007). Il consumatore diventa protagonista, in quanto soggetto in grado, attraverso le proprie scelte individuali, di influenzare l'andamento e l'assetto della concorrenza sul mercato, contrastando i monopoli e incentivando la competitività tra i diversi soggetti economici.

La potenziale plurioffensività delle fattispecie anticoncorrenziali si mostra in maniera evidente negli illeciti cd. di sfruttamento, ove, oltre agli acquirenti diretti dei beni, e cioè una persona fisica o giuridica che ha acquistato direttamente da un autore della violazione beni o servizi oggetto di una violazione del diritto della concorrenza ( Articolo 2, Direttiva 2014/104/UE.), vi sono altre categorie di soggetti che potrebbero dirsi danneggiati: è la stessa direttiva a fare riferimento agli acquirenti indiretti, cioè una persona fisica o giuridica che abbia acquistato non direttamente da un autore della violazione, ma da un acquirente diretto o da un acquirente successivo beni o servizi oggetto di una violazione del diritto della concorrenza, oppure beni o servizi che li incorporino o che derivino dagli stessi. Si pensi alla fattispecie in cui il bene oggetto del sovrapprezzo venga destinato da un altro imprenditore alla produzione di un bene, che, a sua volta, sarà immesso sul mercato ad un prezzo sovra concorrenziale (l'ipotesi è quella del fenomeno del passing on), cosicché potranno dirsi danneggiati i soggetti che abbiano acquistato il secondo bene; si può anche ipotizzare il caso in cui, a lamentare un danno, siano coloro che abbiano deciso di non acquistare il bene a causa dell'aumento del prezzo; da ultimo, nel chiunque da tutelare potrebbe rientrare pure il produttore del bene complementare che abbia visto scemare la domanda dei propri prodotti. Così individuata in astratto la platea dei legittimati attivi, ai fini della concreta risarcibilità del danno occorrerà verificare il nesso di causalità fra violazione della disciplina antitrust e danno subìto: la Direttiva 2014/104/UE non disciplina l'aspetto relativo ai criteri necessari per ricostruire il nesso di causalità in materia, di tal che troveranno applicazione le norme degli Stati membri, che in tema di causalità si ispirano a modelli tra loro diversi.

2. Il danno risarcibile: i criteri di quantificazione

La prevalente dottrina è nel senso che la violazione delle regole di concorrenza non dia luogo ad un tipo speciale ed autonomo di responsabilità, ma rientri nell'alveo del sistema della responsabilità civile.

Come già accennato, l'illecito anticompetitivo è, per definizione, un illecito plurioffensivo, perché le conseguenze pregiudizievoli della condotta anticoncorrenziale hanno l'attitudine a riverberarsi sulla sfera patrimoniale di plurimi potenziali danneggiati, che sono identificabili in coloro i quali operano, anche occasionalmente, all'interno di quel mercato, vale a dire le imprese ed i consumatori finali.

Alla luce della direttiva del 2014, la distinzione tra le due diverse classi di potenziali danneggiati è utile ai fini della corretta individuazione del tipo di danno da risarcire ed in merito ai criteri da adottare per la sua esatta quantificazione. L'articolo 3 sancisce il diritto del danneggiato ad ottenere un pieno risarcimento del danno: il pieno risarcimento pone una persona che abbia subìto un danno nella situazione in cui si sarebbe trovata se la violazione del diritto della concorrenza non fosse stata commessa. Esso comprende, quindi, il diritto al risarcimento per il danno emergente e per il lucro cessante, oltre al pagamento di interessi, definizione che, secondo la dottrina, evoca la cd. teoria differenziale, che identifica il danno risarcibile nella differenza tra la situazione patrimoniale seguita all'illecito (sottraendo) e la situazione patrimoniale ipotetica che si sarebbe determinata in mancanza dell'illecito (minuendo) – cfr. formula su danno emergente e lucro cessante). Inoltre, la direttiva fa riferimento ai concetti, ben noti alla dottrina italiana, del danno emergente e del lucro cessante e le nozioni enucleate dal legislatore europeo sono in linea con la lunga tradizione del diritto civile italiano sul punto. Il legislatore europeo sancisce anche la necessità del pagamento di interessi, che costituiscono una parte del risarcimento per indennizzare il danno subito, tenuto conto del lasso di tempo, e attribuisce agli Stati membri il compito di fissare i criteri da applicare a tal fine.

