Memoria integrativa ex art. 171 ter, c.p.c. n. 1 per risarcimento del danno da abuso di dipendenza economicaInquadramentoCon la memoria ex art. 171 ter c.p.c. n. 1 una società di vendita di automobili precisa la propria domanda di risarcimento danni nell'azione intentata contro la casa costruttrice per abuso di dipendenza economica. FormulaTRIBUNALE DI .... 1 MEMORIA EX ART. 171 ter, N. 1 C.P.C. R.G....Giudice....Udienza.... PER Società .... in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. ...., - attrice – CONTRO Società .... in persona del legale rapp.te p.t., con l'Avv. .... - convenuta - ********* Con atto di citazione notificato il .... 2, l'attrice, addetta alla distribuzione ed alla vendita sul territorio italiano di automobili della marca .... conveniva innanzi l'Ill.mo Tribunale adito la società .... nota fabbrica straniera di vetture, affinché fosse accertata l'illegittimità del suo operato, che si era sostanziato in un abuso di posizione di dipendenza economica ai suoi danni, e per l'effetto che fosse preliminarmente dichiarata la nullità della clausola del contratto di concessione ed il suo diritto al risarcimento dei danni che quantificava in complessivi euro .... In punto di fatto specificava che tra le parti intercorreva un contratto di importazione e distribuzione in Italia di vetture; ad un certo punto la fabbricante decideva di cambiare totalmente il sistema commerciale, costituendo una propria azienda di distribuzione sul territorio. Di tal che, la convenuta stabiliva di sciogliere il contratto di importazione e distribuzione di autoveicoli con l'attrice, senza riconoscere alle medesime il preavviso di .... mesi pure previsto. Contestualmente, la nuova società di distribuzione, creata proprio dalla produttrice convenuta, sottoponeva ai concessionari ed alla società attrice la possibilità di stipulare nuovi contratti di concessione, ma a condizioni molto più onerose di quelle in vigore in precedenza. Tale complesso di condotte induceva parte attrice, che aveva subito tali iniziative, ad agire giudizialmente. In data .... si costituiva la società .... la quale chiedeva rigettarsi la domanda poiché infondata in fatto e diritto. All'udienza del ...., il Giudice concedeva i termini di cui all'art. 183, comma 6 c.p.c. rinviando la causa al giorno .... Con il presente atto l'attore, nel riportarsi ai propri scritti difensivi ed alla documentazione allegata, nonché nell'impugnare tutto quanto ex adverso dedotto, prodotto ed eccepito, alla luce della difesa spiegata da parte avversa, ritiene opportuno svolgere le seguenti ed ulteriori considerazioni in DIRITTO Come già evidenziato nell'atto di citazione, il divieto di abusare della dipendenza economica è sancito dalla l. n. 192/1998, recante la disciplina della subfornitura nelle attività produttive, ed in particolare dall'art. 9. La disciplina trova il fondamento giuridico nell'esigenza di contemperare la libertà di azione dell'impresa dominante col diritto di quella dipendente a svilupparsi ed evolversi liberamente senza subire ingerenze destabilizzanti nei casi in cui non sussistano altre alternative commerciali sul mercato; secondariamente, il divieto di abusare della dipendenza economica tutela il normale andamento dei mercati. Lo stato di dipendenza economica, a norma dello stesso articolo 9, ricorre con la contemporanea presenza di due condizioni: l'impresa dominante può determinare nei rapporti commerciali con la controparte un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi e, simultaneamente, la dipendente non può reperire sul mercato alternative soddisfacenti. Secondola prevalente giurisprudenza, l'abuso di dipendenza economica configura una fattispecie di applicazione generale, che può prescindere dall'esistenza di uno specifico rapporto di subfornitura, la quale presuppone in primo luogo la situazione di dipendenza economica di un'impresa cliente nei confronti di una fornitrice ed inoltre che l'abuso determini un significativo squilibrio di diritti e obblighi, considerato anzitutto il dato letterale della norma, laddove si parla di imprese clienti e fornitrici 3. Orbene in relazione al caso di specie l'interruzione improvvisa del rapporto contrattuale di concessione, deciso dall'importatore, così come le più onerose proposte economiche formulate dal produttore agli stessi concessionari, devono qualificarsi senza dubbio come abuso di dipendenza economica ai sensi della l. n. 192/1998, articolo 9. A ciò si aggiunge la circostanza che l'esercizio del recesso senza preavviso, anche se previsto contrattualmente nel solo caso in cui detto recesso fosse conseguenza della cessazione del rapporto di importazione, nella fattispecie doveva essere inteso come il risultato di una condotta contraria a buona fede. Tutto ciò, come detto, aveva consentito allo stesso produttore, attraverso la Società costituita direttamente per la distribuzione delle vetture, di porre in essere un tentativo di ottenere rilevanti vantaggi economici, sottoponendo ai concessionari, quale condizione per proseguire l'attività consolidata, nuove condizioni contrattuali ben più onerose di quelle precedenti. In buona sostanza, l'illecito è stato determinato dalla condotta attraverso la quale si offriva alle concessionarie – tra cui l'attrice - condizioni fortemente peggiorative rispetto a quelle in essere precedentemente ed attinenti a target di vendita più elevati, obbligo di ampliamento degli spazi dedicati alla vendita, rilascio di gravosa fidejussione bancaria ecc., approfittando delle difficoltà in cui queste aziende si erano venute a trovare verso la clientela a seguito della sospensione, senza preavviso, delle forniture di automobili. In tal modo il produttore aveva chiaramente violato anche i doveri di buona fede nei rapporti commerciali ai sensi degli artt. 1337 e 2043 c.c.4. Di tal che, non solo la illegittimità della clausola contrattuale, ma anche il diritto per parte attrice ad ottenere il consequenziale risarcimento dei danni. CONCLUSIONI Alla luce di tutto quanto testé evidenziato, si insiste affinché l'Ill.mo Giudice adito, sulla scorta delle argomentazioni esposte nell'atto introduttivo ed alla luce delle considerazioni testé evidenziate, voglia accertare e dichiarare la nullità della clausola relativa al contratto di concessione (art ....) e per l'effetto condannare la convenuta al risarcimento dei danni per abuso di dipendenza economica, quantificati in Euro .... Data e luogo .... Firma Avv. .... [1] [1] Cfr. art. 9 legge 18 giugno 1998, n. 192, come modificato dall'art. 11 l. n. 57/2001. Secondo la Corte di Cassazione “in tema di competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, ai sensi del Decreto Legislativo 27 giugno 2003, n. 168, la competenza delle dette sezioni specializzate va negata sia nei casi di proposizione di domanda di accertamento di una ipotesi di concorrenza sleale c.d. pura, sia nel caso in cui la domanda risarcitoria sia proposta in ragione od in connessione ad una ipotesi di abuso di dipendenza economica di un'impresa da un'altra, ai sensi della legge 18 giugno 1998, n. 192, articolo 9, essendo un tale caso - di natura puramente contrattuale - estraneo al concetto di abuso di posizione dominante, di cui alla Legge n. 287 del 1990, articolo 3, che essendo, di norma, privo di rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato non appartiene alla competenza della sezione specializzata del giudice ordinario” (Cass. VI, n. 22584/2015). [2] [2] Art. 10 l. n. 192/1998. [3] [3] Cass. S.U., n. 24906/2011. [4] [4] Secondo la S.C., i contratti di concessione di vendita possono includersi nell'ambito dei rapporti di sub fornitura di cui alla legge 18 giugno 1998, n. 192 (Cass. I, n. 16787/2014). CommentoAbuso di dipendenza economica: nozione e fondamento. Il divieto di abuso di dipendenza economica è sancito dalla l. n. 192/1998, che disciplina la subfornitura nelle attività produttive e colpisce tutte le condizioni ingiustificatamente gravose cui sia sottoposta un'impresa (cliente