In particolare, la direttiva, all'art. 17, prevede una presunzione relativa riguardo all'esistenza del pregiudizio provocato dal cartello, che consente di alleviare le difficoltà e i costi che i soggetti danneggiati devono affrontare per provare che il cartello abbia provocato un danno, di solito consistente in un prezzo superiore a quello che si sarebbe avuto in regime di libera concorrenza. La presunzione è iuris tantum, perché l'impresa autrice dell'infrazione può fornire la prova che il cartello non ha provocato alcun danno. Il legislatore della direttiva sancisce, altresì, che gli Stati membri dovrebbero assicurare che, su richiesta dei giudici nazionali, le autorità antitrust nazionali possano « prestare assistenza » in ordine alla quantificazione.

Una norma ad hoc disciplina l'ipotesi in cui l'an del risarcimento sia dimostrato, ma sia praticamente impossibile o eccessivamente difficile quantificare con esattezza il danno subito sulla base delle prove disponibili: in questo caso, gli Stati membri devono provvedere affinché i giudici nazionali abbiano il potere, a norma delle procedure nazionali, di stimare l'ammontare del danno (nel nostro ordinamento il riferimento è all'art. 1226 c.c.). Infine, bisogna ricordare che la direttiva esclude che il diritto al pieno risarcimento, in essa sancito, possa portare ad una sovracompensazione, che sia a titolo di risarcimento punitivo, multiplo o di altra natura (art. 3).

Di particolare interesse è la disciplina relativa al fenomeno del cd. passing on che ricorre ogni volta in cui la condotta illecita venga posta in essere ad un livello iniziale o intermedio della catena produttiva o distributiva, con la conseguente possibilità che gli effetti dannosi dell'illecito si propaghino sui successivi livelli. La questione sorge in merito agli illeciti antitrust di sfruttamento: l'es. è quello di un'intesa tra i produttori del bene____ in forza della quale il bene viene immesso nel mercato ad un prezzo sovraconcorrenziale. In tal caso, è ragionevole ipotizzare che l'imprenditore che utilizzi tale bene nella produzione del bene Y sia portato a trasferire il danno causato dal sovrapprezzo, pagato aumentando a sua volta il prezzo del bene Y. In queste ipotesi, sotto il profilo risarcitorio si pongono due problemi: il primo, la ricostruzione del legame causale tra condotta anticoncorrenziale ed evento danno subito dagli acquirenti indiretti; il secondo, quello della prova dell'avvenuta traslazione del danno sui successivi anelli della catena.

Per il legislatore europeo, il risarcimento deve sostituire per intero e solamente il danno effettivamente subito, per cui non possono ammettersi azioni di risarcimento plurime per lo stesso tipo di danni e tanto in un'ottica evidentemente compensatoria. Per garantire che possano effettivamente chiedere un risarcimento solo gli acquirenti diretti e indiretti che abbiano realmente subito un danno da sovrapprezzo, la direttiva riconosce esplicitamente all'impresa che abbia commesso l'illecito la possibilità di invocare l'eccezione del trasferimento; qualora un soggetto danneggiato abbia ridotto il suo danno reale trasferendolo, in tutto o in parte, sui suoi acquirenti, il danno trasferito non costituisce più un pregiudizio per cui tale soggetto debba essere risarcito. Tuttavia, può accadere che il trasferimento del sovrapprezzo abbia comportato una riduzione del volume delle vendite: questo costituisce un danno la cui quantificazione diventa particolarmente complessa, dovendosi distinguere tra flessioni fisiologiche delle vendite e flessioni provocate unicamente dal trasferimento del sovrapprezzo. Inoltre, la direttiva per il caso di azioni intentate da acquirente indiretto prevede che l'onere della prova sia assolto qualora l'attore dimostri che il convenuto abbia commesso una violazione del diritto antitrust, che la violazione abbia determinato un sovrapprezzo per l'acquirente diretto e che l'acquirente indiretto abbia acquistato i beni e i servizi oggetto della violazione compiuta o i beni e i servizi che li incorporano (art. 14).

Infine, la direttiva ipotizza il caso in cui, per la stessa violazione del diritto della concorrenza, le parti danneggiate intentino azioni separate. Infatti, in base all'articolo 15, i giudici nazionali possono, tramite gli strumenti previsti dal diritto dell'Unione o dal diritto nazionale, tenere debito conto delle azioni per il risarcimento del danno connesso alla stessa violazione del diritto della concorrenza, ma esercitate da attori che si trovano ad un altro livello della catena di produzione o di commercializzazione, delle decisioni giudiziarie risultanti da eventuali altre azioni e dalle pertinenti informazioni di dominio pubblico che risultano dall'applicazione a livello pubblicistico del diritto della concorrenza. Tale norma è disposta per evitare un sotto risarcimento o un sovra risarcimento del danno causato da tale infrazione e persegue, inoltre, l'obiettivo di promuovere la coerenza fra le sentenze pronunciate per tali procedimenti collegati.

Vale evidenziare che la giurisprudenza di merito italiana aveva negato il risarcimento del danno all'acquirente diretto che non fosse riuscito a dimostrare di non aver traslato i maggiori costi subiti agli acquirenti finali (al riguardo si segnala la sentenza della Corte di Appello di Torino, 6 luglio 2000, in cui la società______ lamentava di aver subito un danno a seguito dell'abuso di posizione dominante da parte della Juventus, la quale avrebbe imposto alla società attrice di acquistare i biglietti per una trasferta insieme ad altri servizi, quali il trasporto e il soggiorno in albergo; ivi la Corte di Appello ha negato il risarcimento e ha presunto, sulla base delle proteste dei tifosi rese note dagli organi di stampa, che la società avesse trasferito integralmente i maggiori costi sostenuti sui tifosi, acquirenti finali del pacchetto).

3. I mezzi di prova.

Nel territorio dell'Unione Europea, oltre al programma di clemenza della Commissione, attualmente esistono 26 programmi di clemenza vigenti negli Stati membri, i quali si ispirano ad un programma modello elaborato ed adottato nell'ambito della Rete Europea della Concorrenza (ECN), il cosiddetto ECN Model Leniency Programme, del 29 settembre 2006, poi modificato nel novembre 2012. In base a detti programmi, le imprese responsabili di condotte anticoncorrenziali possono ottenere la riduzione o l'immunità dalle ammende tramite l'autoincriminazione (si parla al riguardo di leniency program): laddove le prove acquisite nell'ambito dei detti programmi fossero divulgate ed utilizzabili nel giudizio civile, se da un lato il soggetto danneggiato ne sarebbe agevolato, d'altra parte deriverebbe una posizione deteriore del leniency applicant (l'impresa che si sia autoincriminata) rispetto alle altre partecipanti al cartello, con effetto disincentivante sul piano dell'accesso ai programmi di clemenza a detrimento del relativo effetto deterrente.

In base alla direttiva 2014/104/UE, le dichiarazioni ufficiali legate ai programmi di trattamento favorevole e le proposte di transazione non sono divulgabili; un giudice nazionale non può mai ordinare la divulgazione di questi documenti in un'azione per il risarcimento del danno (art. 6 par. 6); protezione solo temporanea è, invece, accordata ai documenti appositamente preparati dalle parti ai fini di una procedura d'applicazione a livello pubblico — è il caso, ad esempio, delle risposte delle parti a una richiesta di informazioni dell'autorità — o elaborati dall'autorità garante della concorrenza nel corso del suo procedimento, tra questi, le comunicazioni di addebito. La divulgazione di questi documenti è consentita solo in seguito alla chiusura del procedimento da parte delle autorità antitrust (art. 6 par. 5). Tutti gli altri documenti possono essere divulgati, per ordine dell'autorità giudiziaria, in ogni momento. Tuttavia, secondo il legislatore europeo è opportuno che i giudici nazionali si astengano dal disporre la divulgazione di elementi di prova che contengano un rinvio a informazioni fornite ad un'Autorità garante della concorrenza e utili nel suo procedimento. Infatti, se l'indagine è in corso, la divulgazione potrebbe compromettere il procedimento d'applicazione a livello pubblico, poiché rivelerebbe quali informazioni sono contenute nel fascicolo e potrebbe essere usata per scardinare la strategia di indagine dell'Autorità nazionale. Il legislatore europeo considera, però, rilevante la selezione dei documenti preesistenti presentati ad un'Autorità garante della concorrenza, perché è la stessa disciplina europea a invitare le imprese a fornire le prove nell'ottica della loro cooperazione. La volontà delle imprese di cooperare potrebbe essere ostacolata da richieste di divulgazione che individuino i documenti rinviando in modo onnicomprensivo alla loro presenza nel fascicolo dell'autorità antitrust, anziché indicando il loro tipo, la loro natura e il loro oggetto. Infatti, le domande di divulgazione globale dei documenti dovrebbero essere considerate dai giudici sproporzionate e non conformi all'obbligo della parte richiedente di specificare le categorie di prova in maniera estremamente precisa e rigorosa. Infine, per evitare che i documenti ottenuti grazie all'accesso al fascicolo diventino oggetto di scambio, la direttiva ritiene opportuno che solo la persona che abbia ottenuto l'accesso al fascicolo possa usare i documenti come mezzo di prova in un'azione risarcitoria.

La novella legislativa del 2017.