o fornitrice) che si trovi in uno stato di dipendenza economica rispetto ad un'impresa committente, la quale ultima imponga condizioni eccessivamente squilibrate a proprio vantaggio. L'orientamento dottrinale prevalente colloca il divieto di a.d.e. in armonia con la disciplina della concorrenza, senza tuttavia operare un indebito appiattimento del detto divieto sulla diversa fattispecie, nota alla disciplina antitrust, di abuso di posizione dominante, a ciò ostando la lettera del comma 3-bis dell'art. 9 l. subf. Viene a crearsi una situazione di “ dipendenza economica” in tutte quelle ipotesi in cui tra le parti si sia instaurato un rapporto commerciale di lunga durata che si fosse concretizzato, nel tempo, in ordini di volta in volta effettuati ed eseguiti, e tutto ciò al di fuori di qualsiasi accordo quadro o regolamento contrattuale generale che regolasse il rapporto (sul concetto di “dipendenza economica v. Cass. III, n. 18186/2014). La ratio del divieto di abuso di dipendenza economica intende tutelare, tra l'altro, il legittimo affidamento della parte debole nella prosecuzione del rapporto di collaborazione, soprattutto alla luce di rapporti di durata significativa che non siano stati connotati da particolari inadempimenti. Sono considerati indici della situazione di dipendenza economica: 1) l'esecuzione, da parte dell'imprenditore "debole", di investimenti specifici per far fronte agli obblighi derivanti dal rapporto contrattuale; 2) la concentrazione del fatturato verso pochi committenti; 3) l'entità dei costi di commutazione o riconversione per spostarsi verso altra relazione contrattuale; 4) l'asimmetria informativa tra i contraenti. Costituiscono, altresì, indici di dipendenza economica l'assenza di qualsiasi pattuizione scritta, l'assenza di discrezionalità nell'esecuzione delle commesse, l'elevata percentuale di fatturato della fornitrice per lavori svolti a favore della committente. In sostanza, la fattispecie dell'abuso di dipendenza economica si ritiene integrata se, e solo se, la parte debole del rapporto contrattuale — o del mero rapporto di fatto non ancora regolato da un contratto — non possa trovare valide alternative sul mercato: ciò che il legislatore vuole garantire, per mezzo dell'art. 9 l. n. 192/1998, dunque, non è tanto la correttezza e la buona fede nei rapporti contrattuali e professionali, quanto, piuttosto, la tutela del soggetto economicamente dipendente nell'ipotesi in cui, nell'impossibilità nel reperire valide alternative sul mercato, si veda costretto ad accettare condizioni contrattuali inique. Si è discusso circa la natura della responsabilità dell'impresa dominante in dottrina, divisa tra quanti concludono nel senso di ritenere che occorra valutare la maggiore o minore “vicinanza” al contratto della condotta abusiva dell'impresa dominante e quanti, invece, propendono per una ricostruzione unitaria, in chiave extracontrattuale, della condotta abusiva di cui all'art. 9 l. subf. Deve segnalarsi la tendenza della giurisprudenza di merito prevalente a considerare la responsabilità dell'impresa dominante come contrattuale (Trib Catania, sez. distaccata di Bronte, 9 luglio 2009) Quanto all'ambito di operatività, secondo un orientamento che va sempre più affermandosi in giurisprudenza, anche rapporti di franchising (v. Cass. S.U., n. 24906/2011 in un obiter dictum), di distribuzione integrata (Trib. Torino, 11 marzo 2010) o, genericamente, di fornitura (Trib. Trieste 20 settembre 2006) rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 9 l. n. 192/1998. Si tratta, in ogni caso, di rapporti commerciali che implicano una relazione “verticale” fra imprese (cioè fra imprese collocate in segmenti diversi della catena produttiva e/o distributiva). In particolare, non è invocabile l'abuso di dipendenza economica da parte di un'impresa (nella specie, di trasporto per conto terzi) che, non trovandosi in relazione di integrazione verticale con altra impresa (nella specie, produttrice di salotti) che ha improvvisamente interrotto i loro rapporti commerciali, dispone di alternative soddisfacenti anche al di fuori del settore merceologico dove quest'ultima opera (Trib. Forlì, 27 ottobre 2010; v. anche, Trib. Roma 17, marzo 2010 secondo cui “la disciplina dell'abuso di dipendenza economica non è applicabile a rapporti contrattuali differenti dalla subfornitura produttiva” e Trib. Torino, 11 marzo 2010 ove si afferma la portata generale dell'art. 9 “in quanto espressione del principio di buona fede e correttezza contrattuale e perciò finalizzata alla individuazione dei limiti che l'ordinamento pone nei contratti di impresa a tutela di quella parte contrattuale che si trovi, rispetto all'altra, in posizione di dipendenza economica”). L'abuso: elementi costitutivi. La norma esemplifica le ipotesi dell'abuso di dipendenza economica indicando come tali il rifiuto di vendere o di comprare, l'imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, l'interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto. In ordine agli elementi costitutivi dell'illecito, la dottrina prevalente esclude la necessità di qualsivoglia indagine sullo stato soggettivo (dolo o colpa) dell'impresa dominante. Integra abuso quella condotta posta in essere dall'impresa dominante che sia pregiudizievole per l'impresa dipendente con specifico riguardo alla libertà d'iniziativa economica di quest'ultima. Invero, il bene tutelato dal divieto di cui al citato art. 9 è costituito dalla posizione competitiva dell'impresa dipendente: in particolare, il dettato legislativo impone un bilanciamento tra i contrapposti interessi (dell'impresa dipendente e dominante) nel momento in cui considera abusiva l'imposizione di condizioni gravose o discriminatorie, solo ove tale condotta risulti ingiustificata, nonché di accertare che il rifiuto di contrarre (come anche l'interruzione delle relazioni commerciali in atto) sia “arbitrario” (non tutti i rifiuti integrano gli estremi dell'abuso ma solo quelli “arbitrari” o ingiustificati; non potrà considerarsi abusivo, per esempio, il rifiuto di contrarre derivante da insufficiente affidamento in ordine al regolare svolgimento del rapporto o dalla decisione di uscire dal mercato). La condotta dell'impresa dominante deve risultare proporzionata al fine perseguito per non incorrere in una violazione del divieto, cosicché non potrà, per ipotesi, considerarsi abusivo il recesso da un contratto a tempo indeterminato dovuto alla modifica significativa delle condizioni di mercato (Cass. I, n. 20106/2009), se tale modifica renda antieconomica la prosecuzione del rapporto, né potrà considerarsi abusiva una diminuzione dei rapporti d'affari che sia proporzionale alla diminuzione complessiva delle vendite del prodotto (la cui fabbricazione è in ipotesi commissionata alla subfornitrice). Analogamente, per non incorrere nella violazione del divieto, l'interruzione delle relazioni commerciali in atto non deve essere discriminatoria: in tal senso, un rifiuto di contrarre o un'interruzione delle relazioni commerciali in atto possono risultare abusivi, non solo per se stessi, ma anche in quanto realizzino un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle altre imprese subfornitrici o distributrici che appartengono al medesimo sistema (di subfornitura o di distribuzione integrata). La diversità di trattamento dovrà essere giustificata da ragioni obiettive: quali ad. es. l'esigenza di razionalizzare la rete distributiva o i possibili guadagni di efficienza derivanti dalla riorganizzazione del sistema (dei subfornitori) – con onere a carico dell'autore della discriminazione di provare l'esistenza di una causa di giustificazione obiettiva. In particolare, costituisce abuso di dipendenza economica la riduzione delle commesse in misura più che proporzionale rispetto al calo delle vendite sul mercato di riferimento salvo che tale diminuzione sia fondata su criteri oggettivi e non arbitrari (Tribunale Bassano Grappa, 02 maggio 2013). Sull’individuazione dei tratti