Il Governo italiano ha dato attuazione alla direttiva 2014/104/UE con il d.lgs. n. 3/2017, fornendo ai soggetti danneggiati, agli acquirenti indiretti e ai consumatori uno strumento per colmare l'asimmetria di informazioni sofferte dal danneggiato nei confronti del convenuto; infatti, attraverso un particolare meccanismo di esibizione delle prove il giudice può richiedere alle parti, ai terzi e alle autorità garanti l'esibizione di elementi utili alla definizione del giudizio instaurato per il risarcimento del danno da illecito antitrust. In particolare, vengono contemperante l'esigenza di tutela del danneggiato con quella alla conservazione dell'efficacia deterrente dei programmi di clemenza: la divulgazione viene attuata mediante l'ordine di esibizione del giudice (che presuppone l'istanza di parte, che dovrà essere quanto mai specifica e circostanziata, specie allorché si tratti di ordinare l'esibizione di documenti depositati presso l'Authority), che dovrà essere proporzionato alla decisione (in particolare, il giudice dovrà esaminare in quale misura la domanda di risarcimento o la difesa siano sostenute da fatti e prove disponibili che giustifichino l'ordine, la portata ed i costi dell'esibizione, nonché verificare l'eventuale carattere riservato delle informazioni richieste – nel quale caso dovrà disporre specifiche misure di tutela).

Vengono, altresì, regolati i rapporti tra la decisione dell'Autorità garante per la concorrenza e la decisione del giudice nazionale per l'azione di risarcimento del danno, con la precisazione che, in relazione a quest'ultima, la decisione dell'Autorità italiana per la concorrenza non può essere impugnata; invece, la decisione sulla violazione emessa in via definitiva da altro Stato membro, ha valore attenuato, perché costituisce prova valutabile insieme agli altri elementi di prova (art. 7: è importante sottolineare ai fini che ci occupano come il rilievo probatorio della decisione dell'Authority si arresti alla natura della violazione, alla sua portata materiale, personale, temporale e territoriale lasciando impregiudicata ogni valutazione circa il nesso di causalità e l'esistenza del danno).

Si indica, poi, all'art. 8 il termine di prescrizione dell'azione che è di 5 anni dalla cessazione della violazione (trattandosi di illecito permanente), decorrente dal momento in cui l'attore ne venga a conoscenza (in particolare, la conoscenza, presunta, dovrà riguardare la condotta ed il fatto che tale condotta costituisca una violazione del diritto della concorrenza, il fatto che la violazione del diritto della concorrenza gli ha cagionato un danno, l'identità dell'autore della violazione).

In ordine, da ultimo ai criteri di valutazione e quantificazione del danno, vengono espressamente richiamate le disposizioni di cui agli artt. 1223, 1226 e 1227 del codice civile, nonché recepita appieno la direttiva UE 2014 con riferimento alla presunzione dell'esistenza del danno da cartello.

In particolare. Il valore delle decisioni della Autorità nei giudizi risarcitori alla luce della novella legislativa. Azioni follow on e stand alone.

Il recente d.lgs. n. 3/2017, entrato in vigore il 3 febbraio 2017, contiene una norma importante in punto di efficacia della decisioni dell'Authority nei giudizi per il risarcimento del danno: l'art. 7 stabilisce infatti che «ai fini dell'azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti dell'autore, la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell'autorità garante della concorrenza e del mercato di cui all'articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso, o da una sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato. Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima. Quanto previsto al primo periodo riguarda la natura della violazione e la sua portata materiale, personale,

temporale e territoriale, ma non il nesso di causalità e l'esistenza del danno. La decisione definitiva con cui una autorità nazionale garante della concorrenza o il giudice del ricorso di altro Stato membro accerta una violazione del diritto della concorrenza costituisce prova, nei confronti dell'autore, della natura della violazione e della sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, valutabile insieme ad altre prove. Le disposizioni del presente articolo lasciano impregiudicati le facoltà e gli obblighi del giudice ai sensi dell'articolo 267 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea».

È appena il caso di ricordare che gli atti sanzionatori dell'Authority sono suscettibili di essere sindacati in sede di giurisdizione esclusiva dal G.A., mentre è competenza del giudice ordinario (nella specie, la Corte di Appello, come sopra visto) la tutela risarcitoria del privato che si assuma leso dall'illecito antitrust. Con riferimento all'ambito della giurisdizione amministrativa, si è precisato che «i provvedimenti dell'Autorità Garante sono sindacabili dal Giudice amministrativo per vizi di legittimità e non di merito, nel senso che non è consentito al Giudice amministrativo esercitare un controllo c.d. di tipo “forte” sulle valutazioni tecniche opinabili, che si tradurrebbe nell'esercizio da parte del suddetto giudice di un potere sostitutivo spinto a sovrapporre la propria valutazione a quella dell'amministrazione, fermo però restando che anche sulle valutazioni tecniche è esercitabile in sede giurisdizionale il controllo di ragionevolezza, logicità, coerenza» (Cass. S.U., n. 8882/2005).