caratterizzanti l’abuso di dipendenza economica, si segnala Cass. n. 1184/2020 che, in materia di contratto di fornitura, chiarisce che trattasi di nozione indeterminata, il cui accertamento postula l'enucleazione della causa concreta della singola operazione che il complessivo regolamento negoziale realizza, secondo un criterio teleologico di valutazione, in via di fatto, della liceità dell'interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto; nell'applicazione della norma è pertanto necessario: 1) quanto alla sussistenza della situazione di "dipendenza economica", indagare se lo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti sia eccessivo, essendo il contraente che lo subisce privo di reali alternative economiche sul mercato (ad es., perché impossibilitato a differenziare la propria attività o per avere adeguato l'organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto); 2) quanto all'abuso, indagare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l'intenzionalità di una vessazione perpetrata sull'altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell'impresa dominante (quale, p. es., modificare le proprie strategie di espansione, adattare il tipo o la quantità di prodotto, o anche spuntare migliori condizioni), mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di profitto altrui. In particolare, il recesso ad nutum L'art. 9 della l. n. 192/98 contempla espressamente, quale esempio di abuso, l'interruzione arbitraria delle relazioni commerciali: su tale norma viene fondata, laddove ne ricorrano i presupposti, la dichiarazione di nullità della clausola contrattuale che consenta il recesso senza subordinarlo ad un congruo preavviso. Non sono considerati indici sufficienti per valutare, come non congruo, il termine di preavviso ed il recesso in termini di abuso: 1) la mera esecuzione di investimenti (a maggior ragione se oggetto di obblighi contrattuali); 2) la ricorrenza di una certa disparità di potere economico tra i contraenti (si veda, ad esempio, Trib. Taranto 17 settembre 2003). Invero, in talune strutture contrattuali l'obbligo di investimenti (o comunque la loro normale esecuzione al fine della efficace esecuzione della prestazione) ed il potere di recesso di controparte svolgono una specifica funzione economica non abusiva, che giustifica la gravosità di tale assetto di interessi per una delle parti. Si può ritenere che la norma citata trovi un campo significativo di applicazione nel contesto economico della integrazione tra imprese, nel quale l'esecuzione del contratto, proprio a causa degli investimenti specifici, è in grado di porre una delle parti in posizione di dipendenza rispetto all'altra a causa dell'impossibilità di reperire nel mercato alternative soddisfacenti (in tal senso, Cass. I, n. 16787/2014 la quale afferma che "i contratti di concessione di vendita possono includersi nell'ambito dei rapporti di subfornitura di cui alla l. n. 192 del 1998, art. 1, considerato che il concessionario si impegna a fornire alla casa madre "... servizi di distribuzione destinati ad essere .... utilizzati nell'ambito dell'attività economica del committente ...."; in quanto tali, sono soggetti all'art. 6, comma 2, della legge stessa, che nei contratti di subfornitura ad esecuzione continuata o periodica dispone la nullità dei patti mediante i quali sia concessa ad una delle parti la facoltà di recesso senza preavviso”). In una situazione di questo tipo, la clausola che consenta il recesso senza assoggettarlo ad un termine congruo in relazione al tempo di ammortamento degli investimenti costituisce uno strumento per realizzare la fattispecie dell'abuso di dipendenza economica, specificamente correlato alla dipendenza da investimenti specifici. Attraverso il potere di scioglimento ad nutum, l'impresa dominante è in grado di determinare, nell'immediato, lo spreco di risorse che, dal punto di vista sociale, si realizza togliendo agli investimenti di controparte la destinazione produttiva specifica in relazione alla quale essi sono stati realizzati ed avevano giustificazione economica. Ciò può determinare l'esclusione dal mercato dell'impresa dipendente, non per ragioni legate alla sua inefficienza rispetto al mercato, ma per la sua specifica condizione di dipendenza economica. Sicché la valutazione di congruità del termine deve basarsi sulla verifica del tempo necessario all'ammortamento degli investimenti: in caso di accertata incongruità, il rimedio esperibile è quello della nullità ex art. 9 l. n. 192/1998, con conseguente rideterminazione della durata del preavviso in relazione al tempo necessario per l'ammortamento degli investimenti. Ad analoga ratio risponde, in materia di affiliazione commerciale, la norma dell'art. 3, comma 3, l. n. 129/2004, dalla quale parte della dottrina ricava l'esclusione del diritto di recesso ad nutum nel caso di contratto concluso a tempo indeterminato, quando non sia trascorso un tempo sufficiente per l'ammortamento dell'investimento e comunque non inferiore a tre anni. Giova precisare che, per giurisprudenza costante, ove siano dedotti l'illegittimità dell'esercizio del recesso da un contratto di concessione di vendita e il compimento di pratiche scorrette durante l'esecuzione del rapporto, l'eventuale abuso di dipendenza economica non potrebbe in ogni caso giustificare la declaratoria di nullità del contratto (Tribunale Torino, 21 novembre 2013 secondo il quale, in particolare, “la domanda di nullità del contratto di concessione di vendita, proposta dal concessionario che invochi l'abuso di dipendenza economica perpetrato nei suoi confronti dal concedente, non può essere accolta ove l'attore abbia a tal fine elencato nell'atto di citazione una serie di clausole contrattuali eterogenee, senza neppure allegare per quali motivi tali clausole (tutte o in parte) realizzerebbero detto abuso”). Sulla fattispecie, v. la recente Trib. Milano 17 giugno 2016 secondo la quale “il recesso ad nutum, esercitato in difetto di specifica contestazione, senza un congruo termine che consenta di ricercare nuovi partner commerciali sul mercato e trattenendo una rilevante somma nell'esercizio di una forma di autotutela privata non contemplata dall'ordinamento, integra abuso del diritto e abuso di dipendenza economica, sotto forma di interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in corso”. Sul punto, si veda Cass. 30885/2022 secondo cui la nullità della clausola con cui si realizza un abuso di dipendenza economica è rilevabile d’ufficio, pertanto la relativa eccezione può essere fatta valere sino alla comparsa conclusionale, purché emerga dai dati già acquisiti al processo. Tuttavia, la parte che, in sede di legittimità, lamenti il mancato rilievo ufficioso della menzionata invalidità deve dedurre - a pena di inammissibilità della censura per difetto di specificità - anche l'emersione, nel corso del giudizio di merito, degli elementi che avrebbero dovuto indurre il giudice a ravvisare detta nullità. Interruzione delle relazioni commerciali: in particolare, la cd. delocalizzazione produttiva. È il caso di un'impresa committente che interrompa relazioni d'affari di lunga durata con il sistema delle subfornitrici italiane per delocalizzare interamente la produzione all'estero: trattasi di un comportamento in sé del tutto lecito poiché non contrastante con alcuna regola di buon funzionamento del mercato, sicché la condotta non appare sindacabile dal giudice, trattandosi di riorganizzazione produttiva che obbedisce ad una precisa strategia aziendale, quella cioè di perseguire l'abbattimento dei costi di produzione abbandonando una certa politica di differenziazione qualitativa (ottenuta tramite il marchio Made in Italy). In tal caso, dunque, l'interruzione delle relazioni commerciali in atto non appare di per sé arbitraria, poiché conseguente ad una scelta aziendale volta a conseguire guadagni di efficienza: nondimeno, l'interesse al perseguimento della massimizzazione del profitto da parte dell'impresa dominante deve essere