In ordine all'ambito della cognizione del G.O., la giurisprudenza era orientata nel senso che «le conclusioni assunte dall'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, nonché le decisioni del Giudice amministrativo che eventualmente abbiano confermato o riformato quelle decisioni, costituiscano una prova privilegiata, in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso, ciò non esclude che sia possibile per le parti offrire prove a sostegno di tale accertamento o ad esso contrarie» (Cass. V, n. 3640/2009). In sostanza, il giudice ordinario rivendicava l'autonomia della sua valutazione (dunque, un sindacato “pieno” sulla fattispecie), tale da poter giungere anche a conclusioni diverse da quelle dell'Autorità garante: con la novella legislativa, tale autonomia sembra venir meno, nella misura in cui la decisione dell'Authority (definitiva) ovvero la decisione sul ricorso (dinanzi al G.A.) è destinata a vincolare il giudice dell'azione risarcitoria quanto alla «natura della violazione e la sua portata materiale, personale, temporale e territoriale», residuando autonomia decisionale soltanto con riferimento all'accertamento del nesso di causalità e dell'esistenza del danno.

Vale, tuttavia, evidenziare che, ai fini dell'accertamento dell'illecito civile l'intervento dell'Autorità non è una condizione necessaria: invero, se non sussiste alcuna decisione “definitiva” dell'Autorità, ben potrà il G.O. conoscere e giudicare in piena autonomia sulla sussistenza dell'illecito (né, in caso di procedimento pendente presso l'Autorità, è prevista la sospensione o altro tipo di coordinamento col giudizio civile). E lo stesso vale nel caso di accettazione degli impegni, ex art. 14 ter della l. n. 287/90, che comporta di «chiudere il procedimento senza accertare l'infrazione». Dunque, l'accertamento dell'illecito antitrust non è attività riservata alla (sola) Autorità garante e non costituisce, pertanto, una pregiudiziale amministrativa. Ci si può, altresì, interrogare se il valore vincolante delle valutazioni dell'Autorità possa riguardare solo i casi di accertamento positivo dell'illecito anticoncorrenziale, ovvero anche quelli di accertamento negativo: da parte della dottrina che, per prima, ha commentato la novella si reputa che l'accertamento negativo non possa essere vincolante, e ciò stando al tenore letterale della disposizione (ricalcante, in parte, l'art. 9 della direttiva UE 26 novembre 2014 n. 104/2014). Dunque, lo scenario che si presenta al giudice ordinario (investito da una questione risarcitoria per illecito antitrust) risulterà duplice: 1) in caso di illecito accertato (definitivamente) dall'Autorità garante, il giudice civile non potrà discostarsi da detto accertamento; si tratta delle azioni risarcitorie c.d. follow on); 2) nel caso, viceversa, in cui sia stato accertato il contrario dall'Autorità garante, non vi sarà nessun effetto vincolante e il giudice ordinario continuerà a formarsi il suo autonomo convincimento in proposito; in tal caso, l'azione risarcitoria civile può essere definita di “stand alone”).

La novella legislativa fa salvo, come si è visto il potere di accertamento del giudice civile, nelle azioni follow on, in merito al nesso di causalità ed all'esistenza del danno. Appare piuttosto evidente che si porranno problematiche interpretative circa la portata del richiamo al “nesso di causalità”: invero, se il legislatore ha inteso far riferimento al nesso di causalità materiale tra l'illecito anticoncorrenziale e l'evento dannoso per il privato, sembra potersi concludere nel senso che il potere di accertamento del giudice ordinario si estenderà ad un elemento costitutivo dell'illecito che, per converso, stando al tenore della disposizione dell'art. 7 ed alla ratio della novella (derivante dall'attuazione della direttiva UE più volte richiamata) dovrebbe risultare già dall'accertamento compiuto dall'Authority (cosicché l'accertamento del fatto vincolante sarebbe solo quello nella sua materialità, competendo al giudice ordinario la verifica della sussistenza degli elementi essenziali dell'illecito); se, invece, il “nesso” che il legislatore intendeva richiamare fosse quello di causalità giuridica, non si spiegherebbe il successivo richiamo all' esistenza del danno, che ricomprende in sé anche il legame etiologico tra l'evento dannoso e le conseguenze derivanti dallo stesso e, come tali, risarcibili ex art. 1223 c.c.

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