coordinato con l'interesse delle imprese dipendenti di rimanere competitive sul mercato. Trattandosi, in particolare, di rapporti di fornitura di lunga durata, ove, in ipotesi, il committente che intenda delocalizzare sia l'unico committente o, comunque, il committente più significativo per ordinativi e fatturato, consentire un recesso immediato all'impresa dominante significherebbe ammettere una gravissima compressione della posizione delle imprese dipendenti sul mercato. In simili casi, si potrebbe pertanto ipotizzare la necessità di un obbligo di preavviso a carico dell'impresa committente, di guisa che la liceità del comportamento di quest'ultima vada stabilita esclusivamente sulla base della congruità di detto preavviso. Invero, se, avendo riguardo alla situazione del mercato, la committente concederà alle subfornitrici un preavviso sufficiente a reperire alternative soddisfacenti, la condotta della prima non incorrerà in una violazione del divieto di a.d.e. Appare rilevante evidenziare che, durante il periodo di preavviso, l'impresa committente è tenuta a mantenere, in linea di principio, il medesimo livello di commesse in essere in epoca anteriore al preavviso o, comunque che il mercato di riferimento, debba essere, pur sempre, il mercato dei prodotti fabbricati dalle imprese subfornitrici italiane, senza che possa giocare alcun ruolo il riferimento al mercato dei prodotti esteri. I rimedi Oltre alla sanzione della nullità delle clausole contrattuali che concretino l'abuso, è espressamente prevista la risarcibilità dei danni derivanti dalla condotta illecita dell'impresa dominante e la possibilità di invocare la tutela inibitoria. In ordine a quest'ultima, si segnala che il legislatore utilizza il plurale “inibitorie” prefigurando un rimedio idoneo a recepire contenuti differenti in base alla situazione concreta da tutelare: così, accanto ad una inibitoria negativa, avente ad oggetto un ordine di non facere, si ammette ormai anche la formulazione giudiziale di un'inibitoria avente contenuto positivo, implicante un facere, anche infungibile, ivi incluso un obbligo di contrarre (Trib. Catania 9 luglio 2009); peraltro, giova evidenziare che l'effettività dell'ordine giudiziale di contrarre è oggi garantita dalla possibilità della previsione di astreintes ex art. 614-bis c.p.c. La concessione della tutela inibitoria dipenderà dalla condotta dell'impresa dominante la cui abusività, a sua volta, non può non legarsi alla situazione di dipendenza, attuale e prospettica, dell'impresa verticalmente integrata: trattandosi di obbligo di contrarre, quest'ultimo dovrà essere contenuto entro convenienti limiti di tempo. La durata dell'obbligo di contrarre deve essere legata, in definitiva, al tempo necessario, secondo le circostanze, a consentire all'impresa dipendente di “slegarsi” dal rapporto con l'impresa dominante per “legarsi” ad altra (o altre) impresa (od imprese), senza subire contraccolpi competitivi sproporzionati. A tal fine, inoltre, può tenersi conto dei tempi di ammortamento di investimenti effettuati unicamente in funzione del rapporto con l'impresa dominante ed inutilizzabili nel rapporto con altre imprese del medesimo settore. Quanto al risarcimento del danno, vale evidenziare che i criteri per la relativa quantificazione non dipendono dall'inquadramento della responsabilità dell'impresa dominante come contrattuale od extracontrattuale, dovendosi, a tal fine, pur sempre stabilire il nesso di causalità giuridica tra condotta vietata e conseguenze dannose. A tal proposito, deve sottolinearsi come la condotta vietata consista nell'ingiustificato sfruttamento della situazione di dipendenza dell'impresa verticalmente integrata con l'impresa dominante, di guisa che, un ruolo non secondario è svolto dall'individuazione (e dall'intensità) della situazione di dipendenza la quale, a sua volta, discende soprattutto dall'esatta definizione del mercato rilevante e dalla presenza (o dall'assenza) di alternative soddisfacenti su tale mercato. |